Eccomi pronta per una nuova 
    avventura nei boschi circostanti Bomarzo, con la mia infaticabile guida 
    Salvatore Fosci, l'Homus selvaticus, cone l' ho simpaticamente 
    rinominato l'anno scorso, facendogli
    l'intervista. 
    Il suo amore e dedizione per i monumenti che si celano nell'intrico di 
    queste selve, abitate anticamente dagli Etruschi, cui ritiene di discendere, 
    è nel suo codice genetico. Si muove nei sentieri e sulle alture boschive con 
    l'agilità di un animale nativo. Se andrete insieme a lui per sentieri ed 
    itinerari come quelli illustrati da me in questo sito, vi sentirete ben 
    presto contagiati dal fascino del mistero che da ogni masso e ad ogni passo 
    vengono emanati. Salvatore, come abbiamo già avuto modo di dire, nei mesi in 
    cui si trova a Bomarzo effettua un'operazione di ripulitura di sentieri e 
    boschi che conosce bene. Quello cui siamo diretti oggi non lo ha mai 
    ripulito, in quanto dista un po' dalle 'sue zone' praticate quotidianamente. 
    Ribadisco lo spirito con cui facciamo queste ricerche: non ci muove nè il 
    'curiosare' nè tanto meno la smania di sbandierare ciò che svolgiamo. Sono 
    due passi nella Memoria, di coloro che sono venuti prima di noi, e che 
    cerchiamo di capire attraverso ciò che ci hanno lasciato.  A nostra 
    volta, documentando il possibile, offriamo ad altri un motivo di confronto, 
    di stimolo, perchè fra un certo numero di anni, i contesti potrebbero non 
    essere più quelli di oggi.
    
    
     Ci troviamo ad occidente del 
    territorio di Bomarzo, in un ambiente boschivo particolare, denominato "Serraglio", 
    sulla cui etimologia non v'è molta chiarezza. Potrebbe indicare un luogo 
    difensivo, serrato o serrante qualcosa, un riparo per animali. E' un bosco 
    fitto di querce, che d'inverno assume colori bigi, paesaggisticamente 
    diversi da quelli incontrati ieri sulle 
    tracce di Pasolini. Ma anche qui la natura ha scavato un Fosso, 
    nella forra, tributario del torrente Vezza, e che chiaramente è denominato
    Fosso del Serraglio. Alla sua destra idrografica si trova appunto il 
    bosco omonimo, in cui sono disseminati gli ormai familiari massi erratici di 
    peperino, che furono modellati dagli antichi abitatori in base a precise 
    funzioni: sacre o quotidiane.
Ci troviamo ad occidente del 
    territorio di Bomarzo, in un ambiente boschivo particolare, denominato "Serraglio", 
    sulla cui etimologia non v'è molta chiarezza. Potrebbe indicare un luogo 
    difensivo, serrato o serrante qualcosa, un riparo per animali. E' un bosco 
    fitto di querce, che d'inverno assume colori bigi, paesaggisticamente 
    diversi da quelli incontrati ieri sulle 
    tracce di Pasolini. Ma anche qui la natura ha scavato un Fosso, 
    nella forra, tributario del torrente Vezza, e che chiaramente è denominato
    Fosso del Serraglio. Alla sua destra idrografica si trova appunto il 
    bosco omonimo, in cui sono disseminati gli ormai familiari massi erratici di 
    peperino, che furono modellati dagli antichi abitatori in base a precise 
    funzioni: sacre o quotidiane. 
    Per raggiungerlo si deve 
    costeggiare la muraglia del celebre 
    Parco dei Mostri (o Bosco Sacro) e prendere 
    una strada sterrata. L'avevamo già percorsa lo 
    scorso anno per dirigerci alla Riserva Naturale di Monte Casoli, 
    con le caratteristiche tombe rupestri (e abitazioni) che hanno perforato 
    una grande quantità di rocce laviche. Questa volta ci portiamo nella parte 
    più meridionale.  Il torrente Vezza divide tutto questo complesso 
    territorio da Malano, dove si trova la cosidetta "Selva", che 
    visiteremo in un successivo sopralluogo, magari con la stagione primaverile. 
    C'è da rilevare che alcuni manufatti presenti nel bosco del Serraglio sono 
    stati ritrovati anche nelle contigue zone sorianesi (Valle di San Nicolao
    e, appunto, nella Selva di Malano). Questo può indicarci come una 
    stessa cultura, che utilizzava le medesime tecniche 'costruttive', era 
    insediata in tutta l'area. Recenti scoperte ad opera del prof. Lidio 
    Gasperini ha messo in evidenza delle iscrizioni latine, su certi manufatti, 
    che nessuno aveva mai individuato nè studiato prima. E ancora c'è molto da 
    investigare. 
    
     Appena lasciata la macchina, 
    si prosegue a piedi. Alzando lo sguardo, sulla sinistra Salvatore indica una 
    struttura litica chiamata 'Castelluzza', mentre una straordinaria 
    abitazione rupestre fa bella mostra di sè, attaccata alla rupe. Si nota che 
    questo bosco non è stato pulito e liberato dalle sterpaglie: il percorso è 
    reso più difficile da un tronco caduto sul sentiero, dai rovi che si 
    attaccano addosso, ed è -per un certo tratto- obbligato su un viottolo 
    fiancheggiato a destra da un filo spinato e, a sinistra, da una 
    lunghissima muraglia, totalmente invasa dalla vegetazione. La sua 
    fattura potrebbe essere etrusca, ne avevamo viste già l'anno scorso, poco 
    dopo Via Cupa, ma questa è poco indagabile in quanto non se ne vedono che 
    minimi tratti (necessiterebbe di essere ripulita e rimessa in luce). Dopo 
    una buona ventina di minuti di cammino, ci immergiamo nel bosco del 
    Serraglio, in cui orientarsi - se non fosse che c'è la mia guida- sarebbe 
    arduo. Unica compagnia, oltre la vegetazione, i massi giacenti al suolo 
    (che non è male!). Ma ecco che essi cominciano a trasformarsi in qualcosa di 
    più che semplici macigni, a fornire degli indizi e a parlarci della vita che 
    vi ha dimorato. Sicuramente per sempre.
Appena lasciata la macchina, 
    si prosegue a piedi. Alzando lo sguardo, sulla sinistra Salvatore indica una 
    struttura litica chiamata 'Castelluzza', mentre una straordinaria 
    abitazione rupestre fa bella mostra di sè, attaccata alla rupe. Si nota che 
    questo bosco non è stato pulito e liberato dalle sterpaglie: il percorso è 
    reso più difficile da un tronco caduto sul sentiero, dai rovi che si 
    attaccano addosso, ed è -per un certo tratto- obbligato su un viottolo 
    fiancheggiato a destra da un filo spinato e, a sinistra, da una 
    lunghissima muraglia, totalmente invasa dalla vegetazione. La sua 
    fattura potrebbe essere etrusca, ne avevamo viste già l'anno scorso, poco 
    dopo Via Cupa, ma questa è poco indagabile in quanto non se ne vedono che 
    minimi tratti (necessiterebbe di essere ripulita e rimessa in luce). Dopo 
    una buona ventina di minuti di cammino, ci immergiamo nel bosco del 
    Serraglio, in cui orientarsi - se non fosse che c'è la mia guida- sarebbe 
    arduo. Unica compagnia, oltre la vegetazione, i massi giacenti al suolo 
    (che non è male!). Ma ecco che essi cominciano a trasformarsi in qualcosa di 
    più che semplici macigni, a fornire degli indizi e a parlarci della vita che 
    vi ha dimorato. Sicuramente per sempre.
      
    
     In 
    un' atmosfera assai suggestiva, come un'officina del fantastico (questo bosco è più 
    'severo' di quello del Fosso Castello, a parere di chi scrive), compare un 
    agglomerato di alti macigni, addossati l'un l'altro, che -avvicinandosi- 
    rivela una lavorazione accurata: due nicchie sono state ricavate nella 
    roccia, due tombe e, vista la loro dimensione, appartenevano a dei 
    bambini. A rinforzo di tale considerazione, nel masso limitrofo, sulla 
    destra, è incisa un'epigrafe latina che dice: PVUERI HIC CO/NDITI (Qui sono 
    sepolti dei bambini). La gente del posto ha sempre chiamato questo manufatto 
    il Sasso delle Madonnelle, ritenendole edicole di culto mariano. 
    Attualmente sono vuote, ma è possibile che in alcune epoche qualcuno vi 
    avesse collocato delle icone della Madonna? Risalgono comunque ad un tempo 
    remoto, forse etrusco- romano.  Chi scrisse l'epigrafe che è incisa sul masso accanto? Forse le 
    sepolture avevano qualche riferimento nella loro parte anteriore, che oggi 
    non esiste più (sembra strano fossero state lasciate completamente aperte).
In 
    un' atmosfera assai suggestiva, come un'officina del fantastico (questo bosco è più 
    'severo' di quello del Fosso Castello, a parere di chi scrive), compare un 
    agglomerato di alti macigni, addossati l'un l'altro, che -avvicinandosi- 
    rivela una lavorazione accurata: due nicchie sono state ricavate nella 
    roccia, due tombe e, vista la loro dimensione, appartenevano a dei 
    bambini. A rinforzo di tale considerazione, nel masso limitrofo, sulla 
    destra, è incisa un'epigrafe latina che dice: PVUERI HIC CO/NDITI (Qui sono 
    sepolti dei bambini). La gente del posto ha sempre chiamato questo manufatto 
    il Sasso delle Madonnelle, ritenendole edicole di culto mariano. 
    Attualmente sono vuote, ma è possibile che in alcune epoche qualcuno vi 
    avesse collocato delle icone della Madonna? Risalgono comunque ad un tempo 
    remoto, forse etrusco- romano.  Chi scrisse l'epigrafe che è incisa sul masso accanto? Forse le 
    sepolture avevano qualche riferimento nella loro parte anteriore, che oggi 
    non esiste più (sembra strano fossero state lasciate completamente aperte).
    
    
     Infatti, 
    la tomba di sinistra, presenta un riquadro dove doveva trovarsi un cartiglio 
    con una probabile epigrafe, a ricordo del defunto.
Infatti, 
    la tomba di sinistra, presenta un riquadro dove doveva trovarsi un cartiglio 
    con una probabile epigrafe, a ricordo del defunto.
    
     
          
    
    
     La 
    prima nicchietta è conformata ad arco a tutto sesto e si trova ad un'altezza 
    leggermente inferiore dell'altra; grazie ad un provvideziale masso situato 
    per terra, è possibile avvicinarsi un po' e vedere la conca in cui, 
    probabilmente, era statao adagiato un corpicino (molto piccolo, doveva 
    essere).
La 
    prima nicchietta è conformata ad arco a tutto sesto e si trova ad un'altezza 
    leggermente inferiore dell'altra; grazie ad un provvideziale masso situato 
    per terra, è possibile avvicinarsi un po' e vedere la conca in cui, 
    probabilmente, era statao adagiato un corpicino (molto piccolo, doveva 
    essere). 
    
     La 
    tomba vicina, che presenta una lavorazione più elaborata esternamente, è più 
    difficile da vedere: solo allontanandosi ad una certa distanza e con 
    l'ausilio dello 'zoom' della fotocamera, è stato possibile intravedere la 
    base interna, che pare conformata a quadrati concentrici, come vi fosse 
    stata deposta un'urna e non un corpo, per quanto piccolo. Forse le due tombe 
    non appartengono allo stesso periodo? Certo è che chi affidò questi defunti 
    alla madre-roccia, idealmente riteneva di renderne immortale l'Anima, perchè 
    nella concezione dell'umanità, la pietra è sempre stata equiparata 
    all'eternità, a qualcosa che sopravvive quando tutto intorno decade e muore. 
    Inserita in una selva come questa, nell'assoluto silenzio, si donava la cosa 
    più preziosa, la pace.
La 
    tomba vicina, che presenta una lavorazione più elaborata esternamente, è più 
    difficile da vedere: solo allontanandosi ad una certa distanza e con 
    l'ausilio dello 'zoom' della fotocamera, è stato possibile intravedere la 
    base interna, che pare conformata a quadrati concentrici, come vi fosse 
    stata deposta un'urna e non un corpo, per quanto piccolo. Forse le due tombe 
    non appartengono allo stesso periodo? Certo è che chi affidò questi defunti 
    alla madre-roccia, idealmente riteneva di renderne immortale l'Anima, perchè 
    nella concezione dell'umanità, la pietra è sempre stata equiparata 
    all'eternità, a qualcosa che sopravvive quando tutto intorno decade e muore. 
    Inserita in una selva come questa, nell'assoluto silenzio, si donava la cosa 
    più preziosa, la pace. 
                                                                                    
    
     
    
     
 
    
     Che si tratti di un bosco 
    sacro, il Serraglio, comincio effettivamente a capirlo bene. E quando, una 
    cinquantina di metri più in basso, individuiamo la sagoma di un "Sasso 
    Quadro', ne ho la conferma. Con questo nome lo appellano i bomarzesi, 
    definendolo anche Altarone. Si tratta di un'ara pagana conformata 
    a dado, perfettamente squadrata, che si erge su una piccola altura e ha 
    un basamento lavorato finemente. L'altezza e la lunghezza superano il metro 
    e mezzo (dal piano di calpestio si elevano per oltre due metri). 
    L'entusiasmo è tanto, ne avevo sentito parlare ma non ne avevo mai visto una 
    così bella e interessante! Tanto interessante che, aiutata da una sorta di 
    pedana di pietra situata nella parte 'posteriore' (secondo me), sono salita 
    sopra. Sulla faccia superiore, l'ara presenta dei rilievi e delle concavità, 
    in parte naturali ma in parte forse artificialmente create. Come delle 
    coppelle, di varia dimensione. C'è anche una sorta di 'scolo'.
Che si tratti di un bosco 
    sacro, il Serraglio, comincio effettivamente a capirlo bene. E quando, una 
    cinquantina di metri più in basso, individuiamo la sagoma di un "Sasso 
    Quadro', ne ho la conferma. Con questo nome lo appellano i bomarzesi, 
    definendolo anche Altarone. Si tratta di un'ara pagana conformata 
    a dado, perfettamente squadrata, che si erge su una piccola altura e ha 
    un basamento lavorato finemente. L'altezza e la lunghezza superano il metro 
    e mezzo (dal piano di calpestio si elevano per oltre due metri). 
    L'entusiasmo è tanto, ne avevo sentito parlare ma non ne avevo mai visto una 
    così bella e interessante! Tanto interessante che, aiutata da una sorta di 
    pedana di pietra situata nella parte 'posteriore' (secondo me), sono salita 
    sopra. Sulla faccia superiore, l'ara presenta dei rilievi e delle concavità, 
    in parte naturali ma in parte forse artificialmente create. Come delle 
    coppelle, di varia dimensione. C'è anche una sorta di 'scolo'.
                         
    
     
      
    
     
    
     
    
     
    
     
    
     
    
     
    Sulla sua faccia 
    'anteriore', che dovrebbe corrispondere al Nord, abbiamo notato alcune 
    lettere, purtroppo ricoperte in gran parte dal muschio. Effettivamente 
    questa epigrafe, verosimilmente redatta su due righe, è stata anche decifrata e recita: L.ARN.S.STRAB.L Poi 
    mancano delle lettere e termina con V S (1). 
    
    Potrebbe riferirsi al nome 
    Lucius, della tribù Arnense, forse un Liberto (L finale); il Liberto era, 
    nell'antica Roma, uno schiavo liberato, riscattato, che poteva anche 
    arricchirsi;  la S starebbe per Servius, altro nome, e 'STRAB' per 
    Strabone, tipico cognomen (forse il liberto apparteneva a questo 
    proprietario, prima di divenire libero). Il liberto, da schiavo, si chiamava 
    normalmente Faustus, ma una volta riscattato aveva diritto a 
    chiamarsi con il prenome del vecchio padrone. La V S finale potrebbe essere 
    il termine di una parola, come Tribvnus o Magistratvs, o altro titolo, ma 
    non è possibile dirlo con certezza. 
                                                                        
    
     
    
     
 
    A questo punto, ci si chiede 
    come mai quest'ara rechi detta epigrafe. Forse quel Lvcivs l'aveva eretta 
    per commemorare qualcosa? A cosa serviva in questo punto un altare del 
    genere? Sacrifcale? E se scavando scavando, saltasse fuori che è una tomba? 
    Riutilizzata in un secondo momento come ara commemorativa o altare 
    sacrificale?
    Come Masso del 
    Predicatore sarebbe alquanto stato scomodo, sebbene vi siano labili tracce di 
    'pedarole' per salire, nella parte che io ho considerato 'posteriore'. L'ara 
    e la sepoltura dei due ipotetici bambini, erano in qualche modo collegate 
    simbolicamente? Salvatore dice che quest'ara si troverebbe in corrispondenza 
    di un'altra ara, assai simile, posta sull'opposto versante, che sta di fronte a 
    noi, nella Selva di Malano. Un caso?
    Poco più avanti, troviamo il 
    cosiddetto 'Sasso Cavo ' o Sasso Bucato', per via di un grosso 
    foro di origine naturale che lo contraddistingue. Forse fu un riparo per 
    asceti o comunque considerato un dono della natura.  
    
     
                                 
    
     
    
     
    
     
    
     
    
     
 
     
     
    Un'altra cavità, più 
    spaziosa e rialzata, me la indica Salvatore, a diversi metri di distanza. 
    Per raggiungere l' ingresso della 'grotta', ci sono delle scalette 
    intagliate nella roccia, volutamente. Era dunque un luogo abitato, sfruttato 
    abitualmente, forse -anche in questo caso- da asceti o sciamani. Qui si era 
    completamente al sicuro: davanti vi è un enorme macigno di peperino che la 
    oscura alla vista dal basso e dietro c'è la collina. Non si sa se fosse 
    chiusa da qualcosa ma la presenza di alcune buche di palo lo farebbero 
    ritenere quanto meno ipotizzabile. La sua conformazione naturale è 
    straordinaria.
                                                           
    
     
    
     
    
     
 
    Proseguendo 30 metri oltre 
    il 'Sasso Bucato', si incontra quella che è stata classificata come 'tomba 
    a vasca' in quanto è stata riscontrata un'incisione, sul lato 
    est, che recita (in latino): L.ROSCIVS.M.F.ARN. (Lucio Roscio, figlio di 
    Marco, della Tribù Arnense). Tale iscrizione fu notata per la prima volta 
    dal re di Svezia, Gustavo, in occasione di uno dei suoi viaggi di studio 
    (era un intenditore!). Si ritiene dunque che qui vi fosse sepolto questo 
    personaggio, romano probabilmente, appartenente alla Tribù Arnense, che era 
    effettivamente del luogo (ne sono state trovate altre con lo stesso 
    riferimento). La tomba - piena d'acqua piovana, di foglie e ricoperta sui 
    lati da muschio- affiora appena dal terreno, delimitando un grande 
    rettangolo. Scoperchiata, appare a mio avviso eccessivamente grande come 
    tomba di una sola persona. Nell'angolo nord-ovest mi sembra pure che vi sia 
    uno 'scolo', e questo mi fa ripensare a quando visitammo le tombe nella 
    necropoli di S. Cecilia, in cui alcuni sostengono che i liquami 
    dei defunti venissero lasciati 'scolare' per entrare nel Grande Ciclo 
    Naturale. Penso anche che generalmente i romani mettevano D.M. nei contesti 
    funerari (Agli Dei Mani), mentre qui manca qualsiasi riferimento religioso. 
    Non è strano? Forse, ripulendo bene il contesto, emergerebbero degli 
    elementi che potrebbero fornire maggiori informazioni. 
    
     
                                                                        
    
     
    
    
    Infatti, il problema qui è 
    ripulire i massi! Ne abbiamo trovato uno che, apparentemente, non mostrava 
    niente di particolare ma quando abbiamo iniziato a togliere un po' di 
    sterpaglie, siamo rimasti increduli perchè abbiamo messo 
    in luce delle nicchiette lavorate dall'uomo, cavità e forse anche delle 
    scalette, come se quello possa essere un ennesimo altare (o tomba?). 
    Bisognerebbe approfondire con gli strumenti idonei e da persone competenti. 
    Nelle foto seguenti, si noti come il masso, apparentemente informe, ad una 
    prima e sommaria ripulitura, abbia rivelato nicchie scolpite, incavi e 
    sedili:
                                                         
    
     
    
     
    
    
    Non c'è comunque da 
    meravigliarsi in quanto l'area pullula di macigni con piccoli gradini, 
    spianate manufatte, solchi di scolo per acque piovane ed altre tracce di 
    lavorazione (2). Ritornando sui nostri passi, ne incontriamo diversi.
                                                         
    
     
    
     
    
     
 
     
      Ripresa l'automobile, ci portiamo nel centro abitato ma da un lato che non 
    avevo mai visto prima, località "Madonna della Valle", detta anche Porto 
    Rio. Quando la strada asfaltata si interrompe, si è 
    obbligati a fermarsi perchè inizia la campagna e si delinea un elegante 
    edificio, parzialmente invaso dalla vegetazione. E' una chiesa 
    cinquecentesca, dall'aspetto, ed è appartenuta agli Orsini; oggi è di 
    proprietà della famiglia Bettini, che sono anche i possessori del 
    Parco dei Mostri. L'edificio si presenta con la facciata modellata 
    sull'esempio di un tempio greco-romano ed aggirandolo, ci si accorge che 
    sorge sulla viva roccia. Grazie al prolifico studioso di storia locale, 
    Giovanni Lamoratta (che cogliamo occasione di ringraziare) veniamo a 
    sapere che venne infatti edificata su una presistente sepoltura 
    antropomorfa, quindi il masso su cui insiste probabilmente aveva anche 
    funzioni di  altare funerario. E' asimmetrica, in quanto ricalca la 
    forma del masso sottostante. Attualmente è ancora consacrata.
 
    Ripresa l'automobile, ci portiamo nel centro abitato ma da un lato che non 
    avevo mai visto prima, località "Madonna della Valle", detta anche Porto 
    Rio. Quando la strada asfaltata si interrompe, si è 
    obbligati a fermarsi perchè inizia la campagna e si delinea un elegante 
    edificio, parzialmente invaso dalla vegetazione. E' una chiesa 
    cinquecentesca, dall'aspetto, ed è appartenuta agli Orsini; oggi è di 
    proprietà della famiglia Bettini, che sono anche i possessori del 
    Parco dei Mostri. L'edificio si presenta con la facciata modellata 
    sull'esempio di un tempio greco-romano ed aggirandolo, ci si accorge che 
    sorge sulla viva roccia. Grazie al prolifico studioso di storia locale, 
    Giovanni Lamoratta (che cogliamo occasione di ringraziare) veniamo a 
    sapere che venne infatti edificata su una presistente sepoltura 
    antropomorfa, quindi il masso su cui insiste probabilmente aveva anche 
    funzioni di  altare funerario. E' asimmetrica, in quanto ricalca la 
    forma del masso sottostante. Attualmente è ancora consacrata. 
                                              
    
    
     Imboccando 
    il sentiero a sinistra del monumento, sfociamo in una piccola radura, 
    protetta dalla rupe, nella quale si vedono 'finestre' 
    (possibili utilizzi arcaici come abitazioni o tombe sospese). Per la gente 
    del posto tutto questo è normale. Il paesaggio è questo, il passato è lì che 
    occhieggia da ogni angolo, e se qualcuno lo ha dimenticato, esso si insinua 
    nel tessuto urbano, accontentandosi di rimanere muto testimone del tempo, ma 
    quel silenzio di pietra ha la forza di attirare l'attenzione su di sè come 
    una calamita. In quest'area sono presenti importanti vestigia del passato, 
    tra cui un acquedotto ad archi di stile romano;  numerosi 
    altari votivi di epoca antecedente al periodo etrusco, tra cui  
    l'altare del sole raggiato; mura ciclopiche...Noi continuiamo a 
    guardare stupefatti la rupe, che qualcuno un giorno ha scolpito e mentre 
    camminiamo verso la spianata, dove si trova un curioso forno costituito da 
    blocchi di tufo, la cui volta è stata accuratamente eseguita, meditiamo su 
    quanti misteri devono ancora essere approfonditi e svelati.
Imboccando 
    il sentiero a sinistra del monumento, sfociamo in una piccola radura, 
    protetta dalla rupe, nella quale si vedono 'finestre' 
    (possibili utilizzi arcaici come abitazioni o tombe sospese). Per la gente 
    del posto tutto questo è normale. Il paesaggio è questo, il passato è lì che 
    occhieggia da ogni angolo, e se qualcuno lo ha dimenticato, esso si insinua 
    nel tessuto urbano, accontentandosi di rimanere muto testimone del tempo, ma 
    quel silenzio di pietra ha la forza di attirare l'attenzione su di sè come 
    una calamita. In quest'area sono presenti importanti vestigia del passato, 
    tra cui un acquedotto ad archi di stile romano;  numerosi 
    altari votivi di epoca antecedente al periodo etrusco, tra cui  
    l'altare del sole raggiato; mura ciclopiche...Noi continuiamo a 
    guardare stupefatti la rupe, che qualcuno un giorno ha scolpito e mentre 
    camminiamo verso la spianata, dove si trova un curioso forno costituito da 
    blocchi di tufo, la cui volta è stata accuratamente eseguita, meditiamo su 
    quanti misteri devono ancora essere approfonditi e svelati.
                                                                                       
    
     
    
    
            
    