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                                                            IL GRANO PAZZO

                                                                                                (di Massimo Centini)

 

In questo breve intervento prendiamo in esame una fenomenologia allucinatoria la cui origine è da ricercare in cause indirette: cioè i soggetti coinvolti non fecero volontariamente uso di droghe, ma le assunsero a loro insaputa.

Queste forme di assunzione indiretta sono state chiamate in causa per provare a dare un senso a fenomeni come le visioni legate alla stregoneria, oppure a stati di coscienza alterati considerati all’origine dell’attività creativa. In genere si tratta di un corpus di casi che possono coinvolgere un singolo soggetto, ma anche intere comunità. Sono in questo senso emblematiche le epidemie di ergotismo che hanno lasciato una traccia profonda soprattutto tra il XI e il XII secolo. Il primo caso documentato di ergotismo risale all’857; altre epidemie si verificarono in varie aree dell’Europa: le ultime di cui si ha notizia sono quelle del 1926 in Russia e del 1929 in Irlanda.

L’Ergot

La Claviceps purpurea, conosciuta anche come Ergot, che in francese indica lo sperone del gallo, deve questo nome alla sua forma, che in alcuni casi è presente come parassita della segale e delle graminacee in genere. Da qui la definizione “segale cornuta”, poiché il fungo forma degli sclerozi (corpi fruttiferi, capaci di vivere autonomamente nel corpo che li ha prodotti) simili a piccole corna che caratterizzano la pianta infetta.

La contaminazione alimentare prodotta da questo fungo è nota e studiata: negli sclerozi sono contenuti molti alcaloidi appartenenti al gruppo delle ergotine – tra cui l’acido lisergico – che determinano effetti anche gravi all’organismo umano.

Le proprietà dell’Ergot erano già note nel passato lontano: almeno 3000 anni prima di Cristo, i Cinesi se ne servivano per procurare aborti. Ne abbiamo traccia anche tra i Greci: nella scuola medica di Ippocrate (V secolo a.C.) l’Ergot era utilizzato come sonnifero. Anche Aristotele, nel Del sonno e della veglia (456,31), conferma questo utilizzo, chiarendo che l’assunzione della Claviceps purpurea provoca una sonnolenza simile all’ubriacatura. Nella cultura ellenica questo fungo era anche indicato come thyaras, che significa “pianta della frenesia”.

Tracce analoghe sono presenti anche nel mondo latino: significativamente Plauto, in una sua commedia, propone un personaggio che avendo mangiato del loglio vede cose che non esistono (Miles gloriosus, 315-323). Plinio il Vecchio conferma che il pane contaminato provoca vertigini e a volte visioni (Historia naturalis, 18, 156).

Sono molti gli studiosi convinti che l’Ergot sia all’origine di tante allucinazioni di massa che, in particolare nel medioevo, hanno profondamente influenzato la cultura del periodo.

Va aggiunto che il consumo della Claviceps purpurea non è solo all’origine di fenomeni allucinatori, ma può anche avere delle gravi ricadute sul piano fisico: “Oggi sappiamo che l’ergotismo si manifesta sotto due forme diverse: una di tipo cancrenoso, spesso letale, conosciuta anche col nome di Fuoco di sant’Antonio (da non confondersi con l’herpes zoster, chiamato nello stesso modo nel linguaggio popolare), e un’altra, diffusa prevalentemente nell’Europa centro settentrionale, a decorso pseudo epilettico, con sintomi rappresentati da convulsioni, perdita dei sensi, delirio e allucinazioni.

Entrambe le forme sono state storicamente diffuse per secoli e forse millenni, ma nonostante ciò solo nel XVII secolo la scienza medica scoprì la causa dei fenomeni da intossicazione da Ergot” (G. Camilla, 2003, pag. 140).

L’ergotismo era quindi all’origine di tutta una fenomenologia in cui effetti psichici e comportamentali, spesso collettivi, si  affiancavano ad altri decisamente devastanti sul piano fisico.

Il Fuoco di sant’Antonio (come abbiamo visto confuso con l’herpes zoster per la coincidenza di alcuni sintomi, ma meno pernicioso) può essere suddiviso in:

Ergotismus convulsivus: sintomi neuroconvulsivi di natura epilettica, allucinazioni determinate dall’acido lisergico contenuti in alcuni sclerozi;

Ergotismus gangraenosus: cancrena, condizione in genere conseguente il convulsivus.

I fenomeni allucinatori determinati dall’Ergot, quando ancora non erano note le sue proprietà, venivano spesso correlati a situazioni soprannaturali: da qui il legame con la stregoneria e il satanismo.

Se pur in modo diverso, per molto tempo e fino al 1943 – quando Albert Hofmann scoprì gli effetti allucinogeni di alcuni alcaloidi dell’Ergot – l’ergotismo continuò per molto tempo a rappresentare una vera piaga sociale come le altre grandi epidemie (peste, colera, influenza, ecc.) comunque gli ultimi casi documentati in Europa risalgono al 1951!

L’ergotismo, per la tipologia patologica in cui convivono effetti psichici gravi e effetti fisici devastanti, ha profondamente agito sull’immaginario: anche se  non va escluso a priori che nella tradizione popolare le proprietà della Claviceps purpurea fossero note e sfruttate.

Per esempio, “nel folklore germanico esiste una credenza secondo cui “quando il vento scuote un campo di segale, il fenomeno sarebbe provocato dalla madre della segale o dal dente di lupo, una specie di demone che corre attraverso la segale in compagnia dei figli, i lupi della segale o cani della segale, mitici esseri soprannaturali dal terribile aspetto. Inoltre fra il lupo della segale e il lupo mannaro vi era una profonda affinità, tanto che nei paesi di lingua germanica si credeva che i lupi mannari si nascondessero proprio nei campi di segale” (G. Camilla, 2003, pag. 142).

Un’eco delle peculiarità dell’Ergot anche nel linguaggio popolare europeo in cui troviamo definizioni come: “Grano pazzo” o “Segale ubriaca”.

Vi è chi sostiene che l’ergotismo abbia causato più danni della peste: non sempre però è possibile stabilire con precisione l’entità dei fenomeni per la mancanza di documenti. Quando ciò è stato possibile, sono emersi dati sconvolgenti; per esempio, i casi studiati tra quelli verificatisi in Europa nella seconda metà dell’XI secolo, hanno portato alla luce una situazione estremamente drammatica: “le carni cadevano a brani, come li bruciasse un fuoco sacro che divorava loro le viscere; le membra a poco a poco rose dal male, diventavano nere come il carbone. Morivano rapidamente fra atroci sofferenze oppure continuavano, privi dei piedi e delle mani, un’esistenza peggiore della morte; molti altri si contorcevano in convulsioni” (D. Colella, 1969, pagg. 68-69).

Va inoltre aggiunto che non tutti i casi presentavano fenomeni patologici identici: per esempio, in Francia prevaleva la forma cancrenosa, mentre nell’Europa settentrionale e orientale a dominare erano gli effetti allucinatori.

  Il ruolo di sant’Antonio

L’ergotismo era anche detto “Fuoco di sant’Antonio” soprattutto in ragione della relazione tra questo personaggio e il suo ruolo di guaritore dell’invalidante patologia.

Infatti, il santo abate è indicato, nella maggior parte delle fonti agiografiche e folkloriche, come quel santo capace di produrre miracoli e di conseguenza guarire quell’ignis sacer che nell’antichità indicava varie patologie (tra le quali l’ergotismo).

L’importante ruolo riconosciuto a questo santo fu tale da determinare la creazione di un ordine di monaci, gli Antoniani, “che si dedicavano al soccorso degli storpi e dei pellegrini, ma che soprattutto assistevano i malati di fuoco sacro, compiendo anche l’amputazione degli arti, quando non cadevano naturalmente in seguito alla cancrena. Sulle porte degli ospedali degli Antoniani erano dipinte le fiamme, simbolo del fuoco che tormentava i malati di ergotismo” (P. Di Pietro, 1981, pag. 50).

Con la scomparsa dell’ergotismo, il “Fuoco di sant’Antonio” indicò l’Herpes zoster, patologia ancora oggi diffusa, anche se in misura minore che in passato: il santo continuò a essere il referente principale per la guarigione, secondo quelle modalità tipiche della medicina popolare.

I santi taumaturghi, come Antonio abate, hanno svolto e in parte svolgono ancora, una funzione determinante nella religiosità popolare; il loro intervento è espressione, a vari livelli, della penetrazione all’interno della dimensione terapeutica di valori eminentemente sacrali e miracolosi, che hanno il loro humus già nella cultura terapeutica precristiana.

Senza dubbio l’analisi scientifica del fenomeno si trova a urtare contro l’agiografia caratterizzante i santi taumaturghi, rendendo difficile l’approccio privo di condizionamenti, poiché sono chiamati in causa aspetti mistici, mitici e psicologici difficilmente separabili.

Dalla Vita Antonii, scritta da Atanasio d’Alessandria, Padre della Chiesa, apprendiamo che questo santo, indicato come “fondatore dell’ascetismo”, nacque intorno all’anno 251 nel medio Egitto. Figlio di benestanti, si allontanò da ogni prospettiva di ricchezza, iniziando una vita di rinunce, di preghiera e di penitenza, continuamente tormentato dagli attacchi dei demoni, che con ogni mezzo cercavano di trascinarlo sulla strada del peccato. Il suo primo rifugio fu una celletta, poi una tomba egizia, da ultimo si ritirò sulle sponde del Mar Rosso.

Dopo una vita esemplare, nel 356, all’età di 105 anni, restituì l’anima a Dio, dopo aver pregato gli amici di dargli sepoltura in un luogo nascosto, che non avrebbe mai dovuto essere svelato ad alcuno (la tradizione copta, siriaca e bizantina fissano il giorno della sua morte il 17 gennaio. La Bibliotecha Sanctorum ci informa che nel 561 fu scoperto il suo sepolcro tramite una rivelazione, e le sue reliquie furono trasportate in Alessandria. Nel 635, durante l’invasione araba in Egitto, i resti del santo furono trasportati a Costantinopoli e, poi, nel secolo XI furono portate in Francia da un crociato di ritorno dalla Terra Santa.

Pazzini considerava l’origine della tradizione sui poteri terapeutici di Antonio abate come metafora della fede di questo santo capace di condurre anche i pagani al Cristianesimo: “aveva una parola così suadente che molti compunti e infiammati rinunciavano completamente al mondo e lasciando ogni cosa, diventarono suoi discepoli” (A. Pazzini, 1937, pag. 270).

Popolarmente il santo è  raffigurato accanto ad un maialino: al di là del molteplici richiami simbolici spesso messi in campo a sproposito, più prosaicamente, va ricordato che il grasso di maiale era utilizzato come medicamento per lenire il bruciore dell’Herpes zoster.

Ancora oggi, il 17 gennaio, in numerose località italiane, si accendono torce e falò in onore di sant’Antonio abate: lasciando a latere le connessioni, vere o presunte, con rituali solstiziali e altre pratiche di tradizione agricola, constatiamo che tra questo santo e il fuoco vi è una parentela sostenuta certamente dai falò e simili, ma anche da immagini e modelli figurativi che hanno dato forma a un’iconografia sostanzialmente stereotipata.

In questa sede la figura del santo ci interessa per due motivi: il primo è dovuto al fatto che il taumaturgo era evocato contro l’ergotismo e a lui si lega l’Ordine degli Antoniani, che per molti secoli svolse un ruolo importante nella cura e nell’assistenza dei sofferenti degli effetti dell’ergot.

Il secondo si connette a quella fenomenologia nota come le “tentazioni di sant’Antonio”.

Si tratta di una serie di “prove” che il santo fu costretto a subire, resistendo agli assalti dei demoni che lo travolsero - con lusinghe ma anche percosse - durante il periodo in cui viveva in isolamento nel deserto.

Queste esperienze, se pur condizionate dall’agiografia, sono state oggetto di grande attenzione da parte dell’arte: infatti “Le tentazioni di sant'Antonio” sono uno tra i temi più amati dagli artisti del tardo medioevo.

Nella pittura, in genere, prevalgono demoni ibridi, frutto delle più perverse macchinazioni iconografiche, scaturite dalle ricostruzioni apocalittiche dell’arte del XV-XVI secolo.

La convinzione che il diavolo cercasse con modi anche grotteschi e con continue metamorfosi di strappare qualche anima, fu ampiamente diffusa già nei primi secoli del Cristianesimo, quanto Atanasio (295-373) vescovo di Alessandria, scrisse la Vita Antonii, in cui è descritta l’esperienza del nostro eremita.

Nel medioevo la figura del santo trovò ulteriore eco nella devozione  popolare, anche in seguito alla traslazione delle sue reliquie da Costantinopoli in Francia.

Alle reliquie fu poi riconosciuto il potere di guarire l'ignis sacer; come già indicato alla cura dei malati erano consacrati i volontari dell'Ordine degli Ospedalieri di Sant'Antonio, sorto nel 1095 e diffusosi tra il XII e il XIV secolo in numerose località europee.

Qualcuno si è domandato se le visioni diaboliche, in cui Satana prima si traveste per lusingare e condurre al peccato e poi si muta in persecutore, in realtà non rientrino nella scia delle allucinazioni indotte attraverso l’assunzione indiretta di sostanze stupefacenti.

Nel deserto, luogo di espiazione, ma anche territorio del peccato, Antonio, che aveva scelto come propria dimora una tomba, fu più volte tentato dal diavolo, ma, ci ricorda Atanasio, “il miserabile si adattava anche a trasformarsi di notte in una donna e a imitarla in tutte le maniere pur di sedurlo”.

In numerose occasioni demoni lo percossero, si trasformarono in mostri, ma senza sortire mai alcun effetto, lasciandolo ancora vincitore nella sua melanconica calma saturnina.

Si aggiunga che digiuno e astinenza, in aggiunta ad altri stati condizionanti, potrebbero aver influito nella formazione delle “visioni” di Antonio: non dimentichiamo che la fame è una tra le droghe più potenti!

La sottoalimentazione e il consumo di cereali si inquadrano nell’eziologia dell’ergotismo. Inoltre – ed è sempre Atanasio a darcene notizia – Antonio soffriva d’insonnia e sosteneva di essere attaccato dai demoni che lo lasciavano prostrato: tipica sintomatologia ergotica?

Sofferenze a allucinazioni che però in breve erano dimenticate e così Antonio poteva riprendere la sua normale esistenza.

I demoni e i mostri che trapuntavano le visioni di Antonio erano impalpabili, si dissolvevano quando il santo provava a toccarli; l’eventuale intossicazione era aggravata dalle carenze vitaminiche e proteiche, oltre che dalla disidratazione provocata dal clima desertico, inoltre “la sua dieta di solo pane poteva essere responsabile di un’intossicazione i cui effetti sono molto simili a quelli prodotti dall’Lsd, intossicazione che nella sua sintomatologia è troppo vicina a quella dell’ergotismo delirante per non destare sospetti” (G. Camilla, 2003, pag. 155).

Forse il pane consumato da Antonio era di farina di segale (il pane dei poveri) coltivata in Asia dal IV secolo e conteneva la Claviceps purpurea?

È un’ipotesi difficilmente dimostrabile, ma senza dubbio suggestiva, soprattutto se teniamo conto del ruolo di sant’Antonio nelle tradizione terapeutiche caratterizzanti l’ergotismo.

 

Nei secoli in cui parte dell’Europa occidentale fu travolta dal fenomeno della stregoneria, nei luoghi in cui la caccia fu più diffusa si registrarono sintomatologie tra le donne accusate di essere al servizio di Satana, caratterizzate da significative analogie anche in comunità molto lontane. Senza entrare nel merito delle visioni segnalate in seno alla stregoneria, in questa occasione ci soffermiamo esclusivamente sulla possibile influenza dell’ergotismo nelle credenze sulla stregoneria.

Abbiamo così modo di osservare che spesso numerose streghe (ma anche alcune delle loro vittime) presentavano caratteristiche interpretate come espressioni soprannaturali, ma che razionalmente possono rientrare tra i sintomi dell’ergotismo:

  1. disturbi del sistema nervoso centrale

  2. allucinazioni

  3. sintomi paranoidi

  4. tremori

  5. anestesie/parestesie

  6. modificazioni tratti facciali.

Anche in relazione al cosiddetto “marchio diabolico” (segno sulla pelle che gli inquisitori ricercavano come testimonianza oggettiva dell’appartenenza dell’imputato alla setta delle streghe) sono state suggerite alcune ipotesi che vanno nelle direzione dell’ergot. Comparando le testimonianze contenute nei documenti, in realtà è possibile evincere una possibile connessione tra alcuni presunti “marchi del diavolo” e gli effetti cancrenosi dell’ergotismo: ma si tratta comunque di un riferimento che non va oltre all’ipotesi di lavoro, di cui è difficile immaginare uno sviluppo sul piano scientifico.

Studi in questo senso comunque non mancano (G.L. Kittredge, 1929;  A. Mc Farlane, 1970) e hanno trovato numerosi sostenitori: tra i lavori più articolati quelli che hanno come soggetto i noti casi di Salem del 1691 (L. Caporael, 1976, pagg. 21-26), dove una serie di fenomeni di isteria collettiva potrebbero in realtà essere state originate dall’assunzione di allucinogeni presenti nelle farine contaminate.

Ci siamo qui limitati a un breve accenno alle problematiche relative alla relazione ergotismo-stregoneria, consapevoli che l’argomento da solo meriterebbe un libro. Andrebbe inoltre effettuata una valutazione in controcampo: cioè si potrebbe provare a pensare all’affermazione dell’idea della strega guardando però non all’imputata, ma alla vittima. Mettere quindi in primo piano gli eventuali malesseri della comunità, ma non quelli connessi alla patologia sociale (capro espiatorio), ma quelli che travolgono il corpo. All’origine vi poteva quindi essere anche l’ergotismo ma, ci sia concesso, di certo non solo questo…

 

Pain maudit

Point-Saint-Esprit è un villaggio francese con meno di diecimila abitanti, situato nella Linguadoca-Rossiglione: da qualche tempo si è liberato da un’aura di mistero che da alcuni decenni lo avvolgeva. Infatti sembrerebbe che l’annosa questione del Pain maudit acquisti una fisonomia più chiara. Quel pane, nell’agosto 1951, determinò un inquietante caso di follia collettiva nel villaggio francese. Almeno cinque persone morirono, decine furono rinchiuse in manicomio e centinaia diedero segni di delirio e allucinazioni.

Fino a tempi recenti, quell’episodio fu attribuito a una muffa con proprietà allucinogene che accidentalmente avrebbe contaminato la farina del pane. Insomma un fenomeno che ricorda le epidemie di ergotismo del passato. Ma nella primavera 2010 un reporter americano ha fornito alla pubblica opinione una versione decisamente controcorrente: all’origine della follia collettiva di Point-Saint-Esprit un esperimento della Cia. La notizia – tutta da verificare – è stata immediatamente rilanciata dai mass media di mezzo mondo: gli “007 contaminarono le baguette vendute nei forni del paese con Lsd, nell’ambito di un esperimento top secret di controllo della mente che dal 1953 al 1956 coinvolse anche migliaia di americani ignari, tra militari, studenti universitari e pazienti di ospedali” (“Corriere della Sera”, 13 marzo 2010).

Tra la popolazione, l’acido lisergico ebbe un effetto devastante: ci fu chi venne colto da delirio omicida; chi tentò di suicidarsi affermando di essere divorato da serpenti; un uomo convinto di essere un aeroplano si lanciò dalla finestra. Molte persone furono rese innocue con la camicia di forza.

Secondo questa versione, quella che molti considerano ancora l’unica, le baguette allucinogene sarebbero state prodotte con farina di segale con ergot. Vi fu anche chi ipotizzò  una contaminazione da mercurio. Oggi il tutto sarebbe riconducibile a “esperimenti” effettuati per testare l’Lsd (come è noto basato sulla sinterizzazione dell’acido lisergico dell’ergot): il “pane maledetto” sarebbe così divenuto l’ospite più adatto per verificarne gli effetti sull’organismo umano.

Hank P. Albarelli Jr., che all’argomento ha dedicato un libro destinato a fare molto rumore, sostiene che l’esperimento avrebbe avuto il ruolo di fornire elementi per l’utilizzo dell’Lsd come arma da guerra da usare con spie e prigionieri. Insomma un caso da incidente diplomatico che ha diviso la comunità scientifica: la maggior parte della quale continua a sostenere che quando accadde nell’agosto 1951 a Point-Saint-Esprit fu effetto di microtossine di muffe presenti nel magazzini in cui erano conservate le farine.

 

Un misterioso fenomeno italiano

In chiusura di capitolo ci soffermiamo su una vicenda alquanto singolare verificatasi nel XVI secolo alle porte di Bergamo e che alcuni studiosi indicano come un nostrano caso di ergotismo (R. Scotti, 2007). Si tratta di un caso articolato che in questa occasione riportiamo sinteticamente, rimandando allo studio di R. Scotti (op. cit.) per maggiori approfondimenti e per la bibliografia (Nota del webmaster: l'articolo di Riccardo Scotti è pubblicato in questo sito; immagini fotografiche cliccando qui).

L’area in cui si verificò il fatto è situata tra Verdello, Osio Sotto e Levate: qui, verso la fine del 1517,  numerose persone furono testimoni di strane apparizioni che allora, per le loro caratteristiche, suscitarono non poca inquietudine.

Sulla base delle testimonianze allora raccolte, gli eventi avrebbero avuto come fulcro la chiesetta di San Giorgio, situata in mezzo alla campagna e oggi ridotta a pochi ruderi.

Tentando di collazionale le varie fonti, si scopre che nella sostanza il tema dominante delle visioni si focalizza su “combatimenti de spiriti”. Nella Biblioteca Apostolica Vaticana è conservato il diario di un anonimo chierico francese che descrisse gli eventi; l’autore scriveva che, nel corso delle apparizioni, furono visti molti armigeri, a piedi e a cavallo, che combattevano tra loro.

In altre descrizioni e testimonianze si fa riferimento a due ombre senza testa e molto scure avanzare sulla neve e poi sparire (4 Gennaio 1518, Lettera di Antonio Verdello a Paolo Morosini, in M. Sanudo, 1879-1903, Diarii, 58 voll., Venezia, vol. XXV), fino a ricostruzioni non prive di enfasi:

“una quantità de animali, aquile nere, falconi, corvi ed altri animali sconosciuti” (Lettera di Antonio Manzoni da Este di Martinengo a Leonardo Alexis, giudice di Bernardo Bembo e podestà di Verona, in M. Sanudo, 1879-1903, Diarii, 58 voll., Venezia, vol. XXV, 4, 270);

“per tre o quattro volte el giorno si vede uscir fuora da certi boschi con grandissima et perfectissima ordinaza battaglioni di fanti di 10000 over 120000 per battaglia da ogni sorte di belle arme coverti” [S. d., s. A., Copia delle stupende et horribile cose che ne boschi di Bergamo sono a questi giorni apparse (pubblicato in forma di lettera spedita dal castello di Villachiara il 23 Dicembre 1517, da Bartholomeo de Villachiara al veronese Onofrio Bonnuncio). Poi si fa riferimento a un “Re con fierissimo aspetto” alla guida delle truppe combattenti: dopo lo scontro cruento tutto scompare senza lasciare tracce.

Le strane vicende registrate nella Bergamasca. Come prevedibile, furono dominio della mitologia popolare coeva, poi divennero oggetto di ulteriori esasperazione leggendaria con la tradizione colta romantica.

Numerosi i documenti reperibili negli archivi e nelle pubblicazioni, per un episodio tutto sommato marginale del mondo contadino italiano.

Mentre vi era chi tentava di dare una caratura profetica alle visioni dei verdellesi, non mancarono interpretazioni dirette a rivelare all’origine dei fatti la componente satanica.

Alla luce degli studi condotti comparando eventi locali coevi agli avvistamenti, sembrerebbe non improbabili che alla base dei fenomeni di allucinazione “collettiva” vi fosse l’assunzione di sostanze allucinogene contenute nel cibo.

Fondamentale in questo caso la carestia che travolse l’area in sui si verificarono le apparizioni: “la gente si cibava di tutto ciò che poteva essere mangiato, arrivando a estremi orribili. Nella migliore delle ipotesi, finite le scorte dei cereali normalmente usati per produrre farina e pane, si utilizzavano granaglie eterogenee recuperate nei campi e si arrivò anche a usare il loglio, erba graminacea che normalmente si usava e tuttora si usa, come foraggio per gli animali (…) I suoi frutti contengono alcaloidi e sono portatori (al 96% circa) di un micelio fungino tossico che, se si trova mescolato nei cereali alimentari, può produrre stati di stordimento e ubriacatura, arrivando a essere anche assai pericoloso” (R. Scotti, 2007, pag. 79).

Nella sostanza, l’uso del loglio, di erbe e di altri prodotti in diversa misura psicoattivi, potrebbe essere alla base delle visioni che nel 1517 si registrano nella Bergamasca.

Quella singolare fenomenologia era quindi l’effetto dei “sintomi sbalorditivi di profonda miseria psichica, di angosce paralizzanti, di permanente debilità intellettuale e di devastanti meccanismi allucinatori prodotti da un clima mentale e materiale profondamente  intossicato dagli spettri dell’invisibile, dalle erbe e dai grani che alimentavano quei corpi sofferenti e ammalati” (P. Camporesi, 1990, pag. 414).

Si aggiunga inoltre che la chiesetta di San Giorgio era un punto di riferimento importante nella geografia della medicina popolare: in questo luogo giungevano infatti molti malati che chiedevano di essere miracolosamente guariti da malattie gravi, che i cronisti dell’epoca indicano come peste e lebbra. Vi è però la possibilità che malattie indicate come “peste e lebbra” in realtà fossero patologie rientranti nella scia dell’ergotismo, conseguenza delle condizioni socio-sanitarie caratterizzanti allora la comunità.

In una situazione del genere anche le visioni farebbero parte della dinamica patologica di ergotismo e similari. L’allucinazione era uno degli aspetti della malattia la cui degenerazione poteva condurre alla morte. in questo senso è alquanto significativo che nelle fonti sui casi di Verdello si riferisca di testimoni morti dopo aver assistito alle “visioni”.

 

Bibliografia

Camilla G., Le piante sacre. Allucinogeni di origine vegetale, Nautilus, Torino 2003.

Camporesi P., La miniera del mondo. Artieri, inventori, impostori, Il Saggiatore, Milano 1990.

Caporael L., Ergotism: the Satan Loosed in Salem?, in “Science”, n. 192, 1976.

Centini M., Gli allucinogeni tra storia, mistica e magia, Xenia, Milano 2011.

Colella D., Le epidemie di ergotismo nell’XI secolo, in “Pagine di Storia della Medicina”, n. 13, 1969.

Di Pietro P., Le antiche patologie, in AA.VV., Cultura popolare dell’Emilia Romagna. Medicina, erbe e magia, Silvana, Milano 1981.

Kittredge G.L., Witchcraft in Old and New England, Harvard Univ. Press, Cambridge 1929.

Mc Farlane A., La stregoneria nell’Essex in epoca Stuart e Tudor, in M. Duglass, a cura, La stregoneria, Einaudi, Torino 1970.

Pazzini A., I santi nella storia della medicina, Mediterranea, Roma 1937.

Scotti R., Le apparizioni alla fine del 1517 nei pressi di Verdello, in “Altrove”, n. 13, 2007.

(Autore: Massimo Centini)

Sezioni correlate in questo sito:

http://www.duepassinelmistero.com/fuoco_di_sant.htm (G. Toro)

http://www.duepassinelmistero.com/Apparizioni.htm (R. Scotti)

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