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                                                                                                                 Oschiri

                                                                      Altare Rupestre

                                                                                                              Carlo MF Capone

                                                                                            2010 c . c a p o n e @ r s a d v n e t . i t

Sito megalitico? Necropoli? Domus de janas? Osservatorio astronomico? Cenobio bizantino? A Oschiri (prov. di Olbia-Tempio, in Sardegna), nel sito conosciuto come Altare Rupestre, c'è tutto questo e forse altro ancora. C'è anche una chiesetta edificata nel 1492 e dedicata a S. Stefano, oggi un po' trascurata che si riapre nelle festività dedicate al Santo, ma che è li a indicare qualcosa.

 

Gigi Sanna (1) ha decifrato l'epigrafe incisa su una lapide di tracheite sotto il volto incastonato nella facciata laterale della chiesetta e che era stato messo in relazione alla dea Astarte; si tratta molto più prosaicamente dell'effigie di Donna Masala, una pia nobildonna dell'epoca alla quale si deve la costruzione dell'edificio; ma se ci si ferma a guardare l'ingresso della chiesetta, posto proprio di fronte all'altare rupestre, un altro volto molto più enigmatico è posto sopra l'architrave del portone di ingresso: i tratti consunti dal tempo e l'assenza di epigrafi, non consentono di individuare qualcuno e lasciano questa faccina a guardia del sito; potrebbe essere una figura apotropaica posta lì a proteggere la sacralità del luogo?

Molte ipotesi sono state avanzate per spiegare la particolarità del complesso monumentale; perché tante pietre accuratamente lavorate, con differenti moduli di lavorazione, con precisi orientamenti? Perché tante nicchie di forma diversa isolate, raggruppate in lastroni granitici o unificate in un grandioso megalite? Quest'ultimo è una roccia affiorante o è stato collocato intenzionalmente? Deciso a capire qualcosa di più ho vissuto una giornata immerso in questo luogo, una bellissima giornata, mite, con cieli tersi, silenzio e il regolare procedere del sole che nel primo pomeriggio mi ha reso spettatore di un piccolo ma significativo fenomeno. Ero partito con un'idea, venutami osservando le varie immagini reperibili in internet, e che mi tornavano  in mente come un'ossessione: immaginavo attorno a quella pietra uomini che periodicamente collocavano nelle nicchie segni di devozione, auguri, speranze e cercavano di farlo unendosi al ritmo delle stagioni, dei mesi, dei giorni; alcuni cercavano di annotare, ricordare e comunicare agli altri come questi eventi si susseguissero nel tempo con una regolarità sufficiente a renderli riconoscibili. Un posto in cui giorno dopo giorno la vita scorreva con immutabile sicurezza. Ecco perché pensavo che quel luogo potesse essere al tempo stesso un centro di espressione religiosa e uno strumento per fornire agli uomini una misura del tempo. Ma le foto non erano sufficienti, dovevo viverlo quel posto.

L'altare rupestre domina tutto il paesaggio: un lungo monolite inciso da nicchie quadrate, sub-triangolari e circolari, 13 nicchie scolpite e allineate nel registro inferiore, le ultime due a destra per chi guarda, separate dalle altre da un elemento a gradini. Tutte rivolte ad est.

 

La seconda nicchia da sinistra, non è scavata ma incisa, unica in tutto il sito.

Altre nicchie nel registro superiore, dove spicca un gruppo di tre a forma triangolare contornate da coppelle, e più a destra una nicchia perfettamente circolare. Una sughera cresce in stretto rapporto con l'altare. Spontanea? 

A destra dell'altare, orientata a sud, una formazione di 12 coppelle che contornano un elemento circolare più grande, ma la coppella scavata alle ore 12 di questa meridiana è sormontata da una 13a coppella, poco più in là un simulacro di sepoltura, orientata a sud, rettangolare, poco profonda.

                                                                                          

Dietro l'altare su una lunga roccia 13 coppelle scolpite in fila contornate da altre disposte in modo meno regolare, e più in dietro un lastrone granitico che porta incisi tre quadrati disposti in una formazione suggestiva: la cintura di Orione. 

Alle spalle del sito, verso ovest, almeno cinque formazioni ipogee (non accessibili) sovrastate da rocce tafonate alcune delle quali adattate da mano umana a svolgere funzioni non solo decorative; in una di queste (identificata col n. 5 nella cartina del sito disposta all'ingresso) un inconfondibile "occhio solare".

                              

 

Perché il numero 13 ritorna con insistenza in questo luogo? E cosa potrebbe indicare se si pensasse ad una possibile misurazione del tempo? In un anno solare trascorrono 13 lunazioni, i giorni della luna crescente sono 13 come quelli della luna calante, un antichissimo orologio lunare databile intorno al 13.000 a.C. ritrovato a Lascaux in Francia e conosciuto come il Cervo di Lascaux, mostra 13 punti dipinti e allineati, preceduti da una figura quadrangolare che è stata interpretata da André Leroi-Gourhan in un articolo apparso su Le Scienze nel novembre 1968, come un simbolo femminile e che rimanda alla Venere di Laussel (23.000 a.C) che regge un corno con incisi tredici segni verticali.

                                                                        

Franco Ruggieri (2) ha individuato a Cuma sulla parete occidentale del dromos conosciuto come Antro della Sibilla una serie di segni che compongono a suo giudizio tre tipi di calendari lunari, due di questi sono composti da 13 segni verticali. Alexander Marshak (3) ci ricorda che già nel Paleolitico Superiore esisteva un sistema di misurazione del tempo basato sull'osservazione delle fasi lunari: " il ciclo lunare era analizzato, memorizzato e utilizzato per scopi pratici circa 15.000 anni prima della scoperta dell'agricoltura. In base a ciò si può capire meglio la grande importanza della luna nelle mitologie arcaiche, e soprattutto l'integrazione in un unico sistema, da parte del simbolismo lunare, di realtà diverse tra loro come la donna, le acque, la vegetazione, il serpente, la fertilità, la morte, la rinascita". E ad Oschiri? E' proprio solo fantasia pensare che gli artefici di questo sito appartenessero ad antiche civilizzazioni che avevano imparato ad osservare il cielo notturno con il suo corredo di stelle fisse, costellazioni mobili intorno ad un punto fisso e alternanza regolare di notti illuminate e notti buie? E fissare in ogni segno (nicchie, coppelle, rappresentazioni celesti) un evento con le sue particolarità che lo rendeva riconoscibile periodicamente e quindi prevedibile, per collegare a questo le attività quotidiane e in qualche misura una speranza nella ciclicità dell'esistenza? Questa ipotesi non esclude il riutilizzo e le modificazioni che possano essersi succedute nelle epoche successive e che abbiano voluto iscrivere nel sito il segno dei propri tempi. In ogni caso questo è ciò che ho potuto leggere durante la mia giornata ad Oschiri, che visiterò ancora perché molte altre cose sono presenti lì e non tutte sono comprensibili in un'unica per quanto meravigliosa esperienza.

 Minima bibliografica

1. Astarte? Macchè, solo Donna Masala. in http://gianfrancopintore.blogspot.com/search?q=astarte
2. Alexander Marshak - The Roots of Civilization, p. 81 e ss. in Mircea Eliade – Storia delle credenze e delle idee religiose, Vol. I, pag. 34, Firenze, 1979
3. F. Ruggeri, Calendari lunari a Cuma: http://digilander.libero.it/FRRU/CaLuCu/CaLCu.htm

(Autore: Carlo MF Capone, 2010)

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