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La fenice e la palma (di Umberto Capotummino*)

L’iconografia e il simbolo della fenice sono stati associati alla palma sin dalla tradizione degli antichi egizi, e arrivati sino a noi attraverso il deposito culturale cristiano. La fenice posta sulla palma la ritroviamo a Roma nella basilica di Santa Prassede, nel catino absidale (817-824 d.C.) e precisamente sulla palma di sinistra, su un ramo volutamente più lungo.

                                           

 

La Palma infatti è un simbolo presente nel vangelo di Giovanni:
Cristo risorge dal sepolcro otto giorni dopo il suo ingresso in Gerusalemme montando sopra un asinello e un puledro d'asina, secondo la profezia di Zaccaria (9,9), sul dorso dei quali due discepoli, mandati dal Messia stesso, avevano riposto " i loro mantelli", allusione a un cambiamento di stato a servizio della regalità di Cristo, mentre moltissimi della turba gli andavano incontro con "rami di palma" (Giovanni 12, 13). Simbolo ripreso da I Maccabei (13,51) dove si racconta che i seguaci di Simone, capo dei Giudei (142-135 aC.) accompagnano il condottiero vittorioso con delle palme, nell'ingresso alla cittadella di Gerusalemme. Immagine ripresa ancora da Giovanni  nel descrivere il trionfo dei nuovi eletti in cielo:

"Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nella mani".( Apocalisse 7,9)


A Santa Prassede  la fenice è rappresentata su un piccolo nimbo luminoso. La cultura cristiana ne ha fatto l'emblema del Cristo-sole risorto. Ritroviamo la fenice nimbata anche nella chiesa dei santi Cosma e Damiano (526-530) d.C.) nel catino absidale, nuovamente su una palma(vedi foto sotto). Quest'albero è connesso ai riti di rinascita di ascendenza egizia: Orapollo, direttore al tempo di Zenone (474-491d.C.) della scuola egizia di Menouthis, presso Alessandria -secondo quanto riportato da Suida- investigava sui simboli dei geroglifici e scriveva a proposito della palma:

" Perchè di tutti gli alberi, questo solo produce un nuovo ramo a ogni novilunio, così che nei dodici rami l'anno è completo " (I Geroglifici 1,3).


Anche nel testo allegorico L'asino d'oro, Apuleio di Madaura (170 d.C.) interpreta la nascita iniziatica di Lucio, posto dinanzi al simulacro di Iside alla presenza del popolo, vestito di dodici veli unitamente al simbolo della palma:"Nella mano destra portavo una fiaccola ardente e una corona di foglie di candida palma, che stavano a guisa di raggi, mi cingeva magnificamente il capo. Ornato a somiglianza del sole e fermo come una statua, repentinamente tirati via i veli, il popolo mi veniva attorno per vedermi".( Libro XI cap.24) Inoltre Apuleio fa narrare a Lucio che nelle processioni dei mistici figuranti gli dèi, Anubis scuoteva nel rito una palma nel guidare le anime:

 " Portava con la sinistra un caduceo, nella destra scuoteva una verde palma " (Ibidem cap.11).

Da questi riscontri possiamo inquadrare la fenice come l'immagine del sole mistico splendente sulla sommità dell'albero, simbologia  analoga al quella del tempio del sole, nel quale, per la tradizione egizia riportata da Erodoto (II 73) dicesi che la fenice

  “ Venga dall’Arabia portando l’uccello padre avvolto nella mirra, va al tempio del sole e ivi lo seppellisce”.

L’uovo di mirra qui appare in guisa di ipostasi solare, le cui implicazioni escatologiche riappaiono  nel testo gnostico L’origine del Mondo, (Trattato II,5 di Nag Hammâdi, 330-340) dove  a commento delle parole del salmo ebraico 92,13 sta scritto: “ Il giusto crescerà come una fenice ” ora la fenice prima appare viva, poi muore, e risorge nuovamente, essendo essa un segno per colui che si manifesterà al termine dell’eone -

L’eone di cui si parla è concepito su base senaria “ tra l’ogdoade e il caos ” come riporta lo stesso testo, nel descrivere le redenzioni della luce che si volge nel tempo, sino alla manifestazione del Logos supremo. L’ogdoade, che evoca il numero otto, ci riporta alla originaria concezione egizia della città di Ermopoli, nella quale i teologi avevano elaborato la dottrina secondo la quale Thoth, governando otto entità complementari, aveva dato vita agli inni magici tramite i quali si attivava il mutamento nel seno dell’anno rituale. Mutamento e trasformazione strettamente legati alla rinascita di Osiride che –quale fenice-  risorgerà all’interno dell’Occhio sacro nella città di Eliopoli, quest’ultima relata alla nuova codificazione animata dai nove dèi, come riportato dal Libro dei Morti degli antichi egizi alla formula 125:

 "La mia purità è quella del Gran Bennu (Fenice) che è a Herakleopolis ( la città del bambino re) poiché io sono le nari del soffio che fa vivere gli uomini, il giorno in cui L’Occhio si riempie in Eliopoli".

 *Rimando il lettore interessato al libro da cui ho tratto queste note e di cui sono autore: L’occhio della Fenice, Sekhem Editore (n.d.w.: libro del mese di gennaio '08 su questo sito).

 Umberto Capotummino   

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                                                                     gennaio 2008