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      Altri Sator...

                                                                 (di Marisa Uberti)
                                                  Certosa di Trisulti (FR) e Fabriano (AN)

Quando si inizia ad occuparsi di un argomento, sembra che esso stesso ci voglia invitare a rimanervi, sottoponendoci ulteriori indizi, offrendoci opportunità, venendoci quasi incontro spontaneamente. In questo periodo in cui abbiamo visitato il Sator di Pieve Terzagni(CR) e quello di Palazzo Benciolini (VR), abbiamo poco dopo avuto l'occasione di fare nuovi incontri con due esemplari di SATOR molto interessanti. Il primo è quello dipinto in affresco su una delle pareti della farmacia dello splendido complesso della Certosa di Trisulti, nel comune di Collepardo (FR), che abbiamo visitato personalmente. L'altro ci è stato cortesemente segnalato da Balilla Beltrame,  webmaster del sito  http://www.lumornia.com e si riferisce all'esemplare inciso su una campana della chiesa di Santa Maria in Plebis Flexiae, presso Fabriano (AN). Sicuramente distanti per cronologia, esecuzione, geografia, questi esemplari mostrano la costante di un palindromo che non può essere stato messo 'a caso' in quel contesto.

Il Sator di Trisulti (FR)

E' situato lungo il breve corridoio della parete destra della strabiliante farmacia della Certosa, complesso monumentale del tutto particolare cui vorremmo, in una sezione a parte, poter dedicare uno spazio adeguato per illustrarlo. Qui ci dobbiamo 'limitare' a parlare della farmacia, in cui è presente il dipinto con il SATOR...Cosa che richiede comunque un minimo di conoscenza dei fatti inerenti il complesso. Ad esempio, si deve considerare l'assoluto isolamento in cui è sempre stata immersa la certosa (la strada che vi arriva oggi, è stata aperta alcuni anni successivi alla II guerra mondiale), cosa che ha favorito sicuramente lo sviluppo di conoscenze profonde e segrete nei vari campi del sapere, da parte dei monaci certosini.

Il toponimo 'Trisulti' sembra derivi dalla presenza di un castello di proprietà della famiglia Colonna -smantellato nel 1300- che si chiamava 'Trisalto' (Tres saltibus), forse perchè ubicato su una delle tre alture boscose, a sentinella dei tre valichi che immettevano nella provincia di Campagna, nell'Abruzzo e nel Regno di Napoli. Il toponimo dette il nome a tutta la zona e, nei secoli, si identificò con la presenza della Certosa, che si trovava ad occidente del castello.

La Certosa, dal 1947 gestita dai Cistercensi di Casamari, nacque come benedettina tra il 986 e il 996 d.C., ad opera del frate eremita Domenico, che fondò diversi cenobi tra l'Abruzzo, l'Umbria e il Lazio, in un arco di tempo esiguo. Il nome 'certosa' deriva dall'Ordine dei Certosini, fondato da  Bruno o Brunone (ca.1030-1101) nel 1084, quando egli si ritirò con sei compagni nella valle di Chartreuse, presso Grenoble, da cui la denominazione. Qui Bruno fondò un monastero dove condusse con i suoi una vita cenobitica e al contempo solitaria, che caratterizzerà il suo Ordine.

La costruzione della chiesa e della certosa  di Trisulti risale al 1204, per volere del papa Innocenzo III, che la consacrò il 17 luglio 1211, con la dedicazione a San Bartolomeo, alla Vergine Assunta e a S. Giovanni Battista. Vi collocherà i certosini a partire dal 1208.

Arrivare al complesso è già una meraviglia per i sensi, che si perdono nel fitto della vegetazione, immaginando a cosa approderanno. E ciò che li aspetta è qualcosa che le parole non rendono a fondo:alla certosa bisogna andarvi, per capire. Oltrepassato l'ingresso, sulla cui facciata è presente una caditoia che la dice lunga, si accede al complesso monastico, che è sterminato ed articolato in numerosi edifici, che paiono ruotare attorno alla chiesa, collocata -almeno approssimativamente- nel centro virtuale.

La farmacia è situata a sinistra, entrando dal viale di accesso della certosa permesso al pubblico.

In antico, la spezieria si trovava al piano terra e venne sopraelevata tra il 1763-70. E' preceduta da una scalinata, ai lati della quale si estende un giardino bellissimo, sia a destra che a sinistra, separato da un vialetto centrale. Oggi vi si trovano delle siepi modellate in forme 'piacevoli e capricciose' ma un tempo era l'orto botanico, dove il fitoterapista della certosa coltivava erbe e piante medicinali. Un luogo magico... Le fonti ufficiali dicono che "c'è sempre stato qualche religioso incline a conoscere le virtù terapeutiche delle erbe, deputato a preparare rimedi salutari a confratelli malati".  Ma appare evidente, osservando le vetrine della magnifica farmacia, che la competenza dei frati andava ben oltre. Lo confermerebbe anche una relazione del protomedico Domenico Anda, nel 1671 (1), il quale scrisse che la trovò ben fornita di medicamenti e droghe ben composti "più di quello che richieda la lista delle 'rerum petendarum', cioè delle cose indispensabili di cui ogni spezieria era dotata. Un fatto curioso è che il titolare della farmacia -a quel tempo-non era un religioso e nei registri questa figura è indicata come speziale 'salariato'. Troviamo invece come farmacista 'matricolato', ai tempi dell'esecuzione dell'affresco del SATOR da parte di Filippo Balbi (1806-1890), proprio un religioso: Fra Benedetto Ricciardi.

Il Balbi dipinse anche la grande Immacolata Concezione che ci accoglie sulla parete centrale del portico antistante la farmacia. A destra, entrando, si trova un salottino detto 'degli ospiti', dove sostavano i clienti o gli ospiti. E' stato completamente dipinto dal Balbi, che ci ha tramandato le seguenti parole:" A destra di chi entra trovasi un salottino, un vero gioiello di arte. Ivi, quando vedi, è opera mia:intagli della suppellettile, ornati, disegni, dipinti, tutto. Ti raccomando poi di non levarti il cappello, com'è avvenuto a tanti altri, innanzi a quel dipinto in fondo al salottino, e che ti viene incontro sorridendo come persona viva. Egli si chiamava Fra Benedetto Ricciardi".

Il frate sembra che esca dalla porta:incredibile prodezza prospettica del Balbi!

Questa figura di monaco resse la farmacia della certosa fino al 1863, quando morì. In questo luogo tutto emerge come da un profondo mistero, che ha forse la sua chiave proprio nel SATOR, che è il re degli enigmi.

                       

Il Balbi, napoletano di nascita, deve avere attinto, stando ospite nella certosa per moltissimi anni, numerosi segreti dell'Arte che qui si praticava, forse legata all'Alchimia. Nella certosa è attestato tra il 1854 e il 1859 ma continuò a vivere in zona e lavorarvi fino al 1884. Morì nella vicina ed enigmatica cittadina di Alatri nel 1890 (è sepolto nella chiesa degli Scolopi, oggi chiusa al culto). Era amico di Fra Michelangelo, il dispensiere dei monaci, di cui fece un ritratto in cui lo vediamo con le mani poggiate su una brocca di rame. Il Balbi dimostra di avere ben presente l'attività della farmacia: spettacolari i recipienti di erbe medicinali che ha dipinto su una mensola, con tanta prospettiva e rilievo da sembrare reali e il boccione contenente acqua scala e gli effetti di luce in essa. Si dice che l'artista si alzasse a mezzanotte, mentre tutto taceva, e si preparasse il caffè per mantenersi sveglio nella lettura di libri che lo appassionavano: due tazzine da caffè sono dipinte sotto due mensole, nel salottino. Due, non una. Significa che forse il Balbi non era solo a bersi il caffè e ad istruirsi in quella farmacia? Che questo pittore fosse assetato di conoscenza, pare confermato dal fatto che, quando passeggiava, annotava ogni cosa che lo colpiva per bellezza o effetto di luce. Sicuramente un'osservazione dei fenomeni naturali, della natura stessa, lo ha condotto verso i segreti alchemici, esplorati dai monaci. I più diversi temi ritratti dal Balbi sono una conferma: flora e fauna vive da sembrare eternamente vegete, ma anche nature morte, animali domestici, bambini giocosi, e la testa anatomica (sulla quale emergono una quarantina di figure umane in diversa posa, interpretate come lo sforzo che ogni muscolo compie, ogni tendine nell'armonico movimento della testa), premiata all'esposizione di Parigi del 1856 e qui in copia, e molte figurazioni trompe l'oeil di vario tema. Sul pavimento, una enorme clessidra alata inscritta in un cerchio, attorno alla quale sono disposti i nomi delle virtù umane (ma non solo teologiche):costanza, saggezza, moderazione, verità, sincerità, obbedienza, pazienza, compassione, perseveranza, fedeltà, perfezione, rettitudine...

Al centro, la scritta "Memini, volat irreparabile tempus" ("Ricorda, il tempo vola irreparabilmente"). Esternamente, sfere e cuori concentrici, in bianco e rosso.

Uscendo dal salottino, incontriamo gli atteggiamenti umani e anche il ritratto di un ragazzino -inserito nella specchiatura di una porta- che aveva aiutato il Balbi ad Ischia, vestito umilmente ma con l'espressione fierissima. C'è spazio anche per l'aquila che ghermisce la sua preda... Riteniamo che tutti questi dipinti vadano analizzati simbolicamente, tuttavia in questa sede è impossibile.

                                                    

Un pendolo settecentesco sta al centro della parete del corridoio, e mostra il Tempo personificato, che muove gli occhi ad ogni oscillazione.

A destra di questo singolare strumento, troviamo degli armadi espositivi, in cui sono visibili le scatole di faggio che contenevano le diverse erbe medicinali mentre in un armadietto chiuso si conservano le boccette di quei liquidi pericolosi, che possono essere tossici se usati maldestramente. Troviamo anche arnesi complementari all'attività dello speziale, come filtri, setacci, pestelli, etc.

Perchè il Balbi dipinse il palindromo del SATOR, appena usciti dal salottino, a destra? Perchè lo ha dipinto proprio sotto il ritratto di un'erma, che rappresenta un fauno con grandi orecchie a punta? Ma non solo: lo sfondo è immerso in una natura selvaggia e verdeggiante, e il monumento usato dal Balbi per imprimervi il SATOR ricorda una pietra squadrata. Sotto il palindromo, quasi ad indirizzare lo stralunato visitatore, c'è la frase "Ma il cambiar di Natura, è impresa troppo dura". Il fauno è coperto di pelo, è a metà strada tra l'umano e la bestia, coronato di pampini. Una sorta di zoccolo caprino scende dalla sua spalla sinistra; sul petto striscia -forse -una salamandra (o un piccolo rettile tipo una lucertola), la cui coda filiforme sfiora appena una firma (o cos'altro?) che non è Balbi, ma Abanil o Abanie: che significa? Il nome del satiro o un anagramma da risolvere? (2). Da sotto la barba, pare spunti una coda di topo. Riteniamo che dietro questo volto possa nascondersi un personaggio reale, forse il Balbi stesso o un frate della certosa. Sulla parete, in corrispondenza della frase rimata, in basso, da notare una frattura che la attraversa (ben visibile nell'immagine sottostante, in alto a destra).

Scrive l'amica e studiosa Anna Giacomini (3):"  Non vi sarebbero dubbi sul fatto che Balbi conoscesse molto bene il significato del quadrato magico. Se Dio ha creato l'uomo e l'uomo deve passare attraverso le opere e le leggi del Demiurgo per ritrovare la via divina e ruotare dal Creatore verso il Creatore, la sua essenza materiale deve mutare ed egli deve uscire dalla sfera di controllo del Demiurgo, quindi deve mutar natura". Ecco perchè l'artista avrebbe apposto quella frase sotto il palindromo del SATOR. A chi è concesso di poter mutare di natura? Questo sembra saperlo colui che si cela dietro le sembianze del fauno o satiro, con quello sguardo implacabilmente inclemente verso gli avventori e i soffiatori, ma eloquente per gli umili e penetrante per gli iniziati ai segreti della Natura. Forse non è un caso che proprio di fronte a questo dipinto, sull'opposta parete, vi sia un affresco che ritrae da un lato la vanità umana e dall'altro il fanciullo di Ischia, scalzo, sporco, disarmante nella sua semplicità e povertà materiale, mentre regge la sua anfora, con un grande cappello rosso che ne tradisce la semenza sapienziale.

Il Balbi nasconde dunque ancora molti enigmi. Della sua vita prima dei 48 anni si sa ancora pochissimo. In seguito, oltre alla certosa di Trisulti, lavorò per una committenza prettamente religiosa; pare infatti che gli unici temi profani li abbia realizzati per questa farmacia. E' implicito che anche nei temi teologici, possa aver introdotto delle simbologie ermetiche. Si sa che lavorò in Francia e che nella casa-madre dei Certosini, a Chartreuse(Grenoble), siano conservate alcune delle sue opere. Egli si è autoritratto nella scena del Sacrificio dei fratelli Maccabei, situato nella chiesa della certosa di Trisulti, a sinistra dell'ingresso. In primo piano, indica con la mano destra il simulacro del dio Apollo (secondo alcuni, indicherebbe un calice/Graal in mano ad uno dei personaggi...), mentre con la sinistra regge una pergamena arrotolata ed un libro, che fa notare con l'indice, e dove è vergata la sua firma. Altri due ambiti alquanto singolari in cui si è fatto ritrarre sono due fotografie: in una (v. foto sotto) è accanto alla sua Testa anatomica, che sta additando (gesto che gli era, a quanto pare, consono!), nell'altra ha le mani reggenti un teschio, ingabbiate in un tessuto estensibile reticolato. Decisamente il suo concetto dell'arte era di tipo iniziatico e sapienziale.

(Immagine di pubblico dominio)

Va detto che il Balbi dipinse ("con perfetta ed armonica tonalità di colori") anche numerose etichette per i vasi farmaceutici conservati nella Sala principale della Spezieria, che si trova nel locale di sinistra, rispetto all'ingresso della Farmacia; fu realizzata da un autore sconosciuto, Giacomo Manco, che non doveva essere digiuno di ermetismo, visto quante e quali simbologie ha saputo profondere nel proprio lavoro. Troviamo Aurora, la dea del mattino dipinta sulla volta, centralmente, poggiante i piedi sulla sponda di un cocchio; Giove -provvisto di fulmine-seduto su un aquila lanciata in volo, nella crociera rispondente alla porta d'ingresso, sul suo trono a forma di tempio sorretto da cariatidi; Mercurio, alla sua destra, con il caduceo- che ne è il geroglifico; e poi ancora Diana, Giunone, Minerva, Venere, ed Esculapio, il dio della Medicina, che ritroviamo seduto su una conchiglia, ritratto in prospettiva, sul banco della vendita: con la destra sorregge il Caduceo, simbolo della medicina. Accanto, su un piano più alto, la Musica e la Geometria, nell'inferiore, la Giustizia e la Guerra. Singolare... Sul pavimento, un grande Caduceo con la scritta "Pharmacon". Le pareti della Spezieria sono rivestite da scansie le cui mensole sono decorate in oro zecchino e paiono risplendere; sono state realizzate nel 1783 dall'intagliatore Giuseppe Kofler. Le vetrine, chiuse, mostrano innumerevoli vasi contenenti ciascuno un ingrediente diverso. Compreso il rosso cinabro...

Alla guida della Farmacia, morto Fra Benedetto Ricciardi, venne posto Fra Giovanni Lorini, laureatosi in alta medicina nel 1854 e ritratto da Filippo Balbi (ancora lui...) in un particolarissimo contesto in cui il personaggio è definito 'Il Saggio' (non sappiamo se fosse proprio il Lorini o se a questi fu soltanto dedicata l'opera). Si tratta di una 'bizzarria artistica', come la definì il Balbi stesso: su tela attaccata con la colla sopra la superficie di un tavolino circolare è dipinto un anziano ma vivace 'saggio', contornato da fogli dipinti su cui sono segnati versi, sentenze, aforismi, riflessioni personali o tratte da opere letterarie che il Balbi conosceva e che forse gli avevano fatto da guida morale. La stessa che in via ipotetica potrebbe aver voluto trasmettere ai posteri.

     

Le notizie storiche sono state desunte dalla guida 'La certosa di Trisulti', Collepardo(FR) di don Atanasio Taglienti (1987), Edizioni d'Arte Marconi, 2002.

Il SATOR sulla campana a Fabriano (AN)

Ebbene si! Il Sator che andiamo a conoscere è inciso su una campana ed è sicuramente un contesto molto interessante. Sono infatti noti solo due esemplari di Sator incisi su campana, di cui di uno abbiamo poche notizie (si troverebbe a Canovaccio (comune di Urbino, PU), nella Chiesa di S. Andrea in Primicilio). Ci fa dunque molto piacere avere ricevuto la segnalazione del Sator sulla campana dell'antica chiesa di Santa Maria de Flexie, presso Fabriano (AN), da parte di Balilla Beltrame, che ha scritto un articolo in merito, consultabile al link:  http://www.lumornia.com/sator.htm dove è possibile vedere l'unica fotografia disponibile del suddetto esemplare, che riproduciamo qui per gentile concessione, insieme ad uno stralcio del suo articolo:

                                                   

 "Risale al 1412, inciso su una campana: cosa più unica che rara al mondo.[...] Un luogo magnetico. Su uno spazio sacro piceno, poi romano, ricco di acque perenni, fortificato nel Medioevo, sorge l’antichissima pieve di S. Maria de Flexie su una collina del torrente Riobono, in località Torre Cecchina, di Fabriano (AN), nel trivio di strade preromane che collegano l’Agro sentinate col Piceno ed i valichi appenninici umbro marchigiani. Il primo documento risale al 1160. Parrocchia fino al Quattrocento, conservò per secoli il titolo di pieve. Per un certo periodo avrebbe ospitato una comunità di Templari per l’ausilio a viandanti e pellegrini. Nelle carte antiche è citata come Fressia, Frezza, Frissia, Flìscane col significato di “svolta di una strada”, più probabile, “deviazione dalla strada principale”. In questo caso, dal diverticolo della Via Flaminia. Ebbe ampi poteri su un vasto territorio ancor prima della nascita delle ville di Marischio e Melano, dei castelli di Filello, di Collalto, della Bastia.

Il SATOR sulla campana (oggi custodita altrove), di S. Maria de Flexie, fu inciso in bassorilievo su una superficie rettangolare anziché quadrata, orientato verso Levante, Gerusalemme. Per gli appassionati del simbolismo dei numeri, diremo che il rapporto tra i lati genera il numero decimale periodico 0,77777… Un particolare degno di nota: la prima e l’ultima “S” sono scritte chissà perché, in senso contrario. Il pievano fece incidere il SATOR verosimilmente come amuleto di antica memoria. Lo conferma, la dichiarazione di gratitudine a Dio riportata sullo stesso bronzo: Anno domini MCCCCXII mentem santam spontaneam deo et patriae liberationem.

È improbabile e fuori tempo massimo dunque, il collegamento della campana coi Templari*, come ipotizzano alcuni studiosi, a meno che non sia rimasta negli anziani della valle la memoria della loro presenza. Comunque sia andata, propongo un’altra ipotesi. Sapendo che per le edificazioni di chiese, cattedrali, abbazie, palazzi avevano l’esclusiva i “mitici” Mastri comacini, questi sì, depositari di segreti sulle tecniche di costruzione più antiche e di altro ancora, molto attivi nell’Italia Centrale, allora, potrebbero essere loro i fabbricatori della campana?

È risaputo, la naturale religiosità della gente di campagna accettava ogni tipo di protezione magico-sacrale. Durante la stagione dei raccolti c’era, ma forse c’è ancora, l’abitudine – addensandosi nuvole di piombo cariche di pioggia – suonare a distesa i bronzi benedetti per “sciogliere” la grandine, indebolire la piovuta, difendersi insomma dalla carestia. Una campana che aveva oltretutto, il quadrato del SATOR, emanava una potenza moltiplicata contro i devastanti temporali dell’estate. È nato spontaneo e memorizzato da generazioni, il canto propiziatorio in dialetto: "Signore fa che piôa senza viénto e senza grànnola e qué tampìri" ("Signore Iddio fai piovere, senza però il vento forte e la grandine, e che non faccia troppo caldo"). I secolari assilli del contadino".

*Vedi www.fabrianostorica.it

 
Continueremo ad occuparci del SATOR e dei luoghi in cui esso si trova, con la consapevolezza che altri ne restino da studiare e da scoprire.
Guardate il nostro video sul Canale Youtube Rotas e Sator: muti segreti

NOTE:

1)-La farmacia della Certosa era soggetta alla visita regolare dello "Spetiale dell'archispedale di S. Spirito di Roma.

2)- L'amico Giulio Coluzzi fa notare che il nome potrebbe ricollegarsi ad Abante, del quale esisterebbero diverse figure mitologiche, tra le quali quella più calzante, a nostro modesto avviso- è riferita al "figlio di Ippotoone e di Meganira, che un giorno dileggiò Demetra per averla sorpresa a bere con avidità, e per vendetta lei lo trasformò in lucertola. La lucertola si trova sul petto della figura barbuta, ed il nome è scritto sulla sua coda. A questa metamorfosi potrebbe riferirsi il "cambiar di natura" dell'iscrizione"(v. http://www.angolohermes.com/Luoghi/Lazio/Collepardo/Trisulti.html)

3)-"Sator, codice templare", Edizioni Penne e Papiri (Media Aetas, collana di studi medievali, 11), 2004

 

Sezioni correlate in questo sito:

Il magico quadrato, il Sator (pagina madre)
Il linguaggio dell'Alchimia

 

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                                                                   Aprile 2010