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                           di Marisa Uberti         L' Uomo dei boschi di S. Brigida (Valle Averara, BG)

                         Iconografie e significato dell' Homo Selvadego


Fig.1: collage di foto di S. Brigida

Fig.2: bellissimi affreschi adornano le pareti esterne all'antica chiesa di S. Brigida, nel paese omonimo, nell'Alta Val Brembana

 

Fig.3: veduta dell'ingresso laterale del santuario dell'Addolorata (un tempo chiesa di S. Brigida)

Fig. 4: il suggestivo portico laterale con gli affreschi

 

 

1)Inquadramento storico -geografico

Dopo aver intrapreso una recente ricerca in merito ad alcune zone della Val Brembana, tra cui Averara e Santa Brigida, ritorniamo su quest'ultima, essendoci ripromessi di fare una pagina apposita dedicata ad un'antichissima chiesa, quella intitolata a S. Brigida appunto, attualmente nota con la denominazione di santuario della Beata Vergine Addolorata, nome che le diede nel XVI sec. Carlo Borromeo. E' probabile che egli intendesse togliere del tutto quelle radici 'pagane' che affondavano nella notte dei tempi e che in Valle tardavano a recidersi, nonostante gli ammonimenti e la dottrina cristiana.

Prima di leggere questo articolo consiglio, a quanti sono interessati alla comprensione dell'argomento, di leggere il lavoro del prof. A. Gaspani, pubblicato in questo sito. Ciò consente di inquadrare anzitutto le vicende che stanno dietro all'intitolazione della chiesa alla santa irlandese Brigitta o Brigida, a sua volta retaggio del culto celtico della dea Brigit, dea della conoscenza, della poesia, delle arti manuali e spirituali, della fertilità e del fuoco. L'analisi archeoastronomica eseguita dallo studioso Gaspani dimostra come la chiesa abbia un'orientazione astronomica precisa fin dal suo nascere, come primitivo oratorio ad opera, verosimilmente, dei monaci irlandesi. Nell'articolo, il professore rivela anche un particolare che è rimasto misterioso e che riguarda la parte sinistra dell'antico altare, oggi ritornato al suo posto e visibile. Scrive A. Gaspani: "Il lato meridionale dell’altare riporta un’iscrizione incisa con lettere greche, ma possibilmente anche mesogotiche, l’interpretazione è tutt’altro che agevole considerato lo stato di conservazione, la quale non è ancora stata decifrata con sicurezza, mentre la sorpresa è stata la scoperta nell’Agosto del 1998 (da parte di A.Gaspani) della presenza sul lato settentrionale di una serie di incisioni graffite nell’intonaco e rappresentanti una configurazione di 7 stelle accompagnate da alcune iscrizioni latine, alcuni simboli raggruppati a forma di “S”, una figura antropomorfa e più in basso da un graffito pisciforme la cui forma è simile alla lettera greca Gamma oppure all’antico simbolo cristiano del pesce, posto però in posizione verticale, leggermente inclinata a sinistra.  È stato facile riconoscere che i graffiti riproducevano una vera e propria mappa del cielo, tracciata da qualcuno che sapeva leggere e scrivere, che aveva accesso all’altare cioè al luogo più sacro della chiesa e che aveva familiarità con il cielo stellato".

2)L'affresco

Lasciandovi il piacere di scoprire ulteriori tasselli della scoperta, contenuti nell'articolo integrale del Gaspani, portiamo la nostra attenzione, invece, su un affresco conservato all'interno, nel presbiterio, nella parte sinistra. Qui troviamo una scena in cui è presente Cristo che sorge dal sepolcro, centralmente; alla sua sinistra c'è San Lorenzo con un libro chiuso stretto al petto e, alla sua destra, S. Onofrio (fig. 5). Nella parte inferiore del sepolcro si legge la data 1478 ed un cartiglio con un'invocazione latina, affinchè sia allontanato un metaforico 'angelo percutiente'. L'opera pittorica è stata attribuita ad Angelo Baschenis, della celebre famiglia di artisti originaria di questa Valle (abbiamo infatti già detto in un lavoro precedente che essa era nativa della frazione Colla di Santa Brigida). Non è escluso che il pieno significato dell'opera si ottenga prendendo in considerazione tutta la scena rappresentata; purtroppo essa è mutila in diverse parti e questo non consente di poterla 'leggere' nell'intero. Dietro il capo di S. Onofrio, per esempio, sbuca non si sa da dove una mano che versa un liquido da una brocca, verosimilmente in un recipiente, ma perchè? Che nesso assume nella scena? L'altro santo, ben vestito, identitficato con Lorenzo, tiene un libro chiuso con la mano destra, sul quale appoggia degli oggetti (dei frutti?)che sembrano sporgere dall'interno della sua veste e sulla identità dei quali non è possibile, al momento, pronunciarsi (fig. 7).

L'arch. Riccardo Scotti, che ha lavorato a lungo su questo affresco per tentare di decifrarne le motivazioni e il significato recondito, scrive in un suo articolo (1) una chiara descrizione, rispondente a quanto ciascuno di noi ha potuto osservare andando in loco: "Tra quelle citate, l'unica rimasta fortuitamente integra, è l'immagine di sant'Onofrio. Il santo, che in altezza misura circa cm 110, si presenta in piedi, barbuto e con i capelli lunghi ed ondulati che si confondono con il vello grigio che ricopre quasi completamente il corpo. Restano scoperti, oltre al viso, le mani, le ginocchia ed i grandi piedi scalzi. L'atteggiamento è molto tranquillo e lo sguardo quieto si volge al cartiglio con la preghiera. Dietro al capo è visibile un'aureola, attorno alla vita indossa una cintura di foglie, probabilmente di quercia, con la mano destra, spostata lateralmente all’altezza dell’inguine, si appoggia ad un bastone nodoso e culminante in forma di Tau, mentre la mano sinistra, sollevata dinanzi allo stomaco, sorregge e mostra una singolare corona formata da cupole di ghiande o, più verosimilmente, da funghi".

La prima cosa che ci si può domandare è se l'iconografia classica di Onofrio sia quella che vediamo, quella cioè di un individuo vestito di pelle e pelo, come un uomo primitivo o selvaggio.
Effettivamente è così: ricoperto dai suoi capelli, dalla barba, dal vello e da un perizoma di foglie. Spesso è ritratto in aspetto spaventoso e selvaggio e, a volte, il vecchio anacoreta è rappresentato accovacciato a quattro zampe in atteggiamento animalesco o con lo sguardo terribile. L'agiografia che ci è stata tramandata(Vita di Onofrio, del monaco Pafnuzio) ci informa che egli condusse vita eremitica nel deserto della Tebaide (Egitto) per oltre settant'anni; il suo aspetto era 'terrificante': il corpo interamente ricoperto dai lunghi capelli e adorno di qualche foglia. La sua volontà era di conformarsi alle figure di Elia e di San Giovanni Battista; viveva in una grotta e veniva alimentato spiritualmente da un angelo, che gli portava periodicamente il Corpo e il Sangue di Cristo. Una volta al mese traeva cibo dai palmizi e da un poco di erbe. Alla sua morte, Onofrio venne sepolto dal discepolo Pafnuzio in una cavità della roccia. Non si conosce l'epoca in cui questi fatti avvennero (la vita di Onofrio si svolse tra I e II sec. d.C.) ma già nei primi secoli dell'era cristiana il culto di Onofrio si diffuse. La sua festa cade il 12 giugno.

Innegabile che questa figura eremitica ci ricordi quella di Maria Maddalena, così come l'abbiamo trovata descritta nella Grotta della Sainte Baume, nella Francia meridionale, dov'ella- secondo la tradizione- sarebbe arrivata dalla Galilea. Ritiratasi in una grotta del massiccio, a strapiombo, viveva come un'anacoreta ricevendo il cibo spirituale dagli angeli. Anche lei viene raffigurata tradizionalmente vestita dei suoi lunghi capelli. E anch'ella è associata alla Conoscenza. Ci informa R. Scotti che "è impressionante l' elenco di personaggi che sono stati associati all'Uomo Selvaggio, di matrice cristiana e no. Tra questi si possono elencare, oltre a sant'Onofrio, Nabucodonosor, il profeta Elia, san Giovanni Battista, san Cristoforo, san Sebastiano, san Martino, san Giovanni Crisostomo e tutti gli eremiti, ma anche Merlino (la più importante personificazione medievale del mito), Giovanni senza paura (personaggio dei racconti per bambini), oltre allo stesso Arlecchino (nella sua essenza più antica di conduttore della Caccia Selvaggia)".

All'esterno della cosiddetta Casa di Arlecchino, abbiamo di recente trovato l'iconografia dell'Uomo Selvaggio, che riproponiamo.

                          

3) L'interpretazione dell' Homo Selvadego

Si può star certi che la figura dell'Uomo selvaggio non è un'invenzione o una prerogativa cristiana ma appartiene alla sfera del mito, dell'allegoria e riporta ad uno dei concetti supremi della Scienza Alchemica. Ad esso Fulcanelli dedica un intero capitolo, l'ultimo del primo volume de "Le dimore filosofali". Riferendosi all' Uomo dei Boschi scolpito su una casa di Thiers (Puy- de- Dome, Francia), l'Adepto scrive: "Quest'uomo semplice, dai capelli lunghi e spettinati, dalla barba incolta, quest'uomo che segue la natura, le cui conoscenze tradizionali lo portano a disprezzare la vanitosa frivolezza dei poveri pazzi che si credono saggi, domina dall'alto degli altri uomini, come domina il mucchio di pietre che calpesta ai piedi. Egli è l'illuminato, perchè ha ricevuto la luce, l'illuminazione spirituale. Dietro una maschera d'indifferente serenità, egli conserva il suo mutismo e mette il suo segreto al riparo dalle vane curiosità, dall'attività sterile degli istrioni della commedia umana. Questo silenzioso rappresenta per noi l'antico Myste (dal greco Mύστής, capo degli iniziati), incarnazione greca della scienza mistica o misteriosa" ("Le Dimore Filosofali", I vol.,p. 248, Ed. Mediterranee).

Nel caso di Thiers la scultura lignea dell' Uomo selvaggio è munita di un bastone nodoso che termina nella parte superiore con il volto di una vecchia stretto in un cappuccio che, secondo Fulcanelli, è la Madre Pazza (2), altro nome della Scienza ermetica. Colui che l'abbraccia e la coltiva, l'integrale saggezza, è in realtà un saggio perchè s'appoggia su di essa. Questo Uomo selvaggio è dunque l'allegoria dell'Alchimista, un sapiente dallo spirito semplice, attento scrutatore della natura che cercherà di imitare, come la scimmia imita l'uomo.

Un'altra considerazione necessaria da farsi riguarda il bastone nodoso che il sant' Onofrio dell'antica chiesa di S. Brigida tiene nella mano destra e che termina a forma di T (tau) e le sette nodosità, che potrebbero alludere alle sette fasi dell'Opera. R. Scotti (op. cit. in nota 1)scrive che: "Nei suoi sette nodi, evoca le incisioni effettuate dagli sciamani siberiani sul tronco dell’Albero Sacro durante il rito d’iniziazione per raggiungere il cielo, i quali corrispondono ai diversi livelli dell’iniziazione sciamanica". Il Tau è una croce, che è simbolo del crogiolo alchemico, in cui la materia si trasforma e divine spirito. E' anche un  simbolo adottato dai Cavalieri del Tau di Altopascio, oltre che dai Templari e da alcune comunità monastiche (Antoniniani e Frncescani),  per le quali rappresentava sia la fedeltà a Cristo sia un potente amuleto per difendersi dalle piaghe e da altre malattie della pelle. Nella Bibbia il Tau (Taw in ebraico) assume un valore fondamentale poichè è proprio per mezzo di questo segno impresso sulla fronte che Dio riconoscerà il suo popolo eletto; essendo l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico, il Taw condensa in sè l' intera opera rivelata di Dio.

4) Etnomicologia dell'arte cristiana?

Consideriamo ora  la presenza della strano rosario pendente dalla mano, che pare essere un unicum, almeno allo stato attuale delle ricerche effettuate. Non è chiaro il significato: potrebbe essere solo un invito alla preghiera, vista come pratica risolutrice di molti o tutti i mali, ma la forma inusuale ed elaborata dei grani pare sottendere qualcosa di più. Anzitutto se rosario dev'essere(3), è mancante della croce e non rispetta le divisioni dei rosari classici (cosa questa che non è comunque insolita nelle raffigurazioni dell'arte cristiana di santi o Madonne). Se fosse stato un semplice elemento di corredo all'iconografia religiosa contestuale, che bisogno c'era di dare al rosario- ammesso lo sia- una forma simile? Di cosa è composta in realtà la corona o, meglio, la collana che Onofrio mostra?

E' noto che gli eremiti si cibavano di vegetali per sopravvivere ai lunghi periodi di digiuno. Potrebbe trattarsi di un caso del genere? Ma quali vegetali? E' possibile che si possa trattare di sostanze che inducevano anche uno stato alterato di coscienza, in modo che alla resistenza fisica si unisse anche una forma di allucinazione sensoriale? In natura esistono diverse sostanze che possono fungere allo scopo. Molti tipi di funghi, ad esempio(4).

Scrive R. Scotti che "le  descrizioni dello stesso sant'Onofrio che riceve la visita quotidiana degli angeli divini che lo alimentano e che settimanalmente gli portano il corpo e il sangue del Signore, possono essere associate all'ingestione di vegetali psicoattivi[...] Nel mondo occidentale moderno, la conoscenza del ruolo che i funghi allucinogeni ha avuto nella formazione dei riti e dei culti religiosi, influenzandoli fortemente, risale a una cinquantina d’anni fa. Nell’ambito degli studi di Etnomicologia, disciplina che si occupa di analizzare il rapporto più che millenario tra la specie umana ed i funghi, recentemente è andata delineandosi una nuova sezione, denominata “Etnomicologia dell'Arte Cristiana”, che analizza le rappresentazioni fungine nel contesto della cultura religiosa antica ed il significato che queste assumono, come messaggi più o meno comprensibili.". Diversi studiosi stanno inventariando e analizzando le figure fungine nell'iconografia cristiana, la quale ha adottato un sincretismo con culture ad essa precedenti. Non potendo sradicarle, ne ha trasposto figure e concetti adattandoli alla nuova dottrina.

Uno di questi studiosi di etnomicologia è Gianluca Toro che, nel suo ultimo libro "Alberi-fungo e funghi nell'arte cristiana", analizza la curiosa 'corona' che il sant' Onofrio sorregge con la sua mano sinistra. Discutibile è la possibilità che si tratti di ghiande, visto che la cintura di foglie in vita all'eremita appartiene ad una quercia, di cui la ghianda è il prodotto. Questi frutti sono duri e dunque ben maneggiabili; contengono una sostanza, il tannino, che viene usato in farmacologia come rimedio per avvelenamento da alcalodi, per coagulare il sangue, per malattie della cute e come astringente. Ma il colore (che di norma è grigiastro) non corrisponde al reale, essendo qui marrone, inoltre anche la cordicella su cui sono infilate le cupole si interrompe alla base di ciascuna di esse, evidenziando la consistenza di questi elementi e la mancanza di concavità nella parte inferiore, caratteristica delle cupole delle ghiande. Se fossero funghi, invece, non si riesce a stabilire di quale specie si tratti. In ogni caso, la loro presenza potrebbe alludere a pratiche magico- rituali che affondano la loro origine in culti precristiani. Ma perchè il santo li tiene in quella posizione e in bella vista? Cosa vuole dirci? Con lo sguardo punta dritto al cartiglio dove è riportata l'invocazione contro le pestilenze; inoltre altri santi raffigurati in questa chiesa, e coevi all'affresco di sant'Onofrio, sono invocati contro le epidemie, i contagi, le malattie cutanee, le pestilenze. C'è un nesso?

Forse il santo era anche un guaritore, quel che si potrebbe definire uno sciamano? "Se l'artista avesse voluto rappresentare intenzionalmente dei funghi, la loro presenza non farebbe necessariamente propendere verso un'interpretazione enteogenica, il che non esclude però che sia possibile riconoscervi un messaggio nascosto, che appare probabile. essi definirebbero la figura di Sant'Onofrio come quella di un Santo -sciamano"- scrive G. Toro (op. cit. p.156).

5) Una presenza diffusa

Nei paesi di montagna come S. Brigida, la figura di un uomo selvaggio non è estranea al popolo che anzi, a seconda delle regioni, ha attribuito ad esso diversi appellativi: Salvanèl, Om Pelòs, Salvàn, der Wild Mann, Sambinello, Om Selvadech, Òm da l bòsch, e via discorrendo, tutti ricollegabili ad una figura mitica legata al mondo agreste, come poteva essere la divinità romana di Silvano, o quella celtica di Kernunnos o del dio Lug.  A volte è un essere buono altre volte malvagio (come la natura, del resto).  Si tratta sempre di un personaggio portatore di conoscenze, in particolare nelle solitarie valli montane egli detiene il segreto dell’abilità casearia, l’arte della conservazione dei principi nutritivi del latte mediante la sua trasformazione in formaggio. E' probabile che nel corso del tempo, ad una figura mitica si sia sovrapposta la necessaria trasposizione di un personaggio autentico, che ha abitato in zone rimaste nella memoria collettiva e che per le sue caratteristiche è rimasto impresso nel toponimo con cui quei luoghi sono ancora oggi conosciuti. E' il caso di toponimi trentini come Capitèl de l’Òm selvadech a Faver, il Bus del Salvanèl a Cagnò, a Daone e anche altrove, il Bus del Barbaza a Mori... Un nostro collaboratore, G.Pavat, ci ha segnalato una interessante iconografia, in Val di Fiemme (Trentino), di una intera famiglia di 'Selvaggi' (leggi l'articolo). Noi stessi bbiamo documentato un Homo Selvadego (Wilde-Mann) a Bressanone (BZ), dotato di ben tre teste!

In un paese non distantissimo dalla valle Averara, Sacco (nella bassa Valtellina), c'è la Casa dell'Uomo Selvatico(5). Si tratta di un edificio a due piani usato come stalla e deposito per il fieno nei tempi andati, cosa che rendeva difficile vedere i begli affreschi quattrocenteschi con cui sono decorate le pareti interne. Tra di essi spicca un uomo peloso e barbuto che tiene tra le mani un bastone nodoso (una sorta di clava), accanto al quale una frase lo qualifica precisamente: ""Ego sonto un homo salvadego per natura, chi me ofende ge fo pagura" (Io sono un uomo selvaggio per natura, chi mi offende gli faccio paura). Guarda caso, gli autori sono componenti della famiglia Baschenis che hanno realizzato il Sant'Onofrio nella chiesa di S. Brigida in Valle Averara (là era un Angelo Baschenis e qui abbiamo le firme di Simone e Battistino). La data per questi dipinti è certa: 18 maggio 1464 (quattordici anni prima dell'affresco di S. Brigida, che è dunque da considerarsi posteriore). In questo anno, si sa dai documenti che il rettore della chiesa di San Lorenzo a Sacco era un certo don Cristoforo di Averara (località a due passi da S. Brigida).

Su un arco della porta d'ingresso si possono vedere tre volti in una sola testa e una frase propiziatoria di benvenuto, scritta in caratteri gotici "Benedictus sit lochus iste, sit pax intranti, sit in tua gratia quam manenti". Da alcuni anni si è restituita a questa Casa la giusta attenzione e il decoro, tanto che è sorto un museo di interesse internazionale per la presenza, insieme alle altre raffigurazioni, di una delle più belle immagini, finora documentate, dell'Uomo Selvatico. "Questo personaggio - si legge nel sito ufficiale della Comunità Montana di Morbegno - non è solo un fenomeno locale, ma si può affermare che sia un vero e proprio simbolo della cultura contadina alpina. Le profonde radici nella cultura popolare di questo strano essere trovano conferma anche nella scelta di una delle Tre Leghe Grigie, - alle quali la Valtellina fu soggetta tra il 1512 e il 1797 - quella delle Dieci Giurisdizioni, di porre l'uomo selvatico nel proprio stemma, motivando tale scelta col fatto che esso rimanderebbe "agli albori del carattere nazionale retico, alla scaturigine dei sentimenti spirituali dell'era precristiana "
Legami forti, dunque, tra natura e uomo, tra spiritualità e quotidianità nelle vallate alpine dove più che altrove "lo spazio abitato (il villaggio, la casa, l'alpeggio) è vissuto come spazio sacro, contrapposto al bosco, all'incolto, ai sentieri pericolosi, all'alta montagna posta fuori dal controllo dell'uomo, In questo secondo spazio vivono le anime dei morti, i folletti e l'uomo selvatico.[...] Con ogni probabilità in costui si identifica la religiosità precristiana del mondo alpino che, del resto, trova in Silvano un nume a cui sono dedicate molte are".
Cosa non trascurabile, anche questo Uomo Selvaggio di Sacco ha accanto un tipo di vegetale, dalle dimensioni insolite: è infatti grande quanto lui.

A Bergamo alta, all'interno della basilica di S.Maria Maggiore, è presente un ciclo pittorico risalente alla fine del XIII secolo, tra cui spicca la figura di un eremita (fig. 12), in tutto simile al S. Onofrio di S. Brigida, solo che qui non c'è un rosario o collana di vegetali che dir si voglia, ma un libro chiuso. Il santo, che ha un'aureola, è incognito; si appoggia su un bastone che termina chiaramente in una croce a T(Tau) nella parte superiore. Due elementi vegetali si stagliano ai suoi lati, e lo superano in altezza. E' chiara l'evidenza di un contesto naturalistico. Gli studi ufficiali la ritengono una rappresentazione consueta degli anacoreti della Tebaide ed è ipotizzata una ripresa di una iconografia di S. Paolo del IV secolo. Potrebbe però trattarsi di un S. Onofrio, a nostro avviso.

Il nostro Homo Selvadego  potrebbe assumere, alla luce di tutto quanto sinteticamente illustrato, una valenza di primaria importanza: quella dell'Adamo primordiale, Uomo e principio universale, cifra e chiave del mondo, testimone della Creazione e destinato a regnare su di essa. Incarna dunque le due figure antropologiche del Padre, il 'vivente' dell'Apocalisse, l'Anziano il cui ruolo è quello di Maestro, e quella del Figlio, attraverso cui il primo si esprime. "L'Uomo disinteressato, umile di cuore, dall'amore universale è, al tempo stesso, la chiave del mondo. Tutto il potere gli è stato dato sul Cielo e sulla Terra, perchè egli è in relazione con il Padre dall'inizio della creazione -mediante l'espressione Fiat- alla fine dei tempi, per il fatto di essere anche l'omega della parusia, che chiude così l'alfabeto del mondo" (Mirabail, 1989).

Fig. 5: l'affresco con Cristo che esce dal sepolcro tra S, Lorenzo e S. Onofrio

Fig. 6:dettaglio del Sant' Onofrio

Fig.7: dettaglio del dipinto di San Lorenzo

 

Fig.7: l'Uomo dei Boschi di Thiers

Fig. 8:particolare dell'Uomo dei Boschi di Thiers e del bastone che termina con un volto di 'vecchia incappucciata'

 

 

 

 

 


Fig. 9: dettaglio della strana corona tenuta in mano da S. Onofrio; è composta di 14 grani visibili. Ma che cosa sono, appunto, quei 'grani'? Ghiande o funghi?

 

Fig. 10: L'Homo Selvadego di Sacco

 

Fig.11

Fig. 12

Note:

1)- R. Scotti ha scritto una prima versione dell'articolo dedicato al S. Onofrio intitolato "La figura di Sant'Onofrio affrescata nell’antica chiesa di Santa Brigida nell’Alta Valle Brembana in Provincia di Bergamo”(ottobre 2001), edito dalla Proloco di S. Brigida, con il Patrocinio della Provincia di Bergamo – Assessorato alla Cultura e del Comune di Santa Brigida, con il contributo della Comunità Montana Valle Brembana e della Banca San Paolo IMI S.p.A. Dopo di che ha pubblicato un articolo più ampliato per la rivista 'Altrove', da cui traiamo queste note, intitolato"L’insolita corona del santo eremita. Considerazioni sull’iconografia della figura di sant’Onofrio, affrescata nell’antica chiesa di Santa Brigida, nell’alta Valle Brembana (BG)", Nautilus, Torino, 10: 78-100, giugno 2003); nel giugno del 2005 ha pubblicato un volume sull'argomento, intitolato "Dal saggio allo sciamano.. Uomini di Dio, Uomini Selvaggi e Guaritori" , per la Casa Editrice Ananke di Torino.

2)-Con questo termine il popolo designava -al tempo delle gioiose parodie della Festa dell'Asino- gli alti dignitari ed i maestri di alcune istituzioni segrete.

3)- "La provenienza del rosario è shivaita, e i 108 grani originari (formati di Semi o Rudraksha) rappresentano i nomi di Rudra-Shiva. Nel passaggio al Buddismo i semi si sono ridotti a 50, forse perché tali sono le lettere dell’alfabeto sanscrito, le quali nell’insieme effigiano le Madri (Matrikā), ossia le forme archetipiche della Natura. Il Cristianesimo le ha teologizzate, trasformandole in Preghiere e facendo assumere al significato mantrico delle parole una connotazione mistica[...]. Nella sua forma attualmente più comune, la corona fu introdotta dal beato Alano de la Roche (1428 - 1475) con l'intento di diffondere la recita di 150 Ave Maria, suddivise in decine precedute da Pater noster e Gloria, e meditare sui principali misteri della storia evangelica di Gesù e Maria, divisi in gruppi di cinque: gaudiosi, dolorosi, gloriosi.[...]Non è chiara né la forma né la funzione precisa che questo oggetto aveva nei tempi antichi e antecedenti ad Alano" (note tratte dal lavoro di R. Scotti, citato nella nota 1).

4)- Ancora oggi, in Valle Averara, crescono funghi allucinogeni.

5)-Camera picta di Casa Vavinetti a Sacco. Vedi www.cmmorbegno.it

 

Sezioni correlate a questo sito:

Lo Yeti della Val di Fiemme

Italia da conoscere

Simbolismo

Altri links interessanti per approfondire:

http://bibliotopia.altervista.org/zoologia/uomoselvaticoit.htm
http://www.dariobenetti.it/dbenetti/progetti18.htm
http://www.edicolaweb.net/am_0901s.htm
http://www.jstor.org/pss/1480112

 

 

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