Occuparsi in un articolo di 
    una città famosa in tutto il mondo come questa, ricca di tesori artistici, 
    architettonici e di storia, è pressochè impossibile. Ma secondo i nostri 
    proverbiali 'due passi' ne percorriamo gli aspetti meno noti e insoliti, che 
    pure non sono pochi. Nelle nostre brevi  visite, che si sono 
    diversificate nel corso del tempo, abbiamo potuto conoscere alcuni dei 
    luoghi più splendidi, eleganti e forse ineguagliabili del capoluogo di 
    regione toscano. Ma sempre con quell' occhio di riguardo ai particolari che 
    le guide classiche non menzionano quasi mai e che passano inosservati o 
    classificati superficialmente. Per tutto il resto esiste appunto una 
    bibliografia sconfinata che ciascun turista può facilmente reperire.
    
      
                                                                                
    
     
                 
    
    Firenze sorge sulle 
    rive del fiume Arno (che nel 1966 causò con la disastrosa alluvione 
    gravissimi danni) ed è circondata da verdi colline; era abitata già nel I 
    millennio a.C. e, sotto i Romani, prese il nome di Florentia. Conobbe 
    la dominazione bizantina e longobarda e, nel 1125, divenne libero Comune. 
    Qui inizia una storia che non può disgiungersi dai monumenti e dai quartieri 
    in gran parte visibili ancora oggi. Come non ricordare i Guelfi(filo-papali) 
    e i Ghibellini(filo-imperiali)  tanto studiati sui libri scolastici? 
    Sul finire del XII secolo il governo della città venne formato da 
    rappresentanti delle sette arti maggiori, di cui si possono scorgere gli 
    stemmi su qualche edificio cittadino tutt'oggi: medici, mercanti, banchieri, 
    lanaioli, setaioli, industriali e commercianti (il 'popolo grasso') che per 
    un secolo resse la Repubblica fiorentina. Ma questo stato di florido 
    equilibrio venne messo a dura prova da successive suddivisioni che portarono 
    a scontri faziosi finchè all'orizzonte comparve una famiglia destinata a 
    lasciare indelebilmente il segno:i 
    Medici. 
    
    
     Il mistero delle palle
 Il mistero delle palle
    A proposito, c'è un 
    piccolo mistero sull'origine dello stemma Mediceo e, ancor più, sul suo 
    variare negli anni; all'inizio i Medici hanno undici palle rosse in campo 
    d'oro (la storia 
    malignamente dice che fossero pillole medicinali ma tale versione pare 
    un'invenzione della corte francese del XVI sec. per dileggiare la regina 
    Caterina dè Medici); in seguito, sotto Cosimo il Vecchio (1384-1464), 
    le palle diventano otto e scendono a sette sotto il governo di suo figlio 
    Piero il Gottoso, che ne volle sei disposte a triangolo ed una azzurra 
    al centro, dipinta con i gigli di Francia, privilegio accordatogli dal re 
    Luigi XI per la sua opera diplomatica). Sotto Lorenzo il Magnifico 
    
    (1449-1492) 
    le 
    palle sono sei, di cui quella azzurra trasportata superiormente; 
    
    Cosimo I 
    (1519-1574), fondatore della dinastia di Granduchi, le 
    dispone a ovale e tali rimarranno. 
    Dallo stemma che abbiamo fotografato sul retro della Basilica di S. Croce, 
    che reca otto palle (ormai i colori sono scomparsi), possiamo dedurre che 
    risalga al tempo di Cosimo il Vecchio. L'altro, affisso su un edificio poco 
    distante, è più elaborato e sormontato dalla corona regale (un granduca era 
    paragonato a un re)e ne reca sei, disposte a ovale:dovrebbe essere il 
    periodo di Cosimo I. Facile!  
    
                                              
     
 
    
    Ma, 
    passatemi il termine, perchè questo 'giramento 
    di palle'?
    
     Il 
    mistero del 4 luglio 1442
Il 
    mistero del 4 luglio 1442
    Sempre 
    sotto Cosimo il Vecchio venne realizzato un misterioso affresco a 
    tema astronomico sulla volta della cupola emisferica della Sacrestia 
    Vecchia nella chiesa di San Lorenzo, alle quali lavorarono anche 
    i celeberrimi Michelangelo e Brunelleschi. Abbiamo potuto vederne una 
    riproduzione nell'allestimento della mostra 
    
    Galileo:dall'antichità al telescopio e 
    si può notare come siano dipinti con sorprendente esattezza la sfera 
    celeste, le sue costellazioni, le linee astronomiche di riferimento, Sole, 
    Luna e anche i pianeti. L'opera fu realizzata da 
    Giuliano d’Arrigo, detto 
    il Pesello, su indicazioni forse di Paolo dal Pozzo Toscanelli.
    E' 
    chiaro che si volesse immortalare un preciso evento accaduto a Firenze alla 
    corte del duca, ma quale? E quando? Studi condotti dall'equipe 
    dell'astronomo G. Forti (Oss. Astr.di Arcetri) nel 1986 hanno portato a 
    capire che il 'cielo' raffigurato è quello del 4 o 5 luglio 1442 ma non il 
    motivo che spinse ad un'esecuzione tanto accurata e costosa in questo luogo 
    specifico. Si ritiene che esso si leghi alla città e non tanto all'edificio 
    in se stesso, anche perchè sulla coeva cupola della cappella Pazzi nel 
    chiostro della basilica di S. Croce, è dipinta la stessa porzione di cielo. 
    Come mai?                                                    
                                  
    
    
     Sepolcri alchemici
 
    Sepolcri alchemici
    Sempre nella chiesa di San Lorenzo ma nella Sacrestia Nuova c'è 
    dell'altro. E' risaputo che la corte medicea di Firenze si circondò di 
    umanisti e artisti di eccellente preparazione e sovvenzionò le loro opere, 
    favorendo inoltre il progredire di molte scienze. Alla corte di Lorenzo 
    dè Medici, detto il Magnifico, ci fu tra gli altri 
    Michelangelo Buonarroti (sepolto nella navata destra della già citata 
    basilica di S. Croce, legata a quanto pare a doppio filo con tutta la vita 
    passata e presente della città). In un ambiente intriso di concetti 
    filosofici dell'antichità classica e ai suoi rimandi alla mitologia 
    ermetica, non è improbabile che egli abbia li interiorizzati perchè in 
    alcune sue opere è possibile ravvisarli. Per la cupola della Sacrestia 
    Nuova della Chiesa di San Lorenzo, dove trovano posto i sepolcri 
    di Giuliano e Lorenzo dè Medici, notiamo come l'artista si sia ispirato 
    ai temi cabalistici e alchemici che rappresentavano in questo modo 
    l'universo e i 4 elementi attorno alla fascia zodiacale. Nell'opera 
    michelangiolesca le sette fasi dell'opus alchemico (calcinazione, 
    sublimazione, soluzione, putrefazione, distillazione, coagulazione, 
    tintura)sembrano sintetizzarsi nei percorsi concentrici che confluiscono al 
    centro del cerchio, essi sono infatti sette. Secondo gli studi di Maurizio 
    Calvesi, nella stessa Sagrestia Nuova possiamo ancora scoprire un 
    accostamento tra l'alchimia e l'opera di Michelangelo. I sepolcri di 
    Giuliano e Lorenzo dè Medici si trovano uno di fronte all'altro e ciascuno 
    reca due coppie di sculture. Quelle del Giorno e della Notte sono sul 
    sepolcro di Giuliano, duca di Nemours, quelle dell'Aurora e del 
    Crepuscolo su quello di Lorenzo, duca di Urbino. Anzitutto, sembra che 
    la figura di ogni duca sia legata virtualmente da un simbolico triangolo 
    con le statue soggiacenti al di sotto. La Notte e il Giorno si 
    voltano le spalle, alludendo alla condizione di separazione e di opposizione 
    di due diverse nature; tra l'altro la Notte appoggia il capo nella 
    mano proprio come la celebre  Melancolia di Dürer, ad indicare che i due 
    atteggiamenti sono sinonimi (Notte=malinconia, nerezza, buio mentale e 
    materia primitiva). Sotto la scultura, schiacciato ma non domo, sembra 
    affacciarsi lo stesso volto del Giorno e alcuni volatili. Il 
    'Giorno' ha qualcosa di 'non finito' dal quale prorompe una luce 
    diffusa. Sul lato opposto, abbiamo l'altro gruppo marmoreo, che sembra più 
    aperto e consecutivo. Le statue appaiono in 'movimento' e 'allungate'  
    tese ad una unione:Crepuscolo e Aurora si 'aprono', per rinnovare il 
    miracolo della Creazione, ovvero garanzia di rinnovamento e resurrezione, 
    tema sottinteso trattandosi di due monumenti funebri. In quel periodo la 
    concezione dell'uomo in quanto capace di 'creare' al pari di un dio, era 
    sicuramente un motivo dominante tra gli artisti. L'arte era vissuta come 
    mezzo geniale per emulare la Creazione.
                                                                                    
    
     
 
    
     I Templari e i Giovanniti a Firenze
 I Templari e i Giovanniti a Firenze
    Abbiamo trovato diverse 
    testimonianze della presenza dell'Ordine del Tempio, in città. Una attigua 
    alla splendida chiesa di Santa Croce, dove la targa murata al muro 
    dice "Già Via del Tempio", significando- a meno di grossolani 
    abbagli- che lì si trovava il quartiere Templare. Ma le nostre ricerche 
    sulle tracce di questo mistero ci hanno portato a scoprire che dopo la loro 
    soppressione, venne fondata una Compagnia nel 1343, chiamata Compagnia di 
    Santa Maria Vergine della Croce al Tempio. Aveva questo nome perchè era 
    collocata vicino ai patiboli e assisteva i condannati, ma non in questa zona 
    bensì presso il Prato della Giustizia (in corrispondenza dell'odierna 
    piazza Piave), dove i Templari avevano gestito un hospitale. Ecco 
    perchè la compagnia aveva mantenuto l'aggettivo. Quando poi la compagnia si 
    spostò nella sede di via San Giuseppe, appunto nei pressi di S. 
    Croce, portò con sè il suffisso del Tempio, generando probabilmente 
    un 'qui-pro-quo'. 
                     
     
 
     
    
    
    A meno di nuove notizie, questo è quanto sappiamo. Nella 
    zona comunque non abbiamo trovato nemmeno quello che oggi dovrebbe essere 
    rimasto, un oratorio sconsacrato che si dice conservi ancora degli 
    affreschi. Dietro la chiesa di S. Croce si possono vedere comunque le sue 
    meravigliose absidi, un cortile con alcuni pezzi litici messi qui e là, e un 
    paio di lapidi iscritte, di difficile interpretazione. Un altro quartiere in 
    cui, invece, pare certa la presenza dei Templari nel medioevo, è quello 
    nell'attuale centro storico di Firenze, non lontano da Ponte Vecchio. Si 
    tratta della chiesa di San
     Jacopo in Campo Corbolini  (nome 
    derivante da una famiglia, i Corbolini, che aveva case nella piazzetta, o 
    campo, oggi chiamata Madonna degli Aldobrandini). Della chiesa si sa che fu 
    fondata il 3 maggio 1206 e appartenne all'Ordine Templare dal 1256; 
    alla loro soppressione passò ai Cavalieri di San Giovanni dei quali resta 
    una croce nei capitelli del piccolo portico. Per via di una cancellata che chiude 'da sempre' il 
    portichetto, la chiesa è nota ai fiorentini anche come San Jacopo dei 
    Cancelli. Nel 1311 venne annesso un piccolo ospedale militare. Nel 
    1808 venne soppressa dai francesi di Napoleone e venne acquistato dai de 
    Piro, di Malta, i quali non la curarono e finì per cadere in disuso. La 
    "scuola Lorenzo dè Medici" ha recentemente provveduto al suo recupero 
    dopo 40 anni di chiusura. L'Ordine dei Gerosolimitani, invece, gestivano 
    anche altre chiese in Firenze:quella dei Santi Simone e Giuda e 
    quella di San Giovannino dei Cavalieri. E' quest'ultima degna di 
    interesse perchè connessa con l'enigmatica vita di papa Celestino V, 
    al secolo Pietro da Morrone che, nel 1274 (non ancora papa) fece 
    tappa a Firenze mentre si recava al Concilio di Lione, non sappiamo se per 
    incontrare i Templari locali ma sicuramente le cronache affermano che 
    suscitò molto entusiasmo tra la popolazione. L'Ordine di monaci che fondò, i
    Celestini, pose piede a Firenze verso il 1326-'27 stanziandosi 
    inizialmente nell'oratorio di S. Maria Maddalena in via S. Gallo. I 
    monaci da lui fondati, i Celestini, arrivarono a Firenze verso il 1326-27. 
    Dato che il fondatore dell'Ordine si chiamava Morrone, i suoi frati erano 
    noti anche come del Murrone, denominazione che si estese anche al 
    convento e alla chiesa. Molto benvoluti, furono oggetto di elargizioni che 
    consentirono di arricchire la chiesa di opere d'arte; restarono qui fino al 
    1552, quando vennero spostati nella Chiesa di San Michele Visdomini perchè 
    Cosimo I concesse alle monache dell'Ordine di Malta il convento per le loro 
    opere di beneficenza e assistenza. Soppresso nel 1882, venne accorpato alla 
    chiesa di San Lorenzo e dal 1939 è divenuto parrocchia autonoma. Sulla 
    facciata fu posta, nel XVI secolo  dalle cavalieresse, lo stemma dei 
    Cavalieri di Malta, una croce bianca in campo rosso, sostenuto da due angeli 
    in marmo.
                              
    
     
    
     La chiesa di Dante
 La chiesa di Dante
    
     (statua di Dante sul sagrato di S. Croce)
 
    (statua di Dante sul sagrato di S. Croce)
    Poco distante da quella che 
    viene chiamata 'Casa-Museo di Dante' (in realtà una ricostruzione del Comune 
    di Firenze per omaggiare il 'sommo poeta'), c'è una piccola chiesetta 
    medievale che pochi conoscono. E' intitolata a Santa Margherita d'Antiochia
    ma familiarmente chiamata dai fiorentini Chiesa di Dante, le cui 
    origini sono oscure. Se ne hanno notizie da un atto notarile dell' 11 maggio 
    1032. La sua particolarità è legata al fatto che secondo una tradizione 
    Dante avrebbe visto proprio qui, per la prima volta, Beatrice nel 
    1274 (quando avevano soltanto nove anni). Qui si sarebbe sposato con Gemma 
    Donati e qui giacerebbero le spoglie mortali della sua musa ispiratrice, 
    appunto Beatrice Portinari. Esiste infatti una lapide seplocrale 
    all'interno, entrando a sinistra, ma è del tutto 
    falsa, perchè non vi è prova che la donna sia stata qui sepolta. Anzi, 
    essendosi maritata con un Donati, il cui sepolcro è nella chiesa di Santa 
    Croce, è verosimile che anch'ella riposi là. La chiesa presenta all'esterno 
    una facciata a capanna, con due oculi bicromi bianchi e verdi come usa a 
    Firenze; sull'architrave del portale d'ingresso tre stemmi corrispondono 
    alle famiglie che ne ebbero il patrocinio: i Donati, gli Adimari e i 
    Cerchi. Dal 1280 divenne parrocchia e doveva essere una chiesa 
    importante, una delle 36 priorie della 'cerchia antica'. All'interno, 
    alquanto disordinato, oltre alla falsa lapide tombale di Beatrice (a 
    dispetto dell'iscrizione che la indica come vera), c'è -a destra- quella della 
    sua nutrice, Monna Tessa (forse una copia dell'originale, che 
    dovrebbe trovarsi nel chiostro delle Ossa dell'Arcispedale di S. Maria 
    Nuova). Pare che qui i Portinari avessero effettivamente i loro sepolcri, 
    come vi furono anche quelli della Venerabile Compagnia dei Quochi (con la 
    Q!) 
    dedicata a san Pasquale Baylon, patrono universale dei cuochi (davanti 
    all'altare maggiore è tuttora visibile lo storico sepolcro). Appena entrati, 
    a sinistra c'è un quadro di una pittrice inglese ottocentesca che ha 
    immaginato il primo incontro tra Dante e Beatrice, che qui sarebbe avvenuto. 
    Un vero mistero è la "grande pietra" (ma è piccolina) che sta 
    sull'altare, sostitutiva del trafugato tabernacolo, dice un pannello 
    informativo. La chiesa è ad aula unica, piuttosto esigua e pertanto è un 
    elemento che non sfugge all'attenzione di chi entra, men che mai a noi. Su 
    di essa qualcuno vi vede da lontano un ostensorio con l'eucaristia, 
    mentre da vicino i profili di Gesù e san Giovanni. Non abbiamo visto nè 
    l'uno nè gli altri. Ma non basta, perchè un altro pannello posto sopra i 
    gradini del presbiterio rievoca un episodio di violenza nei confronti di un 
    crocefisso che si doveva trovare nei locali annessi alla chiesa stessa. Le 
    braccia e le gambe di quel Cristo vennero disgraziatamente spezzate. Il 
    volto dell'Uomo allora, stando alle immagini e alle parole scritte sul 
    pannello, cambiò espressione, diventando mostruoso. Ne prendiamo atto, 
    credere che sia vero è un'altra cosa. Se vi capitasse di andarvi, dunque, 
    non mancate di farci caso.
    
     
    
     
    
     
    
     
    
     
 
    
     
    
     
    
     
    
     
    
     
  
     
    
     Il biancone
 Il biancone
    Nella centralissima 
    Piazza della Signoria si trova, a nostro giudizio, la bellissima 
    fontana del Nettuno, detta dai fiorentini 'biancone', perchè 
    Michelangelo quando si apprestò a vedere l'opera realizzata dall'Ammannati 
    ebbe ad esclamare, secondo una tradizione, "O' Ammannato, Ammannato, 
    quanto marmo  hai sprecato!", poichè la scultura non gli piaceva. 
    Dato che era tutta bianca, venne chiamata 'biancone'.In realtà è una 
    scultura densa di simboli allegorici cui andrebbe dedicata un' ampia 
    analisi.
                                     
    
     
    
     
    
     
 
    
     Ciò che resta di 
    Savonarola
Ciò che resta di 
    Savonarola
    Di fronte alla fontana del 
    Nettuno c'è un tondo con un'iscrizione che ricorda come il  23 maggio 
    1498  il frate domenicano Girolamo Savonarola ' per iniqua 
    sentenza' fu impiccato e poi arso per eresia. Un punto un po' macabro ma già 
    che si è in zona, giusto notarlo.
                                                               
    
    
    
     Lo 
    Studiolo alchemico di Francesco I (1541-1587)
Lo 
    Studiolo alchemico di Francesco I (1541-1587) 
    E' 
    situato sul lato sud al primo piano del Palazzo Vecchio o Palazzo 
    della Signoria, nella piazza omonima. Questo palazzo ha origini 
    medievali, architettato da Arnolfo di Cambio e in seguito ampliato. Vi ha 
    prestato la propria opera tutta la 'creme' di artisti rinascimentali della 
    corte medicea. Da una porticina del Salone del Cinquecento si accede 
    al misterioso e segreto studiolo del duca Francesco I che era 
    adiacente dalla sua stanza da letto e comunicante con lo studiolo del padre,
    Cosimo I, che è pure un piccolo ambiente segreto. Ufficialmente lo
    studiolo di 
    Francesco I, che non possedeva aperture, serviva per raccogliere il 
    materiale di studio e da collezione ma è oggi comunemente riconosciuto che 
    qui il duca conducesse ricerche magico -alchemiche, probabilmente soltanto 
    teoriche, in quanto la 'pratica'sperimentale doveva svolgersi presso il 
    Casino di San Marco. Commissionato nel 1570 all'intellettuale di corte
    Vincenzo Borghini, ne fu affidata l'esecuzione pittorica al Vasari 
    che, aiutato dai suoi discepoli tra i quali Giovanni Battista Adriani, 
    lo completò nel 1572.  Sulla volta campeggiano i quattro Elementi, che 
    sono le uniche pitture originali rimaste perchè dopo la morte del duca, il 
    suo studiolo venne prontamente smantellato e i pannelli alchemici che 
    ricoprivano armadi o porte finirono dispersi in altri palazzi di Firenze; 
    solo nel 1920 si decise di ricostruirlo fedelmente. Presso il museo di 
    Storia della Scienza, a Firenze, si può ammirare una interessante 
    ricostruzione del 'laboratorio alchemico', nei sotterranei. Pare che 
    Francesco I dè Medici avesse scoperto per primo il segreto per fondere il 
    cristallo di rocca facendone vasi; fondò una scuola per la lavorazione delle 
    pietre dure, che esiste tutt'oggi; fu tra i primi a produrre gemme 
    artificiali ed inaugurò proprio a Firenze la lavorazione della porcellana a 
    imitazione di quella cinese. Si narra che fosse riuscito a realizzare una 
    sorta di 'elixir vitae', un 'olio di vetriolo', potente afrodisiaco. 
    Che finisse per restare vittima dei suoi stessi preparati farmaceutici, che 
    esigeva di 'testare'in prima persona, non è certo ma probabile. All'interno 
    dello Studiolo, un 
    pannello intitolato Fucina o Laboratorio d'alchimia, dipinto 
    da 
    
    Giovanni Stradano, 
    ritrae il duca Francesco I, a sinistra, nelle vesti di un artigiano, 
    impegnato nel lavoro della fonderia; si dice per le sue attività 
    scientifiche trascurasse i doveri politica e cerimoniali di corte (ora 
    capiamo la fretta di sbarazzarsi delle sue... memorie!).
                                                                                      
    
    
    
     C'è un Ufo a Palazzo?
C'è un Ufo a Palazzo?
    Rimaniamo all'interno di 
    Palazzo Vecchio e dirigiamoci nel Museo, al secondo piano, 
    ricchissimo di opere d'arte. Nella Camera di Ercole, presso il 
    Loggiato di Saturno, si trova un dipinto assai curioso, intitolato 
    Madonna Adorante il Bambino e San Giovannino, attribuito a 
    Filippo Lippi (XV secolo). Il dipinto ha fatto scrivere fiumi di 
    inchiostro per un particolare presente dietro le spalle della Vergine:un 
    oggetto non chiaramente riconducibile ad una nuvola o ad un uccello che 
    solca il cielo, mentre un uomo in piedi e il suo cane guardano in quella 
    precisa direzione. L'oggetto ha delle caratteristiche tali da ricordare 
    l'immagine 'classica' di un oggetto volante non identificato. L'uomo ha la 
    mano destra sugli occhi che indurrebbe a pensare fosse accecato da una fonte 
    luminosa mentre il cane sembra stia abbaiando all'oggetto. Tale 'stranezza' 
    venne notata casualmente dal prof. Daniele Bedini della cattedra di 
    architettura spaziale di Firenze (unica in Europa) che riconobbe che 
    l'oggetto non sembra avere una spiegazione in termini astronomici, 
    meteorologici, o di altro tipo conosciuto per l'epoca di realizzazione del 
    quadro. In seguito è stato analizzato con strumentazioni digitali da altri 
    studiosi che ne hanno permesso la migliore decodificazione dei contorni, la 
    quale contribuisce ad infittire il mistero. Gli scettici considerano 
    l'oggetto nell'ambito di una rappresentazione spiritual/celestiale 
    contestuale alla scena religiosa...Il dr. Roberto Volterri ha condotto altre 
    analisi sul dipinto scoprendo che c'è un altro personaggio, invisibile ad 
    occhio nudo, seduto (forse un pastore) sull'erba, sulla collinetta alle 
    spalle della Madonna (foto pubblicata nel libro "Narrano antiche 
    cronache..." (Hera Edizioni, 2002). Anch'egli sembrerebbe guardare in 
    direzione dello stesso oggetto in cielo.
     
     
    
    
     I segreti astronomici del 
    San Giovanni
I segreti astronomici del 
    San Giovanni     
    Meraviglioso edificio sito 
    nell'omonima piazza, il Battistero di San Giovanni risale nelle sue 
    origini ad un tempio romano dedicato al dio Marte. Le forme medievali 
    risalgono all' XI -XIII secolo ed è caratterizzato dalla forma ottagonale, 
    figura frequente per i battisteri cristiani primitivi, il cui rimando è al 
    simbolismo del numero otto, coincidente con il giorno della Resurrezione 
    (metaforicamente il battezzato rinasceva per mezzo dell'acqua sacra). E' 
    dotato di una copertura a piramide ed è scandito dal bicromismo di marmi 
    bianchi e verdi. La sua rinomanza nel mondo è data soprattutto dalla 
    presenza delle tre porte bronzee, in particolare quella del Paradiso 
    (appellativo datole da Michelangelo) ma all'interno vi è tutta una geometria 
    da osservare e innumerevoli simbolismi che non basterebbe una giornata 
    intera per decifrarli. I mosaici della cupola lasciano a bocca aperta e sono 
    articolati su sette livelli per circa due terzi mentre un terzo è occupato 
    da un Giudizio Universale in cui Gesù giganteggia al centro. In questo 
    edificio si trova la più antica testimonianza delle applicazioni 
    scientifiche fiorentine, risalente al Mille:un orologio solare che 
    restò in uso per tre secoli fin quando, nel corso del 1200, venne costruita 
    la lanterna che provocò l'oscuramento dell'ingresso del sole nell'edificio. 
    Un foro sulla cupola permetteva ai raggi solari di penetrare all'interno e 
    colpire i segni zodiacali presenti sul pavimento presso la Porta Nord, sulla 
    quale si trova ancor oggi un verso palindromo, meno noto del 
    
    Sator, ma 
    ugualmente intrigante:  EN GIRO TORTE SOL CICLOS ET ROTOR 
    IGNE, posto attorno ad un Sole fiammeggiante. La lastra  indicava 
    il luogo in cui il sole, entrando dalla sommità della cupola, sarebbe caduto 
    ogni anno a mezzogiorno del solstizio d’estate. In quella data, il 24 
    giugno, ricorreva (e ricorre) la festa di San Giovanni, che è patrono 
    di Firenze, con tutti i suoi attributi simbolici. Le lastre e il palindromo, 
    spostate in seguito al rifacimento del pavimento nel XIII secolo, sono tutt'oggi 
    visibili. I fonti battesimali furono distrutti nel 1576.
                   
                             
     
   
 
    
     Giovanni XXIII è 
    sepolto qui!
Giovanni XXIII è 
    sepolto qui!
    Ebbene si, un papa che si 
    chiamava Giovanni XXIII° come il Papa buono Roncalli, è esistito 
    molti secoli prima di lui. Per una damnatio memoriae, la Chiesa non 
    lo considera un papa ma un anti-papa e non è sepolto a Roma ma nel 
    battistero di San Giovanni a Firenze. Il suo sepolcro fu realizzato da 
    Donatello e Michelozzo ed è situato a destra dell'abside. Non si manchi di 
    osservarlo se si visita l'interno dell'edificio, unitamente ad un altro 
    bellissimo sarcofago in marmo scolpito, forse romano, collocato dalla parte 
    opposta.
                                                                                        
    
     
  
    
     Le due colonne e i 
    rettangoli
Le due colonne e i 
    rettangoli
    Due colonne in porfido, 
    spezzate, si trovano appena fuori dalla porta orientale o del Paradiso 
    (fatta da Lorenzo Ghiberti tra il 1425 e il 1452). Sono il dono che i Pisani 
    fecero alla città in seguito all'aiuto che essa aveva elargito nella guerra 
    contro i Lucchesi nel 1117. In quelle della porta meridionale (la più 
    antica, realizzata da Andrea Pisano) sono invece scolpiti due rettangoli ma 
    non hanno alcun mistero: sono le unità di misura in vigore nell'alto 
    medioevo, il il piede longobardo e quello fiorentino. Sul lato nord, poco 
    distante, si trova una colonna trecentesca sormontata da una croce fiorita, 
    è la colonna di San Zanobio. E a proposito di formelle della Porta 
    del Paradiso che tutti i turisti fotografano, si badi che non sono 
    quelle originali, invece conservate al Museo Diocesano, poco distante. Nella 
    foto: la Porta del Paradiso.
                                                                                        
    
    
    
     La colonna di San Zanobi
La colonna di San Zanobi
    Nell'area del battistero è 
    ben visibile una colonna solitaria sormontata da una croce; anche se non 
    sembra, è molto antica, del XIV secolo. Indica il luogo dove un albero 
    miracolosamente rinverdì in pieno inverno, al passaggio delle reliquie di 
    San Zanobio che dalla chiesa di san Lorenzo venivano traslate nella chiesa 
    di Santa Reparata (che adesso è sotto il duomo). Oggi quelle reliquie si 
    trovano nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, eretta sopra la 
    precedente.
    
    
     
    
     Gli strumenti astronomici 
    di S. Maria Novella
Gli strumenti astronomici 
    di S. Maria Novella
    Di fronte alla stazione 
    ferroviaria di Santa Maria Novella si trova la magnifica chiesa omonima. E' 
    un capolavoro del gotico italiano, sorta su un oratorio di epoca precedente. 
    La tradizione la attribuisce a due frati domenicani, fra Sisto e fra 
    Ristoro. Nella piazza antistante si stagliano due obelischi di moderna 
    fattura. Nel recinto dell'edificio si trovano le sepolture delle famiglie 
    nobili cittadine, con numerosi stemmi visibili anche dall'esterno. Il 
    portale centrale e la parte superiore furono progettati da Leon Battista 
    Alberti e all'interno esplode la ricchezza di opere d'arte famose, da 
    Cimabue a Giotto, da Masaccio al Ghiberti, da Baccio d'Agnolo al Giambologna, 
    da Giuliano da Sangallo al Ghirlandaio, dal Bronzino al Brunelleschi ed 
    altri importantissimi artisti. All'esterno citiamo per la loro singolarità e 
    utilità pubblica degli strumenti astronomici voluti da Cosimo I e 
    realizzati da Egnazio Danti tra il 1572 e il 1575. Si tratta di un 
    quadrante astronomico, un'armilla equinoziale e una meridiana a camera 
    oscura, che dovevano consentire nuove osservazioni per riformare il 
    calendario, che di lì a poco avrebbe compiuto il pontefice Gregorio XIII 
    (dando vita alla cosiddetta Riforma gregoriana del calendario, usato tutt'oggi). 
    Il Danti venne allontanato da Firenze e non potè portare a termine la 
    meridiana che avrebbe indicato il mezzogiorno vero in ogni momento dell'anno 
    e si trasferì a Bologna, dove invece potè mettere in atto il progetto, 
    ancora oggi visibile nella cattedrale di San Petronio. All'interno di 
    S. Maria Novella vi sono dei pannelli che illustrano il funzionamento di 
    questi strumenti astronomici; la guida ci ha informato che un piccolo foro 
    nel rosone in facciata (ben distinguibile) produce un raggio di sole che 
    scandisce le ore all'interno dell'edificio mentre una placca metallica 
    bronzea situata superiormente al rosone, quando viene colpita dal fascio di 
    luce, produce lungo la navata centrale un lungo tappeto dorato che si 
    conclude all'altare. Una meridiana è presente anche nel duomo di S. Maria 
    del Fiore, opera settecentesca di Leonardo Ximenes. Già nel 1475 
    l'astronomo Paolo dal Pozzo Toscanelli aveva installato una lastra 
    bronzea forata sulla cupola, ultimata nel 1461, che convogliava i raggi del 
    sole sul pavimento. Qui un disco marmoreo indicava il solstizio d'estate. 
    Nelle foto sotto:gli strumenti astronomici di S. M. Novella.
                                                      
    
     
    
     
    
    
    
     Una chiesa nascosta sotto 
    il duomo
Una chiesa nascosta sotto 
    il duomo
    Anzi, quattro chiese si 
    celano nel sottosuolo di Firenze, nell'area dove sorge il maestoso duomo di 
    S. Maria del Fiore! Una originale e tre di rifacimento, così dicono le 
    guide. Non escluso un ancor più antico tempio 'pagano'. La prima chiesa 
    cristiana che vi sorse risalirebbe al V secolo d.C., in seguito, in epoca 
    carolingia, venne ricostruita e ampliata (dotandola di una cripta e un nuovo 
    pavimento) per i danni riportati nella guerra gotico -bizantina. Tra il 
    1050-1106 venne edificato un coro e una nuova cripta per conservarvi le 
    reliquie di San Zanobio, che fino a quel momento erano 
    nell'antichissima chiesa di San Lorenzo (oggi si trovano in 
    cattedrale). Nel 1296 Arnolfo di Cambio venne incaricato del progetto 
    di una nuova cattedrale, più grande e magnifica, i cui lavori si protrassero 
    per secoli e ad opera di importantissimi artisti. Oggi è la terza chiesa più 
    grande al mondo, dopo San Pietro in Vaticano e St. Paul a Londra; era la più 
    grande quando venne ultimata, nel 1412. Il suo nome, del Fiore, 
    allude al giglio, simbolo cittadino. Visitare gli scavi di Santa 
    Reparata, la chiesa che ha preceduto l'attuale cattedrale, è dunque un 
    penetrare nel grembo di questa chiesa madre. Oggi possiamo visitarli 
    accedendovi da una scala situata tra il primo e il secondo pilastro della 
    navata a destra. Gli scavi permettono di assaporare un'atmosfera 
    antichissima, in cui emergono avanzi di mura, pavimenti di case della 
    Florentia romana, mosaici (con splendidi colori e motivi, come molti 
    Nodi di Salomone), lastre tombali tra cui quella di Lando di Giano 
    (1353), e Filippo Brunelleschi. Rimangono dubbi sui sepolcri di due 
    papi, Stefano IX e Niccolò II (che fu anche vescovo di Firenze nel 1058) 
    mentre secondo la tradizione qui sarebbero stati sepolti Giotto, Arnolfo di 
    Cambio, Andrea Pisano, le cui tombe però non sono ancora state ritrovate. 
    Santa Reparata costituiva il più grande complesso paleocristiano della 
    Tuscia, a tre navate divise da eleganti colonnati marmorei, era arricchita 
    da un recinto con plutei mirabilmente scolpiti, in parte ancora visibili 
    anche se notevolmente deteriorati e frammentati.
                                         
     
 
     
    
    
     Questa è la casa di Dio e 
    la Porta del Cielo...
Questa è la casa di Dio e 
    la Porta del Cielo...
    Quante volte abbiamo 
    nominato la chiesa di S. Croce
    in questa carrellata, davvero tante! 
    Essa è veramente un edificio straordinariamente bello, importantissimo 
    perchè accoglie i sepolcri di diversi personaggi celebri del calibro di 
    Ugo Foscolo, Galileo Galilei, Michelangelo Buonarroti, e moltissimi 
    altri, sia all'interno che nel chiostro. Inoltre, vi è anche il cenotafio, 
    cioè la tomba vuota, del sommo poeta fiorentino Dante Alighieri, il quale 
    sarebbe sepolto a Ravenna, città che lo accolse, esule, e che non volle mai 
    cedere le spoglie a Firenze. Prima di ammirare tutta la magnificenza della 
    chiesa, sia esterna che interna, di accedere al museo e ai chiostri, si 
    faccia caso ad un piccolo particolare, una scritta in oro su fondo 
    rosso sopra il portale di sinistra. Essa è la seconda parte della biblica 
    frase "Terribilis est locus iste! HAEC EST DOMUS DEI ET PORTA COELI", che 
    significa "Questo è un luogo terribile!Questa è la casa di Dio e la Porta 
    dei Cieli".  La frase trae origine dal sogno di Giacobbe, figlio di 
    Isacco e padre dei 12 capostipiti delle tribù d'Israele, citata in Genesi, 
    28-17; ripresa in 31,13 e 35,14. Rimandiamo alla
    
    sezione apposita per il significato 
    simbolico. Qui ci limitiamo a farlo notare.
               
    
                                                                               
    
    
    
     La gemella fiorentina 
    della statua della Libertà
La gemella fiorentina 
    della statua della Libertà
    Appena entrati in S. Croce, 
    a sinistra, si vedrà subito un bel sepolcro sormontato da una celebre 
    statua, che tutti conosciamo perchè è simbolo della città di New York: la 
    statua della Libertà. Ma che ci fa qui sopra una tomba? Ebbene, questa è 
    precedente all'epoca di esecuzione della statua newyorchese e non si 
    esclude che chi realizzò quella, possa avere attinto ai disegni preparatori 
    proprio di questa. Lo scultore fu Pio Fedi ne realizzò il modello in 
    gesso già nel 1872 dopo che i disegni preparatori erano circolati 
    precedentemente negli ambienti artistici del tempo. Nulla vieta che dunque 
    il modello americano non sia stato affatto un'idea originale ma 'ispirato', 
    diciamo così, proprio all'opera di Fedi. La statua fu commissionata nel 
    decennale della morte del patriota risorgimentale Giovan Battista 
    Niccolini (1782-1861) per onorarne degnamente la memoria. Venne 
    completata nel 1877, collocata in basilica e inaugurato nel 1183. Appare più 
    aggraziata della 'gemella' americana e con maggiore dolcezza di posa.
                                                                                      
    
    
    
     I misteri di San Miniato 
    al Monte
I misteri di San Miniato 
    al Monte
    Appena fuori dal centro 
    cittadino, dal frastuono e dai colori urbani, salendo sul lieve declivio che 
    sta alle spalle della città, sopra Piazzale Michelangelo, si può vivere 
    un'esperienza indimenticabile, non solo per lo spettacolo di un panorama che 
    si offre in tutta la sua smagliante bellezza ma perchè c'è un posto magico 
    nel vero senso della parola, da visitare. E' San Miniato, iniziata 
    nell’anno 1013 sotto il vescovo Albrando, la chiesa dei misteri fiorentini, 
    secondo noi. Isolata, elevata, riservata, forse anche meno visitata dalla 
    massa, custodisce intatto un segreto o tanti segreti. Fatti di qualcosa o di 
    niente, non importa:per la sola colpa di esserci, così bella e 
    magica, san Miniato DEVE avere un segreto! E' troppo 'tutto': troppo 
    calcolata la sua posizione, al di sopra del mondo terreno e di ogni 
    sospetto, troppi i simboli di cui è cosparsa la mirabile facciata: croci, 
    pesci (oannes pagano?), centri sacri, fiori della Vita... E ancora il 
    contesto in se stesso, il monastero, il chiostro, l'interno oscuro e invaso 
    dalle tombe, con le loro croci (invariabilmente patenti e verdi su 
    fondo bianco) e dalle tarsie pavimentali simboliche. La cappella del 
    crocifisso con la volta arricchita dalle ceramica robbiana, il pulpito, il 
    presbiterio sopraelevato con quel silenzio, i mosaici, il colpo d'occhio 
    sulla platea: senso di onnipotenza. Bisogno di trovare risposte. La discesa 
    nella cripta, il reliquiario del santo. Miniato. Ha il nome di un codice. Ma 
    quale? A rendere le cose ancora più intriganti ci si mette una misteriosa 
    iscrizione, incisa sul pavimento, tra l’ingresso e la figura dello zodiaco. 
    Risale al 1207 e recita la seguente frase: HIC VALVIS ANTE / CELESTI NUMINE 
    DANTE / METRICUS ET IUDEX /HOC FECIT CONDERE IOSEPH / ERGO ROGO CRISTUM / 
    QUOD SEMPER VIVAT IN IPSUM variamente interpretata nel tempo. Ufficialmente 
    non avrebbe nulla di strano, si tratterebbe di un'epigrafe dedicatoria 
    recante il nome del committente. Vi si legge quello del giudice Sanzanome, 
    uomo politico e miles e quello di Giuseppe «iudex et metricus», 
    l'artefice delle tarsie, che si stendono sul pavimento, come una guida verso 
    la redenzione. Ma lo scrittore Renzo Manetti, nel suo libro "Il segreto 
    di San Miniato» per la collana «La storia raccontata» della casa 
    editrice Polistampa, inscena una trama avvincente che parte proprio da qui.  
    L’indizio del mistero inizia dal doppio significato di termini quali «valvis» 
    (che può significare sia «valve» che «battenti») e «ipsum», presente nella 
    riga finale e che può riferirsi sia a Cristo che al tempio stesso. "Ma 
    soprattutto"- leggiamo- "a incuriosire l’autore, è il riferimento oscuro ad 
    un segreto, che sembra in grado di fermare la morte e lo scorrere del tempo: 
    le ultime due parole poste alla destra di ogni frase, compongono un’altra 
    frase di senso compiuto, che significa «queste cose preservano dal tempo e 
    dalla morte». Non si tratta di un’aggiunta successiva, lo dimostra il fatto 
    che la lastra di marmo è unica. Ma cos’è che impedisce alla morte e al tempo 
    di seguire il loro corso?" . D'accordo, è un romanzo, una storia inventata 
    ma se andrete anche voi a San Miniato, o se vi siete già stati, ne resterete 
    ammaliati. Un amico ci ha detto che il padre della regia moderna Edward 
    Gordo Craig realizzò- agli inizi del Novecento quando abitava a Firenze - 
    un'importante scenografia per fare uno spettacolo sulla Passione secondo 
    San Matteo di J. S. Bach, prendendo ispirazione proprio dalla struttura 
    romanica dell'interno.
    
     
    
     
     
 
 
    
     Targhe famose o ...curiose
Targhe famose o ...curiose
    Perlustrando vicoli e 
    facciate di edifici frequentemente si incontrano curiose targhe, come 
    quelle qui riportate, che ci fanno tornare ad un tempo passato e diverso
    
                                 
    
     
    
     
    
     
    
    
    Ma vi sono anche moltissimi 
    ricordi epigrafici di personaggi famosi che in quel determinato edificio 
    sono nati, passati o morti. A proposito, c'è una lapide particolare in 
    Santa Croce:appartiene ad un uomo che in vita seppe creare cose 
    meravigliose e terribili come la pietrificazione dei cadaveri. Il suo nome 
    era Gerolamo Segato(1792-1836), cartografo, naturalista, viaggiatore 
    ma anche molto di più. Veneto di nascita, andò in Egitto nel 1818 per 
    restarvi diversi anni, venendo a contatto con diverse figure di spicco 
    dell'archeologia pionieristica come Giovan Battista Belzoni, Ermenegildo 
    Frediani, un naturalista, Enrico Minutoli, Bernardino Drovetti, archeologo e 
    diplomatico italiano, tramite cui potè seguire degli scavi archeologici. Il 
    Segato lavorò molto sulle composizioni dei papiri e sui colori, oltre che 
    sui monumenti egiziani e si applicò allo studio delle mummie, dei segreti 
    della loro conservazione. Rientrato in Italia per problemi di salute, si 
    stabilì a Firenze nel 1824 fino alla morte, ideando a sua volta un sistema 
    originale per 'pietrificare' i cadaveri, sistema che non condivise con 
    nessuno. Un'epigrafe sulla sua tomba ricorda che il 
    segreto è infatti sepolto con lui, che mai rivelò i segreti dell'arte che egli solo 
    aveva scoperto. Presso  
    il dipartimento di Anatomia, Istologia e 
    Medicina Legale dell’Università di Firenze è possibile vedere alcune 
    delle sue 'opere'. 
    
     La Biblioteca Nazionale Centrale:un 
    pozzo di cultura!
 La Biblioteca Nazionale Centrale:un 
    pozzo di cultura!
    Situata nel complesso 
    monumentale della basilica di S. Croce (ormai presenza fissa in 
    questa nostra relazione!), dalla parte rivolta al fiume Arno (che tanto 
    danno causò nell'alluvione del 1966), è un raro esempio di edilizia 
    bibliotecaria, realizzato nel 1911 su progetto di Cesare Bazzani, ed 
    ampliata da Vincenzo Mazzei. Dal piano superiore si accede (ma non il 
    pubblico) direttamente al secondo ordine del chiostro di S. Croce, del quale 
    si ha una splendida visuale. 
     Fino al 1935 la Biblioteca era ospitata nei locali del complesso degli 
    Uffizi. La sua storia è però ben più antica. Nel 1714 morì il 
    bibliotecario personale di Cosimo III dè Medici, Antonio Magliabechi. 
    A quel momento il numero di volumi da lui collezionati di aggirava sui 
    30.000, che volle donare a beneficio universale alla città di Firenze e 
    ancora oggi costituiscono uno dei più importanti pilastri della Biblioteca 
    Nazionale. In seguito venne ordinato che ogni opera stampata fosse 
    depositata qui, dapprima nella sola Firenze e poi in tutto il Granducato di 
    Toscana. L'apertura al pubblico avvenne nel 1747; il suo nome era allora 
    Biblioteca Magliabechiana. Il numero dei volumi aumentò nel 1771 quando 
    il granduca Pietro Leopoldo vi riunì  la biblioteca 
    Mediceo-palatino-lotaringia e fu un'operazione particolarmente 
    appetibile poichè il granduca aveva decretato la soppressione dei monasteri 
    con l'incameramento dei mirabili volumi in essi contenuti, che confluirono 
    nella costituita biblioteca. Nel 1861, sotto il neonato Regno d'Italia, 
    venne decretato che la grande Biblioteca Palatina -che era stata 
    fondata da Ferdinando III di Lorena e sviluppatasi sotto il suo successore 
    Leopoldo II- venisse annessa alla Magliabechiana. La riunificazione portò 
    alla coniazione di una nuova denominazione, rimasta immutata, di 
    Biblioteca Nazionale (cui si aggiungerà 'Centrale' nel 1885), il 
    cui diritto a ricevere una copia di ciascuna opera pubblicata in Italia 
    venne ribadito con un Regio Decreto del 25 novembre 1869. Abbiamo potuto 
    avere il privilegio di visitare lo splendido complesso bibliotecario, 
    immenso (sono previste visite guidate su richiesta e prenotazione) che 
    conserva 6.000.000 volumi a stampa; 120.000 testate di 
    periodici di cui 15.000 in corso; 4.000 incunaboli, 25.000 
    manoscritti, 29.000 edizioni del XVI secolo e oltre 1.000.000 
    di autografi. Una mole così sconfinata di cultura occupa attualmente 
    120 Km lineari, che ogni anno aumentano di 1800 metri! Visitare questo 
    scrigno di Sapere è come tuffarsi in una dimensione diafana, assolutamente 
    unica e nella quale letteralmente si respira l'odore dei libri, se ne sente 
    il profumo mentre si percorrono queii locali nei quali normalmente è vietato 
    accedere. Molto suggestivo il 'pozzo' che però si sviluppa 
    verso l'alto per cinque piani, strutturato in forma circolare. Si tratta di 
    un ambiente in cui si conservano un milione di volumi.
 
    Fino al 1935 la Biblioteca era ospitata nei locali del complesso degli 
    Uffizi. La sua storia è però ben più antica. Nel 1714 morì il 
    bibliotecario personale di Cosimo III dè Medici, Antonio Magliabechi. 
    A quel momento il numero di volumi da lui collezionati di aggirava sui 
    30.000, che volle donare a beneficio universale alla città di Firenze e 
    ancora oggi costituiscono uno dei più importanti pilastri della Biblioteca 
    Nazionale. In seguito venne ordinato che ogni opera stampata fosse 
    depositata qui, dapprima nella sola Firenze e poi in tutto il Granducato di 
    Toscana. L'apertura al pubblico avvenne nel 1747; il suo nome era allora 
    Biblioteca Magliabechiana. Il numero dei volumi aumentò nel 1771 quando 
    il granduca Pietro Leopoldo vi riunì  la biblioteca 
    Mediceo-palatino-lotaringia e fu un'operazione particolarmente 
    appetibile poichè il granduca aveva decretato la soppressione dei monasteri 
    con l'incameramento dei mirabili volumi in essi contenuti, che confluirono 
    nella costituita biblioteca. Nel 1861, sotto il neonato Regno d'Italia, 
    venne decretato che la grande Biblioteca Palatina -che era stata 
    fondata da Ferdinando III di Lorena e sviluppatasi sotto il suo successore 
    Leopoldo II- venisse annessa alla Magliabechiana. La riunificazione portò 
    alla coniazione di una nuova denominazione, rimasta immutata, di 
    Biblioteca Nazionale (cui si aggiungerà 'Centrale' nel 1885), il 
    cui diritto a ricevere una copia di ciascuna opera pubblicata in Italia 
    venne ribadito con un Regio Decreto del 25 novembre 1869. Abbiamo potuto 
    avere il privilegio di visitare lo splendido complesso bibliotecario, 
    immenso (sono previste visite guidate su richiesta e prenotazione) che 
    conserva 6.000.000 volumi a stampa; 120.000 testate di 
    periodici di cui 15.000 in corso; 4.000 incunaboli, 25.000 
    manoscritti, 29.000 edizioni del XVI secolo e oltre 1.000.000 
    di autografi. Una mole così sconfinata di cultura occupa attualmente 
    120 Km lineari, che ogni anno aumentano di 1800 metri! Visitare questo 
    scrigno di Sapere è come tuffarsi in una dimensione diafana, assolutamente 
    unica e nella quale letteralmente si respira l'odore dei libri, se ne sente 
    il profumo mentre si percorrono queii locali nei quali normalmente è vietato 
    accedere. Molto suggestivo il 'pozzo' che però si sviluppa 
    verso l'alto per cinque piani, strutturato in forma circolare. Si tratta di 
    un ambiente in cui si conservano un milione di volumi. 
     Chiaramente 
    il sistema bibliotecario prevede precisi regolamenti per ogni aspetto 
    relativo alla fruizione del servizio da parte del pubblico: l'uso dei 
    cataloghi, dei repertori bibliografici, del data-base informatico anzitutto. 
    Un 'filtro' iniziale esiste già all'ingresso, per scoraggiare i perditempo e 
    indirizzare invece l'utente interessato in un ambiente efficiente, dove le 
    attività si svolgono rigorosamente preordinate. Le sale di consultazione 
    sono diversificate a seconda del tipo di necessità di ciascuno; oltre alle 
    sale cataloghi, vi sono sala di lettura e  periodici, le sale di 
    consultazione, la sala manoscritti e la sala musica. Vi sono anche il 
    Gabinetto delle Stampe, e un Laboratorio di restauro (è possibile 
    consultare le opere alluvionate nell'inondazione del 4 novembre 1966). 
    Il Laboratorio è nato con il compito di porre rimedio ai gravissimi danni 
    provocati dall'Arno: furono quasi un milione le unità bibliografiche 
    coinvolte, che allora erano sistemate nel seminterrato, al piano terreno e 
    al piano rialzato dell'edificio e delle quali una parte consistente è andata 
    definitivamente perduta. Una targa sulla facciata esterna ricorda 
    dove arrivò il livello dell'acqua e un'altra ricorda gli aiuti dei 
    volenterosi (oggi noti come gli angeli del fango) che- istituendo una 
    vera e propria catena umana di solidarietà- lavorarono notte e giorno per 
    salvare il salvabile. Molti furono anche i tecnici e gli esperti che 
    arrivarono da molti paesi stranieri e fu subito chiaro che era 
    indispensabile la creazione di un Laboratorio per mettere a fuoco le reali 
    dimensioni della catastrofe. Vennero compromessi, tra gli altri, gli storici 
    volumi del fondo Magliabechiano e di quello Palatino, il prezioso fondo 
    delle Miscellanee. Ugualmente gravi furono i danni subiti da cataloghi e 
    inventari, strumenti indispensabili per la ricerca bibliografica, 
    calcolabili approssimativamente in sei milioni di schede alluvionate; 
    rovinati furono pure gli arredi. E' ormai abbastanza noto cosa successe in 
    seguito, perchè molti documentari hanno informato le generazioni successive 
    di ciò che avvenne: ci si rimboccò le maniche a più livelli per le 
    operazioni di recupero e restauro. Pochi però sanno che, a distanza di oltre 
    quarant'anni,  il restauro dei libri danneggiati è ancora in corso. Ad 
    esempio, dello storico Fondo Magliabechiano, che constava di 52.583 
    volumi, ne restano da restaurare 15.396 (mentre 4.172 mancano o non è stato 
    possibile identificarli). Alle difficoltà naturali, si aggiunga che, nel 
    tempo, si è ridotto il numero dei restauratori... Comunque per chi la 
    visita, questa grandiosa Biblioteca Nazionale Centrale appare un elegante e 
    solido 'cantiere' in cui la cultura è viva e vegeta, pronta ad offrirsi a 
    quanti ne abbiano bisogno. Prima di allontanarci definitivamente, non ci 
    sfugge una figura decorativa molto simile alla
    
    Triplice Cinta, inserita nella pavimentazione proprio davanti 
    all'ingresso principale. Ha tre quadrati, i segmenti perpendicolari e un 
    cerchio al centro. Un decoro alquanto simbolico. Per condire i nostri due 
    passi con un pizzico di mistero...
Chiaramente 
    il sistema bibliotecario prevede precisi regolamenti per ogni aspetto 
    relativo alla fruizione del servizio da parte del pubblico: l'uso dei 
    cataloghi, dei repertori bibliografici, del data-base informatico anzitutto. 
    Un 'filtro' iniziale esiste già all'ingresso, per scoraggiare i perditempo e 
    indirizzare invece l'utente interessato in un ambiente efficiente, dove le 
    attività si svolgono rigorosamente preordinate. Le sale di consultazione 
    sono diversificate a seconda del tipo di necessità di ciascuno; oltre alle 
    sale cataloghi, vi sono sala di lettura e  periodici, le sale di 
    consultazione, la sala manoscritti e la sala musica. Vi sono anche il 
    Gabinetto delle Stampe, e un Laboratorio di restauro (è possibile 
    consultare le opere alluvionate nell'inondazione del 4 novembre 1966). 
    Il Laboratorio è nato con il compito di porre rimedio ai gravissimi danni 
    provocati dall'Arno: furono quasi un milione le unità bibliografiche 
    coinvolte, che allora erano sistemate nel seminterrato, al piano terreno e 
    al piano rialzato dell'edificio e delle quali una parte consistente è andata 
    definitivamente perduta. Una targa sulla facciata esterna ricorda 
    dove arrivò il livello dell'acqua e un'altra ricorda gli aiuti dei 
    volenterosi (oggi noti come gli angeli del fango) che- istituendo una 
    vera e propria catena umana di solidarietà- lavorarono notte e giorno per 
    salvare il salvabile. Molti furono anche i tecnici e gli esperti che 
    arrivarono da molti paesi stranieri e fu subito chiaro che era 
    indispensabile la creazione di un Laboratorio per mettere a fuoco le reali 
    dimensioni della catastrofe. Vennero compromessi, tra gli altri, gli storici 
    volumi del fondo Magliabechiano e di quello Palatino, il prezioso fondo 
    delle Miscellanee. Ugualmente gravi furono i danni subiti da cataloghi e 
    inventari, strumenti indispensabili per la ricerca bibliografica, 
    calcolabili approssimativamente in sei milioni di schede alluvionate; 
    rovinati furono pure gli arredi. E' ormai abbastanza noto cosa successe in 
    seguito, perchè molti documentari hanno informato le generazioni successive 
    di ciò che avvenne: ci si rimboccò le maniche a più livelli per le 
    operazioni di recupero e restauro. Pochi però sanno che, a distanza di oltre 
    quarant'anni,  il restauro dei libri danneggiati è ancora in corso. Ad 
    esempio, dello storico Fondo Magliabechiano, che constava di 52.583 
    volumi, ne restano da restaurare 15.396 (mentre 4.172 mancano o non è stato 
    possibile identificarli). Alle difficoltà naturali, si aggiunga che, nel 
    tempo, si è ridotto il numero dei restauratori... Comunque per chi la 
    visita, questa grandiosa Biblioteca Nazionale Centrale appare un elegante e 
    solido 'cantiere' in cui la cultura è viva e vegeta, pronta ad offrirsi a 
    quanti ne abbiano bisogno. Prima di allontanarci definitivamente, non ci 
    sfugge una figura decorativa molto simile alla
    
    Triplice Cinta, inserita nella pavimentazione proprio davanti 
    all'ingresso principale. Ha tre quadrati, i segmenti perpendicolari e un 
    cerchio al centro. Un decoro alquanto simbolico. Per condire i nostri due 
    passi con un pizzico di mistero...
                                                                                
     
     
    Ringraziamo vivamente la 
    nostra 'guida d'eccezione', il dr. Alessandro Sardelli. Il sito della BNCF è
    http://www.bncf.firenze.sbn.it/
    
    
     Ultima cena a 
    Firenze
Ultima cena a 
    Firenze
    Cosa c'è di meglio che 
    lasciare Firenze (augurandosi di ritornarvi) con dei capolavori 
    conviviali? Molto numerosi sono 
     
    i vari 
    
    'Cenacoli' 
    ovvero dipinti raffiguranti un' Ultima Cena e spesso 
    segnalati anche sulle Guide classiche. Tra i più rinomati quello del Museo 
    dell'Opera di S. Croce, di Taddeo Gaddi (1340 circa, forse la più 
    antica del suo genere a Firenze); quello dell'ex refettorio di Santo Spirito 
    del pittore Andrea Orcagna  (1370 ca); quello conservato al Museo 
    del Cenacolo di Sant'Apollonia, di Andrea del Castagno (1450 ca); di
    Domenico Ghirlandaio vi sono due importanti 'Cenacoli (XVI sec.)':nel 
    Borgognissanti e nel Museo di San Marco (nella piazza omonima, al numero 1). 
    Il Perugino ha eseguito un bellissimo dipinto attorno al 1495, 
    conservato nel Conservatorio di Foligno di via Faenza, 42. 
    Mentre il Cenacolo della Calza, 
    nella omonima piazza, accoglie il dipinto del Franciabigio, del 1514. 
    Alla periferia di Firenze, nell'antico refettorio della abbazia 
    vallombrosana in via San Salvi, 16, è conservata l'opera più splendida del 
    pittore Andrea del Sarto, quella che il Vasari non trovò 
    nemmeno le parole per definire "[...] in tanto che io non so che mi dire di 
    questo Cenacolo, che non sia poco, essendo tale che chiunche lo vede resta 
    stupefatto". 
    Venne realizzata tra il 1519 e il 1527.
                                                                                     
    
    
    Non proseguiamo oltre, 
    lasciando il piacere di scoprire ulteriori 'chicche' a ciascun visitatore. 
    Non dimentichiamo che del mistero delle cupole della cattedrale, vero 
    miracolo ingegneristico di Brunelleschi, e di altre 'cose fiorentine' 
    avevamo già parlato in una -più breve-
    
    sezione. Concludiamo questi due passi in una Firenze insolita con
     una galleria 
    fotografica di alcuni angoli celebri della città. Naturalmente non vi 
    diciamo cosa sono e dove si trovano: a voi svelare il mistero. Per non 
    sentirne troppo la nostalgia.
    
     
    
     
 
    
     
    
     
    
    
    
     
 
    
     
    
     
    
     
    
    
    
     
    
     
    
     
    
     
    
    
    
     
    
     
    
     
    
     
    
    
      
    
     
    
     
    
     
    
    
      
    
     
    
     
    
     
 
    
    
      
    
     
    
     
 
    
     
    
    
      
    
     
    
     
    
     
 
    
    
      
    
     
 
    
     
    
     
    
    
      
    
     
 
    
     
    
     
    
    
    
    
      
    
     
    
     
    
     
    
    
     
 
    
     
    
     
    
    
      
    
     
 
    
     
    
     
 
    
    
      
    
     
    
     
    
     
 
    
    
      
    
     
    
     
    
     
                
     
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