
di Felice Vinci
Sin dai tempi antichi la geografia
omerica ha dato adito a problemi e perplessità: la coincidenza tra le città, le
regioni, le isole descritte, spesso con dovizia di dettagli, nell'Iliade
e nell'Odissea ed i luoghi reali del mondo mediterraneo, con cui una
tradizione millenaria le ha sempre identificate, è spesso parziale,
approssimativa e problematica, quando non dà luogo ad evidenti contraddizioni:
ne troviamo vari esempi in Strabone, il quale tra l'altro si domanda perché mai
l'isola di Faro, ubicata proprio davanti al porto di Alessandria, da Omero venga
invece inspiegabilmente collocata ad una giornata di navigazione dall'Egitto.
Così l'ubicazione di Itaca, data dall'Odissea in termini molto puntuali –
secondo Omero è la più occidentale di un arcipelago che comprende tre isole
maggiori: Dulichio, Same e Zacinto – non trova alcuna corrispondenza nella
realtà geografica dell'omonima isola nel mar Ionio, ubicata a nord di Zacinto,
ad est di Cefalonia e a sud di Leucade. E che dire del Peloponneso, descritto
come una pianura in entrambi i poemi?
Una possibile chiave per penetrare
finalmente in questa singolare realtà geografica ce la fornisce Plutarco, il
quale in una sua opera, il De facie quae in orbe lunae apparet, fa
un'affermazione sorprendente: l'isola Ogigia, dove la dea Calipso trattenne a
lungo Ulisse prima di consentirgli il ritorno ad Itaca, è situata nell'Atlantico
del nord, "a cinque giorni di navigazione dalla Britannia". Partendo da tale
indicazione e seguendo la rotta verso est, indicata nel V libro dell'Odissea,
percorsa da Ulisse dopo la sua partenza dall'isola (identificabile con una delle
Faroer, tra le quali si riscontra un nome curiosamente "grecheggiante": Mykines),
si riesce subito a localizzare la terra dei Feaci, la Scheria, sulla costa
meridionale della Norvegia, in un'area in cui abbondano i reperti dell'età del
bronzo (ed anche graffiti rupestri raffiguranti navi: in effetti Omero chiama i
Feaci “famosi navigatori”, ma di essi non è stata mai trovata nessuna traccia
nel Mediterraneo). Qui, al momento dell’approdo di Ulisse, si verifica un fatto
apparentemente incomprensibile: il fiume (dove il giorno successivo il nostro
eroe incontrerà Nausicaa) ad un certo punto inverte il senso della corrente ed
accoglie il naufrago all’interno della sua foce. Tale fenomeno, rarissimo nel
Mediterraneo, è invece comune nel mondo atlantico, dove l’alta marea produce la
periodica inversione del flusso negli estuari. Riguardo poi al nome stesso della
Scheria, osserviamo che nell'antica lingua nordica "skerja" significava
"scoglio".
Da qui, con un viaggio
relativamente breve il nostro eroe fu poi accompagnato ad Itaca, situata,
secondo Omero, all'estremità occidentale di un arcipelago su cui il poeta ci
fornisce molti particolari, estremamente coerenti fra loro ma totalmente
incongruenti con le Isole Ionie: ora, una serie di precisi riscontri consente di
individuare nel Baltico meridionale un gruppo di isole danesi, l’arcipelago del
Sud Fionia, che vi corrisponde in ogni dettaglio. Le principali infatti sono
proprio tre: Langeland (l'"Isola Lunga": ecco svelato l'enigma della misteriosa
Dulichio), Ærø (la Same omerica, anch'essa collocata esattamente secondo le
indicazioni dell'Odissea) e Tåsinge (l'antica Zacinto). L'ultima isola
dell'arcipelago verso occidente, "là, verso la notte", ora chiamata Lyø, è
proprio l'Itaca di Ulisse: essa coincide in modo stupefacente con le indicazioni
del poeta, non solo per la posizione, ma anche per le caratteristiche
topografiche e morfologiche (invece l’Itaca greca non ha nulla a che vedere con
le indicazioni dell’Odissea). E nel gruppo si ritrova persino l'isoletta,
"nello stretto fra Itaca e Same", dove i pretendenti si appostarono per tendere
l'agguato a Telemaco.
Inoltre, ad oriente di Itaca e
davanti a Dulichio giaceva una delle regioni del Peloponneso, che a questo punto
si identifica facilmente con la grande isola danese di Sjælland (dove adesso
sorge Copenaghen): ecco la vera "Isola di Pelope", nell'autentico significato
del termine. Il Peloponneso greco invece, situato in posizione corrispondente
nell'Egeo, malgrado la sua denominazione non è un'isola: questa contraddizione,
inspiegabile se non si ammette una trasposizione di nomi, è molto significativa.
Ma c'è di più: sia i particolari, riportati dall'Odissea, del rapido
viaggio in cocchio di Telemaco da Pilo a Lacedemone lungo una "pianura ferace di
grano", sia gli sviluppi della guerricciola tra Pili ed Epei raccontata da
Nestore nell'XI libro dell'Iliade, da sempre considerati incongruenti con
la tormentata orografia della Grecia, si inseriscono perfettamente nella realtà
della pianeggiante isola danese.
Va notato che in tutto il mondo
non esiste un gruppo di isole che corrisponda alle indicazioni omeriche
altrettanto bene quanto queste isole della Danimarca (e men che meno nel
Mediterraneo).
Cerchiamo ora la regione di Troia.
L'Iliade la situa lungo l'Ellesponto, sistematicamente descritto come un
mare "largo" o addirittura "sconfinato"; è pertanto da escludere che possa
trattarsi dello Stretto dei Dardanelli, davanti a cui si trova la collina di
Hissarlik con la città trovata nell’Ottocento da Schliemann, la cui
identificazione con la Troia omerica continua a suscitare fortissime perplessità
(pensiamo alla critica che ne ha fatto Moses Finley nel suo Il mondo di
Odisseo). Inoltre, una serie di indagini geologiche recentemente condotte
nella pianura ai piedi della collina ha mostrato che nel II millennio a.C. essa
era ricoperta da un vasto braccio di mare, del tutto inconciliabile con le
descrizioni omeriche.
Ora, lo storico medioevale danese
Saxo Grammaticus nelle sue Gesta Danorum menziona in più occasioni un
singolare popolo di "Ellespontini", nemici dei Danesi, e un "Ellesponto"
curiosamente situato nell'area del Baltico orientale: che si tratti
dell'Ellesponto omerico? Esso potrebbe identificarsi con il Golfo di Finlandia,
il corrispondente geografico dei Dardanelli; poiché d'altra parte Troia, secondo
l'Iliade, era ubicata a nord-est del mare (altro punto a sfavore del sito
di Schliemann), per la nostra ricerca è ragionevole orientarci verso un'area
della Finlandia meridionale, là dove il Golfo di Finlandia sbocca nel Baltico. E
proprio qui, in una zona circoscritta ad occidente di Helsinki, s'incontrano
numerosissime località i cui nomi ricordano in modo impressionante quelli dell'Iliade,
ed in particolare gli alleati dei Troiani: Askainen (Ascanio), Reso (Reso),
Karjaa (Carii), Nästi (Naste, capo dei Carii), Lyökki (Lici), Tenala (Tenedo),
Kiila (Cilla), Kiikoinen (Ciconi) e tanti altri. Vi è anche una Padva, che
richiama la nostra Padova, la quale secondo la tradizione venne fondata dal
troiano Antenore (i Veneti, chiamati “Enetoi” nell’Iliade ed enumerati
fra gli alleati dei Troiani, nella Germania di Tacito sono menzionati
accanto ai Finni,); inoltre, nella stessa area della Finlandia meridionale, i
toponimi Tanttala e Sipilä – sul monte Sipilo fu sepolto il mitico Tantalo,
famoso per il celebre supplizio nonché re della Lidia, una regione confinante
con la Troade – indicano che il discorso non è circoscritto alla sola geografia
omerica, ma sembra estendersi all'intero mondo della mitologia greca.
E Troia? Proprio al centro della
zona così individuata, in una località, a mezza strada fra Helsinki e Turku, le
cui caratteristiche corrispondono esattamente a quelle tramandateci da Omero –
l'area collinosa che domina la vallata con i due fiumi, la pianura che scende
verso la costa, le alture alle spalle – scopriamo che la città di Priamo è
sopravvissuta al saccheggio e all'incendio da parte degli Achei ed ha conservato
il proprio nome quasi invariato sino ai nostri giorni: Toija, così si chiama
attualmente, è ora un pacifico villaggio finlandese, rimasto per millenni ignaro
del proprio glorioso e tragico passato. Varie visite in loco, a partire dall'11
luglio 1992, hanno confermato le straordinarie corrispondenze delle descrizioni
dell'Iliade con il territorio attorno a Toija, dove per di più si
riscontrano molti tumuli preistorici ed altre notevoli tracce dell'età del
bronzo. E’ poi stupefacente che, in direzione del mare, il nome della località
di Aijala ricordi tuttora la "spiaggia" ("aigialòs") dove gli Achei
avevano tratto in secca le loro navi (Il. XIV, 34).
Le corrispondenze geografiche si
estendono anche alle aree adiacenti: sulla costa svedese antistante, 70
chilometri a nord di Stoccolma, si affaccia la baia di Norrtälje, lunga e
relativamente stretta, le cui caratteristiche rimandano alla Aulide omerica, da
dove mosse la flotta achea diretta a Troia; attualmente dalla sua estremità
partono i traghetti per la Finlandia, ricalcando la stessa rotta: essi
transitano davanti all'isola Lemland, il cui nome ricorda l'antica Lemno, dove
gli Achei fecero tappa e abbandonarono l'eroe Filottete; a sua volta, la vicina
Åland, la maggiore dell'omonimo arcipelago, probabilmente coincide con
Samotracia, mitica sede dei misteri della metallurgia. L'attiguo Golfo di Botnia
a questo punto è facilmente identificabile con l'omerico Mar Tracio; e, riguardo
alla Tracia, che il poeta colloca al di là del mare rispetto a Troia, in
direzione nord-ovest, essa giaceva lungo la costa della Svezia
centro-settentrionale e nel suo entroterra (ed è singolare che nei miti nordici
il dio Thor sia il signore di una regione chiamata “Trakja”). Più a sud,
oltre il Golfo di Finlandia, la posizione dell'isola Hiiumaa, situata dirimpetto
alla costa dell'Estonia, corrisponde esattamente a quella dell'omerica Chio, che
l'Odissea pone sulla rotta del rientro in patria della flotta achea dopo
la guerra.
Insomma, oltre alle caratteristiche
morfologiche del territorio, anche la collocazione geografica di questa Troade
finnica "calza a pennello" con le indicazioni della mitologia; e così si spiega
finalmente perché sui combattenti nella pianura di Troia cali spesso una "fitta
nebbia" ed il mare di Ulisse non sia mai quello splendente delle isole greche,
ma appaia sempre "livido" e "brumoso": nel mondo cantato da Omero si avvertono
le asprezze tipiche dei climi nordici. Dovunque vi si riscontra una meteorologia
tutt'altro che mediterranea, con nebbia, vento, freddo, pioggia, neve – quest'ultima
anche in pianura e perfino sul mare – mentre il sole, e soprattutto il caldo,
sono quasi sempre assenti: in quello che, secondo la tradizione, dovrebbe essere
un torrido bassopiano dell'Anatolia, il tempo è quasi sempre inclemente, al
punto che i combattenti, ricoperti di bronzo, arrivano ad invocare il sereno
durante la battaglia! Addirittura, nel rievocare un episodio della guerra di
Troia, Ulisse racconta che sotto le mura della città "la notte era scesa
cattiva, ché Borea soffiava/ e gelata. Poi sopraggiunse la neve, come una brina
spessa,/ gelida: intorno agli scudi s'incrostava il ghiaccio" (Od. XIV,
475-477). Ma anche nell’Itaca omerica il tempo è freddo e perturbato e non
splende mai il sole: eppure le vicende dell’Odissea sono ambientate
durante la stagione della navigazione. D'altronde, a tale contesto è
perfettamente adeguato l'abbigliamento dei personaggi omerici, tunica e "folto
mantello", che non lasciano mai, neppure durante i banchetti: esso trova un
preciso riscontro nei resti di abiti ritrovati nelle antiche tombe danesi.
Questa collocazione così
settentrionale consente altresì di spiegare la macroscopica anomalia della
grande battaglia che occupa i libri centrali dell'Iliade, con due
mezzogiorni (XI, 86; XVI, 777) intercalati
da una “notte funesta” (XVI, 567), la
quale però non interrompe i combattimenti. La prosecuzione notturna della
battaglia è incomprensibile nel mondo mediterraneo, mentre si spiega subito con
la localizzazione nordica: è infatti il chiarore notturno, tipico delle alte
latitudini nei giorni attorno al solstizio estivo, che consente alle truppe
fresche guidate da Patroclo di continuare a combattere ininterrottamente fino al
giorno dopo. A ciò si aggiunge la concomitanza dell’ondata di piena dei due
fiumi di Troia, lo Scamandro e il Simoenta, nella battaglia del giorno
successivo, in cui lo stesso Achille rischia di annegare: ciò è in accordo con i
regimi stagionali dei fiumi nordici, le cui piene primaverili, susseguenti al
disgelo, avvengono tra maggio e giugno, ossia proprio quando si verificano le
notti bianche.
Questa chiave di lettura consente
finalmente di ricostruire tutto lo svolgimento della battaglia durata due giorni
in modo perfettamente logico e coerente, senza le perplessità e le forzature
delle attuali interpretazioni, che in nome della “pregiudiziale mediterranea”
sono costrette a comprimerla in un giorno soltanto. Addirittura, da un passo
dell'Iliade si riesce persino a evincere il nome greco, “amphilyke nyx”,
del fenomeno delle notti bianche, tipiche delle regioni situate a ridosso del
Circolo polare: è un vero e proprio "fossile linguistico" che l'epos omerico ha
fatto sopravvivere allo spostamento degli Achei nel sud dell'Europa, dove le
notti bianche ovviamente non si verificano.
Notiamo ancora che, in base alle
descrizioni di Omero, le mura di Troia appaiono alla stregua di una rustica
palizzata di tronchi e pietre; insomma, più che le poderose fortificazioni
micenee, esse ricordano gli arcaici recinti in legno degli insediamenti nordici
(tali furono ad esempio le mura del Cremlino fino al XV secolo).
Prendiamo adesso in esame il
cosiddetto Catalogo delle navi del II libro dell'Iliade, che
riporta l'elenco delle 29 flotte achee partecipanti alla guerra di Troia con i
loro comandanti e le località di provenienza: si può verificare che esso si
snoda seguendo punto per punto la geografia delle coste baltiche in senso
antiorario, a partire dalla Svezia centrale fino alla Finlandia (mentre la
stessa sequenza, se la si applica al contesto mediterraneo, diventa confusa e
problematica); in tal modo, utilizzando anche le altre notizie fornite dai due
poemi, è possibile ricostruire integralmente il mondo degli Achei attorno al mar
Baltico, dove, come ci attesta l'archeologia, nel secondo millennio a.C. fioriva
una splendida età del bronzo.

Ecco dunque la ragione delle
anomalie, geografiche e non, contenute nei poemi omerici: il teatro della guerra
di Troia e delle altre vicende della mitologia greca non fu il Mediterraneo, ma
il mar Baltico, sede primitiva dei biondi "lunghichiomati" Achei, riguardo ai
quali esiste già la tendenza a considerarli provenienti dal settentrione, sulla
base di una serie di testimonianze archeologiche raccolte sui siti micenei in
Grecia. A tale riguardo il prof. Martin P. Nilsson, eminente studioso ed
archeologo svedese, nel suo famoso Homer and Mycenae riporta numerose, e
significative, prove che attestano l'origine nordica di quel popolo: ad esempio
la presenza, nelle più antiche tombe micenee in Grecia, di grandi quantità di
ambra (che invece scarseggia sia nelle sepolture più recenti, sia in quelle
minoiche a Creta); l'impronta prettamente nordica della loro architettura (il
megaron miceneo "è identico alla sala degli antichi re scandinavi"); la
"impressionante somiglianza" di alcune lastre di pietra provenienti da una tomba
di Dendra "con i menhir conosciuti dall'età del bronzo dell'Europa centrale"; i
crani di tipo nordico trovati nella necropoli di Kalkani e così via. D'altro
canto, in certi reperti dell'archeologia scandinava, ed in particolare nelle
figure incise sulle lastre del grande tumulo di Kivik, in Svezia, sono state
riscontrate rimarchevoli affinità con i modelli dell'arte egea, al punto da
indurre qualche studioso del passato ad ipotizzare che quel monumento fosse
opera dei Fenici. Inoltre, un significativo indizio della presenza degli Achei
nel nord dell'Europa è costituito da un graffito miceneo ritrovato nel complesso
megalitico di Stonehenge, in Inghilterra meridionale, insieme con altre tracce,
riscontrate dagli archeologi sempre nella stessa area ("cultura del Wessex"), di
epoca precedente all'inizio della civiltà micenea in Grecia.
Quanto a Ulisse, di cui Omero
ricorda “i biondi capelli” – d’altronde anche Pindaro nella IX ode Nemea
menziona i “biondi Danai” – vi sono singolari convergenze tra la sua figura e
quella di Ull, guerriero ed arciere della mitologia nordica; inoltre, lungo le
coste e le isole del mar di Norvegia troviamo molti suggestivi riscontri alle
sue celebri peregrinazioni, che iniziano allorché il nostro eroe, al suo ritorno
dalla guerra di Troia, quando sta ormai per arrivare ad Itaca s’imbatte in una
tempesta che lo trascina via dal suo mondo abituale. Così egli si ritrova in un
“altrove” dove viene coinvolto in una serie di fantastiche avventure, fin quando
non raggiunge l’isola Ogigia, che l’indicazione del De facie di Plutarco
ci ha consentito di identificare con una delle Faroer, nell’Atlantico
settentrionale. Queste avventure, presumibilmente nate da racconti di marinai,
rappresentano l’ultimo ricordo di rotte seguite dagli antichi navigatori
dell’età del bronzo nordica al di fuori del bacino baltico, nell’Oceano
Atlantico (dove scorre il “Fiume Oceano”, ossia la Corrente del Golfo), poi
diventate irriconoscibili dopo la trasposizione nel mondo mediterraneo.
Ad esempio, l’isola Eolia, dove
regna il “signore dei venti” Eolo Ippotade (“Ippotade” significa “figlio del
cavaliere”), è una delle Shetland (forse Yell), dove soffiano venti fortissimi e
tuttora vive una pregiata razza di pony; i Ciclopi abitavano sulla costa della
Norvegia settentrionale, presso il Tosenfjorden (non a caso, essi ricordano i
mitici troll del folklore norvegese); anche i Lestrigoni vivevano sulla
costa norvegese, ma ancora più a nord (proprio dove li colloca il Prof. Robert
Graves, basandosi sul fatto che, come dice Omero, nella loro terra le giornate
estive sono lunghissime); l’isola della maga Circe, dove si riscontrano tipici
fenomeni artici, quali il sole di mezzanotte (Od. X, 190-192) e le “danze
dell’Aurora” (Od. XII, 3-4), si trovava oltre il circolo polare, verso le isole
Lofoten (dunque le magie di Circe, chiamata da Omero “polypharmakos”,
“quella dalle molte pozioni”, sono in realtà manifestazioni di un arcaico
sciamanismo lappone); Cariddi è il famigerato gorgo chiamato Maelstrom (la
descrizione omerica è straordinariamente simile a quella di Edgar Allan Poe nel
noto racconto La discesa nel Maelstrom) e, subito dopo, Ulisse sbarca
nell’isola Trinachia, che significa “Tridente”: in effetti, davanti al Maelstrom
vi è Mosken, un’isola dalla caratteristica silhouette che ricorda un
cappello a tre punte. Quanto alle Sirene, si tratta di micidiali scogli e
bassifondi che infestano il mare davanti alle Lofoten, pericolosissimi per i
naviganti anche a causa della nebbia e delle correnti di marea: se costoro
infatti, attratti dall’ingannevole rumore della risacca (“il canto delle
sirene”), si avvicinano pensando di trovarsi vicini alla terraferma, rischiano
di naufragare sugli scogli (pertanto l’espressione “canto delle sirene” si
rivela in realtà una kenning, ossia una sorta di metafora, tipica della
poesia nordica). Addio Grecia, addio mare Mediterraneo!
Notiamo che all'epoca in cui sono
ambientati i poemi omerici doveva essere ormai prossimo al tracollo un periodo
caratterizzato da un clima eccezionalmente caldo, durato per millenni: è
accertato infatti che il cosiddetto "optimum climatico post-glaciale", con
temperature che nell'Europa del nord furono molto superiori a quelle attuali,
raggiunse l'acme verso il 2500 a.C. (fase “atlantica” dell’Olocene) e iniziò a
declinare attorno al 2000 (quando comincia la fase “sub-boreale”), fino ad
esaurirsi completamente qualche secolo dopo. Fu probabilmente questo il motivo
che ad un certo punto indusse gli Achei a trasferirsi nel Mediterraneo
(scendendo, forse, per il fiume Dnepr verso il mar Nero, come molti secoli dopo
avrebbero fatto i Vichinghi, la cui cultura presenta singolari affinità con
quella achea): qui essi diedero origine alla civiltà micenea, notoriamente non
autoctona della Grecia, la quale fiorì a partire dal XVI secolo a.C., in buon
accordo quindi con le indicazioni climatiche.
I migratori portarono con sé epopee
e geografia: attribuirono infatti alle varie località in cui si insediarono gli
stessi nomi che avevano lasciato nella patria perduta, di cui perpetuarono il
retaggio nei poemi omerici e nella mitologia greca (la quale, se da un lato
presenta molti punti di contatto con quella nordica, dall'altro, forse in
seguito al crollo della civiltà micenea, avvenuto attorno al XII secolo a.C., ha
perso il ricordo della grande migrazione dal settentrione); inoltre
ribattezzarono con i corrispondenti nomi baltici anche le altre regioni
dell'area mediterranea, quali la Libia, Creta e l'Egitto, generando in tal modo
un colossale equivoco geografico che ha spiazzato per millenni tutti gli
studiosi. Queste trasposizioni vennero agevolate – anzi, forse, suggerite – da
una certa analogia tra la configurazione geografica del Baltico e quella
dell'Egeo: basti pensare alla corrispondenza tra Öland ed Eubea, o tra Sjælland
e Peloponneso (dove peraltro, come abbiamo visto, dovettero forzare il concetto
di "isola"); il fenomeno venne poi consolidato, nel corso dei secoli, dal
progressivo affermarsi dei popoli di lingua greca nel bacino del Mediterraneo, a
partire dalla civiltà micenea fino all'epoca ellenistico-romana.
Con tale quadro è coerente una
perentoria affermazione di un eminente studioso: “La nobiltà degli esametri [di
Omero] non dovrebbe trarci in inganno inducendoci a pensare che l’Iliade
e l’Odissea siano qualcosa di diverso dai poemi di un’Europa in gran
parte barbarica dell’Età del Bronzo o della prima Età del Ferro.
Non c'è sangue minoico o asiatico nelle vene
delle muse greche: esse si collocano lontano dal mondo cretese-miceneo e a
contatto con gli elementi europei di cultura e di lingua greche (…) Alle spalle
della Grecia micenea si stende l'Europa" (Stuart Piggott,
Europa Antica).
Una
straordinaria, e recentissima, conferma archeologica ci viene dal cosiddetto
"disco di Nebra" (un villaggio situato
50 km ad ovest di Lipsia, nella Germania
orientale) e delle spade, di tipo miceneo, ritrovate nello stesso sito. Il disco
di Nebra è un manufatto in bronzo datato al 1600 a.C., circolare (diametro circa
30 cm) con riportati sole, luna e stelle (tra cui si distinguono le sette
Pleiadi). Esso è il perfetto pendant dei versi del XVIII libro dell'Iliade
in cui Omero illustra le decorazioni astronomiche fatte dal dio fabbro
Efesto sullo strato in bronzo posto al centro dello scudo di Achille: "Vi fece
la terra, il cielo e il mare,/ l'infaticabile sole e la luna piena,/ e tutti i
segni che incoronano il cielo,/ le Pleiadi, le Iadi...". I reperti di Nebra
mostrano lo stretto rapporto, per così dire "triangolare", che, attraverso
l'archeologia, si può stabilire tra il mondo nordico della prima età del bronzo,
quello miceneo (le spade) e quello omerico (lo scudo), a conferma
dell’affermazione del Prof. Piggott, grande archeologo e accademico inglese,
citata in precedenza.
In conclusione, il reale scenario
dell'Iliade e dell'Odissea è identificabile non nel mar
Mediterraneo, dove dà adito a innumerevoli incongruenze (il clima
sistematicamente freddo e perturbato, le battaglie che proseguono durante la
notte, i fiumi che invertono il loro corso, il Peloponneso pianeggiante, eroi
biondi intabarrati in pesanti mantelli di lana, isole e popoli introvabili...),
ma nel nord dell'Europa. Le saghe che hanno dato origine ai due poemi provengono
dal Baltico e dalla Scandinavia, dove nel II millennio a.C. fioriva l'età del
bronzo e dove sono tuttora identificabili molti luoghi omerici, fra cui Troia e
Itaca; le portarono in Grecia, in seguito al tracollo dell'"optimum climatico",
i biondi Achei che nel XVI secolo a.C. fondarono la civiltà micenea: essi
ricostruirono nel Mediterraneo il loro mondo originario, in cui si erano svolte
la guerra di Troia e le altre vicende della mitologia greca, e perpetuarono di
generazione in generazione, trasmettendolo poi alle epoche successive, il
ricordo dei tempi eroici e delle gesta compiute dai loro antenati nella patria
perduta. La messa per iscritto di questa antichissima tradizione orale, avvenuta
in seguito all'introduzione della scrittura alfabetica in Grecia, attorno all'VIII
secolo a.C., ha poi portato alla stesura dei due poemi nella forma attuale.