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I misteri dei sacri boschi di Bomarzo (VT) -IV parte -

                                                              Il bosco del 'Serraglio'

                                                                                 (di Marisa Uberti)

 

Eccomi pronta per una nuova avventura nei boschi circostanti Bomarzo, con la mia infaticabile guida Salvatore Fosci, l'Homus selvaticus, cone l' ho simpaticamente rinominato l'anno scorso, facendogli l'intervista. Il suo amore e dedizione per i monumenti che si celano nell'intrico di queste selve, abitate anticamente dagli Etruschi, cui ritiene di discendere, è nel suo codice genetico. Si muove nei sentieri e sulle alture boschive con l'agilità di un animale nativo. Se andrete insieme a lui per sentieri ed itinerari come quelli illustrati da me in questo sito, vi sentirete ben presto contagiati dal fascino del mistero che da ogni masso e ad ogni passo vengono emanati. Salvatore, come abbiamo già avuto modo di dire, nei mesi in cui si trova a Bomarzo effettua un'operazione di ripulitura di sentieri e boschi che conosce bene. Quello cui siamo diretti oggi non lo ha mai ripulito, in quanto dista un po' dalle 'sue zone' praticate quotidianamente. Ribadisco lo spirito con cui facciamo queste ricerche: non ci muove nè il 'curiosare' nè tanto meno la smania di sbandierare ciò che svolgiamo. Sono due passi nella Memoria, di coloro che sono venuti prima di noi, e che cerchiamo di capire attraverso ciò che ci hanno lasciato.  A nostra volta, documentando il possibile, offriamo ad altri un motivo di confronto, di stimolo, perchè fra un certo numero di anni, i contesti potrebbero non essere più quelli di oggi.

Ci troviamo ad occidente del territorio di Bomarzo, in un ambiente boschivo particolare, denominato "Serraglio", sulla cui etimologia non v'è molta chiarezza. Potrebbe indicare un luogo difensivo, serrato o serrante qualcosa, un riparo per animali. E' un bosco fitto di querce, che d'inverno assume colori bigi, paesaggisticamente diversi da quelli incontrati ieri sulle tracce di Pasolini. Ma anche qui la natura ha scavato un Fosso, nella forra, tributario del torrente Vezza, e che chiaramente è denominato Fosso del Serraglio. Alla sua destra idrografica si trova appunto il bosco omonimo, in cui sono disseminati gli ormai familiari massi erratici di peperino, che furono modellati dagli antichi abitatori in base a precise funzioni: sacre o quotidiane.

Per raggiungerlo si deve costeggiare la muraglia del celebre Parco dei Mostri (o Bosco Sacro) e prendere una strada sterrata. L'avevamo già percorsa lo scorso anno per dirigerci alla Riserva Naturale di Monte Casoli, con le caratteristiche tombe rupestri (e abitazioni) che hanno perforato una grande quantità di rocce laviche. Questa volta ci portiamo nella parte più meridionale.  Il torrente Vezza divide tutto questo complesso territorio da Malano, dove si trova la cosidetta "Selva", che visiteremo in un successivo sopralluogo, magari con la stagione primaverile. C'è da rilevare che alcuni manufatti presenti nel bosco del Serraglio sono stati ritrovati anche nelle contigue zone sorianesi (Valle di San Nicolao e, appunto, nella Selva di Malano). Questo può indicarci come una stessa cultura, che utilizzava le medesime tecniche 'costruttive', era insediata in tutta l'area. Recenti scoperte ad opera del prof. Lidio Gasperini ha messo in evidenza delle iscrizioni latine, su certi manufatti, che nessuno aveva mai individuato nè studiato prima. E ancora c'è molto da investigare.

Appena lasciata la macchina, si prosegue a piedi. Alzando lo sguardo, sulla sinistra Salvatore indica una struttura litica chiamata 'Castelluzza', mentre una straordinaria abitazione rupestre fa bella mostra di sè, attaccata alla rupe. Si nota che questo bosco non è stato pulito e liberato dalle sterpaglie: il percorso è reso più difficile da un tronco caduto sul sentiero, dai rovi che si attaccano addosso, ed è -per un certo tratto- obbligato su un viottolo fiancheggiato a destra da un filo spinato e, a sinistra, da una lunghissima muraglia, totalmente invasa dalla vegetazione. La sua fattura potrebbe essere etrusca, ne avevamo viste già l'anno scorso, poco dopo Via Cupa, ma questa è poco indagabile in quanto non se ne vedono che minimi tratti (necessiterebbe di essere ripulita e rimessa in luce). Dopo una buona ventina di minuti di cammino, ci immergiamo nel bosco del Serraglio, in cui orientarsi - se non fosse che c'è la mia guida- sarebbe arduo. Unica compagnia, oltre la vegetazione, i massi giacenti al suolo (che non è male!). Ma ecco che essi cominciano a trasformarsi in qualcosa di più che semplici macigni, a fornire degli indizi e a parlarci della vita che vi ha dimorato. Sicuramente per sempre.

 

In un' atmosfera assai suggestiva, come un'officina del fantastico (questo bosco è più 'severo' di quello del Fosso Castello, a parere di chi scrive), compare un agglomerato di alti macigni, addossati l'un l'altro, che -avvicinandosi- rivela una lavorazione accurata: due nicchie sono state ricavate nella roccia, due tombe e, vista la loro dimensione, appartenevano a dei bambini. A rinforzo di tale considerazione, nel masso limitrofo, sulla destra, è incisa un'epigrafe latina che dice: PVUERI HIC CO/NDITI (Qui sono sepolti dei bambini). La gente del posto ha sempre chiamato questo manufatto il Sasso delle Madonnelle, ritenendole edicole di culto mariano. Attualmente sono vuote, ma è possibile che in alcune epoche qualcuno vi avesse collocato delle icone della Madonna? Risalgono comunque ad un tempo remoto, forse etrusco- romano. Chi scrisse l'epigrafe che è incisa sul masso accanto? Forse le sepolture avevano qualche riferimento nella loro parte anteriore, che oggi non esiste più (sembra strano fossero state lasciate completamente aperte).

Infatti, la tomba di sinistra, presenta un riquadro dove doveva trovarsi un cartiglio con una probabile epigrafe, a ricordo del defunto.

 

      

La prima nicchietta è conformata ad arco a tutto sesto e si trova ad un'altezza leggermente inferiore dell'altra; grazie ad un provvideziale masso situato per terra, è possibile avvicinarsi un po' e vedere la conca in cui, probabilmente, era statao adagiato un corpicino (molto piccolo, doveva essere).

La tomba vicina, che presenta una lavorazione più elaborata esternamente, è più difficile da vedere: solo allontanandosi ad una certa distanza e con l'ausilio dello 'zoom' della fotocamera, è stato possibile intravedere la base interna, che pare conformata a quadrati concentrici, come vi fosse stata deposta un'urna e non un corpo, per quanto piccolo. Forse le due tombe non appartengono allo stesso periodo? Certo è che chi affidò questi defunti alla madre-roccia, idealmente riteneva di renderne immortale l'Anima, perchè nella concezione dell'umanità, la pietra è sempre stata equiparata all'eternità, a qualcosa che sopravvive quando tutto intorno decade e muore. Inserita in una selva come questa, nell'assoluto silenzio, si donava la cosa più preziosa, la pace.

                                                                                

Che si tratti di un bosco sacro, il Serraglio, comincio effettivamente a capirlo bene. E quando, una cinquantina di metri più in basso, individuiamo la sagoma di un "Sasso Quadro', ne ho la conferma. Con questo nome lo appellano i bomarzesi, definendolo anche Altarone. Si tratta di un'ara pagana conformata a dado, perfettamente squadrata, che si erge su una piccola altura e ha un basamento lavorato finemente. L'altezza e la lunghezza superano il metro e mezzo (dal piano di calpestio si elevano per oltre due metri). L'entusiasmo è tanto, ne avevo sentito parlare ma non ne avevo mai visto una così bella e interessante! Tanto interessante che, aiutata da una sorta di pedana di pietra situata nella parte 'posteriore' (secondo me), sono salita sopra. Sulla faccia superiore, l'ara presenta dei rilievi e delle concavità, in parte naturali ma in parte forse artificialmente create. Come delle coppelle, di varia dimensione. C'è anche una sorta di 'scolo'.

                     

 

 

 

Sulla sua faccia 'anteriore', che dovrebbe corrispondere al Nord, abbiamo notato alcune lettere, purtroppo ricoperte in gran parte dal muschio. Effettivamente questa epigrafe, verosimilmente redatta su due righe, è stata anche decifrata e recita: L.ARN.S.STRAB.L Poi mancano delle lettere e termina con V S (1).

Potrebbe riferirsi al nome Lucius, della tribù Arnense, forse un Liberto (L finale); il Liberto era, nell'antica Roma, uno schiavo liberato, riscattato, che poteva anche arricchirsi;  la S starebbe per Servius, altro nome, e 'STRAB' per Strabone, tipico cognomen (forse il liberto apparteneva a questo proprietario, prima di divenire libero). Il liberto, da schiavo, si chiamava normalmente Faustus, ma una volta riscattato aveva diritto a chiamarsi con il prenome del vecchio padrone. La V S finale potrebbe essere il termine di una parola, come Tribvnus o Magistratvs, o altro titolo, ma non è possibile dirlo con certezza.

                                                                    

A questo punto, ci si chiede come mai quest'ara rechi detta epigrafe. Forse quel Lvcivs l'aveva eretta per commemorare qualcosa? A cosa serviva in questo punto un altare del genere? Sacrifcale? E se scavando scavando, saltasse fuori che è una tomba? Riutilizzata in un secondo momento come ara commemorativa o altare sacrificale?

Come Masso del Predicatore sarebbe alquanto stato scomodo, sebbene vi siano labili tracce di 'pedarole' per salire, nella parte che io ho considerato 'posteriore'. L'ara e la sepoltura dei due ipotetici bambini, erano in qualche modo collegate simbolicamente? Salvatore dice che quest'ara si troverebbe in corrispondenza di un'altra ara, assai simile, posta sull'opposto versante, che sta di fronte a noi, nella Selva di Malano. Un caso?

Poco più avanti, troviamo il cosiddetto 'Sasso Cavo ' o Sasso Bucato', per via di un grosso foro di origine naturale che lo contraddistingue. Forse fu un riparo per asceti o comunque considerato un dono della natura.

 

                             

 

 

Un'altra cavità, più spaziosa e rialzata, me la indica Salvatore, a diversi metri di distanza. Per raggiungere l' ingresso della 'grotta', ci sono delle scalette intagliate nella roccia, volutamente. Era dunque un luogo abitato, sfruttato abitualmente, forse -anche in questo caso- da asceti o sciamani. Qui si era completamente al sicuro: davanti vi è un enorme macigno di peperino che la oscura alla vista dal basso e dietro c'è la collina. Non si sa se fosse chiusa da qualcosa ma la presenza di alcune buche di palo lo farebbero ritenere quanto meno ipotizzabile. La sua conformazione naturale è straordinaria.

                                                       

Proseguendo 30 metri oltre il 'Sasso Bucato', si incontra quella che è stata classificata come 'tomba a vasca' in quanto è stata riscontrata un'incisione, sul lato est, che recita (in latino): L.ROSCIVS.M.F.ARN. (Lucio Roscio, figlio di Marco, della Tribù Arnense). Tale iscrizione fu notata per la prima volta dal re di Svezia, Gustavo, in occasione di uno dei suoi viaggi di studio (era un intenditore!). Si ritiene dunque che qui vi fosse sepolto questo personaggio, romano probabilmente, appartenente alla Tribù Arnense, che era effettivamente del luogo (ne sono state trovate altre con lo stesso riferimento). La tomba - piena d'acqua piovana, di foglie e ricoperta sui lati da muschio- affiora appena dal terreno, delimitando un grande rettangolo. Scoperchiata, appare a mio avviso eccessivamente grande come tomba di una sola persona. Nell'angolo nord-ovest mi sembra pure che vi sia uno 'scolo', e questo mi fa ripensare a quando visitammo le tombe nella necropoli di S. Cecilia, in cui alcuni sostengono che i liquami dei defunti venissero lasciati 'scolare' per entrare nel Grande Ciclo Naturale. Penso anche che generalmente i romani mettevano D.M. nei contesti funerari (Agli Dei Mani), mentre qui manca qualsiasi riferimento religioso. Non è strano? Forse, ripulendo bene il contesto, emergerebbero degli elementi che potrebbero fornire maggiori informazioni.

 

                                                                    

Infatti, il problema qui è ripulire i massi! Ne abbiamo trovato uno che, apparentemente, non mostrava niente di particolare ma quando abbiamo iniziato a togliere un po' di sterpaglie, siamo rimasti increduli perchè abbiamo messo in luce delle nicchiette lavorate dall'uomo, cavità e forse anche delle scalette, come se quello possa essere un ennesimo altare (o tomba?). Bisognerebbe approfondire con gli strumenti idonei e da persone competenti. Nelle foto seguenti, si noti come il masso, apparentemente informe, ad una prima e sommaria ripulitura, abbia rivelato nicchie scolpite, incavi e sedili:

                                                     

Non c'è comunque da meravigliarsi in quanto l'area pullula di macigni con piccoli gradini, spianate manufatte, solchi di scolo per acque piovane ed altre tracce di lavorazione (2). Ritornando sui nostri passi, ne incontriamo diversi.

                                                     

 

  Ripresa l'automobile, ci portiamo nel centro abitato ma da un lato che non avevo mai visto prima, località "Madonna della Valle", detta anche Porto Rio. Quando la strada asfaltata si interrompe, si è obbligati a fermarsi perchè inizia la campagna e si delinea un elegante edificio, parzialmente invaso dalla vegetazione. E' una chiesa cinquecentesca, dall'aspetto, ed è appartenuta agli Orsini; oggi è di proprietà della famiglia Bettini, che sono anche i possessori del Parco dei Mostri. L'edificio si presenta con la facciata modellata sull'esempio di un tempio greco-romano ed aggirandolo, ci si accorge che sorge sulla viva roccia. Grazie al prolifico studioso di storia locale, Giovanni Lamoratta (che cogliamo occasione di ringraziare) veniamo a sapere che venne infatti edificata su una presistente sepoltura antropomorfa, quindi il masso su cui insiste probabilmente aveva anche funzioni di  altare funerario. E' asimmetrica, in quanto ricalca la forma del masso sottostante. Attualmente è ancora consacrata.

                                          

Imboccando il sentiero a sinistra del monumento, sfociamo in una piccola radura, protetta dalla rupe, nella quale si vedono 'finestre' (possibili utilizzi arcaici come abitazioni o tombe sospese). Per la gente del posto tutto questo è normale. Il paesaggio è questo, il passato è lì che occhieggia da ogni angolo, e se qualcuno lo ha dimenticato, esso si insinua nel tessuto urbano, accontentandosi di rimanere muto testimone del tempo, ma quel silenzio di pietra ha la forza di attirare l'attenzione su di sè come una calamita. In quest'area sono presenti importanti vestigia del passato, tra cui un acquedotto ad archi di stile romano;  numerosi altari votivi di epoca antecedente al periodo etrusco, tra cui  l'altare del sole raggiato; mura ciclopiche...Noi continuiamo a guardare stupefatti la rupe, che qualcuno un giorno ha scolpito e mentre camminiamo verso la spianata, dove si trova un curioso forno costituito da blocchi di tufo, la cui volta è stata accuratamente eseguita, meditiamo su quanti misteri devono ancora essere approfonditi e svelati.

                                                                                   

        

Note:

1)- G. Menichino "Escursionismo d'Autore nella terra degli Etruschi", Laurum Editrice, 2008, pp.154

2)- Ibid, p.153

Si ringrazia vivamente Salvatore Fosci (per contatti telefonici: 3400556480) e l'intera famiglia Fosci per l'accoglienza e la disponibilità d'altri tempi...!

 

Sezioni correlate in questo sito:

I misteri dei sacri boschi di Bomarzo I parte (le 'tagliate', le iscrizioni, la Necropoli di S.Cecilia...)ago '10
I misteri dei sacri boschi 2^ parte ( con la 'piramide' di Bomarzo) ago'10
I misteri dei sacri boschi III parte (sulle tracce di Pasolini, il Fosso castello e la torre di Chia) gennaio 2011
Intervista a Salvatore Fosci, l'uomo dei boschi di Bomarzo ago'10
Il Parco dei Mostri di Bomarzo ago'10
Il Moai di Vitorchiano (VT) gennaio 2011
Il mistero della tomba violata genn.2011
Italia da conoscere (misteri italiani)
Antiche civiltà

 

 

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