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Un enigmatico dipinto nella chiesa di St. Maurice ad Annecy 

                                                              (di Marisa Uberti)
         

Il nostro tour nella regione Rhône-Alps, ci ha portato nell'Alta Savoia, nell'incantevole cittadina di Annecy, una piccola Venezia savoiarda, di cui non parleremo in questo articolo (abbiamo dedicato un video conoscitivo, per chi volesse), perchè intendiamo presentare l'analisi di un dipinto che abbiamo trovato nella chiesa di Saint Maurice (san Maurizio), situata nei pressi del famoso Palace de l'Ile (palazzo dell'Isola), monumento del XII secolo simbolo della città (fu infatti sede dei conti di Ginevra, poi trasformato in zecca, prigione e, oggi, ospita un interessante museo). Oltrepassato il ponte sul fiume Thiou, ecco stagliarsi la caratteristica geometria dell'ex chiesa dei domenicani, con un grande tetto spiovente. 

          

Il dipinto in questione si trova nell'area presbiteriale; per vederlo bene bisogna salire i gradini che conducono all'altare e dirigersi alla parete sinistra (per chi guarda), ma è sulla destra dell'altare.

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Una scena di morte è ritratta: un corpo scheletrico giace su un sarcofago di colore bianco, che presenta due anelli nella parte frontale. Dieci monaci  sono dipinti attorno ad esso, collocati in dieci nicchie di stile gotico e ciascuno assume un'importanza specifica nella scena, a nostro avviso. 

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L'affresco è opera di Jean Bapteur (1458), realizzato secondo la tecnica pittorica della grisaille declinata nei toni del grigio, che rappresenta la morte di Filiberto, signore di Monthouz, circondato dai domenicani in lacrime (questa è la versione ufficiale). Una lunga iscrizione latina in eleganti caratteri gotici corre nella parte superiore del dipinto (con l'iniziale in rosso e il resto del testo in nero), mentre sulla stessa parete, in basso a sinistra vicino ad un gradino, c'è una targa di ottone sui cui è riportata la traduzione in francese e che ci informa che "il primo giorno di maggio, il nobile Filiberto, signore di Monthouz e dell'isola di Annecy, consigliere (del più alto) e più eccellente, il duca di Savoia, in onore di Notre- Dame e di San Giovanni, [sotto] fondò la sua sepoltura e trapassò da questo all'altro mondo, l'anno 1458. [La N per l'aout], frase poco comprensibile. Pregate Dio per la sua anima".

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Esaminiamo la scena. In primo piano, il sarcofago con il corpo, in avanzato stato di decomposizione. Il realismo è quasi sconcertante, mette davanti il visitatore ad una visione di forte impatto, quasi terrifica, sicuramente desolante ma ammonitrice. Gli arti appaiono eccezionalmente lunghi, così le dita delle mani.

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Una figura allegorica della morte ma che non può essere reale poichè il corpo del signore di Monthouz non poteva essere già in queste condizioni nel 1458 quando Bapteur realizzò l'opera, essendo morto in quella stessa data. Stretto tra le dita irrigidite, notiamo un cartiglio, su cui è scritto Terribilis est locus iste. La frase è vergata in caratteri gotici eleganti, con l'iniziale (T) di colore rosso e il resto in nero. E' mostrata all'osservatore, quasi che i monaci -dall'altra parte- non dovessero vederla...

 

Abbiamo trovato questa frase, che è ripresa dalla Bibbia (Genesi, 28-17; ripreso in 31,13 e 35,14), in molti luoghi (in questo sito c'è anche un censimento degli stessi). Normalmente è scritta all'esterno o all'interno di chiese con il suo significato tradizionale di portare rispetto a quel luogo, di averne timore reverenziale poichè- come proseguirebbe la frase nel testo biblico- "questa è la casa di Dio e la porta del Cielo" (Quam Terribilis est locus iste!  Haec est domus Dei et Porta Coeli). Ma in mano ad uno scheletro non l'avevamo mai trovata!

In questo contesto, cosa ha voluto intendere il pittore (o il suo committente)? Il luogo terribile è la morte o il luogo in cui il defunto immagina di trovarsi nell'aldilà? Oppure, visto che la scena parrebbe ambientata in una chiesa abbaziale o in un monastero, con dieci monaci nelle nicchie, è all'allusione ad essi?

A guardali bene uno per uno, questi frati sicuramente hanno qualcosa da dirci. Il pittore (o il committente) ha voluto caratterizzare ciascun personaggio con gesti, pose o cartigli per trasmetterci un messaggio ermetico, non capibile da tutti. Ma quale? Forse ciascun monaco incarna le posizioni umane nei confronti della morte

Il sarcofago è di dimensioni abbastanza grandi perchè tutti e dieci i monaci ne abbiano un lato al cospetto. I primi due a sinistra e a destra sono visibili integralmente mentre gli altri sei solo parzialmente in quanto la parte inferiore è coperta dal sepolcro. Solo la parte verso l'osservatore è libera, e a guardalo siamo noi.

Gli elementi da rilevare in questo dipinto sono, secondo chi scrive, diversi:

-espressioni dei volti dei monaci

-posizione delle mani

-atteggiamento posturale

-posizione dei piedi (visibili sono in 4 dei dieci monaci)

-posizione rispetto al corpo, e dunque alla morte

Il volto del primo monaco a sinistra non si vede più, l'affresco in quel punto è danneggiato e strappato. Unico elemento ben chiaro è un cartiglio, forse mancante della parte iniziale, che reca scritte due parole: In domus (in casa, nella casa) oppure in Donus (in dono, come un dono). Tale cartiglio emerge da una colonna e non vediamo se fosse tenuto dal monaco stesso oppure no. Del personaggio si vede la parte inferiore del corpo e un piede, con calzatura scura; egli sta al cospetto del lato corto del sarcofago. Il volto del monaco successivo è anch'esso rovinato da uno strappo nell'affresco,ma si può osservare la posa del volto e quella delle mani, tenute l'una nell'altra ma non congiunte come in atteggiamento orante.

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Il terzo monaco, il più enigmatico, ha il cappuccio del saio completamente calato sul viso (non vuole vedere, anche perchè è situato proprio davanti alla testa del cadavere). Le mani sono unite, ma alquanto strane, e ha uno strumento tra le dita, forse un compasso?  

                        

Il quarto monaco ha le mani giunte e il suo volto ha un'espressione mesta, la bocca denota tristezza, gli occhi sono abbassati. E' molto compìto ma dà la sensazione di estraniarsi dalla scena che, forse, per lui è insostenibile. La sua posizione è di fronte al torace del morto.

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Il quinto frate ha il capo scoperto e mostra la propria calvizie. E' in atteggiamento orante e piangente ed è girato verso sinistra e verso l'alto, forse verso un immaginario interlocutore (Dio?). La posizione del personaggio è di fronte all'addome del defunto.

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Il sesto monaco si copre l'occhio destro con la mano e l'altro lo tiene chiuso o forse "sbircia" lo scheletro, di cui si ritrova davanti le gambe. Il suo atteggiamento è di dolenzia, comunque.

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Il settimo monaco ha il capo semiscoperto dal cappuccio, lasciando intravedere una folta capigliatura biondo-castana. la sua posizione è di fronte ai piedi della salma. Il frate non è più giovane; tiene le mani accostate e vicine al mento, che sembra appoggiarsi su di esse. Sembra dormiente, ma forse è semplicemente in profonda meditazione (o serena rassegnazione) e il suo atteggiamento è reso ancora più enigmatico dal fatto che il frate successivo sembra parlargli animatamente. L'ottavo monaco sta infatti gesticolando e il suo volto, di profilo, conferma che si sta rivolgendo proprio a lui. L'argomento è certamente il sarcofago con lo scheletro poichè il dito indice della mano sinistra del frate è allungato in quella direzione. Questo frate sta all'inizio del lato corto del sarcofago.

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Il nono e decimo frate sono a figura intera; il nono guarda la scena che ha di fronte, è girato verso destra, tiene la mano sinistra sul petto mentre la destra indica il sarcofago, di cui ha davanti il lato corto e i piedi del defunto. Gli occhi sono bassi.

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Il decimo è il più impenetrabile di tutti gli altri monaci. Lui gira il corpo lateralmente, appoggiando la schiena alla nicchia. Un piede -forse con sandalo scuro- spunta dalla veste. Non guarda assolutamente il sarcofago, tiene gli occhi chiusi e la testa bassa; il naso è marcatamente aquilino, E' rannicchiato nel suo saio, dal quale emerge una mano che stringe un cartiglio, di ardua decifrazione, ma grazie al nostro corrispondente Antonio Soldani, studioso toscano, essa è stata decifrata e recita: " Cum enim moritur homo hereditabit serpentes et bestias et vermes" ("Con la sua morte l'uomo lo erediterranno serpenti bestie e vermi", ringrazio anche gli amici che spontaneamente si sono impegnati nella soluzione). Nonostante la sua disarmante verità, è quantomeno curioso che una frase del genere stia nelle mani di un monaco, di un uomo di chiesa che dovrebbe parlare di preghiera per l'anima, o alludere al regno dei Cieli, dare una visione più positivista, insomma. La scrittura è identica alle altre presenti nell'affresco, in elegante carattere gotico, con l'iniziale rossa e il resto nero. Il cartiglio svolazza verso la colonna. Veramente interessante questa raffigurazione.

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Chi era il signore di Monthouz? Perchè si fece seppellire nella chiesa dei domenicani? La sua tomba, oggi, dov'è? Fu lui a volere questa macabra celebrazione della propria morte? 

Speriamo di aver dato un ennesimo stimolo di approfondimento e di riflessione a chi ci sta leggendo, auspicando di ricevere ulteriori informazioni che aiutino a dipanare il mistero.

                                                  

Lasciamo la Savoia e dirigiamoci più a nord, dove ci attende una città magica: Lione.

(contiua-)

  • Il nostro video sulla città di Annecy

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                                                                                                   Maggio 2012