www.duepassinelmistero.com

 

 

TEMATICHE:

Aggiornamenti

Alchimia

Antiche Civiltà

Archeoastronomia

Architetture

Colonne e Nodi

Due passi nell'Italia nascosta

Due passi nei misteri esteri

Fenomeni Insoliti

Interviste

L'Uomo e Dio

Maestri Comacini

Medioevo e...

Mistero o Mito?

Personaggi

Simbolismo

Simbologia e Cultura Orientale

Storia e dintorni...

Templari "magazine

Ultimi Reports

UTILITY:

Archivio reports

Bacheca

Collaboratori

Extra sito

Libri del mese

Links amici

Ricerca veloce titoli per argomento

SERVIZI:

FORUM

Newsletter

Avvertenze/ disclaimer

 

Contatore Sito
Bpath Contatore

 

 

 

 

 

                                                                   Pietre lunghe

                                                 Il Menhir raddrizzato

 

                                                                                     (di Carlo MF Capone)
 

"Dolmen, Menhir...: pietre. Ma queste pietre sono parole, e raccontano qualcosa della nostra storia".

Così inizia la prefazione alla monografia di Paolo Malagrinò 'Dolmen e Menhir di Puglia' (Schena editore, 1982).

Pietre che parlano, che per lunghissimo tempo hanno rappresentato per gli uomini un elemento di connessione tra terra e cielo, sia in senso religioso che astronomico; quanto è lontano dalla realtà pensare che uomini di seimila anni fa abbiano faticato col fisico e con la mente per erigere monumenti che avrebbero sfidato il tempo, con il solo scopo di segnare un confine, una centuriazione (R. Ruta)!

I romani utilizzavano i più comodi cippi e le pietre miliari, ed erano più che sufficienti.

Un menhir (pietra lunga) è un'altra cosa; alti da 80 centimetri a svariati metri (in Puglia i monoliti più alti raggiungono i cinque metri circa), conficcati profondamente nel terreno, sembrano seguire un ordine prestabilito capace di seguire gli spostamenti del Sole per scandire il tempo, segnare solstizi ed equinozi, ma anche per dirigerne l'energia nei luoghi prescelti.

Segnano inoltre uno o più percorsi a volte così perfettamente allineati da far pensare ad una efficace forma di geografia ante litteram.

A cosa servivano? Tombe, altari, simulacri per i riti della fecondità, gnomoni astronomici o segnalatori di epicentri geomagnetici?

Un'ipotesi abbastanza accreditata li individua come rudimentali osservatori astronomici, gnomoni di una meridiana con cui osservare, misurare, riconoscere e prevedere eventi astrali per legarli significativamente ai tempi e ai cicli delle attività agricole.

La contemporanea presenza di monumenti megalitici, falde acquifere sotterranee, ritrovamenti di icone protostoriche, triplici cinte, simboli esoterici tutti concentrati in un stesso luogo, come è successo a Sovereto in provincia di Bari, ha rafforzato l'idea che potessero essere monumenti sacri dedicati alla Grande Madre Terra, come scrive Aldo Tavolaro nel suo libro 'Castel del Monte Scrigno Esoterico' (Laterza, 2001).

Anche Guénon sembra riconoscere, almeno in alcuni menhir, un significato sacro: "Questa pietra poteva avere forme diverse e in particolare quella di un pilastro; fu così che Giacobbe disse: „E questa pietra che ho eretto come un pilastro, sarà la casa di Dio" . Molto spesso queste pietre diventavano "pietre parlanti", pietre cioè che rendevano oracoli o accanto alle quali venivano resi oracoli grazie alle influenze spirituali di cui esse erano il supporto, come a Delfi.

Nel Salento la maggioranza dei menhir (pietrefitte nell'allocuzione locale) ha la forma di un pilastro a sezione rettangolare, alti da un metro e mezzo a cinque-sei metri ed infissi nel terreno per circa un metro e mezzo; buona parte di essi è orientata con le facce larghe rivolte rispettivamente a Est e Ovest, altri se ne discostano di alcuni gradi. Sono sicuramente antecedenti ai dolmen, gli studi di datazione più recenti (radiodatazione al C/14) li collocano in un periodo anteriore al 4000 a.C. nel neolitico medio.

Oggi in Puglia si contano 79 menhir, ce n'erano altri 48 che l'incuria e l'ignoranza degli uomini ha provveduto a distruggere. La fioritura di leggende locali, i culti pagani, la credenza di proprietà taumaturgiche di questi monoliti erano così radicati e profondi nelle popolazioni al punto tale da divenire un presupposto per la loro stessa distruzione; l'imperatore Teodosio II nel 435 d.C. emanò un editto in cui veniva considerato sacrilego il culto delle pietre (litolatria), e nel 452 con il successivo editto di Arles ne fu disposto l'abbattimento; anche Carlo Magno ci mise del suo nel 789 ordinando la distruzione delle "pietre venerate". Con tutto ciò è sorprendente trovare ancora tante testimonianze di Pietra, ed è paradossale come la Chiesa sorta sul "Tu es Petrus" abbia contribuito decisamente a questa forma di iconoclastia.

In tempi più recenti l'incuria, le leggende e le superstizioni che raccontavano di favolosi tesori nascosti sotto i menhir, lo smarrimento delle conoscenze di questi monumenti hanno prodotto altre devastazioni, per esempio la loro inclinazione originaria sul piano del suolo, variabile da 7 a 15 gradi, è stata spesso interpretata come un sintomo di cedimento e per questo motivo sono stati raddrizzati.

Qualcosa di simile deve essere successo al menhir "Aja della corte" di Lequile (LE) mio paese natale. I ricordi di questa strana colonna pendente fanno parte della mia infanzia, quando molte cose mi erano ignote, e l'immagine che conservo è quella di una pietra infissa nel terreno che serviva per legarci asini e muli.

Quello che resta dell'originale monumento è una vecchia fotografia e un disegno su cui ho riportato l'orientamento e la primitiva inclinazione.

 

Il menhir si trova a circa 200 m dalla Chiesa di San Nicola o del Redentore (1670) una piccola chiesetta a croce greca con cupola rivestita di lamelle policrome; il manufatto litico venne rinvenuto e riconosciuto nel 1922 da Mario Bernardini, direttore del Museo Provinciale di Lecce .

E' un parallelepipedo a sezione rettangolare di dimensioni 280 x 45 x 35 cm orientato a NW-SE con le facce più larghe e inclinato di circa 15° verso NW, alla base una chiave di ritenuta in pietra di 1 mq.

Costituisce la prima testimonianza di un insediamento umano nel territorio che oggi è Lequile.

Questo menhir, viene ricordato da Furio Jesi "per il suo inserimento perfettamente organico nelle consuetudini e nella vita quotidiana degli abitanti moderni del luogo. Numerose altre pietrefitte recano croci incise o croci di pietra alla sommità: l'acquisizione del monumento megalitico da parte del nuovo gruppo è rimasta nell'ambito della religione ( ... ). Qui, invece, a Lequile, la pietrafitta è inserita nella vita del gruppo in modo assolutamente profano. Presenta, lungo gli spigoli, numerosi intacchi incisi dai ragazzi per salire fin sulla cima; altri intacchi, più profondi, furono praticati dai contadini per tenervi legati i quadrupedi durante le soste dal lavoro di trebbiatura sull'aia immediata", dalla quale il menhir ha preso il nome.

Oggi si erge diritto privo della sua preziosa inclinazione anche se ben ambientato in un contesto che, rispetto al passato, ne valorizza l'aspetto e spero lo preservi da altri interventi inopportuni.

                                                          

Secondo la versione ufficiale proprio durante la riqualificazione della zona, uno slivellamento del terreno avrebbe provocato il "raddrizzamento"; quello che resta inspiegabile è che l'inclinazione di 15° rispetto alla chiave di ritenuta non è più rilevabile.

Molti altri menhir sono stati invece cristianizzati, sono stati trasformati in Osanna, simboli di giubileo e dialettizzati in colonne "de lu Sanna". La Chiesa, non riuscendo a reprimere il paganesimo delle devozioni popolari, li ha elevati a luoghi di culto cristiani facendo collocare sulla loro sommità croci in ferro o facendo incidere, a colpi d'accetta, altre croci sulle facce.

Giuseppe Palumbo pubblicò nel 1955 sulla " Rivista di Scienze Preistoriche " un inventario dei monumenti megalitici del Salento che descrive l'impressionante serie di distruzioni subita da questi testimoni della nostra storia.

Tra le varie leggende che hanno contribuito ad alonare di mistero queste pietre riporto la più antica raccolta da De Giorgi nel 1879 secondo la quale:

"due sorelle, una nubile e l'altra maritata, sarebbero venute un giorno a riposarsi a piè di questa colonna; ma ( ... ) ad un certo momento essa sarebbe caduta di schianto, schiacciando la maritata, mentre l'altra donna avrebbe trovato sotto la pietra le molte ricchezze nascoste ".

Anche Giuseppe Palumbo registrò un'altra leggenda, secondo la quale " il monolito sarebbe stato piantato sopra un preziosissimo tesoro costituito da monete d'oro, dì argento e da oggetti di alto valore. Per venire in possesso di tali ricchezze, passate in potere del demonio, sarebbe stato necessario operare nel seguente modo. Due innocenti bambini, raggiungendo nel cuore della notte il luogo solitario, avrebbero dovuto mettersi uno da una parte e l'altro dall'altra delle due facce larghe del rustico obelisco. Il blocco si sarebbe subito abbattuto al suolo schiacciando uno dei piccoli. Nella stessa notte il bimbo superstite avrebbe potuto trovare e far propria l'"acchiatura" ossia il "ritrovamento". Si vuole dal volgo che una certa pendenza la quale era visibile alla stele fosse stata causata dal fatto che in un tentativo operato per venire in possesso due del tesoro, mentre la pietra cominciava già a muoversi, quello dei ragazzi che stava per essere sacrificato, si sarebbe dato a precipitosa fuga verso il paese, per la qual cosa la colonna si sarebbe fermata dal continuare a cadere, rimanendo invece pendula ". Il tesoro celato sotto i megaliti è "del diavolo", che esige sacrifici cruenti o blasfemi per concederlo, ma il diavolo è anche colui che garantisce la stabilità delle pietre fitte.

Il fenomeno megalitico nel Salento non si limita alla presenza dei soli menhir; dolmen, specchie (grandi cumuli di pietre informi alti fino a dieci metri a sviluppo conico e a base circolare o ellissoidale) e mura megalitiche segnano il territorio ponendolo in stretto collegamento con i siti megalitici della Sardegna, del Belgio, della Cornovaglia e della Bretagna.

                   

 

La scoperta nel 1970 della Grotta dei Cervi di Porto Badisco sulla costa adriatica che da Otranto scende a Santa Cesarea Terme, ricchissima di dipinti rupestri che insieme a simboli lineari e complessi disegnano anche l'uomo del neolitico impegnato nella caccia, testimonia la capacità espressiva anche simbolica raggiunta da queste popolazioni che hanno continuato per lungo tempo ad usare la Pietra come mezzo durevole di comunicazione.

"Qui, nel Salento e nella Terra d’Otranto, la luce abbagliante si confonde con le ombre e la realtà del presente con il silenzio del passato per diventare mistero." (Giuseppe Maria Antonucci).

 

Minima bibliografica:

G.M. Antonucci: Salento preistorico, Capone Editore 2005
E. Bernardini: Guida alle civiltà megalitiche, Vallecchi ed., Firenze, 1977
C. De Giorgi: I monumenti megalitici di Muro, Minervino e Giuggianello in Terra d'Otranto, La Natura, Potenza 1879
R. Guénon: Simboli della Scienza sacra, Adelphi 1975
F. Jesi: Il linguaggio delle pietre. Alla scoperta dell'Italia megalitica, Rizzoli, Milano 1978
P. Malagrinò: Dolmen e Menhir di Puglia, Schena editore 1982
G. Palumbo: Scoperte di pietrefitte in terra d'Otranto. Spinelli, Firenze 1955, Rivista di Scienze Preistoriche. X, 1955
Salento Megalitico, Studi Salentini. fasc.2, 1956
R. Ruta: I resti della "Centuriatio" romana in provincia di Bari, Archivio Storico Pugliese, XXI, 1968
A. Tavolaro: Castel del Monte Scrigno Esoterico. Laterza 2001

 

(Autore: Carlo MF Capone c.capone@rsadvnet.it )

 

Sezioni correlate in questo sito:

Antiche civiltà
Simbolismo

 

www.duepassinelmistero.com                                                                                                Avvertenze/Disclaimer

                                                                                Maggio 2011