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PER UN'ANALISI STORICA DEL TERRITORIO DI CIVATE 

  DALLE ORIGINI AL PERIODO LONGOBARDO

                                                                                              (di Alessandra Facchinetti)

 

                                      
Fig. 1. Posto nella valle Magrera, allo sbocco della valle dell'Oro, Civate è lambito dal torrente Rio Torto. Si trova ai piedi del monte Cornizzolo con dirimpetto la mole del monte Barro. Nell'immagine il Cornizzolo osservato dal Monte Rai

Il territorio di Civate ci ha tramandato numerose tracce della presenza umana che risalgono sino al terzo millennio avanti Cristo, a partire dall'antica presenza del Liguri (1) sulle pendici dall'altura che Plinio il Vecchio chiama monte Pedale - il Cornizzolo - e dei riti solari di cui essi hanno lasciato traccia visibile.

                                       
                                                                                                                      Fig. 2

Abbarbicato sulla impervia roccia a strapiombo prospiciente il lago d’Annone, sul versante sud orientale del Cornizzolo vi è proprio uno dei luoghi interessati a questi riti, il Bus de la sàbia (Buco della sabbia), un importante ritrovamento in cui si è sviluppata una vera e propria cultura originale dell’età del rame, tale da poterla designare con il titolo di cultura di Civate, che costituisce un anello di congiunzione unico ed insostituibile per conoscere lo sviluppo della storia del vasto periodo eneolitico nella nostra regione, riferibile all'età del bronzo, che a nord della penisola italica ci rimanda addirittura alla civiltà dei Camuni

 

                                                                       
                                                                                                          Fig. 3

 

Si tratta della testimonianza più antica di questo territorio, inserita ancora nell’ambiente naturale che l’ha vista nascere nel periodo eneolitico, utilizzata praticamente fino all’esaurirsi dell’insediamento romano: una caverna funeraria con tracce d'ossa, una serie di utensili e qualche graffito, composta da tre successive sale di cui l'ultima fornita di camino verticale di ventilazione che fuoriesce nella roccia soprastante.

 

Sinora considerato un elemento isolato ed anomalo, si ritiene che il Buco della Sabbia costituisca parte di un complesso più ampio, avente chiara valenza simbolica.

Al suo ingrasso infatti, si trova una sorta di primitivo portale d'accesso, composto da una coppia di steli tozze e massicce rivolte ad occidente (verso il sole morente), identiche ad altre due coppie di steli d'ingresso ritrovate nelle vicinanze.

Risalendo la costa della montagna, sul sentiero quasi in disuso che s’arrampica impervio e dritto sul crinale, tra quello di Linate e quello principale per San Pietro al Monte, una trentina di metri prima del poggio in cui sono state collocate le corde (i tralicci a sostegno delle funi d’acciaio), in uno spiazzo ideale per costruirvi un altare, si incontra una seconda coppia di steli d'ingresso, che costituisce una specie di rozzo portale.

A destra dello stesso poggio delle corde, attraverso altre due più massicce ed importanti steli litiche, di cui quella di destra probabilmente naturale, si accede ad un piacevole pianoro riparato, denominato prato rossino, un pianoro circolare delimitato da basse muraglie di pietrame a secco, ideale per la collocazione di un piccolo insediamento umano di capanne in legno e paglia o di casotte.

La prima coppia di steli, posta a livello inferiore, è rivolta ad est, verso il sole nascente, mentre quella d’ingresso all’insediamento vero e proprio (prato rossino) è volta al sole di mezzogiorno: esse potrebbero introdurre in un luogo sacro, riservato a particolari cerimonie religiose, appunto come in uso presso i Liguri.

Considerando la particolare collocazione e configurazione dei manufatti e dello spazio centrale di prato rossino, l’interpretazione immediata della simbologia, nella dimensione di un primitivo culto solare, richiama la celebrazione dei tre momenti fondamentali della vita: ad oriente la nascita, volta all’immagine del sole nascente; a meridione la maturità, come pienezza dell’esistenza, nel mezzogiorno solare; ad occidente la morte, cui è destinato ogni essere vivente, nel tramonto solare.

  Ma il vero e proprio inizio dell’insediamento abitativo di Civate, ebbe luogo, indubbiamente, con i Celti (2) che occuparono il territorio ai piedi del Cornizzolo, scegliendo quella che oggi è la frazione di Tozio come insediamento primitivo. I celti orobici, dovevano essere per lo più tranquilli agricoltori, dediti alla pacifica coltivazione della valle che si estendeva rigogliosa sotto di loro. Purtroppo non sono stati mai ritrovati, o meglio, non sono mai stati conservati reperti di origine celtica ritrovati nel territorio di Civate.

                                         
                                                                                                                          Fig. 4

La prima conquista romana, a danno degli Insubri (a cui corrisponde la presa di Como, Comum oppidum, da parte del console Claudio Marcello), avviene nel 196 a.C., quando i romani si impadroniscono della Gallia Cisalpina, un territorio che si estendeva dalla pianura del Po sino alle Alpi, facendo riferimento a quella capitale che si sarebbe poi chiamata per sempre Mediolanum. 

Si dà così avvio ad una riorganizzazione del territorio (3), nonché alla costituzione di un sistema difensivo che proteggesse i territori collinari e della pianura da eventuali incursioni od invasioni provenienti dalle Alpi.

Ma è nella fase tardo antica dell'occupazione romana (tra il III e il IV sec. d.C.), che gli invasori furono veramente in grado di stabilire il controllo definitivo sul territorio, con una organizzazione amministrativa e una rete di comunicazioni stabili e con l'insediamento di strutture militari.

                                                                                       
Fig. 5. Benchè non ancora perfettamente individuato, il tracciato della direttrice Pedemontana, via militare romana nota come Strada della Regina, congiungeva l'antica Aquileia, nel Veneto, con la Rezia, passando per Verona, Brescia, Bergamo e, passando per Clavis (Civate), Como

Infatti, dal territorio di Civate (Clavis), posto ai piedi del Cornizzolo, transitava l’importante strada romana (glarea strata, cioè una strada caratterizzata da un fondo predisposto con cura, ma ricoperto di semplice ghiaia) proveniente dall'antica Aquileia, nel Veneto, e passante per Bergamo (la Pedemontana) allacciata al tracciato stradale diretto verso i passi alpini lungo le rive del lago di Como (4).

Un territorio inserito nello scacchiere difensivo creato appunto con l’elezione al rango di capitale dell’impero di Milano, che fungeva da via di collegamento tra numerosi castra di epoca tardo antica disseminati lungo un ampio tracciato che costituiva un limes, un confine dell’insediamento romano a ridosso della regione alpina.

La catena montuosa e l’estensione del Lario offrivano la configurazione ideale per la collocazione di una linea difensiva settentrionale di tutto il territorio brianteo ed oltre, contrassegnata da un'articolata struttura militare che si snodava lungo il limes attraverso fortificazioni poste ai piedi delle alture: il Castrum Leucum, l’attuale Lecco (il Castello di Santo Stefano, il più importante della zona), Castelmarte, vicino ad Erba, Comum, che era anche porto della flotta lacuale, l’Isola Comacina e Castelseprio (la fortezza edificata presso Santa Maria di Castelseprio), sotto Varese (5).

Collegate con il resto delle roccaforti principali della linea confinaria, sorgeva una microrete di sorveglianza composta da piccole guarnigioni stanziate in fortilizi minori dislocati a triangolo a mezza costa sui monti, ad assicurare i collegamenti e l'accumulo di viveri.

Mentre il Castrum Leucum controllava l'imbocco della Valsassina ed i passaggi lungo l'Adda verso sud, i romani erano anche stanziati nel punto chiave di passaggio (Clavis, ovvero Civate), laddove sorgevano il ponte sul Rio Torto e un piccolo luogo di culto (6), che da quasi due millenni è denominato la Santa, dove sorgeva un posto di guardia e di controllo sui passeggeri e sulle merci, e dove v'era anche un' osteria, cauponŭla, che ha conservato poi incontrastata la sua funzione nei secoli.

                                     
Fig. 6. Isella, era collegata alla terraferma da due manufatti: uno, di più sicura e probabilmente molto più antica fattura, si trovava nel primo tratto che costituisce ancora l’odierno collegamento con l’agglomerato urbano civatese sul Cornizzolo (allora chiamato Pedale); l’altro, una specie di lungo pontile, longus pons, in pietrisco e legname, che con due tratti univa prima Isella alla sponda settentrionale del lago e quindi alla sponda meridionale di Annone, luogo circondato da paludi infide e intelligentemente preposto alla raccolta e conservazione dell’annona, la tassa pagata in natura (granaglie) dagli abitanti di tutto il territorio circostante

A protezione invece dell'accumulo di viveri coltivati e conservati per il pagamento dei tributi a Isella (l’originaria insula, la striscia di terra che separa il lago di Oggiono dal lago di Annone), v'erano stanziati, nella stessa Isella e ad Annone, ulteriori posti di controllo, supportati nel tempo da altre strutture militari di più tarda edificazione: il fossatum (vallo di Isella), nonché, sulle alture circostanti (Barro e Pedale), il castrum (Castello) e una torre di controllo al di sopra dell’isola originaria, la Turris in Isellam, che ancora oggi indica in dialetto il luogo della sua costruzione: Tur’niselö (7)

La via Bergomum-Comum, con un percorso di quasi 60 km, si snodava lungo la stretta fascia pedemontana nella Lombardia centrale, attraversando le attuali province di Bergamo, Lecco e Como, ponendosi in posizione intermedia tra l’ambiente montano delle prealpi orobiche a Nord e la fascia delle risorgive dell’alta pianura a Sud, correndo a settentrione dei laghi brianzoli.

Condizionato dalla morfologia del territorio (8), il tracciato della Bergomum-Comum proveniente dai pressi di Almenno San Salvatore (dove il Ponte di Lemine costruito sfruttando un isolotto al centro del fiume Brembo, permetteva il passaggio delle truppe) raggiungeva la cosiddetta “riviera” dalla valle San Martino (che separa il monte Canto Alto dalla valle San Martino), dirigendosi verso il restringimento tra i laghi di Garlate e di Olginate, dove è attestata la presenza di piloni pertinenti ad un ponte di età romana.

Da Olginate, il tracciato della Bergomum-Comum si dirigeva verso Garlate, e risaliva la sella di Gabiate, dove un percorso agevole consentiva di raggiungere Civate e il lago di Annone (9).

Da qui, scavalcato attraverso un ponte (che in seguito si chiamerà ponte di S. Nazaro) il piccolo emissario lacustre - Rio Torto -, risaliva faticosamente la collina ora di Civate sino Al Pozzo, potus, dov’era d’obbligo un po’ di meritato ristoro ai viaggiatori, prima d’avviarsi ad ovest, continuando a mezzacosta evitando gli insidiosi acquitrini, per Cariolo superiore, carubiolum, verso la sua lontana meta di Como (10).

Fig. 7. Il sentiero che, dalle vicinanze della frazione Al Pozzo, conduce al monastero di S. Pietro al Monte

Dunque, alla confluenza fra la via proveniente da Aquileia, con il punto esatto in cui un piccolo ponte varcava il Rio Torto, i romani assegnarono l'attribuzione di Clavis, ossia chiave, per indicarne il senso necessitato e determinato del transito.

E ciò, allo stesso modo in cui, come in altri punti di controllo ai piedi delle Alpi o nelle vallate, si trovano i cosiddetti punti chiusi fortificati, come ricordano ad esempio Valchiusa, Le Chiuse di Susa, Chiusa presso Bressanone o la più vicina Chiuso, nei pressi di Lecco.

Toccherà in seguito ai Longobardi variare la voce latina in Clavate, da cui Ciavate o Ciauate per arrivare all’odierna Civate, il borgo strategicamente edificato sulla collina.

Sullo stesso limes romano, che per secoli fu inteso come punto di partenza per ulteriori conquiste e successivamente concepito come linea difensiva, si insediarono, con qualche lieve cambiamento, gli invasori Goti, Bizantini e Longobardi tra il V e VI secolo d.C.

I Goti (11) preferirono spostare la loro maggiore postazione militare strategicamente sul Barro, da dove avevano un eccellente punto d’osservazione complessiva su buona parte del territorio dei laghi verso Como e sulla Brianza, e da dove veninva mantenuto un controllo costante sulla Vallis Mater agraria (Valmadrera), il fondo valle più favorevole alle coltivazioni e in cui, allo sbocco dell’estuario del lago, era collocata la zona più idonea alla costruzione ed al controllo dei mulini ad acqua (che avevano soppiantato le tecniche relative alla macinatura del grano, facendo perdere importanza ad Annone) essendo già preesistenti le antiche strutture di controllo militare.

I Longobardi, più tardi, costruirono proprio nelle vicinanze l’agglomerato militare di Sala e ampliarono l’attigua Scarena, cioè il luogo di collocazione dei mulini, con l’aggiunta di un torchio per le olive.

 

                                
Fig. 8. Il Monte Barro e, in primo piano, Valmadrera, il cui toponimo nasce dalla contrazione successiva di Vallis Mater agraria, ossia inizialmente la dea Cerere (divinità agricola romana), affiancata e confusa spesso, in queste regioni limitrofe del dominio romano, con la dea Cibele, protettrice dei campi e delle messi, oltre che degli animali. Alla dea, cui era dedicata la valle, gli abitanti e le truppe costruirono un tempietto rurale, dove un tempo i progenitori Celti avevano già a loro volta dedicato un piccolo sacro edificio all’antenata più antica della stessa Mater agraria, ossia alla triplice divinità nordica delle Deae Matres

Quanto ai Bizantini, essi restarono sul territorio per 12 anni, mantenendo alcuni punti militari strategici da cui procuravano guai ai Longobardi. Come l’Isola Comacina, difesa per un ventennio e ceduta soltanto da Francione, ex comandante dell’esercito bizantino, dopo ben sei mesi d’assedio posto dagli ultimi invasori.

Segni della loro permanenza compaiono presso la clavis, dove sostituirono i simboli barbari e pagani dei loro predecessori, con simboli di civiltà cristiana e di fede (12), proprio là dove permanevano le radici del culto di antiche religioni e superstizioni. Vennero quindi pacificamente sostituiti i luoghi specifici di culto pagano con edifici, simboli e santi cristiani che ne avessero le identiche caratteristiche e rispondenze.

Ma se qui non fu possibile ai bizantini, nella loro opera di cristianizzazione, cancellare di fatto nomi come Silva Diana o Vallis Mater agraria, ormai divenuti toponimi radicati, certamente essi si diedero da fare per sostituire, nel luogo stesso della clavis, il tempietto rurale della Dea Mater, ormai comunemente chiamata solo con l’appellativo di sancta e che già doveva aver a suo tempo supplito le divinità celtiche del luogo, con un edificio cristiano dedicato non ad uno solo, ma addirittura a tre santi, che rispettassero nel contempo i caratteri di protezione e propiziazione propri delle divinità pagane, legandoli alle esigenze del territorio d’appartenenza: Mamete, Simone e Nazaro.

Solo pochi anni dopo dunque, al giungere delle prime avanguardie dei Longobardi nel 568, la realtà di questo territorio era caratterizzata dalla presenza di una serie di fortificazioni, ma anche insediamenti, località e luoghi di culto cristiani.

I Longobardi invece, negli oltre duecento anni di permanenza, lasciarono più tracce visibili della strategia militare a loro più consona. Pur forse distruggendovi la fortificazione gota, considerarono ancora il Barro come caposaldo strategico per la difesa del territorio circostante, dal momento che da lì si poteva controllare e bloccare rapidamente sia la via per Como che eventuali attacchi dall’Adda. Vi costruirono quindi una rocca di difesa (13)

                                         
                                                                                                             Fig. 9. Monte Barro

Nel tragico perido delle invasioni barbariche, le postazioni militari poste sulla collina di Civate si erano rafforzate ed ingrandite ulteriormente per fornire il necessario aiuto e rifugio agli abitanti dei vicini insediamenti civili. E così rimasero anche nel VI secolo, sebbene perdettero d’importanza sia la guarnigione di controllo ad Isella, sia la torre di controllo sulla stessa.

I Longobardi sembrarono più preoccupati di occupare gli insediamenti militari preesistenti lungo la linea difesa di confine e di stabilire come e dove far pagare i tributi. Comparvero così gli insediamenti chiamati Sala, che di fatto sostituivano i luoghi di raccolta e di difesa delle granaglie già romani e in cui si stabilivano gli arimanni, cioè i cavalieri armati a protezione delle riserve alimentari.

E tutto si mantenne pressoché invariato se Burgundi e Franchi, che già insediavano questi territori dal tempo della presenza bizantina, attesero ben due secoli e un re come Carlo Magno per venirvi a fare una visita definitiva. O quasi.

I Longobardi, seppur tardi, ebbero un ruolo importante nella storia di Civate, anche per fattori di carattere religioso e culturale, dovuti in particolar modo all’influenza dell’edificazione dei monasteri pedemontani, che in un periodo di due secoli subì una espansione di non poca rilevanza.

I monasteri, infatti, fungevano da punto di riferimento d’acculturazione comune per la popolazione italica - insediata da secoli - e longobarda, con la diffusione dell’ormai condiviso messaggio cristiano (14), ed offrivano un contributo organizzativo e diplomatico nei confronti dell’amministrazione locale e degli eventuali confinanti.

 

Fig. 10. L'ingresso del monastero di S. Pietro al Monte

E proprio il periodo del regno Longobardo in Italia, soprattutto la sua ultima parte, è quello particolarmente significativo per la storia civatese, dal momento che è in questo momento che sorge il monastero di San Pietro al Monte, nucleo benedettino ubicato sul monte Pedale, le cui origini, in mancanza di dati documentari inequivocabili, oscillano "fra leggende, mito e realtà, volgendo ammiccanti lo sguardo a re Desiderio, chiamato in causa quale fondatore leggendario di San Pietro e donatore delle preziose reliquie custodite nel monastero per diversi secoli" (15).

NOTE:

(1) I Liguri non erano conquistatori, e vivevano di caccia, di pastorizia, ma anche di un po’ d’agricoltura alle pendici degli Appennini e delle Prealpi, dove coltivavano il lino e l’orzo, il melo, il nocciolo e il castagno. Abili artigiani della pietra, cominciarono ad usare i metalli, soprattutto il bronzo, solo verso il 600 a.C. Le tribù vivevano isolate le una dalle altre in piccoli villaggi posti presso sorgenti e vie frequentate.

Le famiglie, riunite in clan autonomi, facevano riferimento ad un capo villaggio che presiedeva anche i riti religiosi in particolari luoghi di culto.

Oltre ai ritrovamenti relativi al Buco della Sabbia, sul Cornizzolo, ed esattamente sul prato della colma, sono stati ritrovati reperti litici, come punte di lance e frecce e qualche piccolo utensile.

(2) I Celti, chiamati dai romani Galli e dai greci Galati, sostanzialmente identificabili con le tribù galliche, appartengono ad una comune famiglia linguistica indoeuropea ed estesero la loro influenza su quasi tutta l’Europa occidentale. Apparvero per la prima volta durante il secondo millennio tra l’attuale Baviera e la Boemia. Nel primo millennio si diffusero dalla Spagna alle isole britanniche ed al nord d’Italia, ma giunsero fino in Asia Minore. Abili lavoratori del ferro, cui si deve la loro forte espansione, controllavano le principali vie di comunicazione europee sul Danubio, il Reno ed il Rodano. Nel 380 a.C. si spinsero sino a saccheggiare Roma. Si stanziarono in Italia verso il V sec. a.C.

I Celti hanno dato la denominazione all’intera Brianza, dal termine brigantia, forse

per luogo elevato, ed anche, tra tanti altri, pure Leuki, tribù celtica che ai tempi di Cesare era insediata in Francia, oppure dal termine indoeuropeo locas, lucus, lucos per indicare campo/paese, per Lecco, Laus per Lodi e soprattutto hanno utilizzato la radice barros, cui qualche studioso da il significato di cespuglieto, mentre altri la interpretano nella sua riduzione tematica di bar o ber, come altura o recinto. Di fatto, alla radice tematica più semplice sono legati sul territorio civatese nomi ben noti, anche se senza dubbio trasformati e fatti propri in epoca romana, come quelli di Bar, monte Barro, Barzegutta, Baroncello

(3) Gradualmente i romani estesero un rigido controllo su tutta la vasta regione, imponendo da dominatori il pagamento dei tributi, che consistevano soprattutto in granaglie i cui luoghi di raccolta e conservazione erano collocati normalmente vicino alle zone agricole di produzione, difesi naturalmente da guarnigioni o luoghi di controllo militare che ne provvedessero la custodia.

(4) La Bergamum-Comum costituiva un tratto intermedio dalla strada militare che dal III sec. d.C. collegava Aquileia - nel Veneto - a Como.

(5) Durante questo periodo (III-IV sec d.C.) si assiste ad una diffusione di reperti connessi con la presenza di militari nel territorio e i diffondersi di oratorio e di basiliche paleocristiane che si svilupperanno nelle 3 pievi del territorio (Sant’Eufemia di Erba, Santo Stefano di Garlate, Santa Maria e San Salvatore di Almenno) e in numerosi conventi e chiese campestre poste in prossimità del tracciato di fondazione altomedioevale (San Michele di Almè, San Giorgio di Almenno, San Tomè….). 

(6) Accanto agli esigui posti di guardia dislocati a triangolo a mezza costa sui monti, sorgevano anche piccole edicole per il culto delle divinità, riservate perlopiù ai soldati, che l’avvento del cristianesimo, in periodo più tardo, trasformerà in edifici di culto cristiano. Nello stesso luogo, sulla originaria clavis romana, quasi dimenticato, sorge infatti ancoral’oratorio di S. Nazaro e Celso, santi soldati, non unico ed ultimo indizio della presenza dell’antica postazione militare romana. In verità, anche l’oratorio, come la località, continua ad essere più comunemente chiamato dagli abitanti la Santa. Ed il termine deriva dall’appellativo latino sancta, che già i soldati romani della guarnigione assegnavano per antonomasia alla loro divinità agricola, Cerere, che qui aveva sostituito la dea gallica protettrice dell’agricoltura, venerata dai Celti. 

(7) Sulla montagna, le monete romane rinvenute nel buco della sabbia, nei pressi del dosso della guardia, sono solo alcune tracce involontariamente lasciate nei secoli dai soldati succedutisi nei turni di guardia, che forse supplivano col gioco alla prolungata noia delle ore di riposo. 

(8) Si possono evidenziare alcuni aspetti della morfologia del territorio che hanno condizionato l’andamento della via antica: il corridoio naturale della Valtesse che separa il sistema collinare dove sorge la città di Bergamo e le valli orobiche, il passaggio nei pressi di Almenno San Salvatore della via romana su di un ponte di epoca romana costruito sfruttando un isolotto al centro del fiume Brembo, la cosiddetta “riviera” dalla valle San Martino che separa il monte Canto Alto dalla valle San Martino, la presenza nei pressi del restringimento tra i laghi di Garlate e di Olginate, dove la corrente del fiume Adda è meno forte, di piloni pertinenti ad un ponte di età romana. La sella di Gabiate che con un percorso agevole mette in comunicazione Civate con Garlate, le sponde del fiume Cosia che con andamento orizzontale congiunge la città di Como con il piano d’Erba proteggendo la via da possibili impaludamenti.

(9) Ad occidente di Lecco, al di là dell'Adda è la Valmadrera, attraverso cui una via conduceva, lungo l'attuale Rio Torto, in prossimità del lago d'Annone, contornato ancora, come testimonia già Plinio  il Vecchio nella sua Naturalis historia , da estese ed infide paludi.

(10) Attraversando la sella di Gabiate, un percorso agevole consentiva di raggiungere Civate, per dirigersi lungo le sponde del fiume Cosia, che con andamento orizzontale congiungeva la città di Como con il piano d’Erba proteggendo la via da possibili impaludamenti.

(11) Alla caduta dell’impero romano, nel 456, i Goti assunsero il compito di regnare sui territori della penisola italica. La fine della loro dominazione ebbe fine al concludersi della guerra gotica, conflitto combattuto fra gli stessi ed i bizantini. Questi ultimi, guidati dal generale Belisario, occuparono la penisola e la capitale gota Ravenna, catturandone il re Vitige nel 540. Il nuovo re dei Goti, Totila, riconquistò presto i domini perduti, ma Narsete, succeduto a Belisario al comando dell’esercito dell’impero orientale, ebbe la meglio su di lui e sul suo successore Teia e determinò la fine del regno goto in Italia.

(12) Sebbene sia vero che il cristianesimo, durante l’ultimo rigurgito di vita dell’impero romano, portasse la sua diffusione ben lontano da Roma, in città anche vicine alle sponde orientali del Lario come Milano e la stessa Como, è altrettanto improbabile che nei pagi, i villaggi di campagna, il nuovo annuncio religioso giungesse con convinzione e sollecitudine. E neppure ci si deve illudere troppo che i Goti, pur con Teodorico ed i mausolei sfavillanti di Ravenna, fossero stati più convinti e convincenti nella conversione di queste zone prealpine.

(13) Annota Carlo Castagna: “Sulla montagna costruivano dunque una rocca di difesa che, ripristinata più volte nei secoli, verrà distrutta definitivamente soltanto nel 1507 dal governatore di Lecco per ordine del provvisorio governatore francese di Milano. Curiosamente, testimone dell’atto notarile che riguarda questo avvenimento sarà anche un certo Stefano di Scarenna, figlio di Filippo. E proprio Scarenna, la scarena longobarda, cioè il luogo dei mulini, è testimonianza degli ulteriori cambiamenti portati al territorio dai compatrioti di Alboino. In realtà, già nel corso del tardo impero, l’introduzione dei mulini ad acqua aveva indotto a trasferire sul Toscio l’operazione di macinatura, che fino ad allora era svolta col sistema della follatura ad Annone, dove peraltro non v’erano corsi d’acqua adeguati all’utilizzo della nuova tecnica. Probabilmente, questo comportò anche il trasferimento del luogo stesso di conservazione dei cereali.

Tutto ciò lo mantennero i Longobardi, dal momento che non solo rafforzarono la zona di Scarenna, ma stabilirono nelle vicinanze stesse del ponte sul Rio Torto, a Sala, un dislocamento dei loro cavalieri armati; il termine sala, infatti, indica sia il luogo di permanenza degli arimanni, sia quello della raccolta dei tributi in natura”. Nella zona che interessa la vallata che dal lago d’Annone conduce al Lario sono dunque ancora individuabili, con questa origine, San Tommaso sul Corno Birone, la chiesetta di Santa Maria sul Barro, il dosso della guardia sul Cornizzolo e il più conosciuto Campanone della Brianza sotto il monte Genesio…

(14) La conversione al cattolicesimo dei Longobardi, seppur scismatico, aveva segnato una tappa fondamentale nei rapporti con le popolazioni italiche, insediate da secoli, e la stessa Chiesa, come sottolinea con benevolenza lo stesso Gregorio Magno, con il passaggio dall’arianesimo ad una dimensione di accettazione di fede cristiana. Da essa nasceva l’intreccio tra il monachesimo di Non, con l’abate Secondo che assunse un posto privilegiato alla corte longobarda e, in loco, la creazione di abbazie sparse nella zona del centro ed alto Lario ad opera di Agrippino, monaco di Aquileia e legato alla abbazia di Piona, roccaforte longobarda al confine con le terre dei Franchi, di S. Eufemia sull’Isola Comacina, di Castelseprio e Castelmarte, capisaldi strategici contrapposti ai Burgundi.

L’elezione di Agrippino a vescovo di Como risale al 606. Tale monachesimo, tuttavia, ha in seguito visto consolidarsi maggiormente, anche dopo il successivo intervento dei Franchi, più il carattere e gli elementi della cultura transalpina che non il prolungarsi di un legame lontano con l’humus costitutivo del cristianesimo romano o della ortodossia orientale. 

(15) Chiara Pirovano, "San Pietro al Monte" - Tra arte romanica e cultura benedettina a Civate, in provincia di Lecco.

 

Per il contesto territoriale e storico

- Appunti per il 2° Corso di Formazione su San Pietro al Monte - 1° incontro: l’ambiente e la storia (Relatore Carlo Castagna).

- Carlo Castagna, "Un monastero sulla montagna - Visita a S. Pietro al Monte".

- Carlo Castagna, Età del rame: l’unicità della “cultura di Civate”

Contributo inedito per la Via Bergomum-Comum

- La via Bergomum-Comum. Una strada lungo il pedemonte orobico - Il quadro morfologico. Abstract tesi di laurea in topografia dell’Italia antica Università degli Studi di Padova. Di Giuseppe Ge.

 

(Autrice: Alessandra Facchinetti

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                                                                                                            Giugno 2012