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I misteri dei sacri boschi di Bomarzo

  (e dintorni...) 1^ parte

                                      (di Marisa Uberti, con la collaborazione di Salvatore Fosci)
                

                     

Tutto il mondo conosce Bomarzo per il suo Parco dei Mostri, fatto realizzare da Pier Francesco Orsini nel XVI secolo, ma quante persone -tra coloro che sono giunte qui o vi giungeranno -si sono avventurate negli altri boschi sacri del territorio bomarzese? Noi di 'due passi' lo abbiamo fatto e questo è il resoconto di un'esperienza a dir poco sbalorditiva...

9 agosto 2010

I nostri due passi sono approdati nel Viterbese, nel Lazio settentrionale, durante la calura agostana. Salvatore Fosci, un corrispondente divenuto fraterno amico, ci aveva detto che il periodo migliore per visitare i boschi selvaggi del territorio bomarzese è il tardo autunno o l'inverno, quando gli alberi sono spogli e la scarna vegetazione permette di ritrovare più agevolmente sentieri e siti archeologici ricavati nella roccia vulcanica locale, il peperino, E che siti!

Altari e abitazioni rupestri, necropoli e massi sacralizzati, Vie Cave e la straordinaria 'piramide' -emersa nella sua stupefacente bellezza dopo l'operazione di ripulitura di Salvatore - danno soltanto una parziale idea di cosa si celi nel fitto di questa boscaglia, ritenuta sacra da arcaiche popolazioni e certamente -dicono gli esperti- dagli Etruschi, dai Romani, dai longobardi fino - probabilmente - ai medievali Templari, che qui avrebbero potuto trovare rifugio nel lungo periodo che va dal 1307 (arresto di tutti i Templari francesi) al 1312 (quando vennero soppressi con Bolla papale) e ben oltre... Della loro presenza nei boschi di Bomarzo non v'è documentazione, chiaramente, per cui ci affidiamo alle ipotesi e alle varie 'croci patenti' disseminate nei vari distretti archeologici rupestri, ma ciò che è importante dire è che -dopo il Medioevo - questi territori caddero nel dimenticatoio.

Ma chi intagliò - nella remota antichità- gli altari nelle rocce e nei massi erratici? Chi abitò in questi boschi? A cosa servivano i misteriosi manufatti che si incontrano lungo il percorso? Chi venne sepolto nei sarcofagi antropomorfi?

La nostra curiosità doveva essere premiata, in qualche modo, ed eccoci quindi - grazie alla disponibilità di Salvatore- in pieno agosto, pronti per cominciare una delle avventure più straordinarie della nostra vita.

Salvatore è nato a Bomarzo (VT), un paese di poco più di mille abitanti che -in antichità- si chiamava Polimartium cioè 'città di Marte' (vicino c'è anche un paese chiamato Giove...), un luogo dove gli dei sembrano aver lasciato il loro spirito nella pietra. Salvatore ha questi luoghi nel sangue; si considera un discendente degli Etruschi e chi può dire che non lo sia? Insieme a lui, che conosce i boschi del territorio come casa sua, ci sentiamo sicuri e intraprendiamo il cammino. Dopo aver percorso una strada sterrata chiamata via Cupa, incontriamo un residuo di muraglia, in cui sono a tratti incastonati blocchi di notevolissime dimensioni, che ci riportano con la mente a quelle enormi costruzioni (megalitiche) viste nel Lazio meridionale (ad Alatri, ad esempio). Nonostante ci sembrino più arcaiche, queste sono considerate dagli esperti mura etrusche.

                                

                                                  

            

 

Lasciamo il sentiero e ci addentriamo nel folto della vegetazione. Come primo impatto, avendo in precedenza effettuato un'escursione lungo il sentiero etrusco -celtico a Cevo (Val Saviore, BS), mi sembra di rivivere le stesse atmosfere, la stessa magica voce della natura, che ha saputo custodire gelosamente i suoi tesori. Anche i Celti praticavano i loro culti all'aperto, nei boschi e vicino a sorgenti d'acqua, erigevano altari rupestri, veneravano alberi e animali, e la pietra. Ma qui, di Celti, nessuno parla: siamo nella terra degli Etruschi!

Ci è impossibile dare un resoconto di ogni struttura incontrata (andateci e vedrete queste meraviglie con i vostri sensi), limitandoci a quelle più emblematiche. Salvatore ci accompagna per i ripidi sentieri, a due passi dalla sua casa di origine. Da tempo egli, con il tipico amore disinteressato per il passato della sua terra, nel tempo libero ripulisce i sentieri e le strutture litiche che giacciono- in completo abbandono- nel fitto dei boschi. Socio dell' Associazione Archeotuscia, Salvatore è una persona semplice che -al posto della penna o del computer- si affida all'energia delle sue mani e del suo cuore per riportare alla luce i tanti segreti che ancora la vegetazione custodisce. Mentre ci guida su sentieri sconosciuti, ci viene spontaneo saperne di più della sua attività extra lavorativa e gli domandiamo:"Salvatore, quando hai cominciato a pensare di ripulire questi luoghi e perchè?". Senza il minimo fiatone, di chi è avvezzo a muoversi come una lepre tra il fitto della vegetazione, l'amico Fosci ci racconta che ha cominciato correndo. "Correvo per le strade sterrate di Bomarzo, paese agricolo, ricco di boschi e di campagna. Alcune volte cercavo itinerari diversi dai soliti e quindi cercavo vie nei boschi di querce e in mezzo a rupi e vallate di peperino, che formano dei veri e propri canyon. Inizialmente usufruivo di alcuni sentieri già abbastanza puliti; dove invece ce n'era bisogno continuavo io l'opera di ripulitura, così riuscivo ad effettuare dei bei giri nei boschi vicino a tante testimonianze del passato. Le giornate nebbiose erano le più belle in quanto  tra quelle rupi del passato, c'era quel tocco di mistero in più. Non contento, i giorni successivi continuavo ad aprire nuove vie tra i boschi e mi accorgevo che molte testimonianze non erano mai state pulite prima (visto la vegetazione che le ricopriva) e da allora ho sentito il dovere di dare ordine a questi luoghi ripulendoli da rovi e vegetazione".
 

Si noti come la vegetazione si sia impadronita e avvinta alle strutture litiche che gli antichi abitatori etruschi avevano ricavato dal peperino, e come il lavoro di Salvatore sia importante.

                                    

Ma ecco che ci troviamo di fronte a quello che, a tutti gli effetti, ci sembra un altare arcaico, intagliato interamente nella viva roccia. "Questo sito - ci dice Salvatore - l'ho individuato e ripulito lo scorso inverno; nessuno lo aveva mai visto prima e sia Tiziano Gasperoni (archeologo) che gli amici di Archeotuscia mi hanno attribuito la scoperta e, visto che nessuno ancora ha studiato la zona, possiamo identificarlo come presunto altare". Già, 'presunto', in quanto studi mirati non ne sono ancora stati fatti. Il manufatto si presenta come un lungo sedile di peperino, ma più largo di un normale sedile, assumendo l'aspetto di un' ara sacrificale o rituale. Nella parte attaccata alla collina, che diremmo fa da 'schienale', si notano alcune nicchie, una in particolare presenta dimensioni notevoli: a cosa serviva? Un'altra nicchia, più piccolina, è stata ricavata poco distante. Una colorazione scura verticale è visibile a sinistra della nicchia, circa a metà del manufatto: probabilmente qui scendeva acqua dalla roccia, che veniva convogliata, tramite appositi canalini scavati nel masso, in una sorta di bacile o vaschetta, scavata nella piattaforma che abbiamo chiamato altare.

                                         

Nella foto seguente - scattata da Salvatore in uno dei suoi sopralluoghi  e dopo un periodo di pioggia prolungato- si nota come l'acqua ancora oggi fuoriesca nel medesimo punto, andando a riempire la piccola vasca, ben visibile in primo piano, sulla destra:

        

Vasca che poteva servire per le abluzioni, o purificazioni, o per quali altri scopi? Di certo, quest'acqua era considerata sacra, in quanto la sua origine era misteriosa, un dono della Natura  e, quindi,  'divina'.

Per diversi motivi questo luogo ispira molte sensazioni sublimi: il contesto selvaggio in cui è inserito, l'accuratezza con cui furono ricavate nicchie, canalini e vaschetta... un insieme di rara bellezza e semplicità. Gli antichi affidarono alla pietra, alla viva roccia il compito di trasmetterci la loro religione della Natura. Se ci si concentra, sembra quasi di vederli, i sacerdoti preposti alle sacre celebrazioni; la mente è immersa nel fantastico e totalmente avvolta dalle tenebre del passato, cui ogni tanto giunge una luce rarefatta, filtrata attraverso il fitto della vegetazione. Come sarà stato, un tempo, questo bosco? Come lo vivevano i suoi frequentatori? A livello pratico - anche per un insediamento- non mancava nulla. Qui c'era cibo (fauna e piante fruttifere), riparo, acqua e...vino!

                                   

Già, vino. Numerose sono le 'pestarole' che abbiamo incontrato lungo gli itinerari: si tratta di grande vasche di raccolta di forma quadrilatera, ricavate direttamente nella pietra, dove veniva messa l'uva che -un tempo- cresceva anche su alberi d'alto fusto (ci informa Salvatore). Qui veniva pigiata (donde il nome di 'pestarole'), con l'aggiunta magari di erbe aromatiche, e poi drenata -tramite canali di scolo appositi- in una vasca più piccola, situata ad un livello inferiore, anch'essa quadrangolare. Da questa, un foro permetteva al liquido di fuoriuscire ed essere raccolto in vari contenitori. A volte, però, come nella 'pestarola'della foto sotto, la piattaforma della vasca grande di raccolta presenta vani circolari di forme differenti e di  ignota destinazione (forse vi si metteva il prodotto da far macerare?). Quanti le hanno studiate, ritengono che le 'pestarole' risalgano all'epoca etrusco-romana, ma siano state utilizzate anche nel Medioevo, e che fossero una sorta di 'cantina sociale'. Difficile però avere una certezza assoluta in merito al loro effettivo impiego in origine, a nostro avviso.

                                        

Proseguiamo il nostro itinerario, in autentici 'due passi nel mistero'... Arriviamo ad una radura dove qualcosa di stupefacente si disvela ai nostri occhi: è il complesso funerario di Santa Cecilia. Accanto, vi è un tempio rupestre, articolato su livelli diversi. Il mistero si fa palpabile; il respiro si ferma per un lungo istante, l'attimo è estatico. Osserviamo la struttura enigmatica, che poteva essere una sorta di santuario, forse dove si eseguivano riti sacri funerari (la necropoli è lì vicino): Salvatore l'ha ripulito negli ultimi tempi e si riesce a vedere un grosso masso lavorato, preceduto da un menhir o pilastro con un incavo, superiormente; sulla sinistra si trova un sedile ricavato direttamente nella roccia, mentre a destra si individua una sorta di percorso che sale verso la piattaforma del masso, dove probabilmente si inerpicava un sacerdote. Forse qui si teneva un'adunanza di persone, i parenti del defunto(?) oppure riunioni collettive, difficile dirlo. E' tutto estremamente interessante e senza risposta.

                           

 

Guardandoci attorno, scorgiamo molte altre strutture litiche, come se questa fosse stata un'area particolarmente popolata: abitazioni rupestri ricavate nei massi di peperino, nicchie (anche di notevoli dimensioni), sia a livello del terreno che pensili (forse per adagiare i corpi di bambini morti?), piccole grotte, pestarole, e quel che resta di un cimitero. Ma a quando risale?

                                                            

Sicuramente a più epoche, poichè le sepolture individuabili sono di vario tipo: a fossa e in sarcofagi antropomorfi. I bomarzesi chiamano questo cimitero 'camposanto di Chia' (nome del vicino centro abitato, dominato dalla torre medievale omonima), ma l'intera necropoli è nota come 'Santa Cecilia'. Vi sono infatti le rovine di una chiesa, con ogni probabilità intitolata a questa santa, risalente all'alto medioevo (VIII- X secolo). Oggi non restano che le fondamenta dei muri perimetrali ed un pilastrino che -forse- reggeva la mensa d'altare. Sopra una necropoli arcaica, dunque, o vicino ad essa, sorse un luogo di culto cristiano. Ma frequentato da chi?

La necropoli di S. Cecilia come si presentava prima della ripulitura ad opera di Salvatore: era invisibile!

Durante la sua operazione, cominciavano a delinearsi le strutture litiche sotto giacenti da secoli e secoli.

Come apparve liberata dai rovi e dalla vegetazione selvaggia.

La nostra guida ci tiene a precisare che -anche se non li conosce- vi sono altri esseri umani che si dedicano a ripulire questi boschi: "Una cosa importante da dire, per quanto riguarda la ripulitura del cimitero di Santa Cecilia, è che non posso attribuirmi tutto il merito di averlo ripulito dalle sterpaglie, anche se le foto documentano il fatto che da tempo nessuno manteneva la zona pervia. Durante le mie corse e passeggiate per i boschi, ho trovato il sentiero di Santa Cecilia già da tempo praticabile; segno che qualcuno l'operazione l'aveva già iniziata. Al cimitero ho dato una buona sistemata ma mi fa piacere che altri condividano con me la stessa passione e zelo di mantenerlo in ordine. In fondo è un nostro cimitero e gli antenati che riposano meritano il nostro doveroso rispetto; quindi vorrei ringraziare le persone (che mi piacerebbe conoscere ) che negli anni scorsi hanno ripulito con devozione dei loro antenati il cimitero di Santa Cecilia".
 

Nelle foto seguenti, la necropoli di S. Cecilia alla data odierna, vista da noi:

             

             

                                                                                

Qualche blocco squadrato è ancora presente, ma tutto il resto è alla rinfusa. Il padre di Salvatore, il sagace signor Abbondio (Cleto per gli amici), afferma che fino agli anni '70 del XX secolo, questa zona (seppure violata già in antico), non era ridotta in questo modo. Molti massi sono stati buttati nel dirupo, i sarcofagi sono stati completamente scoperchiati e spezzati. Le tombe terragne o a fossa, scavate nel macigno (che fu spianato apposta per accoglierle), si presentano di varia dimensione (per bambini e per adulti), e con la pioggia si riempiono di acqua; a quando risalgono? I sarcofagi sono monolitici e scavati in sagoma umana, ricordando parecchio quelli antropomorfi egiziani: sembra infatti che la salma possa essere stata fasciata come una mummia, per entrare lì dentro. Alcuni coperchi di sarcofago giacciono per terra; su uno di essi notiamo una grossa croce greca, scolpita a rilievo, indice che almeno queste sepolture risalgono sicuramente al periodo cristiano. Un'altro dettaglio molto importante ce lo fa notare Salvatore, il quale -ripulendo il sito- ha notato su un masso una bellissima croce (templare?): bagnandola, si nota che l'acqua si raccoglie in una sorta di fossetta (un caso?).

                                                    

Data la cospicua presenza di croci cristiane sui massi rupestri, sugli altari (ve n'è una anche sulla 'piramide'), e molte ancora sono ancora da scoprire sicuramente, c'è da ritenere assai probabile un intento di riconsacrare questi luoghi in senso cristiano o di segnarli con intento magico-apotropaico onde allontanare gli 'spiriti' dei pagani antenati, il cui potere ancora si temeva (e forse si teme!). Senza tener conto che quello 'spirito' trascende qualsiasi forma teologica e appartiene all'Universale. Esso è sempre in ogni Essere che si senta parte della Natura e del suo Creatore. Come lo si voglia chiamare, o dove esso si trovi, o alberghi, quali siano le sue Leggi, i suoi disegni, fa parte del mistero insondabile che dalla notte dei tempi accompagna l'Uomo - più o meno serenamente - lungo il cammino della vita su questa Terra.

Ci mettiamo seduti in contemplazione di queste arcaiche e misteriose testimonianze del passato. Il bosco impenetrabile non fa quasi filtrare nemmeno la luce. Siamo soli completamente. E' un attimo di rara bellezza, di emozione profonda. Ripensiamo alla scelta di coloro che furono sepolti qui, affidandosi fiduciosi alla Natura e ai suoi Elementi. Quale Pace migliore per il viaggio dell'anima verso il suo insondabile 'altrove'?

             

Rapiti dalle nostre domande interiori, estasiati dalla condivisione di questa avventura meravigliosa, riprendiamo il cammino. Incontriamo un'altra, strabiliante abitazione rupestre, di notevoli dimensioni, con delle buche negli stipiti, per alloggiarvi i pali lignei come chiusura dell'ingresso. Va ricordato che questi ripari furono riutilizzati sovente negli anni passati dai contadini e dai pastori, per ricoverarvi gli armenti.

                  

Standovi dentro, osservandola e ascoltando con tutti i sensi, anche quelli più fini e sottili, nel silenzio del bosco, pare di percepire l'eco di un ricordo impreciso, labile, sfumato nel tempo: forse qui stava rintanato uno sciamano, un asceta cui la gente del posto si rivolgeva per la sua saggezza, o per procurarsi rimedi curativi, non sembra insomma una semplice abitazione rupestre, ma qualcosa di più. Quando Salvatore passò da questa zona, trovò la situazione nel modo mostrato nella foto sotto: era completamente invisibile a causa dei rovi che l'avevano totalmente inglobata.

                          

                         

                         

 

Una parete tufacea all'imboccatura della scalinata intagliata nella roccia ci conduce alla radura e da lì al terreno di Salvatore; la parete presenta, in alto, un riquadro incassato, una nicchia molto ben squadrata, ma a che periodo risale? Si ritiene che nel Medioevo vi potesse trovare posto qualche immagine sacra, di conforto al viandante che si trovava a percorrere questa strada. Salire i gradini intagliati nella roccia è ormai agevole, e prima di congedarci dal bosco, Salvatore ci fa notare un'altra sepoltura antropomorfa, solitaria, intagliata nella viva roccia. Intorno, la calura estiva ha reso secche tutte le sterpaglie, che qualcuno ha ripulito.

                              

Come Dante nella Divina sua Commedia, ci accingiamo ad uscire dalla selva. Ma per rientrare da un'altra parte, domani... Infatti ci attende una delle strutture più sensazionali ed enigmatiche della Tuscia viterbese: la cosiddetta 'piramide di Bomarzo', di cui Salvatore ci ha spesso parlato e mostrato foto. Domani, finalmente, la vedremo dal vivo anche noi. Intanto lui ci anticipa alcune cose, invitato dalla nostra curiosità. Vorremmo infatti sapere da dove ha iniziato la sua attività di 'ripulitore di boschi', e l'incontro con l'Associazione Archeotuscia. Egli ci informa che ebbe inizio proprio con la 'piramide'. Mentre ci intratteniamo a cena con la sua straordinaria famiglia (la compagna Annalisa, i genitori, la sorella e i suoi figli, che ricordiamo con affetto e che ringraziamo dell'ospitalità ricevuta), approfittiamo per fargli un'amichevole intervista (la cui versione integrale è stata pubblicata in questo sito a questa pagina), in cui questo uomo dei boschi, conoscitore di tanti misteri del passato di queste zone, ci ha raccontato un po' di sè e della sua attività. Grazie, poi, alla disponibilità di un suo amico e studioso locale, Giovanni Lamoratta (che ringraziamo pubblicamente), andiamo a visitare il centro storico di Bomarzo, che di sera assume un fascino del tutto particolare. Il paese- veniamo a sapere- si sta spopolando di gente autoctona, mentre è sempre più ambito da stranieri di varie nazionalità (americani, francesi, etc.). Molti visitatori giungono qui per il rinomatissimo Parco dei Mostri, e tralasciano di salire in cima alla rupe, dove sono situati i maggiori edifici cittadini come il Comune, allestito nel cinquecentesco Palazzo Orsini, la parrocchiale settecentesca, dedicata a Sant'Anselmo, il patrono. Ma anche altri angoli suggestivi, sapendoli apprezzare, meritano di essere visitati:essi spuntano alla fine di stretti vicoli dall'impronta ancora medievale, mentre il silenzio di alcune strade evoca qualcosa di misterioso e anche di spettrale. Le piazzette in cui ancora qualcuno si ritrova nel dopo cena per quattro chiacchiere, riportano però la semplice vivacità e un sapore di familiarità, che nelle città oggi non conosciamo più.

Una bella passeggiata al chiaro di luna, dominando la valle del Tevere, era quel che ci voleva per avere un quadro più completo di questo centro della Tuscia viterbese. Giovanni Lamoratta ci spiega che il borgo fu abitato fin dalla preistoria; fu un importante centro etrusco, caduto poi sotto il dominio romano. Nel 741 d.C. venne conquistato dai Longobardi di re Liutprando e da questi donato alla chiesa. Successivamente, passò nelle mani di diverse famiglie, tra le quali la più famosa è senz'altro quella degli Orsini, che hanno lasciato tracce indelebili, come appunto l'attuale Palazzo Comunale e il Parco dei Mostri.

Domani ci attende un'altra strepitosa avventura alla ricerca del passato perduto e dei suoi tesori di pietra dimenticati nei boschi e, finalmente, conosceremo la 'piramide' di Bomarzo.

                                                      Non perdete la 'prossima 'puntata'!

 

Sezioni correlate in questo sito:

I misteri dei sacri boschi 2^ parte ( con la 'piramide' di Bomarzo)
I misteri dei sacri boschi III parte (sulle tracce di Pasolini, il Fosso castello e la torre di Chia) gennaio 2011
I misteri dei sacri boschi IV parte: il bosco del Serraglio gennaio 2011
Intervista a Salvatore Fosci, l'uomo dei boschi di Bomarzo
Il Parco dei Mostri di Bomarzo
Il Moai di Vitorchiano (VT) gennaio 2011
Italia da conoscere (misteri italiani)
Antiche civiltà

 

 

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                                                                                  Settembre 2010