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                                                       Trasformazioni animali e piante magiche

                                                                              di Gianluca Toro

                                                                          -   3^ e ultima Parte   -

 

Atropa belladonna

E’ diffusa in quasi tutta Europa, nei boschi di latifoglie, nelle radure, lungo i sentieri boschivi. In alcune zone è avventizia o naturalizzata, data la sua coltivazione a scopo medicinale protrattasi per centinaia di anni. E’ stata (e in alcuni casi è) utilizzata come narcotico, diuretico, antispasmodico, analgesico, antisecretivo, in oculistica per dilatare la pupilla e come broncodilatatore per curare l’asma.
Il nome belladonna deriverebbe dall’uso come cosmetico da parte delle donne italiane del Rinascimento; infatti, la tintura della pianta applicata sugli occhi dilatava le pupille, rendendo così lo sguardo più brillante e attraente. Un’altra interpretazione vede in questo nome il riferimento a una “signora”, in particolare una signora della foresta e del mondo vegetale in generale o ad un gruppo di esseri magici femminili relazionati con la morte, le pratiche di cura e divinatorie. Tali figure sarebbero poi state assimilate a quella della strega.
La belladonna è forse la più importante pianta associata alla stregoneria. La prima descrizione risale al 1542, sotto il nome di solanum somniferum; il medico J. WIER afferma che gli italiani la chiamavano faba inversa.
Ad essa sono legate diverse leggende. Una di queste racconta che è custodita ogni notte dal diavolo, il quale la lascia solo nella notte di Valpurga (vigilia del I maggio) quando si reca al sabba sul picco del Brocken sulle montagne dell’Harz in Germania. In quella notte, la pianta si trasforma in una bella e mortale incantatrice.
Una specie confondibile con la belladonna è S. nigrum. Sarebbe analgesica e sedante ed è stato riportato anche un effetto afrodisiaco.

Datura stramonium

E’ diffusa in tutta Europa, anche se in alcune regioni è avventizia effimera. Cresce su terreni incolti, smossi e ruderali e ha applicazione come antispasmodico e antiasmatico.
L’origine dello stramonio è discussa. Alcuni sostengono che sia originario del Mar Caspio, che fosse sconosciuto nell’antichità classica e che sia stato introdotto in Europa nel Basso Medioevo; sembrerebbe comunque che lo stramonio fosse conosciuto in Europa a partire dal XVI secolo. Si afferma anche che la collocazione storica dell’uso dei preparati delle streghe sia precedente all’introduzione della pianta in Europa o che comunque sia entrata a far parte degli unguenti solo in epoca tarda. Per esempio, L. FUCHS nel Kreuterbuch del 1543 cita solo D. metel e non D. stramonium.
Il termine stramonio deriverebbe da stremonia (o stramonia) che significa “stregoneria”, “magia”, e risalirebbe al ‘200; gli autori del XVI secolo riportano anche l’espressione pomum spinosum. Oltre che a D. stramonium, il termine “datura” potrebbe riferirsi a D. metel.
Lo stramonio avrebbe potuto essere l’ “erba delle vertigini” che la strega Circe, secondo OMERO, dava agli uomini per trasformarli in bestie e pare che le streghe italiane preparassero con questa pianta una polvere che, mescolata al formaggio, facevano mangiare ai viaggiatori, dopo averli attirati con una trappola. Erano così trasformati in bestie da carico per il trasporto di bagagli; terminato il viaggio, la strega ridava loro forma umana. Le streghe rubavano le galline addormentandole con il fumo dei semi della pianta, usati anche per combattere la stregoneria e il malocchio. Era considerato il cibo principale del sabba; se i partecipanti vedevano la datura in una casa, vi si avvicinavano senza timore, poichè pensavano che vi abitassero persone simili a loro.
Secondo DELLA PORTA, lo stramonio induceva trasformazioni immaginarie.

Hyoscyamus spp.

H. albus (giusquiamo bianco) è diffuso nelle zone ruderali di tutto il Sud Europa, mentre H. niger (giusquiamo nero) cresce in luoghi ricchi di azoto, presso ricoveri di animali, immondezzai e incolti in tutta Europa, tranne che nelle aree più settentrionali. Il giusquiamo nero trova posto in numerose farmacopee come sedativo, antispasmodico e antiasmatico.
Spesso denominato hyoscyamus (ma anche jusquiam o jusquiana), nella medicina popolare era usato per combattere il mal di denti, mettendo la pianta sotto il cuscino o respirando il fumo dei semi posti su carboni ardenti; sembra che questa pratica inalatoria fosse diffusa a tal punto che è stata ipotizzata una derivazione da una lunga tradizione europea. Come per altre piante della stessa famiglia, il giusquiamo permetteva anche di scoprire i tesori.
Si tratta di una tra le più importanti piante delle streghe della tradizione europea. Già nel XIII sec. A. MAGNO considerava il giusquiamo una pianta delle streghe, il cui uso dimostrava che una persona praticava la stregoneria, fatto riportato anche da A. LONICER nel Kreüterbuch del 1582:

“Le vecchie donne abbisognano di questa erba per incantesimi, esse dicono, chi portava con sé la radice era solito restare invulnerabile” .

Le streghe erano accusate di impiegarlo in riti magici, divinazioni, per compiere azioni malvagie, scatenare tempeste, controllare gli spiriti e come afrodisiaco.
Per esempio, in caso di grande siccità si immergeva il gambo della pianta in una fonte e si aspergeva con esso la terra arida, mentre durante i riti iniziatici le streghe davano da bere ai giovani una bevanda preparata con il giusquiamo. In un processo del 1648 una strega fu accusata di aver dato questa pianta a un contadino per ritrovare un bue perso. Inoltre si riporta che una strega della Pomerania aveva reso pazzo un uomo dopo aver messo dei semi di giusquiamo nella sua scarpa e in un processo una strega ammise di averli sparsi tra due amanti, in modo che si odiassero. Per indurre febbri, si ponevano sotto il letame (in estate e con la luna calante) giusquiamo e alloro; alla successiva luna calante, i lombrichi che ne erano nati venivano ridotti in polvere e così impiegati. Le streghe sfruttavano anche il fumo dei semi per addormentare le galline e rubarle.
Le proprietà afrodisiache e psicoattive del giusquiamo erano ben conosciute durante il periodo dell’Inquisizione, tanto che le streghe, prima di essere bruciate, bevevano a scopo narcotico una pozione preparata con i semi della pianta.



Mandragora spp.

M. autumnalis e M. officinarum sono presenti nel vecchio Mondo; la prima si trova in zone ruderali, siepi e incolti, mentre la seconda nei boschi di latifoglie (solo in Italia settentrionale e Jugoslavia).
La storia della mandragora, pianta magica per eccellenza, è così ricca e complessa da meritare una trattazione a parte. In questa sede ricordiamo soltanto alcuni dati essenziali.
M. autumnalis o M. officinarum erano impiegate nella magia amorosa, per prendere decisioni favorevoli, diventare invisibili, trovare tesori nascosti, ma anche in medicina contro ulcere, bruciature, infiammazioni, artrite.
Per le sue supposte proprietà afrodisiache, era un componente di filtri amorosi e secondo L. CATELAN, che scrive nel 1638 l’opera Rares et curieux discours de la plante appelée mandragore, il succo di mandragora rende invisibili le streghe, ingannando così i sensi; in questo modo possono rubare indisturbate i mobili nelle case o rapire i neonati durante l’allattamento. Era anche data ai torturati o ai condannati al rogo come anestetico.

Le Solanaceae psicoattive contengono principalmente gli alcaloidi tropanici scopolamina (ioscina), iosciamina e atropina.
Nella belladonna predomina la iosciamina, con piccole quantità di scopolamina e noratropina; in genere, nella pianta fresca non si trova atropina. Nelle bacche immature e nei semi predomina la iosciamina, nel frutto maturo l’atropina; nelle foglie fresche vi è traccia di apoatropina, mentre nella radice si trova cuscoigrina (mandragorina). Il contenuto in alcaloidi totali è maggiore per le piante che crescono su terreno fertile e ad altitudini elevate.
Per lo stramonio, nella pianta fresca e in pieno sviluppo la iosciamina è predominante. Troviamo anche scopolamina, scopina, scopolina e apoatropina. Il contenuto in alcaloidi totali e il rapporto scopolamina/iosciamina varia molto con lo stadio di sviluppo, le parti e le varietà botaniche della pianta. Per esempio, nelle prime fasi del ciclo vegetativo nelle foglie predomina la scopolamina, mentre nelle fasi successive prende il sopravvento la iosciamina.
Rispetto alla belladonna, il giusquiamo nero presenta una percentuale media di alcaloidi inferiore ma il rapporto scopolamina/iosciamina è maggiore. Sono stati isolati anche atropina, apoatropina e cuscoigrina. Per il giusquiamo bianco, vale quanto detto per il giusquiamo nero; d’altra parte, la percentuale di alcaloidi totali può essere maggiore. Sono stati isolati anche norscopolamina, aposcopolamina e noratropina.
I dati fitochimici per Mandragora spp. si riferiscono quasi esclusivamente a M. officinarum. Essa contiene per lo più iosciamina e quantità minori di scopolamina, noriosciamina e cuscoigrina; questi dati valgono probabilmente anche per M. autumnalis.
Per il genere Solanum, ricordiamo gli alcaloidi solanina, solanidina, solasodina, solanocapsina e tomadina, concentrati maggiormente nelle parti verdi. In particolare, la concentrazione di solanina varia molto a seconda dei diversi stadi di sviluppo, parti e varietà chimiche della pianta.
Altri composti biologicamente attivi (come diterpeni, flavonoidi e cumarine) sono stati isolati dalle Solanaceae psicoattive. E’ possibile che tali composti, pur non avendo un’azione diretta sul Sistema Nervoso Centrale, modulino l’attività degli alcaloidi tropanici psicoattivi (in sinergia o antagonismo) per quanto riguarda il meccanismo d’azione, le vie di assorbimento e i processi di biotrasformazione.
Essenzialmente, ad alte dosi atropina e scopolamina producono irritabilità, disorientamento e allucinazioni, mentre a dosi più basse l’atropina ha per lo più azione eccitante e la scopolamina sedativa o narcotica. Le allucinazioni sono per lo più visive (ma sono state registrate anche allucinazioni uditive e tattili) e consistono in sequenze di oggetti non molto diversi da quelli reali e senza variazioni di colore. In diversi casi, tali allucinazioni sono state descritte come terrificanti. Rispetto agli allucinogeni classici (psilocina, mescalina e LSD), gli alcaloidi tropanici contenuti nelle Solanaceae psicoattive mostrano effetti psichici e un meccanismo di azione farmacologica distinto. Per questo motivo, alcuni studiosi hanno definito gli alcaloidi tropanici come “delirogeni”, in quanto indurrebbero una condizione simile al delirio, principalmente con obnubilamento della coscienza, perdita della valutazione critica della realtà e idee persecutorie. Inoltre, sono sempre presenti sintomi fisici e spesso si ha amnesia parziale o totale dell’esperienza.
L’intossicazione da belladonna determina calore e secchezza delle fauci, diminuzione delle secrezioni ghiandolari, difficoltà a inghiottire e a parlare, arrossamento e tumefazione del viso, dilatazione della pupilla, visione indistinta, brillantezza degli occhi, battito cardiaco accelerato e irregolare, sete intensa, vertigini, tremori, atonia parziale o totale, anestesia, sedazione, cefalee ma anche diarrea, nausea e vomito. Per dosi più alte, compaiono sintomi psichici o psicomotori, con desiderio di moto, perdita di controllo, furia e violenza, risate deliranti, crisi di pianto, attacchi maniacali violenti, aumento della sensibilità, dell’eccitazione psichica e del desiderio sessuale, fantasie erotiche, allucinazioni, stati estatici e deliranti e soprattutto un senso di leggerezza e la percezione di volare. In particolare, le allucinazioni sono descritte come angosciose, minacciose, tetre, cupamente spaventose, demoniache, infernali; si tratta in definitiva di uno stato potentemente visionario, giudicato talmente spiacevole da non essere sperimentato di nuovo. L’esito può essere comatoso, fino alla morte per paralisi respiratoria preceduta da apatia e diminuzione della sensibilità cutanea. In definitiva, l’intossicazione da belladonna ha una maggiore predominanza della componente tossica rispetto a quella allucinogena.
Per stramonio, giusquiamo e mandragora, le sindromi sono simili. Nel caso dello stramonio, sembra che non vi sia arrossamento del viso e accelerazione del battito cardiaco. Per il giusquiamo, si hanno spesso tumefazioni, eritemi ed esantemi. Ad ogni modo, le differenze più significative si registrano per gli effetti psichici, a causa del maggiore contenuto in scopolamina rispetto alla belladonna.
In particolare, è interessante considerare i risultati di un’autosperimentazione con inalazione dei fumi prodotti dalla lenta combustione di semi di H. niger, condotta dal tossicologo G. SCHENK nel 1948. Egli allucinò un vero e proprio sabba delle streghe:

“Mi si strinsero i denti e una rabbia vertiginosa s’impossessò di me. So che tremavo dal terrore, ma so anche che ero pervaso da un peculiare senso di benessere, collegato alla pazza sensazione che i piedi mi stavano diventando più leggeri, espandendosi e liberandosi dal corpo (questa sensazione di graduale dissoluzione del corpo è tipica dell’avvelenamento da giusquiamo). Ogni parte del mio corpo sembrava andarsene per suo conto. La testa cresceva indipendente, più grande, e la paura che potesse staccarsi s’impadronì di me. Nello stesso istante provai un’intossicante sensazione di volare. La spaventosa certezza che la mia fine fosse vicina a causa della dissoluzione del mio corpo era controbilanciata da una gioia animale per il fatto di volare. Mi librai in volo dove le mie allucinazioni – le nuvole, il cielo che si abbassava, mandrie di bestiame, foglie che cadevano e che non assomigliavano più alle normali foglie, nastri ondeggianti di vapore e fiumi di metallo liquido – stavano turbinando”.

La sindrome indotta dagli alcaloidi presenti in specie del genere Solanum è caratterizzata da dolori addominali, diarrea, vomito, spossatezza, mal di testa, raramente collasso cardiocircolatorio (con esito mortale), apatia, agorafobia, convulsioni, disturbi della visione e allucinazioni.
In definitiva si tratta di specie molto tossiche e rischiose da utilizzare, di conseguenza il dosaggio doveva essere controllato molto precisamente per ottenere un determinato effetto, senza contare che l’uso frequente perturberebbe la mente in modo permanente. Un modo per evitare un dosaggio eccessivo era quello di applicare l’unguento contenente questi ingredienti mediante, per esempio, un manico di scopa. In questo modo, raggiunto uno stato di incoscienza, il manico di scopa sarebbe caduto e avrebbe evitato un maggiore assorbimento.
L’illusione di essersi trasformati in animali rientrerebbe tra gli effetti sperimentabili mediante l’impiego di allucinogeni ed è modulata sia dalle caratteristiche psicofisiologiche personali dello sperimentatore che dall’ambiente fisico e culturale in cui si svolge l’esperienza.
E’ significativo a tale proposito quanto riportato dallo psichiatra C. NARANJO che somministrò harmalina a un soggetto. Quest’ultimo pensava di essere un uccello, un pesce e poi:

“ Adesso non ero un pesce, ma un grande gatto, un tigre. Benchè mi muovessi sentendo la stessa libertà che avevo sperimentato come uccello e pesce, libertà di movimento, flessibilità, grazia. Mi muovevo come un tigre nella selva, gioiosamente, sentendo il suolo sotto i piedi, con il senso della mia propria forza; il mio petto era aumentato di dimensioni. Allora, mi avvicinai a un animale, uno qualunque. Vidi solo il suo collo e allora sperimentai ciò che percepisce un tigre quando guarda la sua preda”.

Rispetto al fenomeno della licantropia, consideriamo alcune descrizioni di intossicazioni da Solanaceae psicoattive.
Nel 1677, J.M. FABER in Strychomania descrive un’intossicazione da belladonna caratterizzata da secchezza delle fauci, visione ottenebrata, tremori, spasmi, debilitamento, discorsi incongrui, delirio, allucinazioni.
J.M.ARENA scrive, relativamente a un’altra intossicazione da belladonna:

“La prima manifestazione è una quasi immediata sensazione di secchezza e bruciore della bocca. Parlare e deglutire diventa difficile o impossibile. C’è sete intensa. Visione confusa e marcata fotofobia riflettono la dilatazione pupillare e la mancanza di accomodamento. La pelle diventa arrossata, calda e secca. Tachicardia e febbre si sviluppano […]. E’ presente il desiderio di urinare, ma è difficoltoso. Questi segni e sintomi sono spesso accompagnati da marcata confusione e scoordinamento muscolare. Mania, delirio e comportamento francamente psicotico possono svilupparsi e continuare per ore o giorni”.

E. HESSE riporta:

“Un effetto caratteristico delle psicosi solanacee è che la persona intossicata immagina di essersi trasformata in qualche animale”.

Ricordando anche le precedenti citazioni, in particolare quella di P. AEGINETA, notiamo che i sintomi descritti per le intossicazioni da Solanaceae psicoattive o alcaloidi tropanici corrispondono alle caratteristiche attribuite al licantropo. Questo permette di ipotizzare che l’illusione di trasformarsi in lupo fosse procurata dall’azione di alcune specie vegetali psicoattive. In ciò hanno probabilmente avuto un certo ruolo i desideri, le aspettative e l’ambiente in cui avvenivano tali esperienze, nel senso che la pelle di lupo o una maschera animale potevano per esempio suggestionare la persona influenzando la sua esperienza allucinatoria.
In definitiva, l’effetto delle Solanaceae psicoattive avrebbe potuto direttamente confermare o modellare nella loro forma definitiva determinate credenze popolari, come quella relativa ai licantropi; queste specie vegetali permettevano di entrare in un mondo diverso, in un mondo soprannaturale, e di diventarne parte.

Bibliografia:

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- CAMILLA G., 1995, “Le erbe del diavolo 1: Aspetti antropologici”, Altrove, 2: 105-115
- FESTI F., 1995, “Le erbe del diavolo 2: Botanica, chimica e farmacologia”, Altrove, 2: 117-145
- GINZBURG C., 1989, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Einaudi, Torino
- HARNER M., 2001, “El rol de las plantas alucinógenas en la brujería europea”, in: HARNER M. (Cur.), Alucinógenos y chamanismo, Ahimsa Editorial, Valencia
- HESSE E., 1946, Narcotics and Drug Addiction, Philosophical Library, New York
- MÜLLER-EBELING C. ET AL., 1998, Hexenmedizin, AT Verlag, Aarau
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- RÄTSCH C., 1998, Enzyklopädie der psychoaktiven Pflanzen, AT Verlag, Aarau
- SALILLAS R.,1905, La fascinación en España (brujas-brujerías-amuletos), Editorial Eduardo Arias, Madrid
- SCHENK G., 1954, Das Buch der Gifte, Safari Verlag, Berlin
- TORO G., 2005, Sotto tutte le brume, sopra tutti i rovi. Stregoneria e farmacologia degli unguenti, Nautilus, Torino


                                                                           F I N E

                                                  Autore: gianlucatoro@libero.it

 

Sezioni correlate in questo sito:

Trasformazioni animali e piante magiche 1^ parte e 2^ parte

L'Arte di sanare attraverso i secoli

 

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                                                                       maggio 2008