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Isola d'Elba... insolita

I parte
                                                                     (di Marisa Uberti)

                                                             I parte

Un viaggio all'Elba è un incontro tra due mondi: quello che è stato e quello che è. La sua origine che risale a milioni di anni fa, le sue vicissitudini geologiche, il suo popolamento arcaico, i misteriosi Etruschi, le ville romane, la conquista pisana, genovese, turca, il Principato e il governo degli Appiani, dei Medici, indicano che da sempre questa terra è stata al centro dell'attenzione per la sua posizione strategica tra la Corsica e la Toscana, per le sue floride risorse minerarie e il controllo delle rotte militari e commerciali. Insieme alle sue chiese romaniche, al periodo rinascimentale e napoleonico, troviamo aspetti culturali che si sposano armonicamente con la bellezza del mare, con il contrasto dei paesaggi, con la vita della gente. Dal nostro primo, breve, ma intenso approccio con questa isola (la terza per dimensione in Italia, con i suoi 223,5 Kmq), abbiamo saputo trarre una prima e stimolante conoscenza.

Caratteri generali

L'isola dai mille fuochi. Pare che gli antichi naviganti notturni la soprannominassero così, perchè scorgevano innumerevoli luci sulle sue coste: erano i rinomati forni in attività! Una leggenda racconta che i mitici Argonauti, dopo aver attraversato il mar Ligure, approdarono all'Elba, tappa legata al grande porto Argòo. Secondo uno scritto del IV sec. a. C.(Pseudo Scilace), l'Elba a quel tempo era l'unica isola abitata dell'Arcipelago Toscano.

L'Elba appartiene, amministrativamente, alla provincia di Livorno; è divisa dalla Toscana da 10 Km di mare, e dalla Corsica da un canale di circa 50 Km. E' circondata dal mar Tirreno e milioni di anni fa faceva parte di un continente comprendente la Corsica e la Sardegna, che sprofondò in epoche remotissime e che il mito identifica con la Tirrenide. Alcune rocce elbane hanno un'età che supera i 500 milioni di anni, verso la parte orientale (Penisola di Calamita); dalla fine del Pliocene medio (4 milioni di anni fa circa) ad oggi, l'isola è passata da condizioni di 'insularità' a fasi di 'continentalità', fino a raggiungere- dopo la fine dell'ultima glaciazione (attorno a 10.000 anni fa)- l'attuale configurazione. Durante il Paleolitico, quando l'Elba non era un'isola ma era unita alla Toscana,  l'uomo preistorico era già attivo, come testimoniano i ritrovamenti di capanne ed utensili lungo le coste, nelle pianure, nelle caverne alle pendici dei monti, sulle colline e sulle montagne elbane. Si parla di 'industria musteriana', dalle caratteristiche evolute. Attorno al 12.000 a.C., un istmo di terra largo circa 5 km collegava ancora l'Elba al continente ma poco dopo mille anni, il mare si era innalzato (scioglimento dei ghiacci), ricoprendo la lingua di terra ed isolando l'Elba, che da allora divenne un'isola a tutti gli effetti. Flora e fauna dovevano essere diverse da quelle di oggi, Nella prima fase del Neolitico, arrivarono sull'isola nuove genti, abili navigatori, richiamate dalla presenza dell'ocra e dei metalli, di cui l'Elba era ricchissima. Dal 5.000-4.000 a. C si colloca l'Età del Rame, ossia l'utilizzazione da parte umana di questo metallo che, dal Vicino Oriente, si diffuse in area mediterranea. All'Elba ci sono testimonianze dell'antico utilizzo di piccole vene minerarie cuprifere (1) nei calcari termometamorfosati. Un migliaio di anni dopo la scoperta della lavorazione del rame, si cominciò a produrre la sua lega con lo stagno, il bronzo (2).  Si colloca attorno alla fine del III millennio a.C. lo sfruttamento sistematico all'Elba dei minerali per estrarne i metalli, con la cosiddetta Cultura di Rinaldone. Ma, come è noto, l'isola è la patria del ferro. E non si può parlare di ferro senza citare gli Etruschi, misterioso popolo che fa la propria comparsa attorno all' VIII sec. a.C. quando i Greci li menzionano, chiamandoli Tyrrenoi o Tyrsenoi, indicandone l'azione di disturbo sui mari, esercitata nei loro confronti. In realtà, gli Etruschi dovevano già abitare dal IX sec. a. C. tutti quei villaggi situati in punti strategici, lungo 'itinerari naturali', adatti all'agricoltura, allo sfruttamento delle miniere e agli scambi. Dall' VIII-VII sec. a.C. e quasi senza soluzione di continuità fino al...1980(!), sull'Elba sono stati estratti minerali di ferro da ematite e limonite; si è calcolato che nei secoli, fino al 1952, sull'isola d'Elba sono stati estratti 40.000.000 di tonnellate!  Per difendere i giacimenti minerari dalle razzie, gli Etruschi costruirono delle fortezze d'altura, a partire dal V sec. a.C., attualmente ancora non adeguatamente scavate e studiate (tranne che in due casi, quello di Monte Castello a Procchio e di Castiglione di san Martino) ma una fonte preziosa di informazioni(3). "I giacimenti di ferro dell'Elba - ci spiega un vero esperto, che abbiamo incontrato sull'isola e che presenteremo tra poco- si trovavano nella parte orientale e gli Etruschi avevano individuato delle vene di ferro unico nel suo genere, puro al 97 % (esente, cioè, da inquinamenti di Al(alluminio), S(zolfo), etc.) con un'alta percentuale di ferro omogeneamente distribuito, Mn(manganese) e Si (silicio)". Gino Brambilla, classe 1928 (82 anni portati un gran bene!), è autore di uno splendido libro "Le impronte degli antichi abitatori dell'isola d'Elba. Dalla Preistoria agli Etruschi" (Iuculano Editore, oggi esaurito) e siamo andati a trovarlo nel suo 'laboratorio' situato di fronte alla banchina di Portoferraio, all'Elba.

Gino Brambilla e la riscoperta dei forni etruschi

Il suo cognome ne tradisce la provenienza, che molti avranno già intuito. Infatti ' il Gino', come ama essere chiamato dagli amici, è nato a Milano, ma si trasferì presto, con la famiglia, nella zona di Moltrasio, sul lago di Como. E' il caso di dire che la sua vita è stata costellata di grandi avventure, da quella tristissima della II guerra mondiale, alla sua attività di 'contrabbandiere' tra Italia e Svizzera, con tutti i rischi che questo comportava; dalla sua abilità tecnica di soffiare il vetro, che lo ha condotto in giro per il mondo, all'approdo all'Elba, nel 1962, da dove non se ne è più andato e dove ha iniziato una 'carriera' nel mondo dell'archeologia. Lui, pregresso contrabbandiere,  si è guadagnato dalla Soprintendenza Archeologica della Toscana il titolo di Ispettore Onorario! Ma questo merito gli deriva da cinquant'anni di instancabile attività di scoperte e vigilanza sui reperti che all'Elba vengono sistematicamente alla luce. Non sapeva nuotare ed è stato capace, nel 1969, di individuare un relitto sottomarino vergine, nelle acque antistanti S. Andrea a Marciana (sulla costa occidentale dell'isola), e altri ritrovamenti  sono seguiti in ogni zona dell'Elba (sui fondali, in grotta o in collina, oppure in montagna, ovunque il fiuto e lo studio della letteratura d'archivio lo abbia condotto), fino all'ottobre del 2001, quando ha scoperto -a Campo all'Aia (Marciana)- a 73 anni suonati,  il relitto di un'imbarcazione etrusca carica di minerale. Una vera forza della natura, il Gino! Che, tra tante cose che 'è' e che 'fa', ha fondato, diversi anni or sono, il Gruppo Archeologico Naturalistico Elbano, che ha sede a Portoferraio.

Una delle sue scoperte più importanti è stato capire il segreto della metallurgia etrusca, ovvero il funzionamento dei forni usati dagli Etruschi per la riduzione del ferro. Da quando si stabilì sull'isola, Gino aveva spesso incontrato dei sassi scuri e molto pesanti, vicino alle spiagge, domandandosi cosa fossero. I locali gli avevano detto che erano schiumuli, scorie di quando gli Etruschi facevano il ferro. Ma quando Gino chiese come costoro avessero fatto il ferro, nessuno seppe spiegarglielo. Da qui la sua curiosità di trovare una risposta. Fatale fu l'incontro, tra realtà e mistero, con un piccolissimo esserino che stava tutto nella sua mano, di nome Aithalos, che gli avrebbe rivelato il segreto del ferro degli Etruschi. Sta di fatto che dopo questo incontro, il Brambilla fu in grado di costruire un forno etrusco alla regola d'arte ed un giorno, dopo ore che lavorava alla produzione del ferro, una signora immortalò con la sua macchina fotografica la scena. In fase di sviluppo della fotografia, si vide che dal camino del forno usciva una figura antropomorfa, che al Gino parve proprio Aithalos...

 I forni che Gino ha ricostruito  sono fruibili per attività didattiche dalle scuole, ma anche da visitatori interessati, presso il Parcolaboratorio 'I forni etruschi' (loc. La Chiusa). Qui, in un'area di 5.000 mq, trovano posto i forni in argilla e blocchi di arenaria, costruiti dal Gino nella forma e nelle misure reali di quelli Etruschi, in base ai ruderi rinvenuti sull'isola e da lui studiati, e che la gente del posto chiama 'fabbrichili'.

Quell' ingegnoso popolo etrusco si costruiva piccoli forni per la riduzione dell'ematite che erano strutturati nel modo seguente:

                                                                          

L'accensione avveniva impiegando carbone di legna prodotto sull'isola e veniva utilizzato il mantice, che veniva inserito nel boccame, un foro alloggiante il tubo di argilla (ugello); in tal modo si otteneva un prodotto simile ad una spugna, denominato appunto spugna di ferro, la quale veniva poi trasformata in acciaio. Il Gino l'ha ottenuta, sostenendo che essa è identica a quella prodotta 2.500 anni fa!

Il Gino ci ha parlato del metodo della 'carbonaia', tutt'ora in uso, per ottenere il carbone dalla legna e noto già nel Neolitico: distillazione a secco con eliminazione di acqua, l'aceto ed il catrame di legna, conservando solo carbonio. Il carbone era indispensabile per l'operazione di riduzione, che era di tipo 'diretto', cioè riscaldando il minerale ad alte temperature insieme al carbone di legna in un forno di argilla come visto, subiva un processo chimico di riduzione dando origine al ferro metallico.

                                                             

Ascoltare le parole vivificanti del Gino è penetrare con lui in un mondo scomparso, magico, ma che è esistito e che rivive grazie ai suoi 'esperimenti'. Immaginiamolo al lavoro, mentre è intento al forno etrusco, operazione che egli definisce 'un'esperienza indimenticabile'. "La bocca è posizionata nella parte superiore del forno che, una volta acceso e ben caldo, viene alimentato circa ogni mezz'ora con carbone di legna e frammenti di ematite. L'operazione completa dura dalle 8 alle 10 ore, durante le quali -con l'aiuto di un grosso mantice che eroga 160 mc d'aria/h (azionato da due addetti, n.d.r.)-si raggiungono i 1300° , che sono indispensabili per la riduzione del minerale". Quando il forno viene aperto, si trova il frutto di tanto lavoro:il blumo, la cosiddetta 'spugna di ferro', contenente il 90 % circa di ferro 'dolce', che ha lo 0,06 % di C (carbonio). Il blumo o spugna viene successivamente scaldato in una forgia (sempre alimentata a carbone di legna) fino a che assume una colorazione bianca (1300°C) e martellato per liberarlo dalle impurità. "Dopo una lunga serie di queste operazioni si ottiene un lingotto di duro ferro, simile all'acciaio che può contenere fino allo 0,80% di carbonio. E' lo stesso acciaio con il quale i Romani, partendo dalla spugna degli Etruschi, fabbricavano il gladio, la famosa corta spada delle fanterie delle legioni romane con la quale conquistarono il mondo di allora".

Ogni volta che il forno viene utilizzato, si provvede ad un 'restauro'con un impasto chiamato 'stip' (fatto di argilla refrattaria, renone e polvere di carbone), che si impiega anche per la base interna della camera di combustione più calda del forno, dove si deposita la scoria  fluida prima di uscire dal foro posto al centro della porta nella parte più bassa.

            

Il signor Gino ha potuto collocare cronologicamente l'utilizzo dei siti per la riduzione dell'ematite nel passato. Un primo in epoca etrusca, durato fino alla conquista romana (II sec. a.C.ca) ed un secondo, che iniziò nel Medioevo (in cui si assistette ad una fiorente ripresa dell'attività mineraria elbana) e durò fino alla fine del XVIII secolo. In questo secondo periodo, i luoghi lungo la costa dove in antichità era stato ridotto il minerale(riconoscibili perchè vi erano residui di forni, di piccoli edifici e delle scorie di fusione) venivano chiamati 'terrastrini'.

I siti per la riduzione del minerale avevano delle caratteristiche comuni: si dovevano trovare vicino alle coste,  ma non distanti dai boschi, che fornivano carbone di legna; terreni scoscesi idonei a posizionare i forni; sufficienti depositi di argilla usata per costruirli. Il trasporto del materiale avveniva lungo le coste tramite imbarcazioni, e poi veniva condotto ai forni tramite torrenti che venivano mantenuti costantemente dragati. Il carbone vegetale poteva anche essere reperito distante dal luogo dove si trovava il forno, in tal caso si impiegavano asini guidati da schiavi, che lavoravano anche nelle miniere.

I sagaci Etruschi, dice il Gino, adottavano la rotazione ventennale nel taglio dei boschi, per cui non può essere vero che essi smisero di produrre metallo per mancanza di legname.

Il ferro che gli Etruschi lavoravano era anche quello meteorico, ma soprattutto l'ematite (ossido ferrico, Fe2O3); essi lavoravano anche l'oro e il rame. Quest'ultimo si otteneva tramite un processo chiamato desolforazione che, lo dice il nome, mirava ad eliminare lo zolfo dalla calcopirite, che è un solfuro di ferro e rame,  presente in quantità all'Elba.

Il Gino ha ricostruito anche questo tipo di forni etruschi, sulla base di quelli scoperti in Val Fucinaia (Campiglia Marittima, LI) nel 1934, e si è accorto di un particolare molto interessante: "E' probabile che gli Etruschi abbiano rinvenuto un primo ferro, ricavato da una riduzione diretta, tra le scorie ferrose della lavorazione della calcopirite. Si accorsero cioè che tra le scorie vi erano dei nuclei di metallo malleabile che si poteva martellare:il ferro".

                                                                          

                                                                             

Uno speciale ringraziamento all'infaticabile opera del sig. Gino Brambilla. Tutte le foto sono dell'Autrice; i disegni della ricostruzione dei forni etruschi e alcuni brani messi in corsivo sono stati tratti dal libro di Gino Brambilla "Le impronte degli antichi abitatori dell'isola d'Elba. Dalla Preistoria agli Etruschi" (Iuculano Editore), e riprodotte per gentile concessione dell'Autore.

Note:

1)- La produzione di rame avviene inizialmente a partire dal rame (Cu) nativo, ossidi (cuprite, tenorite) e carbonati (malachite, azzurrite), e poi, dal Bronzo Recente, anche dai solfuri (calcopirite, calcosina,  etc.).

2)- I minerali utili allo stagno (Sn) sono la cassiterite e, in minore misura, la stannite.

3)-Con la conquista romana (III sec.a.C.), le fortezze d'altura vennero distrutte ed incendiate; in tal modo il grano presente in esse subì una tostatura a causa del calore sprigionatosi e si è conservato fino ai giorni nostri (è visibile nel museo archeologico di Portoferraio).

 

Sezioni correlate in questo sito:

Due passi sull'isola d'Elba II parte
Due passi all'Elba III parte
Italia da conoscere

 

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                                                                                Maggio 2010