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                                                        (di Marisa Uberti)

 

Nella prima metà dell'Ottocento era scoppiata una vera e propria mania verso il celtismo, che conferiva ad una città un'origine remota e motivo di vanto. Nulla si sapeva della preistoria e quindi gli antenati più antichi erano ritenuti i Galli. Ritrovare un loro manufatto rappresentava pertanto una saldatura ideologica, il ritrovare le proprie radici.

Fu in quel periodo, precisamente nel 1848,  che nel terreno della chiesa di St. Lubin nel comune di Suévres, poco distante da Blois, nel piantare un vigneto, dei produttori di vino scoprirono accidentalmente un mosaico di epoca romana. Gli studiosi, attratti dalla notizia, rinvennero in seguito due steli dedicatorie incorporate nella chiesa (cosa affatto insolita), risalenti ad un probabile tempio pagano dedicato al culto del dio Apollo.

Ma ciò che ci interessa maggiormente è che nel 1850 lo studioso Louis La Saussaye (1801-1878), visitando gli scavi, notò  una grossa pietra squadrata collocata sopra un pozzo, nell'area della chiesa; la giudicò coeva al periodo gallo-romano, ritenendo (erroneamente?) che non fosse mai stata esplorata. La portò quindi al Museo di Blois, che era in formazione (egli stesso fu uno dei fondatori); Saussaye agiva per conto della Conservazione dei Monumenti del Loir-et-Cher. La pietra fu accolta con grandi onori e venne collocata nello stesso anno nel cortile del Castello, dove rimase fino al 1910.

Un sacerdote che era anche storico della città di Blois, padre Morin, ebbe modo di presenziare agli scavi e di desumere le prime impressioni del Saussaye in merito alla pietra: lo studioso vi vedeva 3 fori eseguiti con una certa simmetria, tracce di scanalature, alcune linee cabalistiche, e senza indugio classificò il reperto come un monumento megalitico o dolmen gallico. Ora guardiamo il disegno riprodotto da noi della pietra di Suèvres:

                                                        

Dobbiamo immaginarla orizzontale, con la parte incisa rivolta verso l'alto, come venne trovata da Saussaye nel 1850 (stando alle cronache posteriori). Curiosa l'inclinazione dello schema, che non appare diritto, rispetto all'asse del monolite.

I fori sono 5, due grossi e tre più piccoli: come mai Saussaye ne vide soltanto 3? Scanalature non se ne vedono e le "linee cabalistiche" sono quelle che costituiscono probabilmente la... Triplice Cinta! Possibile che uno studioso come Saussaye non avesse mai visto lo schema, che è analogo a quello del gioco del filetto, nell'Ottocento ben noto? E' possibile che il petroglifo non si vedesse bene o che non vi abbia dedicato molta attenzione; più che altro gli interessava annoverarlo tra i reperti di epoca gallo-romana. 

Egli aveva ipotizzato che la profondità dei fori li rendesse comunicanti e servisse in origine per versarvi dei liquidi, magari durante sacrifici rituali...umani! Si era ritrovata a pochi metri di distanza un'ascia celtica e si fece il classico "1+1=2". Lo spirito romantico del tempo, le idee dell'Accademia Celtica (fondata nel 1805), e la mancanza di conoscenze specifiche, creò un business di grande effetto. 

Di questa pietra troviamo notizia negli inventari perchè Saussaye nulla scrisse, a quanto è dato capire (ne parlò solo a voce con i colleghi?). Bisognerà infatti attendere il 1909 per una descrizione dettagliata, pubblicata dall'archeologo E. Camille Florance.

                      

La cartolina, del 1900 ca, mostra alcune persone davanti al lato meridionale della chiesa di St. Lubin; il pallino verde che abbiamo messo noi indica la posizione delle rovine del presunto tempio gallo-romano (tratta da questo sito). Vi sono sedute sopra due donne.

Ma il tempo passa e si fanno nuove ricerche, si avanzano nuove teorie, in base alle nuove scoperte. Con Camille Florance (1846-1931), archeologo e presidente della Società di Storia Naturale e di Antropologia del Loir-et-Cher, cinquant'anni dopo la scoperta della pietra di St. Lubin, si ritornò a studiare il manufatto, e con una certa cautela, inizialmente. Egli pubblicò per primo una descrizione circostanziata, lavorando sulla Triplice Cinta in particolare. Egli andò a recuperare elementi iconografici comparativi, ad esempio un sigillo da oculista che era stato rinvenuto a Villefranche-sur-Cher (sempre nel dip. Loir-et-Cher):

Questo reperto non esiste più nell'originale ma una fedele riproduzione sapevamo essere conservata nel Museo des Beaux-Arts del Castello di Blois, dove infatti l'abbiamo cercato. Inutilmente. Infatti, nel Museo non sono esposti reperti più antichi del periodo medievale (soprattutto rinascimentale) e nemmeno chiedendo ai custodi, non si è risaliti a nulla.

Solo il nostro corrispondente di Blois, Hervè Poidevin, al quale si devono molte delle notizie qui riportate, ci ha saputo dire che il sigillo fa parte della collezione archeologica del Museo ma non è in esposizione. Un grande peccato! 

Tornando a Florance, egli nella propria coscienza cercò di dare una spiegazione alla presenza della TC sul megalite: pensò al gioco della "merelle", o ad un significato magico. Fu il primo che tentò di darne un'interpretazione simbolica. Ma alle persone cui propose queste ipotesi, non sembrò conveniente che le diffondesse. Un ex ufficiale di artiglieria a cui fece vedere il disegno gli disse poi che quello schema ricordava la pianta di un oppidum celtico, con i quadrati, gli ingressi e i fossati. Così, accantonò altre ipotesi e ne formulò una veramente eccezionale: che la pietra potesse aver fatto parte di quel Locus Consecratus citato da Cesare nel De Bello Gallico, dove i Druidi si riunivano annualmente in assemblea generale. Una pietra- omphalos, come un altare quindi, formato dalla pietra posta orizzontalmente sul pozzo sacro, con la "la superficie incisa a guardare il cielo", com'era stata trovata. Immaginò che il sangue sacrificale delle vittime venisse messo nel simbolico contenitore a triplice recinto, poi fatto colare attraverso i fori nel pozzo profondo. Florence si spinse anche ad ipotizzare che i solchi di incisione dovessero agire come un presagio e che a seconda della direzione presa dal sangue della vittima (a partire dagli angoli della figura), da una parte o dall'altra, significasse un parere favorevole o sfavorevole della divinità.  

Nel 1926 il megalite fu proclamato Monumento Nazionale nel Bollettino della Società di Storia Naturale e di Antropologia del Loir-et-Cher

In questo contesto si inserì il direttore ministeriale delle Opere Pubbliche a Parigi. Paul Le Cour (1871-1954) studioso di esoterismo e occultista, in una Francia della prima metà del XX secolo. In un articolo pubblicato sulla rivista "Atlantis" del luglio 1927 (da lui stesso fondata), Le Cour consacrò apertamente la pietra di Suèvres come druidica e definì la Triplice Cinta "sacra" (1). Questa concezione permane ancora oggi, in molti ambienti esoterici e, pur presentando lati davvero insostenibili, è stata la base per un approccio simbolico al gioco del filetto.

Nel 1930 uscì un articolo sul quotidiano  Le Matin di Parigi del 19 giugno sulle teorie formulate sulla pietra di Suèvres, ma erano gli ultimi strascichi perchè dell'argomento non si tornò più a parlare fino al 1958 quando un sacerdote, l'Abbè Marcel Rivard, membro della Società Archeologica di Vendome, pubblicò un libro in gran parte ispirato al lavoro di Padre Morin e che sosteneva le tesi di Florance, cioè di un'origine celtica e gallo-romana del reperto. Sulla copertina del suo primo  libro "Histoire d'une prévôté, Suèvres "Ombilic des Gaules", c'era la pietra trovata a St. Lubin!

Nel 1974 troviamo la pietra di Suèvres classificata come Faux Dolmen de Saint-Lubin (Falso dolmen di Saint-Lubin). Dunque? Che cos'era successo?

Anzitutto, gli scavi eseguiti sistematicamente negli anni '70 del XX secolo, affievolirono le teorie che volevano i Druidi un popolo atto al sacrificio umano. Questa è più una credenza amplificata dalle cronache antiche che una realtà di fatto, secondo gli archeologi. I Romani, in effetti, volevano trasmettere  l'immagine di un popolo barbaro, incivile e violento. La pietra di Suèvres risale probabilmente al Neolitico e fu reimpiegata nella copertura del pozzo; la TC avrebbe potuto essere incisa in epoca imprecisata, non gallo-romana, perchè nei secoli trascorsi dal suo reimpiego può essere avvenuto di tutto. 

Abbiamo accennato poco sopra che questo manufatto, da noi cercato e ricercato mentre eravamo a Blois, come capirete (!),  si trovava nel cortile del castello fino al 1910. Da lì era stato trasferito sulla terrazza del vescovado (che è allestito nell'ex-convento dei Jacobins, cioè dei Domenicani).  Ma anche lì non esiste più. E allora? 

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                   Il cortile interno del Castello di Blois (ala Francesco I)

Allora abbiamo finalmente risolto il mistero, che è il seguente:

data la sua rilevanza, per gli abitanti di Suèvres era fondamentale riaverlo e cominciarono a fare pressioni perchè venisse loro restituito. Ma i Blésois (gli abitanti di Blois) hanno fatto orecchie da mercante per un po'; si vocifera, anzi, che per timore di un "rapimento", la pietra fosse stata messa nei pressi della cappella, protetta dagli altri edifici (abbiamo visto il punto: vi sono infatti anche altri reperti ma..nessuno è la pietra di Suèvres!). 

Però, dopo l'uscita della seconda edizione del libro dell'abbè Rivard, la disputa si è riaccesa e i Sodobriens hanno cominciato ad inviare lettere al sindaco di Blois e al conservatore del Museo, chiedendo a gran voce la restituzione della pietra sacra! Alla fine sono stati ascoltati e nel 1990- dopo 150 anni di controversie- il monolito è stato consegnato sottoforma di "prestito perpetuo". Il 13 ottobre di quell'anno si è tenuta la cerimonia ufficiale, alla presenza del sindaco di Suèvres, di padre Rivard e del pubblico delle grandi occasioni. Ma dov'è stato collocato?

  • Nel suo posto "originario", naturalmente! All'interno del presunto perimetro dell'ex-tempio pagano, nei pressi della chiesetta di Saint -Lubin, dove però pare che fosse soggetta alle intemperie. Purtroppo la chiesa è ora di proprietà privata e si può vedere solo su richiesta. 

L'archeologo  Leymarios Clauce, in occasione dell' inaugurazione del 13 ottobre 1990, ha condotto uno studio sulla pietra di Suèvres, coadiuvato da geologi, che lo ha spinto a ritenere fortuita la presenza dei fori, come a dire che si sarebbero formati per fenomeni naturali. Lo schema del triplice quadrato concentrico viene da lui considerato come un ludus (il gioco della merelle), tuttavia non si è sbilanciato sull'epoca.

Molti hanno trovato inquietante un articolo apparso nel 1995 su La  Nouvelle République du Centre-ouest  intitolato "Le druide, l'équinoxe et la pierre sacrée" (I Druidi, l'Equinozio e la Pietra sacra), in cui veniva  presentata con dovizia di particolari una cerimonia di "neo-druidi" che veneravano la pietra come un altare, usato per celebrare l'Equinozio d'Autunno. Il rituale era stato svolto in pompa magna (non quindi nascosto...) forse perchè ad officiare vi era uno storico locale che si era fatto iniziare ai misteri del naturalismo (i più acidi suggeriscono che fosse in cerca di pubblicità)...

Per dirla tutta, la pietra di Suèvres ci sarebbe piaciuto molto vederla, osservarla con i nostri occhi, che hanno visto ad oggi migliaia di esemplari. Perchè i disegni, per quanto accurati, non restituiscono ciò che potremmo forse rilevare con il nostro metodo di giudizio imparziale, esterni a tutta la storia secolare di questo controverso ed enigmatico reperto.

 

Note:

1)-Vedi Uberti, M.- Coluzzi, G. "I luoghi delle triplici cinte in Italia. Alla ricerca di un simbolo sacro o di un gioco senza tempo?", Eremon, 2008, p. 44-45, cap. 3.5 "Le ipotesi di Paul Le Cour".

 

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