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           Apparizioni nei pressi di Verdello (BG)

           durante le Tempora invernali del 1517

                                                                              (di Riccardo Scotti)

 

Verso la fine del 1517, nei pressi dell’oratorio di San Giorgio (situato tra Verdello, Verdellino, Osio Sotto e Levate, ed ora sul territorio di Osio Sotto, in provincia di Bergamo), furono segnalate ripetutamente delle apparizioni, che fecero grande clamore e determinarono il fiorire di opuscoli e foglietti a stampa, attraverso i quali, in poco tempo, si diffuse la notizia in Italia e in Europa. Le descrizioni delle apparizioni erano discordi tra loro, e riferivano della comparsa di due grandi eserciti capeggiati da re, che si affrontavano sui campi ricoperti di neve, oppure di monaci senza testa, che guidavano mandrie di maiali, o di animali fantastici, che s’affrontavano nel cielo.

In epoca a noi vicina, Mons. Luigi Chiodi affrontò il tema pubblicando, in più riprese, testi ed articoli sull’argomento, riportando anche la trascrizione di un opuscolo a stampa che le descrive (Chiodi, s. d. [1963]), e che fu diffuso all’epoca dei fatti.

                   

Riproduzione dell’opuscolo Copia delle stupende et horribile cose che nei boschi di Bergamo sono a questi giorni apparse (s. a., s. d., s. l.)

 

Chiodi, cita pure Celestino Colleoni (1617-1618), il quale afferma che tali apparizioni accaddero a Verdello, e commenta che Marin Sanudo fu più preciso, poiché, oltre a comunicare che di quei fatti se ne parlò a Roma in Concistoro (Sanudo, 1879-1903, XXV, p. 219), riporta due lettere, la prima delle quali fu spedita da Antonio Verdello (interessante la coincidenza del cognome di costui con il nome della località dove accaddero le apparizioni) dalla città di Brescia, in data 4 gennaio 1518, mentre la seconda fu spedita da Marin Saracho il 28 dicembre 1517 da Bergamo. Il commento di Chiodi è piuttosto scarno, rifacendosi alla situazione politica e sociale assai turbolenta che in quel periodo affliggeva tutta l’Italia con guerre continue, saccheggi e pestilenze varie, ed affermando che l’eccezionale eccitazione, che coinvolgeva tutti, è l’unica spiegazione plausibile di tali avvenimenti (Chiodi, s. d., p. 42). In un secondo intervento sull’argomento (Chiodi, 1984), lo studioso mette in relazione quegli avvenimenti con ciò che accadeva in quei tempi, quando le alleanze politiche si facevano e si disfacevano con la stessa disinvoltura ed imprevedibilità. Dominata dai veneti, la provincia di Bergamo era schiacciata dalle loro richieste di sussidio ed esposta alle scorrerie nemiche, soffrendo guerre, carestie e miseria, che inevitabilmente portavano alle pestilenze periodiche. A conclusione dell’articolo, Chiodi accosta la profusione d’animali descritti in alcune delle testimonianze, con un’altra apparizione dei primi del ‘500, ricordata da Bortolo Belotti (1959, vol. IV, p. 21) e descritta in una lettera inviata da Antonio Manzoni da Este, di Martinengo, a Leonardo Alexis, giudice di Bernardo Bembo, podestà di Verona. Nella lettera, si afferma che presso Bergamo apparvero in cielo delle aquile nere, dei falconi, dei corvi e altri animali mostruosi, grandi come avvoltoi, con testa e zampe di cane e artigli enormi, che per due ore combatterono tra loro, lasciando 33 morti tra le parti contendenti. Tra le vittime, solamente due erano di quegli animali mostruosi, e uno fu mandato al Senato dei rettori di Bergamo, mentre l’altro fu consegnato al pretore.

Ottavia Niccoli, nel suo studio sul tema (Niccoli, 1987), presenta una nutrita serie di documenti e testimonianze sull’argomento.

Il cronista Giuliano Fantaguzzi racconta di un libretto, che nel gennaio del 1518 circolava in Cesena, sul quale si narrava «de le visione e combatimenti de spiriti faceansi sul Bergamasco» (Riva, 1970). Nella Biblioteca Apostolica Vaticana, inoltre, si conserva il diario di un anonimo chierico francese, residente a Roma da molti anni, che negli stessi giorni scrisse sulle apparizioni nei pressi di Bergamo, descrivendo grandi quantità di armigeri, a piedi e a cavallo, che combattevano gli uni contro gli altri. Nello stesso momento, Marin Sanudo raccoglieva numerose lettere riguardanti la vicenda, che fu registrata anche nel Journal d’un Bourgeois de Paris. Il 12 gennaio dello stesso anno, Gian Giacomo Caroldo, segretario ducale veneto presso monsignor de Lautrec, scrivendo a suo fratello, si riferisce a quelle apparizioni in modo sprezzante, dichiarando che quanto riportato in merito alle apparizioni della bergamasca erano tutte menzogne. Secondo lo scrivente, infatti, alcuni “sempliciotti” avrebbero visto i fumi sopra dei mucchi di letame e, spaventati, hanno creduto di vedere dei guerrieri.

Gli opuscoli a stampa che circolarono in Italia sull’argomento, furono pubblicati almeno in due versioni, e poi tradotti in francese e tedesco. La descrizione delle apparizioni più ricca di dettagli fu quella pubblicata su un opuscolo intitolato Littera de le maravigliose battaglie apparse novamente in Bergamasca, privo di nome del tipografo, del luogo e della data di stampa. L’opuscolo è impostato in forma di lettera spedita dal castello di Villachiara il 23 dicembre 1517, da Bartholomeo de Villachiara. Nel testo si afferma che da otto giorni prima, a Verdello, per tre o quattro volte il giorno si videro uscire da un bosco formidabili battaglioni di fanti, cavalieri e artiglieria, che avanzavano schierati in perfetto ordine ed erano preceduti da tre o quattro principi, guidati da un sovrano. Questi vennero a parlamentare con un altro re, che li attendeva a mezza via, circondato dai suoi baroni e davanti alle proprie truppe. L’incontro non sortì buoni risultati, poiché il re, con aspetto feroce ed impaziente, si tolse il guanto di ferro e lo gettò in aria, e poi, voltatosi verso le sue genti, ordinò l’inizio della battaglia e allora cominciò un terribile strepito di trombe e tamburi, accompagnati da esplosioni d’artiglieria. Le due parti si affrontavano con fierezza ed impeto in una battaglia crudelissima, finché tutti finirono tagliati a pezzi. Dopo mezz’ora, tutto si acquietava, e chi aveva avuto l’ardire d’avvicinarsi, vide molti maiali che presto si addentravano nel bosco. Numerosi animali sono descritti anche da un altro testimone, il quale vide molte migliaia di pecore nere e bianche, poi moltissimi buoi bianchi e rossi, quindi tante copie di frati bianchi e neri e, infine, sotto la pressione della gente che lo circondava, gli parve di vedere un numero infinito di armigeri a piedi e a cavallo, molti dei quali armati di lancia, correndo in quei campi con carri di fieno. Le ultime due testimonianze, relegate nel poscritto, sono quasi completamente negative: un uomo guarda a lungo senza veder nulla e solo alla fine crede di distinguere due ombre senza testa e molto scure avanzare sulla neve e poi sparire. Alcuni si fanno arditi e s’avvicinano alla chiesa, ma senza vedere nulla d’insolito, ma altri che li osservano da lontano li vedono circondati da ombre. In conclusione, qualcuno si spaventò a tal punto da ammalarsi ed altri ne morirono. Lo scrivente, poi, afferma d’aver voluto verificare di persona e d’essersi recato sul posto con altri gentiluomini, accertando che al termine delle apparizioni non rimanevano altro che impronte di cavalli e di uomini, segni di carri e di fuochi, oltre a molti alberi rotti.

Niccoli, prosegue citando una lettera datata 8 gennaio 1518 (Cambi, 1786, tomo XXIII), che Francesco Guicciardini (allora governatore pontificio in Reggio Emilia) inviò dal bresciano a Goro Gheri di Firenze. Nella lettera si legge che in un luogo della Lombardia, in una spianata delimitata da boschi e campi, si vedevano giungere da una parte un grande re e dall’altra un altro re, con sei od otto signori al seguito, che s’incontravano per parlare un po’ e quindi sparivano. In seguito, per un’ora, due grandi eserciti combattevano tra loro. Questi fatti accaddero più volte, a distanza di tre giorni da una volta all’altra. Ci furono pure alcuni curiosi che vollero avvicinarsi a quegli armigeri, ma costoro caddero subito in malattia e qualcuno morì. A proposito della reazione degli abitanti che vivevano nella zona, il padre Gregorio, che comunica la notizia, scrive che ciascuno l’interpretava a modo suo, ma i più sensati la prendevano come il presagio che il re Francesco di Francia e il re Carlo di Spagna, sarebbero venuti in Italia a combattere fra loro per il controllo del Ducato di Milano.

La Niccoli, nomina pure la battaglia di Agnadello, in provincia di Cremona, combattuta il 12 maggio 1509, quando le truppe veneziane, guidate da Nicola Orsini e da Bartolomeo Alviano, furono vinte dalla cavalleria francese e dai fanti svizzeri guidati da Luigi XII. L’autrice pone in relazione le apparizioni di Verdello con la battaglia di Agnadello, ricordando che le due località non sono molto distanti (circa 30 chilometri) e che la memoria del cruentissimo scontro doveva essere ancora viva in quei dintorni.

Analizzando i documenti, con le rispettive date, l’autrice mette in evidenza come sia accaduto un graduale ma tumultuosamente rapido “aggiustamento” della descrizione degli avvenimenti, per ricondurla ad un modello specifico ed arrivare all’identificazione delle visioni con una manifestazione dell’esercito furioso. La data delle apparizioni sembra essere un elemento assai importante, giacché, come fa notare la Niccoli, secondo la Littera de le maravigliose battaglie, del 23 dicembre 1517, le apparizioni cominciarono otto giorni prima, cioè il 16 dicembre, che in quell’anno era il giorno iniziale delle Tempora d’Inverno. Le quattro Tempora, ma soprattutto quelle invernali, sono i periodi dell’anno in cui appare più frequentemente l’esercito furioso, un mito di derivazione germanica legato alle origini della stregoneria (Ginzburg, 1972; Centini, 2011), che fino a questo momento si supponeva non avesse quasi toccato l’Italia, ma che qui appare senza dubbio rievocato.

La Niccoli, però, ignora il lavoro del p. Donato Calvi (1676-1677), il quale, in Effemeride Sagro Profana ..., volume II, a p. 401, sotto il titolo Prodigi di natura, Mostri, Presagi, alla data 12 dicembre 1517, comunica l’avvenimento (derivandolo da Porcacchi nelle note al Guicciard. Celest. p. I. lib. 9. cap. 14. Lett. del C. Bartol. di Villachiara). La descrizione che fa, riferisce che in quello e nei giorni seguenti, nel cielo sopra Verdello e luoghi vicini, si videro ripetutamente degli strani portenti. Apparvero ordini di battaglioni che uscivano dal bosco, ciascuno dei quali formato da più di diecimila fanti, con mille armigeri per parte e un numero infinito di cavalieri, mentre l’esercito contrario aveva pezzi d’artiglieria pesante. C’erano capitani e re coronati, uno dei quali riverito da tutti, e ci furono trattative tra loro, ma alla fine il re si tolse il guanto e lo gettò in aria. Quel gesto diede via al clamore dei rumori e allo strepito delle artiglierie, con grida terribili e combattimenti feroci, tanto che le spaventose atrocità sembravano minacciare la caduta del Cielo. Questi avvenimenti, conclude il cronista, accaddero tre o quattro volte il giorno per più di una settimana, causando il terrore di tutti gli abitanti del luogo. Secondo il Calvi, quindi, le apparizioni cominciarono il 12 dicembre del 1517, data che corrisponde, approssimativamente, a quella dichiarata da Antonio Verdello nella sua lettera, cioè circa 25 giorni prima del 4 gennaio 1518, perciò attorno al 10 dicembre 1517. Il Verdello, però, non specifica per quanto tempo durarono quei fatti, lasciando intendere che la cosa proseguì a lungo, mentre il Calvi afferma che le apparizioni si protrassero per più di una settimana, comprendendo, in entrambi i casi, anche le Tempora d’Inverno.

Il 21 gennaio 1518, Leone X lesse ai cardinali riuniti in Concistoro alcune lettere che si riferivano delle apparizioni della bergamasca, probabilmente una copia manoscritta di quella di Bartolomeo di Villachiara e di altre. In quell’opportunità, il papa commentò che tali apparizioni prodigiose erano segnali che i turchi avrebbero invaso la cristianità, e che quindi bisognava prepararsi senza indugiare (Sanudo, cit.). In quegli anni, il tema della crociata contro il Turco ricorreva frequentemente, e spesso assumeva la forma di raccolta di elemosine e contatti diplomatici. Nel novembre del 1517, Leone X già meditava d’organizzare una lega dei principi cristiani contro il nemico ottomano e, con la sua autorità, unire tutte le forze sotto il vessillo della croce. Le apparizioni degli eserciti combattenti, in quel frangente, potevano essere considerate delle prefigurazioni e dei moniti alla prossima prevista lotta, e potevano essere utilizzate per preparare la via alla richiesta di nuove tasse.

Nello studio della Niccoli, appaiono evidenti tre livelli diversi: quello delle visioni, quello del mito e quello della propaganda. Per quanto riguarda il livello visionario e, parzialmente, anche quello mitico, emerge un apparente interclassismo dei fruitori, ma nelle classi più basse si può rilevare una maggiore attenzione alle visioni e una superiore capacità di elaborarle in forme complesse. Molto più netto, invece, è definito l’alto livello sociale e culturale di coloro che forniscono o accettano una lettura in chiave propagandistica. Particolarmente, a questo proposito, emerge il salto radicale di qualità, in corrispondenza del passaggio dall’ambiente laico e subalterno della pianura padana a quello ecclesiastico e di governo di Roma.

Giulio Caratelli (agosto 2005, p. 10), su Il Giornale dei Misteri, commenta le apparizioni mettendole in relazione con le così dette “infestazioni” di fantasmi, rilevando come le apparizioni sui campi di battaglia siano ritenute dei casi assai particolari e meno diffusi, rispetto a quelle “usuali”. In seguito, Caratelli riprende il tema (febbraio 2006, pp. 12-15), riportando nuovamente il caso di Verdello e avanzando diverse ipotesi: auto-suggestione, etero-suggestione verbale, suggestione collettiva dovuta a trasmissione del pensiero, immagini plasmate da un cervello umano dotato di qualità vibratorie speciali e proiettate nello spazio (teoria morselliana), un semplice fenomeno fisico (fata morgana, miraggio, ecc.), visione psicometrica, intervento spiritico. McCue (2004, pp. 86-104) cita altre ipotesi avanzate da pochi anni da alcuni studiosi (R. Musson, P. Devereux e altri, M. A. Persinger e R. A. Cameron), che teorizzano per questi fenomeni delle basi fisiche, asserendo la possibile causalità di natura geologica con componenti elettromagnetiche. Budden, inoltre, fa riferimento a persone “elettricamente ipersensitive”, che avrebbero la possibilità di “sondare” l’ambiente circostante e percepire “registrazioni” di epoche storiche passate, per mezzo di campi elettromagnetici che loro stesse emettono. La “teoria associativa” di Carington, infine, prevede la possibilità dell’esistenza di una cosiddetta “mente inconscia collettiva”, che sarebbe una sorta di memoria che conserva in sé le immagini e le idee che si sono associate spontaneamente. In questo senso, coloro che partecipano o assistono ad un combattimento, assocerebbero le caratteristiche specifiche del luogo alle percezioni sensoriali e ai sentimenti relativi alla battaglia. Col passare del tempo, se la topografia del luogo rimane sostanzialmente invariata, un successivo visitatore potrebbe percepire diversi elementi relativi al combattimento, conservati nella “mente inconscia collettiva”, e sperimentare allucinazioni uditive e visive. Tale teoria, inoltre, prevede la possibilità che, pur non essendo un determinato luogo la sede storica del combattimento, ma assomigliando morfologicamente a quella, si potrebbero percepire le allucinazioni (Caratelli, 2006).

Durante l’elaborazione del mio primo articolo su questo tema, un pomeriggio, ebbi l’occasione di commentare ad un’amica delle visioni accadute in prossimità della chiesetta di San Giorgio. L’amica, non avendo mai saputo di quei fatti, si sorprese molto e, senza conoscere i dettagli della storia, mi raccontò che una decina di anni prima aveva l’abitudine di frequentare quei posti in cerca di solitudine. Un anno, nell’occasione della notte di san Lorenzo, quando in agosto si rendono visibili le “stelle cadenti”, desiderando osservare il cielo senza l’interferenza delle luci artificiali dei centri abitati, assieme ad un amico decise d’andare nei dintorni della chiesetta. Giunti vicino ai resti della chiesetta, tra i rami più alti di un albero, notarono due grosse luci di colore rosso e dalla forma tondeggiante. Le luci, che scomparvero e riapparvero varie volte, si trovavano nella parte alta della pianta e, da una rapida valutazione, i due si resero conto che nei dintorni non vi erano fonti luminose che potevano originarle, quindi, spaventati, decisero d’allontanarsi dal luogo.

Qualche ora dopo, la stessa sera, commentai di quanto stavo scrivendo sulle apparizioni ad un altro amico che, visibilmente sorpreso, mi raccontò che una sera d’Inverno, trovandosi a passare in automobile da quelle parti, assieme ad altri amici, vide dei bagliori provenienti da dietro alcuni cespugli poco lontani. Incuriositi, decisero d’andare a vedere di cosa si trattava, e arrivarono in prossimità di una radura dove, con grande sorpresa, videro un grosso falò attorno al quale c’era una quindicina di persone. Il guidatore decise d’illuminare la scena con i fari dell’automobile, e uno dei personaggi si girò verso la vettura. I cinque amici, rimasero fortemente impressionati nel vedere chiaramente la figura di un incappucciato con un tridente in mano che si stava dirigendo verso di loro e, cosa assai inquietante, sotto il cappuccio non era visibile alcuna testa. Senza indugiare oltre, a quel punto, l’autista mosse rapidamente la vettura allontanandosi immediatamente dal posto.

Il fatto che questi racconti facciano riferimento al luogo dove nel ‘500 avvennero le apparizioni e il dettaglio che i relatori non conoscevano tali avvenimenti, mi paiono elementi piuttosto significativi e, pur prendendo in considerazione degli elementi come la “suggestione” personale o di gruppo, quanto meno trovo strana una coincidenza così evidente con gli uomini senza testa descritti dai testimoni antichi.

Proprio questi ultimi avvenimenti, descritti nel mio primo articolo sul tema (Scotti R., 2004), pubblicato sull’annuario della “Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza” (SISSC), furono motivo d’interesse da parte di un gruppo di ricercatori del “Laboratorio Interdisciplinare di Ricerca Biopsicocibernetica”, che si occupa di studiare in modo rigorosamente scientifico le molteplici fenomenologie che si verificano nell’interazione tra la mente, il corpo, la società umana e l’ambiente. I ricercatori, stimolati dai resoconti degli accadimenti recenti, vollero incontrarsi con me per conversare sul tema, e quindi effettuare un sopraluogo sui ruderi dell’oratorio, chiedendo di poter intervistare anche i testimoni di mia conoscenza. Durante il sopraluogo, furono fatte delle riprese fotografiche normali, dopo di che si procedette ad effettuare delle riprese nella banda dell’infrarosso. I risultati ottenuti, apparentemente privi di anomalie, ad un’attenta analisi mostrarono qualcosa d’inaspettato. Un solo fotogramma della serie ad infrarossi, infatti, presentava una figura fuori fuoco e visibilmente incoerente con il paesaggio ripreso, apparentemente opaca agli infrarossi e, con ogni probabilità, altamente riflettente. In ogni modo, tutte le considerazioni fatte su questo reperto, a tuttora (giugno 2011), non hanno chiarito l’origine di quella figura. I risultati dello studio, assieme alle immagini in questione e ad alcune sorprendenti elaborazioni cromatiche, furono pubblicati (Ferrini A., Melloni S., Bilucaglia M., aprile 2011), mettendo in evidenza delle marcate similitudini con l’immagine di un personaggio coronato con il braccio alzato. La figura, pertanto, fu messa in relazione con il re iroso che nelle descrizioni del 1517, dopo aver parlamentato, lanciava il guanto in aria e dava il via alla battaglia furiosa. Partendo dal presupposto che i ricercatori avevano ben chiare, a livello del subconscio, le immagini descritte dai resoconti cinquecenteschi, fu avanzata l’ipotesi che loro stessi abbiano creato inconsciamente le condizioni “sistemiche” per il prodursi del fenomeno stesso. In altre parole, si sarebbe venuta a creare una forma d’interazione tra mente e materia che, in qualche modo, avrebbe riorganizzato in forma intelligibile le molecole dei gas presenti sul posto.

Gli autori che fin qui ho citato, in ogni caso, non hanno preso in considerazione alcuni elementi che personalmente reputo di notevole importanza, nel tentativo di chiarire quegli avvenimenti.

La prima osservazione che voglio fare, riguarda il luogo dove accaddero quegli avvenimenti, che gli autori dicono essere Verdello. In realtà, attualmente, la chiesetta di San Giorgio si trova sul territorio di Osio Sotto, che confina con i territori di Levate e Verdellino, ma non con quello di Verdello. Fino agli anni “50 del secolo passato, infatti, per secolare tradizione, il 23 aprile, data della commemorazione di san Giorgio, la popolazione di Osio Sotto andava ad officiare nella chiesetta dedicata al santo, che era tenuta in grande venerazione per i morti della Peste sepolti nel luogo. Ogni anno, poi, nei tre giorni antecedenti la festa dell’Ascensione, la gente tornava in processione alla chiesetta per chiedere la pioggia o il bel tempo necessario alla campagna, e ottenere buoni raccolti. Queste pratiche, ancora diffuse in varie zone della Lombardia, sono chiamate “Rogazioni” e cominciavano la mattina di buon’ora, appena dopo il levare del sole, per permettere ai partecipanti di tornare in tempo per la ripresa delle attività quotidiane (Paganini, 2002).

Vista dei ruderi dell’oratorio di San Giorgio in direzione di Verdello. La sequenza fotografica è stata effettuata il giorno della ricorrenza dell’inizio delle apparizioni del 1517, che in quell’anno corrispondeva all’inizio delle Tempora d’Inverno (fotografia di R. Scotti, 16 dicembre 2005).

Vista dei ruderi dell’oratorio di San Giorgio in direzione di Verdellino (fotografia di R. Scotti, 16 dicembre 2005)

Vista dei ruderi dell’oratorio di San Giorgio in direzione di Osio Sotto (fotografia di R. Scotti, 16 dicembre 2005)

Vista dei ruderi dell’oratorio di San Giorgio in direzione di Levate (fotografia di R. Scotti, 16 dicembre 2005).

Un aspetto importante che non è stato analizzato, inoltre, è quello inerente alle eventuali relazioni che intercorrono tra il luogo in cui si verificarono le apparizioni (nei dintorni e sopra la chiesetta campestre dedicata a San Giorgio), e le scene descritte dai testimoni. La dedicazione della chiesa ad un santo guerriero, infatti, mi pare un’altra coincidenza piuttosto significativa.

 

Il culto di San Giorgio

Il culto di san Giorgio di Lydda, diffusosi fin dall’antichità, non trova riscontro nei dati biografici che lo riguardano, ma la leggenda più antica su di lui afferma che, ufficiale delle milizie in Cappadocia, distribuiva i beni ai poveri e, rifiutandosi di sacrificare agli dei, si dichiarò cristiano. Per questo, nel III secolo fu condannato al martirio da Daciano, imperatore dei persiani, ma, nonostante i numerosi tentativi, gli incaricati non riuscirono ad ucciderlo, anzi, molti di costoro si convertirono e furono martirizzati a loro volta. Tra i numerosi prodigi, resuscitò il magister militum Anatolio, convertendolo con le sue schiere di soldati, che furono passati a filo di spada e, alla fine, fu decapitato, promettendo protezione a chi avrebbe onorato le sue reliquie. La leggenda della fanciulla liberata dal drago per opera di Giorgio, invece, sorse successivamente, probabilmente ai tempi dei crociati. Per tutto il Medioevo, in Inghilterra, s’intensificò il culto a lui dedicato e Riccardo I, durante la terza crociata, affermò d’aver visto il santo con lucente armatura guidare le truppe cristiane alla vittoria e, ancora oggi, la croce rossa di san Giorgio, in campo bianco, orna la bandiera inglese. San Giorgio, inoltre, è protettore dei cavalieri, dei soldati, degli arcieri, degli alabardieri, degli armaioli, dei piumaroli (costruttori di elmi), dei sellai, ed era invocato contro i serpenti velenosi, la Peste, la Lebbra e la Sifilide e, nei paesi slavi, contro le streghe. In Occidente fa parte del gruppo di santi Ausiliatori, la cui intercessione, secondo la tradizione popolare che si fa risalire al XIV secolo, è particolarmente efficace in determinate necessità (Balboni, 1965, pp. 512-532). Il santo, inoltre, è indicato come il patrono dei soldati, dei guerrieri e dei cavalieri, ed è invocato nei combattimenti. La descrizione del santo lo vede in tutto lo splendore della sua giovinezza, con l’aspetto di un guerriero rivestito di un’armatura scintillante, montato su un magnifico destriero e combattendo il dragone.

La figura del santo e le sue gesta, sembrano quasi essere state all’origine delle descrizioni fatte dai testimoni delle apparizioni. In particolare, i riferimenti alle spade e ai soldati che durante la battaglia si videro tagliati a pezzi sembrano riferirsi alle schiere di soldati di Anatolio, che furono martirizzati a filo di spada. I ripetuti richiami, poi, ai grandi eserciti, ai soldati armati, ai battaglioni di fanti, ai cavalieri, alle artiglierie, alle alabarde, alle mazze, alle lance e alle spade, pare un elenco delle attività di coloro che lo hanno assunto come protettore. La visione di Riccardo I che, durante la crociata, vide il santo con lucente armatura guidare le truppe cristiane alla vittoria, ricorda da vicino i racconti dei “visionari” verdellesi. Il racconto di Antonio Verdello, infine, che descrive la presenza degli eserciti combattenti nei dintorni della chiesa dedicata a San Giorgio e poi, in forma ancor più spettacolare, nell’aria sopra il tetto dell’edificio, sembra essere un chiaro riferimento al patronato del santo guerriero.

Un altro aspetto, non ancora indagato a sufficienza, è quello inerente al fatto che san Giorgio è uno dei 14 santi Ausiliatori, che s’invocavano (e tuttora s’invocano) in occasione di grandi calamità naturali, e specialmente contro la Peste. Le grandi calamità naturali, come le guerre, le carestie, le pestilenze e i contagi, erano conseguenti le une delle altre e nella zona, all’epoca delle apparizioni, furono frequentissime. Alle guerre seguivano le carestie e alle carestie le pestilenze con i vasti contagi. Il Belotti (cit., vol. IV, p. 21), tra le altre, ricorda la carestia del 1502 che, specialmente tra le classi più povere della bergamasca, arrecò gravi danni alla salute pubblica e causò, l’anno seguente, un’epidemia di Peste, che si prolungò fino al 1506.

 

Intossicazioni alimentari?

Durante le numerose carestie, la gente si cibava di tutto, arrivando ad usare anche il Loglio, l’erba graminacea usata come foraggio per gli animali. Un tipo di Loglio, detto anche “Zizzania”, si distingue per i grani che per grandezza s’avvicinano a quelli del Frumento e, perciò, si possono facilmente confondere. I suoi frutti contengono alcaloidi e sono portatori di un micelio fungino tossico che, se si trova mescolato nei cereali alimentari, può produrre stati di stordimento e “ubriacatura”, arrivando ad essere assai pericoloso.

Camporesi (1990), descrive come fin dall’antichità, in tutta l’Italia cerealicola, vi furono vari casi in cui si verificarono “colossali sbornie collettive”, con manifestazioni di frenesie e atti demenziali, dovuti all’uso di pane “alloiato”. Sicuramente, la tossicità del Loglio e di altri vegetali usati nell’alimentazione ebbe la sua incidenza sulle strutture mentali e sull’immaginario fantastico collettivo, facendovi nascere immagini di incubi e sogni meravigliosi. Nell’alimentazione della gente povera, inoltre, erano compresi il pane di Papavero e il pane di Canapa, e il Solatro era considerato un cibo rinfrescante ma, per l’incapacità di distinguere le sue varietà tossiche, questo era causa di pazzia e morte. Dall’osservazione dei maiali che a volte se ne cibavano e dalla susseguente sperimentazione sulle persone, si conoscevano anche gli effetti allucinatori derivati dall’ingestione di semi dello Stramonio (ancora oggi conosciuta come “Erba del Diavolo”).

Con il termine “Ergotismo” si designa l’intossicazione cronica che si contrae a causa dell’ingestione di prodotti derivati da cereali contaminati dal fungo Claviceps purpurea, che in francese e inglese si dice Ergot. Il cereale maggiormente contaminato da questo fungo e la Segale, e la spiga su cui crescono gli sclerozi bruno-violacei a forma di corno è detta “Segale cornuta”. Questa malattia, che popolarmente è chiamata anche “Fuoco sacro” o “Fuoco di sant’Antonio”, nel passato assunse frequentemente la forma di paurose epidemie, manifestandosi in due maniere diverse, il tipo cancrenoso e quello convulsivo.

Il tipo convulsivo, è caratterizzato da un decorso cronico e i sintomi assumono spiccatamente un carattere nervoso, con accessi convulsivi e spasmi tonici, specie degli arti. Le crisi, che possono provocare anche la morte per asfissia, si ripetono ad intervalli regolari e sono accompagnate da violenti dolori. I disturbi psichici, che possono manifestarsi anche tardivamente, comprendono anche allucinazioni visive e idee deliranti accompagnate da angoscia. Nell’Ergotismo, il tipo cancrenoso si manifesta sempre più frequente nei climi caldi e quello convulsivo nei climi freddi. Si ha motivo di ritenere che i malati di Ergotismo, data la variabilità e la gravità delle manifestazioni morbose, fossero ritenuti lebbrosi o pestosi e perciò ricoverati negli xenodochi, dov’erano contagiati, presentando così aspetti sintomatologici più vari e atipici. Pensando che a quell’epoca vi erano molte altre epidemie, si può comprendere come sotto la denominazione di Lebbra o di Peste, potevano comprendersi svariate affezioni dermatologiche, così come coloro che erano affetti da particolari forme nervose o neuropsichiche potevano essere considerati invasati dalle divinità malefiche (Colella, 1969, pp. 68-77).

Secondo le informazioni enunciate in Tossicologia Forense e Chimica Tossicologica (Lodi, Marozzi, 1982), alcuni studi hanno stabilito che quando 1.000 chicchi di cereali contengono 1-3 sclerozi di Ergot, si può produrre intossicazione (Lodi, Marozzi, cit., p. 409). Durante l’uso sperimentale controllato del LSD, sono state osservate convulsioni accompagnate da vari sintomi, tra cui incoscienza, ansietà acuta, panico e perdita d’identità. Il recupero, generalmente, si verifica nel giro di molti giorni e i “viaggi” spiacevoli sono particolarmente frequenti fra i soggetti sopra i 35 anni. Un altro fenomeno osservato è il così detto flashback, che si ripete frequentemente dopo l’uso cronico del LSD. Questo fenomeno consiste nel verificarsi spontaneo di stati allucinatori che possono accadere mesi ed anni dopo l’ultima ingestione di LSD (Lodi, Marozzi, cit., p. 413).

Alla luce delle informazioni sopra esposte, quindi, le diverse testimonianze sulle visioni del 1517, dove si commenta di molte persone rispettabili, che dopo aver assistito a quelle apparizioni s’erano ammalate o erano morte, ci autorizzano ad ipotizzare delle malattie riconducibili alle intossicazioni alimentari accidentali. Inutile soffermarci, infine, sulle descrizioni delle visioni che, nella loro varietà e tipologia, potrebbero facilmente essere indotte dall’ingestione di sostanze allucinogene.

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Bibliografia

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S. A., Littera de le maravigliose battaglie apparse novamente in Bergamasca, s. d., s.l..

S. A., Copia delle stupende et horribile cose che ne boschi di Bergamo sono a questi giorni apparse, s. d., s.l..

(Autore:Riccardo Scotti)

 

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