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LA MANDRAGORA IN ALCUNE CREDENZE MAGICHE

(Gianluca Toro)

La magia delle radici ha origini antiche. Si pensava che le radici con proprietà magiche si trovassero nei luoghi dove si seppellivano i morti, o dove era rappresentato il mondo sotterraneo, e che fossero mediatrici tra la vita e la morte.

Fin dall’antichità, si riteneva che la mandragora avesse poteri miracolosi. L’impiego magico era diffuso soprattutto nel Medioevo, forse a seguito delle conoscenze che i Crociati portarono in Europa al ritorno dalla Terra Santa. Era il rimedio più costoso in assoluto, a tal punto che si ritiene che molte leggende siano state create appositamente per mantenerne alto in prezzo; nel 1690, una radice costava lo stipendio annuale di un artigiano medio. Il fatto che la radice avesse forma umana dimostrava di per sé le sue innumerevoli proprietà, soprattutto magiche.

Gli Assiri impiegavano il fumo della radice bruciata come esorcismo, soffiandolo sul corpo della persona da guarire, per cacciare il male. Un uso simile si riscontra in Armenia, dove si brucia la radice per allontanare gli spiriti malvagi.

Fin dai tempi biblici, in Israele la radice della mandragora era nota come amuleto per rendere fertili. Flavio Giuseppe (ca 37 - 102 d.C.), nel De bello judaico, riporta un uso magico della mandragora, probabilmente derivati dagli Esseni, presso cui visse un periodo:

“Nonostante tanti pericoli, questa pianta è molto ricercata per una qualità unica: solamente avvicinandola espelle subito dagli infermi i cosiddetti demoni, cioè, gli spiriti degli uomini malvagi che si introducono nei vivi e li uccidono, se non li si aiuta”.

Si riporta, inoltre, che Alessandro Magno conquistò l’Oriente grazie al potere magico della mandragora.

In uno scritto magico bizantino, il Testamento di Salomone (I - III secolo d.C.), si fa probabilmente riferimento alla radice di mandragora. Si pensa inoltre che sotto la pietra preziosa dell’anello magico di Salomone, portatogli dall’arcangelo Michele, ci fosse un pezzo di radice della pianta e che tale anello servisse per assoggettare gli spiriti e curare gli ossessi. D’altra parte, Flavio Giuseppe, nelle Antiquitates judaicae, riporta che, alla presenza dell’Imperatore Vespasiano, “egli [il giudeo Eleazar] aveva, sotto il suo anello a sfera, una radice, che già Salomone aveva; quindi egli teneva l’anulare sotto il naso di un ossesso, lo lasciava odorare la radice e faceva uscire lo spirito maligno dalle narici”.

J. Wier, nel De prestigiis daemonum et incantationibus ac veneficiis (1563), riporta che, in quell’occasione, Flavio Giuseppe, Vespasiano e Eleazar furono presi in giro dal demonio.

Fin dall’antica Grecia, la radice della mandragora fu considerata come un essere in forma umana e lo stesso Pitagora (570 - 504 a.C.) la denomina anthropomorphon, cioè “a forma di uomo”. Proprio nell’antica Grecia, la mandragora, soprattutto la radice, era ritenuta la pianta per eccellenza di Ecate. In origine, probabilmente Ecate era una dea asiatica della Terra. Madre delle maghe Circe e Medea, viveva in Caria (Asia Minore) ed era la dea ctonia degli inferi, la “Signora del mondo sotterraneo”, a cui erano rivolte formule di incantamento. Virgilio (70 - 19 a.C.), nell’Eneide, la equipara a Persefone, colei che detiene le chiavi dell’Ade, ed Eusebio di Cesarea (ca 265 - ca 339 d.C.) la descrive come “padrona di tutti i demoni malvagi”, “demone della pazzia amorosa” e “la Nera”. Causava nell’uomo sonno pesante, sogni gravosi, stati di coscienza mutevoli, epilessia e pazzia. Era anche la dea delle streghe (e strega ella stessa), degli spiriti notturni, delle nascite e dei trivi. Le tre vie erano associate alle dee del destino, il tre rappresentava anche il passato, il presente e il futuro, oppure i tre mondi (superiore, terrestre e sotterraneo). Aveva tre teste e sei braccia, era rappresentata con un pugnale, una frusta e una fiaccola in mano, assieme a due serpenti sacri, ed era accompagnata da cani abbaianti e fantasmi. Sembra che portasse una corona composta da serpenti e rami di quercia (ricordiamo l’associazione tra mandragora e quercia, a proposito della leggenda francese del picchio). Il cane era il suo animale sacro e spirito aiutante, ed essa stessa appariva come fantasma di un cane, oltre al fatto che era evocata come “nero cane”. Il cane era l’animale da sacrificare e dedicare a Ecate durante la raccolta della radice, offerto anche nei templi a lei dedicati, per esempio a Eleusi, Argo ed Egina. Per gli antichi, il cane era un animale ctonio, incarnazione terrena del demoniaco, e nel Testamento di Salomone si cita un demone evocato da Salomone, sotto forma di un cane che abbaia furiosamente, per mezzo del suo anello magico che conteneva un pezzo di radice mandragora. Il cane di Ecate ricorda il cane Cerbero degli inferi, anch’esso a tre teste. Era identificata anche con Selene, la dea della Luna (a sua volta assimilata ad Artemide e Persefone), e l’epilessia causata da Ecate era nota come “male di Selene”, cioè della luna. Ecate era anche nota come Baubo, come risulta da Ippolito (II secolo d.C.), in Elenchos:

“Sotterranea, infernale, celeste Bombo, vieni,

dea delle vie, dei trivi, tu ardente potente splendore,

nemica della luce e amica della notte e fida compagna,

che ti diverti ai cani che abbaiano  e al sangue che scorre,

che cammini  sui cadaveri e sulle tombe dei morti,

assetata di sangue, raccapriccio degli uomini mortali”.

Nel suo giardino magico “crescevano abbondantemente le mandragore”, come riportato nelle Argonautiche Orfiche (dopo il II secolo d.C.), e si può supporre che il suo potere fosse esercitato proprio attraverso le proprietà della pianta. Non solo, secondo C. Müller-Ebeling e C. Rätsch, probabilmente Ecate stessa poteva essere evocata attraverso l’uso della mandragora.

Ecate può anche essere considerata come il modello di Perchta (Berchta), l’antica dea germanica della natura, guardiana degli animali e della vegetazione. “Perchta” potrebbe significare “la brillante”, dai termini peraht, berht e brecht (“brillante”, “luce” e/o “bianco”), e richiamare la luminosità della radice della mandragora. Nel periodo precristiano, Perchta era una rappresentazione del periodo intermedio dell’inverno, mentre nei testi medievali è identificata come una donna della notte, che portava doni o causava spavento. Sulle Alpi, si celebrava un culto chiamato “corse di Perchta”, in cui le persone si coprivano di pelli e indossavano maschere di legno orripilanti per spaventare i bambini.

La mandragora era anche la pianta di Circe e Medea. Circe viveva sulle coste italiane sopra la Sicilia. Trasformò i compagni di Ulisse in maiali e questo potrebbe essere in relazione con l’effetto delle sue piante magiche, in particolare della mandragora. E’ stato infatti ipotizzato che Circe diede ai compagni di Ulisse un vino alla mandragora. Da qui, derivano alcuni nomi della mandragora e l’espressione mandragora circaea. Medea viveva nella Colchide e, per mezzo dei suoi poteri, aiutò Giasone, capo della spedizione degli Argonauti, a conquistare il vello d’oro. Apollodoro (II secolo a.C.), nei Frammenti, afferma che la radice di mandragora era un amuleto contro gli incantesimi di Pasifae, sorella di Circe. A causa dell’associazione con Ecate e Circe, la mandragora divenne una pianta demoniaca e infernale fin dal primo Cristianesimo.

In passato, era idea comune accusare persone arricchitesi di possedere una mandragora. Messa in una cassetta o borsa con delle monete, le decuplicava in un giorno. In Francia, si preparavano talismani e amuleti con la polvere o le foglie seccate durante la luna di maggio, in modo che procurasse amore e denaro. Questa credenza era così diffusa che Frà Richard, nel 1429, fece bruciare le mandragore che la gente teneva in casa, sicura che in quel modo non sarebbe mai diventata povera. Inoltre, un articolo del diritto di Bordeaux del XV secolo prescriveva pene severe per chi usava la mandragora per procurasi ricchezze. Giovanna d’Arco (1412 - 1431) la portava in seno per avere, secondo il capo d’accusa che la portò al rogo, “buona sorte e ricchezze e cose temporali”, oltre che coraggio e poteri particolari. Anche le voci misteriose che udiva erano attribuite alla pianta. Nel XVI secolo, i carcerati non potevano possedere una radice di mandragora, perché si credeva che avesse il potere di aprire qualsiasi serratura, specialmente quelle di ferro vecchio e soprattutto quelle di forzieri contenenti tesori. Ciò ricorda un’altra credenza prima considerata, quella del picchio che usa la stessa radice per aprire il suo nido chiuso. In Inghilterra, si credeva che la mandragora avesse il potere di far vincere i processi e di far ottenere grandi vantaggi in carriera e nel gioco, mentre in Austria una grande fortuna era giustificata dicendo che la persona interessata aveva una radice di mandragora in tasca. Si dice che in Piemonte si ponesse la radice in un cassetto nascosto per propiziare fortuna e prosperità, che in Sicilia la si nascondesse sotto il letto o il cuscino per procurare lavoro, soldi e allontanare le disgrazie e che in Toscana, sulle montagne di Pistoia, scacciasse il malocchio.

M. Eliade ha raccolto una serie di testimonianze circa l’uso della mandragora in Romania. La credenza che il possessore della mandragora possa chiederle qualunque cosa e arricchirsi rapidamente - credenza diffusa nell'Europa Centrale - si trova anche nella Moldavia (nel dipartimento di Vaslui). “Una domenica, recati a cercarla nel campo, dalle da mangiare e da bere - del vino o del pane - e portala a casa tua, circondata da musicisti e da folla; se le rendi, in seguito, gli onori che merita, se le mostri un volto allegro, se non litighi e non bestemmi - sta' attento a non dimenticare nessuno di questi consigli perché essa ti ucciderebbe - potrai inviarla ovunque, chiederle qualunque cosa ed essa te la concederà (sottolineiamo questa ultima frase). Ma sta' attento: non far trascorrere una domenica senza condurre presso la pianta musicisti o uomini del villaggio per danzare; e non cessare di essere sempre allegro, specialmente in quel giorno”. Sempre in Romania, talvolta la radice della mandragora viene nascosta sotto il cappello o cucita nei vestiti: ciò assicura a chi la porta la stima di tutti. In tutta la Romania, come abbiamo visto, quando la mandragora si coglie 'per odio', le donne si comportano esattamente al contrario: vanno presso la pianta con vestiti sudici, pronunziando ingiurie, accennando con la testa, con le mani e con gli occhi dei movimenti grotteschi, per rendere negative le virtù magiche della mandragora. Chi mangia un cibo o beve un po' di vino che contiene fili di mandragora trattata con tali scongiuri, rischia la pazzia. Nel dipartimento di Hotin (Bessarabia), la mandragora, prima di esser colta, è trattata con sale e acquavite. Accostandosi a lei si dice: "Buongiorno Mandragora". Al ritorno, si fa bollire la pianta (non sappiamo se le foglie o le radici); con quest'acqua ci si lava, poi, il viso "per esser belli e stimati". Qualche foglia di mandragora, portata indosso, le farà ovunque stimare in modo particolare. La mandragora si mette anche sotto le macine per attirare la clientela al mulino. Gli osti se ne servono perché la loro locanda sia molto frequentata. “Si pagano due donne che sanno coglierla. Esse portano dall'osteria ogni tipo di bevanda, pane, sale, un soldo e un po' di polvere, anch'essa della locanda, e che per tre volte hanno fatto girare intorno a una botte, in senso inverso al movimento del sole. Con questi ingredienti, le donne girano intorno alla mandragora, bevendo e augurando che i clienti escano dall'osteria quando la loro tasca è leggera. Dopo averla colta, viene posta sotto la botte del vino o nel vino stesso. Alcuni osti credono che i loro clienti siano attratti dalla mandragora”. Nella Moldavia vi è la medesima credenza: dopo lo scongiuro, gli osti mettono la mandragora sotto la botte del vino o dell'acquavite: questa in due o tre giorni si vuota “perché i clienti bevono fino a perdere la ragione”. Qualche pelo di mandragora nel vino o nell'acqua assicurano all'oste una buona clientela.

In Nord Africa, la mandragora trova alcune applicazioni in magia. Se i Berberi, lavorando i campi, trovano una mandragora, la circondano con l’aratro, per paura di danneggiarla, sembrando loro quasi ripugnante. In Marocco, si dice che la mandragora “gira la testa”. Si usa in miscele da bruciare per allontanare gli spiriti malvagi. Per far partorire a una donna un bambino morto, si riporta di macinare 7 frutti e 7 pezzi di radice di mandragora con fegato di iena, aggiungendo un frammento macinato di dad (radice di Atractylis gommifera), e di mescolare un pizzico di questa polvere al cibo della donna, durante 2 volte 7 giorni. Il bambino di cui la donna è in cinta morirà. Si narra inoltre che un bey tunisino aveva una gazzella addomesticata molto docile, che però divenne aggressiva. Si pensò che fosse stata vittima di una stregoneria, per cui si decise di liberarla da questa influenza attaccando al collo dell’animale un amuleto costituito da un contenitore di cuoio ornato di simboli incisi, contenente un pezzo di radice di mandragora e della terra raccolta sulle tombe di diversi marabout venerati.

Nel passato, e fino al secolo scorso, in Germania si pensava che la mandragora potesse assicurare l’invulnerabilità a chi andava in guerra. Infatti, si impiegava la radice per tessere i vestiti dei guerrieri, in modo che respingessero le armi nemiche. I pescatori bretoni portavano con sé una radice di mandragora come amuleto protettivo contro i pericoli del mare e fino a tempi relativamente recenti, la mandragora era un amuleto usato dagli scalatori alpini contro il cattivo tempo. Inoltre, in alcuni villaggi di Croazia, Serbia e Russia, si è mantenuta la credenza secondo cui la radice di mandragora è efficace come talismano per ottenere fama e fortuna.

Altre pratiche magiche riportate sono le seguenti:

Per ottenere fortuna - Cucire con le proprie mani un sacchetto di stoffa blu e inserirvi polvere di mandragora, grano o farina, una piccola pietra di alta montagna, una margherita e un’oliva e all’alba di un giovedì di dicembre, tenendolo stretto nelle mani, pronunciare le seguenti parole magiche: “Beliaz-Ivhaz-Avanhaz-Sira-Manuta-Ilka”. Poi indossarlo appeso a un cordino blu, senza che sia mai toccato da alcuno

Segreto per avere più denaro - Mettere in una scatola di legno del denaro in banconote, denaro in monete, una moneta d’oro, una d’argento, un anello d’argento o oro bianco con zaffiro, grani d’incenso, semi di girasole, alcuni chicchi di grano, un po’ di farina, un po’ di zucchero, una bottiglietta d’olio, una pietra raccolta in un fiume, e della polvere di mandragora, oppure la radice o le foglie della pianta

Segreto per ottenere la ricchezza - Recarsi alla mezzanotte di ogni luna piena nel luogo dove cresce la mandragora, versarle intorno in circolo del latte misto a vino tenuto in una brocca d’argento, poi inginocchiarsi davanti a lei, pregarla di voler esaudire il desiderio e infine sotterrare vicino alla radice una moneta d’oro o d’argento, dicendo mentre si copre con la terra: “Zibak-Izerav-Afraun”. Gli affari e i guadagni prospereranno di molto se la moneta è d’argento, di moltissimo se d’oro, ma bisogna ricordarsi di ripetere il rito ogni mese, a luna piena, per tredici mesi almeno, altrimenti lo spirito della mandragora, adirato, procurerà la miseria

Segreto per vincere al gioco - Scrivere il proprio nome su un biglietto di carta bianca con inchiostro magico blu, seguito dalla parola RHALAZ, poi arrotolarlo intorno a un pezzetto di radice di mandragora e fissarlo con un filo o una catena in oro o con un nastro blu, e tenerlo sempre in tasca, dalla parte del cuore

Altro segreto per avere fortuna e vincere al gioco - All’alba del giorno di San Giovanni, mettere in un piccolo sacchetto di lino blu o bianco della polvere di mandragora, mischiata a polvere d’oro e d’argento, chiuderlo con nastro rosso e tenerlo sempre con sé

Per essere protetti da invidia, malie e sortilegi - Cucire con le proprie mani un sacchetto di stoffa rossa e inserirvi un po’ di polvere di mandragora, timo, ruta, incenso, sale, tre spine di rosa, un pezzetto di legno di olivo e un pezzetto di carbone, poi all’alba di martedì di marzo, tenendolo nelle mani, pronunciare le parole magiche: “Issax-Bezak-Makan-Ezeliah-Zanan-Ezeliah-Myrzah”. Poi, indossarlo legato a un cordino rosso, facendo in modo che non sia mai toccato da estranei.

Si riporta inoltre che la polvere della radice con assenzio (Artemisia spp.) aumenta la fortuna, con la cannella (Cinnamomum verum), risulta utile per il denaro, gli affari e le proprietà, mista a celidonia (Chelidonium majus) favorisce la ricerca di soluzioni vantaggiose (lavoro, contratti e speculazioni), con la damiana (Turnera afrodisiaca) riunisce gli affetti perduti, con l’issopo (Hyssopus officinalis) purifica e protegge luoghi e ambienti, con l’alloro (Laurus nobilis) mantiene l’armonia coniugale e con il mughetto (Convallaria majalis) favorisce le relazioni con i bambini.

Forse l’impiego magico più conosciuto della radice di mandragora è sotto forma di homunculus, cioè di “piccolo uomo” dotato di vita e coscienza propria, dai poteri soprannaturali e adatto a diversi servizi.

L’homunculus potrebbe essere collegato alle leggende relative al Golem. Il Golem è una creatura, in particolare un essere umano, fabbricato artificialmente con un procedimento magico. Questo procedimento è comune a diverse dottrine magiche di molti popoli, in riferimento agli idoli e alle immagini a cui gli antichi attribuivano la parola. Già nell’antico Egitto, si producevano delle figurine in argilla o cera che in una certa fase erano chiamate ushabti, “risponditori”. Queste figure si ponevano in un canestro e rispondevano al posto del defunto quando lo si invocava. Alcuni recavano delle iscrizioni magiche sul busto. “Golem” significa “materia prima priva di forma”, o “forma umana animata”. Nell’ebraico biblico, compare nei Salmi, riferito ad Adamo, l’uomo naturale. Nel Talmud (IV - V secolo d.C.), rappresenta, nelle tappe della creazione dell’uomo, lo stato semi-finito a partire dalla polvere della terra, prima che Dio vi infonda il soffio vitale, quando è massa amorfa o massa di terra in forma umana, ma priva di vita. Il Golem del giudaismo è legato all’esegesi magica del Sefer yesirah (VI - VII secolo d.C.) e alle concezioni che attribuiscono un potere creativo al linguaggio e alle lettere.

L’homunculus deriva dalla forma antropomorfa della radice, che veniva eventualmente accentuata lavorandola in modo opportuno, per aumentarne il potere magico. I peli (capelli e barba, per esempio) venivano riprodotti mediante granelli di orzo o miglio, che poi germogliavano. L’homunculus poteva esprimersi con suoni o voci e rispondere alle domande dell’interlocutore con movimenti della testa. Queste forme si chiamavano anche imaguncula alrunica, “piccole immagini della mandragora”. In forma di homunculus, la radice di mandragora era un talismano, un amuleto, un oracolo, che poteva predire il futuro (nell’antica Germania, questi idoli erano chiamati Alruni; in tedesco, Alraun(e) è il termine per “mandragora”), uno spirito domestico o aiutante, accudito come un essere umano, utilizzato contro i nemici e per favorire prosperità, fortuna, salute, ricchezza, amore, fertilità, parti facili, figli maschi o femmine a volontà e contro le calamità e la morte. Si usava anche per portare sfortuna e gettare il malocchio. Inoltre, la radice poteva esaudire tre desideri del possessore, dopodichè doveva cambiare padrone. Senza padrone, la radice era considerata un essere pensante che agiva, nel bene e nel male. Per gli antichi Magi era una pianta dotata di coscienza, mentre Abu Bakr Ibn Wahsiyya, ne L’Agricoltura dei Nabatei (903 - 904 d.C.), menziona le virtù profetiche della mandragora. In Marocco la radice era usata (e lo è ancora oggi) per cercare i tesori. Nel vicino Oriente, la radice è ancora usata per rendersi invisibili e per scoprire tesori. Perché questo essere agisse in modo efficace, doveva essere trattato con tutte le attenzioni. Homunculi intagliati in radici di mandragora sono stati trovati a Costantinopoli, Damasco, Antiochia e Mersina, uno dei quali rappresenta una donna con in braccio un bambino. Carlo V (1338 - 1380) ne possedeva una al suo servizio, così come Rodolfo II (1552 - 1612). Ancora nell’ ‘800, si riporta che i ciarlatani vendessero tali homunculi nei porti delle città marittime della Francia. Si credeva inoltre che la mandragora potesse trasformarsi in un essere umano animato se non la si estirpava e se si aspettava sette anni, prima che dalla pianta nascesse un embrione umano. Il nuovo bambino avrebbe cercato la padrona del luogo, riconoscendola come madre. Se quest’ultima lo avesse accettato, si sarebbe a poco a poco trasformato in un vero e proprio bambino che avrebbe chiesto di essere battezzato.

Già nel mondo antico erano diffuse credenze sulla capacità della terra (e, si potrebbe ipotizzare, delle radici) di assumere forma umana. Per esempio, Cicerone (106 - 43 a.C.), nel De divinatione, e Ovidio (43 a.C. - 17 d.C.), nelle Metamorfosi, narrano che un giorno un contadino etrusco, mentre arava il campo, vide una zolla muoversi da sola, assumere forma umana e aprire bocca per rivelare il destino. Si trattava di Tagete, colui che per primo insegnò agli Etruschi a predire il futuro. Lucrezio (ca 98 - ca 55 a.C.), nel De rerum natura, riporta che nei luoghi propizi, a causa del calore e dell’umidità, dalla terra crescevano degli uteri attaccati alla terra stessa per mezzo di radici. Essi crescevano e la terra li nutriva con un succo simile al latte, li vestiva con il calore e dava loro l’erba come giaciglio. Rispetto alla nostra pianta, Apuleio (125 - 170 d.C.), nelle Metamorfosi, descrive una pratica magica delle streghe della Tessaglia, vale a dire quella di animare una mandragora in forma umana per esaudire i propri desideri.

C. Agrippa, nel De occulta philosophia (1510), riporta che dall’uovo di gallina può nascere una forma umana, dai poteri meravigliosi, che i maghi chiamano “vera mandragora”.

Affermava Paracelso (1493 - 1541), nel De homunculis:“Se il seme umano, chiuso in un’ampolla di vetro sigillata ermeticamente, viene seppellito per quaranta giorni in letame di cavallo e opportunamente magnetizzato, comincia a muoversi e a prender vita. Dopo il tempo prescritto assume forma e somiglianza di essere umano, ma sarà trasparente e senza corpo fisico. Nutrito artificialmente con arcanum sanguinis hominis per quaranta settimane e mantenuto a temperatura costante, prenderà l’aspetto di bambino nato di donna, ma molto più piccolo. Chiamiamo un tale essere homunculus e può essere istruito e allevato come ogni altro bambino fino all’età adulta, quando otterrà giudizio e intelletto”.

 A.H. De Laguna, nel Commentario al De materia medica di Dioscoride (1555), riporta: “[…] la sua radice, per la maggior parte, consta di due gambe somiglianti a quelle dell’uomo; ciò nonostante, non contenti, molti burlatori con questo vogliono persuadere che per noi vi assomigli in tutte le altre membra, e così, per ingannare il popolo ignorante e credulo, sono soliti, nella radice della canna o in quella della brionia, scolpire e intagliare tutte le parti dell’uomo, inserendo certi chicchi di grano in quei punti del corpo da cui vogliono che nascano erbe al posto di capelli o peli. Formate, quindi, le dette radici con questo artificio fraudolento, le mettono sotto terra, e allora la estraggono come cosa mostruosa, e la vendono per quanto vogliono, per fare figli, a delle donnette sterili che muoiono per restare incinte”.

 J. Gerard (1545 - 1612) scrive, in The Herball or Generall Historie of Plantes: “I pigri fannulloni che hanno poco o nulla da fare se non mangiare e bere, hanno concesso una parte del loro tempo a intagliare le radici della brionia, dando loro la forma di uomini e donne; tale pratica di falsificazione ha confermato l’errore tra la gente semplice e ignorante, che le ha considerate, a loro dire, essere vere mandragore”.

Per la brionia (Bryonia spp.), si diceva inoltre che bisognava scavare la terra senza toccare la parte inferiore della radice, alla quale si assicurava con un filo di ferro uno stampo della forma desiderata. Si ricopriva il tutto con terra, fino a che la radice non assumeva la forma dello stampo. Anche in questo caso, i peli erano simulati con granelli di orzo o miglio.

Secondo una testimonianza di un autore tedesco del XVI secolo, dopo l’estrazione della radice bisognava lavarla in vino rosso, avvolgerla in seta bianca e rossa e riporla in una piccola cassa. Non bisognava trascurarla, si lavava ogni venerdì e si cambiava il vestito a ogni luna nuova. Seguendo queste istruzioni, la radice procurava vantaggi; in particolare, se prima di notte si poneva un pezzo di oro al suo posto, il mattino dopo il valore risultava raddoppiato. Inoltre, alla morte del possessore, la radice andava in eredità all’ultimogenito dei suoi figli, che deponeva nella bara un pezzo di pane e una moneta d’oro.

M. Del Rio, nelle Disquisitiones magicarum (1606), riporta che, tra gli oggetti ritrovati nell’abitazione di uno studente sospettato di contatti con il demonio, vi era anche un homunculus ricavato da una mandragora (virunculus mandragoreus), che volle bruciare.

Scrive L. Catelan, nel Rares et curieux discours de la plante appelée mandragore (1638): “[La radice di mandragora]  si custodisce con tutti gli onori in qualche armadio, ben imbottito al suo interno, poi le si offrono profumi e incensi come se si trattasse di un idolo; infatti alcuni chiamano la mandragora Osyris, dal nome di un dio egiziano. Le si fanno inoltre inchini e onori religiosi, dopodichè le si può chiedere come ottenere grandi onori e ricchezze”.

In un altro caso, la radice deve essere ripulita dalle “scorie demoniache e velenose che le sono rimaste incollate addosso”, ponendola un giorno e una notte nell’acqua di una sorgente o immergendola in acqua di mare per 40 volte. Poi, ogni venerdì, o almeno quattro volte all’anno, durante i solstizi e gli equinozi, la si bagnerà nel latte  o nel vino rosso. La si asciuga e la si veste con stoffe nuove e pregiate, come lino o seta, di colore rosso o bianco, che devono essere sostituite con altre pulite a ogni novilunio. Bisogna poi nutrirla due volte al giorno, a mezzogiorno e al tramonto, con latte e pane, o acqua e biscotti. Per custodirla, di usa una cassetta imbottita a forma di bara, o un armadio.

C. De Plancy, nel Dictionnaire Infernal (1863), riporta alla voce “mandragora”: “Demoni familiari assai bonari; appaiono assumendo l’immagine di piccoli uomini senza barba, con i capelli in disordine. Un giorno una mandragora osò mostrarsi alla richiesta di uno stregone sotto processo, ma il giudice non ebbe timore di staccarle le braccia e di gettarla nel fuoco. Questo episodio si rende comprensibile se consideriamo il fatto che si definiscono mandragore anche i piccoli pupazzi nei quali il diavolo si nasconde e che gli stregoni consultano in caso di necessità […]. Si dice che questa superstizione […] sussiste ancora ai nostri giorni in Baviera, in Danimarca e in Svezia”.

Nell’edizione del 1868 del Petit Albert, versione postuma francese del testo medievale Il Libro dei segreti, attribuito ad Alberto Magno (ca 1206 - 1280), leggiamo:“Delle mandragore - Nel mio viaggio di piacere in Iscozia, mi ricordo d’avere alloggiato in una casa d’un onesto cittadino, il quale avendolo conosciuto sei anni prima molto povero, e che era costretto di lavorare in giornata le campagne altrui per vivere, mi prese la curiosità di dimandarli come aveva fatto per divenire così ricco, ed ecco ciò che mi raccontò allegramente, avendo io impedito, mi disse, che fosse battuto una zingarella, che aveva rubato qualche pollo, ed essa in compenso m’insegnò di prendere una radice di brionia, la più che rassomigliasse alla figura umana, e sortendola da terra un lunedì di primavera, allorquando la luna è in buon aspetto con Giove, si taglia l’estremità di questa radice come fanno i giardinieri quando trapiantano qualche pianta, poi la si deve sotterrare in un cimitero, ed innaffiarla per un mese con latte di vacca, nel quale si avrà fatto annegare tre pipistrelli, al termine di detto tempo, la si sorte da terra che sarà più assomigliante alla figura umana […] e si fa seccare al forno, scaldato con verbena, e s’involge in un pezzo di lenzuolo mortuario, e fin tanto che si è in possesso di questa misteriosa radice si è fortunato nei negozi, si vince ad ogni giuoco, ed il traffico va così bene che in poco tempo si cambia posizione, ecco il modo che mi raccontò il paesano col quale si fece ricco. Vi sono delle mandragore d’un’altra specie, e si pretende che siano dei farfadelli o spiriti famigliari che fanno i servizi di casa, qualcuno sono visibili, sotto sembianze d’animali, altri sono invisibili, io mi sono trovato in un castello ove ne era uno che dopo sei anni aveva preso cura di montare l’orologio del castello, e di stribiare i cavalli: un giorno fui meravigliato con grande sorpresa il vedere correre sopra la groppa dei cavalli la stribia senza vedere mano visibile che la conduceva, il cocchiere mi disse che si era attirato al suo servizio, questo spirito prendendo una gallina nera che l’aveva uccisa in una strada che fa croce con un'altra, e col sangue della gallina aveva scritto sopra un pezzetto di carta Beril, farà  miei bisogni per venti anni ed appresso lo ricompenserò, ed avendo sotterrato la gallina ad un piede di profondità. L’ istesso giorno lo spirito aveva preso cura della sua casa, e che di quando in quando trovava dei denari per casa; è una sciocchezza il credere a taluni che questi spiriti bisogna pagarli un tanto al giorno, questo lo dicono soltanto le persone di piccolo intelletto, ed al contrario fin tanto che si è in possesso di queste mandragore si riesce in ogni intrapresa: terminerò questa materia col racconto di una che ho veduto a Metz nelle mani di un ricco giudeo, era un piccolo mostro […], esso non era più grosso d’un pugno ed ha vissuto sei settimane, ed in così poco tempo aveva fatto la fortuna di questo giudeo, il settimo giorno che l’aveva, in sogno fu ispirato del luogo in dove vi era un tesoro nascosto in un vecchio casolare, e che trovò una grossa somma di denaro e pietre preziose”.

Ricordiamo altri metodi per trasformare una radice di mandragora in homunculus. In un caso, una vergine, dopo avere estratto la radice e averle tolto le foglie, la allattava con il latte di una gatta nera. Dopo 40 giorni di educazione, la radice avrebbe cominciato a parlare.

In un altro caso, si riporta: “Nel giorno di luna nuova, dopo aver ripulito completamente la pianta di scorie e detriti, ed eliminato le foglie con un coltello nuovo d’argento, si inseriscono nella parte alta della radice, al posto degli occhi, due bacche di ginepro e al posto della bocca un’altra bacca di rosaio selvatico. Sulla testa, nel mento e nel punto del sesso si inseriscono grani di miglio, cercando con il coltello di scalzare la corteccia con delicatezza e solo superficialmente, evitando di incidere troppo in profondità. Si inserisce poi la radice in un vaso adeguato di vetro o cristallo nuovo, coperta da buona terra di bosco unita a ‘terra rossa’. Si sistemerà poi il vaso in un luogo esposto al sole, protetto da un cerchio magico. Ogni tre giorni, dovrà essere nutrita con sangue mestruale unito a sperma virile. Inoltre il vaso dovrà essere costantemente tenuto ad una temperatura non inferiore ai 37 - 40 gradi, illuminato da una candela di cera vergine nella quale saranno stati conficcati sette chiodi di sette metalli planetari (oro per il sole, argento per la luna, ferro per marte, un amalgama di mercurio, oro e argento per mercurio, stagno per giove, rame per venere, piombo per saturno) e onorata con fumigazioni di scorza di cipresso, foglie di salice, grani di papavero, foglie e fiori di geranio e polvere di  mandragora. Il mago stesso, o un suo assistente debitamente istruito, dovrà sempre vegliare con la sua presenza il vaso per l’intero periodo dell’operazione che durerà quaranta giorni, al termine dei quali si sarà ottenuta la trasmutazione completa e la pianta avrà iniziato a palpitare e vivere”.

 Per attivare e impiegare in ambito magico la radice e la polvere di mandragora, riportiamo: “In una domenica di luna crescente, nell’ora dell’alba o tra il mezzogiorno e l’una, si disporranno su un tavolo orientato verso Est tre candele, in modo che formino un triangolo. Al centro, sopra una tovaglietta di lino bianco, sarà collocato un piattino d’oro o d’argento, ma meglio se d’argento dorato, sul quale sarà posta la mandragora o la polvere della stessa. Si brucerà in un incensiere dell’incenso misto a iris, sandalo, ambra, storace, benzoino, mastice, mirra e aloe, quindi si accenderanno le candele e si reciterà la grande Invocazione: ‘O Beriel, o Iazbeliah, o  Parualda, Geni che avete potestà sulle virtù secrete delle radici e delle piante, Voi che conoscete l’origine del divino Hybir che generò la Mandragora, Voi che siete le luci nate dalla notte, il calore che nutre la terra e il fermento che anima le Acque, Voi che col Vostro respiro di vita date vigore alla linfa che nutre il virgulto come la fiamma della preghiera alimenta lo Spirito, Voi che rivelaste ai saggi di Hurad i misteri profondi che nascondono ai non eletti la Parola che conduce ai Tre Regni e alla visione della Verità Eterna, per Asab, Abi-Sareb, Uli Eni-Ote, Ukrama Zarab, prestate ascolto alla mia preghiera’.

Terminata l’Invocazione si può chiedere alla mandragora ciò che si vuole, non dimenticando mai di ringraziarla per i servigi che vorrà concedere. In chiusura si offrono ancora i profumi e si lasciano le candele accese in sua presenza finchè non si consumano interamente.Sul modo di custodire la radice di mandragora o la sua polvere: è necessario che il possessore stesso confezioni una custodia acconcia allo scopo, acquistando un fazzoletto di seta o raso di colore vermiglio e bianco, o due pezzi di tale stoffa; quindi, il primo venerdì del mese, al tramonto o alla mezzanotte, poserà il suo talismano al centro del fazzoletto bianco, vi sistemerà sopra la radice o la polvere e richiuderà formando così un sacchetto che legherà con nastro rosso e che a sua volta sarà chiuso dal fazzoletto rosso, legato da nastro bianco. Manterrà l’involucro così ottenuto in alto dentro un mobile scuro, lontano dalla luce e lo riaprirà soltanto quando dovrà farne uso. Dovrà poi rammentare di non fare mai vedere né tantomeno toccare a nessuno la sua mandragora e una volta l’anno dovrà nutrirla con un pizzico di polvere d’oro, sparsa sulla radice o sulla polvere, lasciandola poi a riposare nella custodia per almeno un giorno. Questa operazione deve compiersi al mezzogiorno o alla mezzanotte di uno di questi giorni: 21 marzo, 23 giungo, 23 settembre, 25 dicembre”.

Homunculi possono essere considerati anche l’atzmann e il teraphim. Nei paesi di lingua tedesca, per atzmann si intendeva una radice di mandragora o di altra pianta a cui veniva data forma umana, oppure una figura umana fabbricata con argilla, farinata, cera, feci, sangue mestruale, capelli, e peli pubici. Alla radice si dà la forma dell’amato o del rivale in amore e quello che accade all’atzmann accade alla persona rappresentata in esso. A volte, la donna lo metteva nella vagina per propiziare un rapporto sessuale con l’amato. Il teraphim (in ebraico, “idolo della casa”) era una radice portata in vita.

S. De Guaita, in Le Temple de Satan (1891), riporta: “Altri stregoni forgiavano un androide metallico al quale non disperavano di conferire il dono della parola. Per estensione si chiamarono Mandragore gli androidi, gli omuncoli e i Teraphim: si arrivò persino a chiamare così ogni preparato magico suscettibile di rendere un oracolo”.

In passato, in Francia, la mandragora era nota come main de gloire, mandegloire o mandragloire, cioè “mano di gloria”, probabilmente dall’unione di mandragora e Magloire, nome di una fata del folklore francese. Magloire era considerata uno spirito famigliare, anche nella forma di una radice di mandragora lavorata.

Nel folklore francese, vi è una interessante leggenda: “[…] al piede delle querce che portano il vischio c’era una main de gloire (cioè nella loro lingua una mandragora); che affonda nella terra tanto quanto il vischio è in alto sull’albero; c’era anche una specie di talpa, che colui che la trova era obbligato a donarle di che nutrirla, sia di pane, di carne, o qualsiasi altra cosa, e che colui il quale le aveva donato una volta, era obbligato a donarle tutti i giorni e nella stessa quantità, altrimenti avrebbe fatto morire quelli che avessero mancato […]; in ricompensa […] rendeva il doppio di ciò che le veniva donato il giorno prima”.

Presso i Celti, la quercia era un albero divino, l’albero del dio del fulmine, perché su di essa cadevano spesso. Credevano inoltre che il vischio (Viscum album) nascesse dove cadeva un fulmine ed era quindi considerato una emanazione visibile del fuoco celeste, una manifestazione della divinità e simbolo di immortalità e rigenerazione. Come la mandragora anche il vischio era considerato una panacea, faceva scoprire tesori e accresceva le ricchezze. Il vischio, pianta celestiale, che cresce in alto sugli alberi, si contrappone quindi alla pianta infera, che cresce nella terra, cioè la radice della mandragora.

La mano di gloria era piuttosto comune nel folklore europeo occidentale. Era costituita dalla mano amputata di un morto, usata come torcia magica per atti di furto. Essa serviva per stupefare coloro a cui era mostrata, in modo da immobilizzarli. Allo stesso modo, una specie di datura era usata dai ladri in India con lo scopo di rendere incoscienti le vittime. Nel Petit Albert del 1868, sono riportate le istruzioni per preparare la mano di gloria. Si prende la mano di un criminale che pende da una forca presso una strada maestra, la si avvolge in un drappo funerario e la si speme fino ad asciugarla. Dopo, la si mette in un vaso di terraglia con salnitro, sale e pepe. Si lascia a riposare per due settimane, prima di essiccarla al sole dei giorni della canicola. Se non fa caldo, la si mette a scaldare in una fornace, con verbena e felce. Poi, si prepara una candela con il grasso di un criminale impiccato. La mano di gloria funziona come un candeliere, e una volta accesa la candela, l’effetto sarebbe stato quello di paralizzare le persone. In Bretagna, si trova un racconto con protagonista uno spirito della notte che appare con le dita delle mani accese. Credenze nell’efficacia della mano di gloria persistettero fino ai primo anni 30 dell’ ‘800, in Irlanda. La mano di gloria fu poi associata alle streghe. Si dice che J. Dee (1527 - 1608) abbia realizzato una mano di gloria molto potente, nota come Sigillum Emeth. Un oggetto con lo stesso nome era in possesso di E. Kelley (1555 - 1597), il quale sosteneva di averlo ricevuto dall’angelo Uriel in persona e che con esso era possibile comunicate con l’Aldilà. Mandragora e mano di gloria hanno in comune il fatto che si trovano presso le forche, che brillano nella notte e che hanno effetto ipnotico. Nell’iconografia della mandragora, un rimando alla mano di gloria potrebbe essere la presenza di mani amputate rappresentate sulla corona di foglie della pianta.

La mandragora si trova in diversi grimoires, manuali di stregoneria. Nei testi arabi, si dice che le mandragore più potenti si trovavano nei cimiteri. A volte, possono crescere tra le ossa, trasmettendo il loro potere ai crani umani. Nel Picatrix (X secolo d.C.), traduzione latina di un testo arabo, la mandragora è citata nella preparazione di composizioni magiche, mentre nel Grimorium Verum (datato al XVIII secolo e falsamente attribuito al 1517), Sustugriel, uno spirito subordinato al demone Satanachia, procura le mandragore ai maghi.

Nel 1727, Lémery sostiene che la mandragora maschio è usata soprattutto in magia nera, per sottomettere il prossimo alla volontà del mago, mentre la mandragora femmina accrescerebbe il desiderio amoroso e la fedeltà.

Nel XVIII secolo, Padre L.-M. Sinistrati d’Ameno, nel De la démonicité et des animaux incubes et succubes, raccomanda di fare dei fasci con mandragora, giusquiamo (Hyoscyamus spp.), loto (Lotus spp., Nymphaea spp.), portulaca (Portulaca spp.), rabarbaro (Rheum officinale, Rheum palmatum) e altre piante, da appendere alla finestra, alla porta della stanza della persona da esorcizzare, oltre che nella stanza stessa e sul letto. Così facendo, il demonio si rifiuterebbe di entrare.

Ancora negli anni 40 del secolo scorso, un occultista francese era convinto che la mandragora potesse assicurare potere, forza, ricchezza e amore. Nell’occultismo moderno, si impiegano simboli che richiamano la mandragora, rappresentati graficamente o elaborati in forma di homunculus e A. S. La Vey, capo della Chiesa di Satana californiana, prescrive l’uso di una bevanda alla mandragora (estratto di radice in liquore) come parodia dell’Eucaristia cristiana.

La radice di mandragora era considerata un potente condensatore di forze astrali, sotto l’influsso della Luna e di Saturno e sotto il segno del Capricorno. Le piante sotto l’influsso della Luna raffreddano, hanno effetto calmante, favoriscono il sonno, la rigenerazione e la fertilità. Una caratteristica pianta lunare è il vischio (la cui crescita si pensava fosse controllata dalla Luna stessa), associato alla mandragora. Le caratteristiche essenziali delle piante di Saturno sono le radici e spesso la velenosità. Saturno è il “custode della soglia”, il che rimanda all’idea di specie psicoattive, ed è collegato alla capacità di accrescere e consolidare i beni terreni. Altre influenze astrali sono quelle di Venere e Mercurio, la prima in riferimento al potere afrodisiaco, il secondo in relazione al carattere terapeutico e di intermediario tra il mondo umano e quello divino.

La mandragora trova posto anche nell’alchimia, dove era indicata come dûdâ’îm o jabora. Si pensava che fosse un dono di Ermete Trismegisto (denominazione greca del dio egizio Thoth, identificato con Hermes, a cui si attribuivano opere di alchimia e occultismo) e che fosse impiegata per evocare gli spiriti. Nelle opere degli alchimisti troviamo la pianta nota come lunaria o berissa. “Berissa” potrebbe derivare dall’erba berasa associata al moly (il dono di Hermes a Ulisse affinchè potesse proteggersi dagli incantesimi della maga Circe), oppure da baaras, nome ebraico della mandragora.

Khalid Ibn Yazid (ca  668 - ca 704 d.C.), nel Liber secretorum artis, scrive: “[…] come ha detto il filosofo nel suo libro […]: Prendi una pietra che non sia una pietra […]. Si tratta della pietra il cui minerale si genera sulle vette delle montagne […]. Sappi che le radici dei minerali stessi sono nell’aria, e il loro capo è nella terra; quando vengono raccolti e tolti dai loro luoghi, si solleva un grande fragore”.

Questa pianta potrebbe essere la mandragora, sia per la corona di foglie che esce dalla terra a rappresentare quasi delle radici e la parte opposta interrata, che sarebbe la “testa”, sia per il grido quando viene sradicata. E’ la pietra filosofale, identificata con la mandragora proprio per le sue proprietà miracolose. Maria l’Ebrea (ca 300 d.C.), in Artis auriferae quam chemiam vocant (XVI secolo), identificò la pietra filosofale con una certa “erba bianca della montagna”. Lo stesso lapis si dice essere strappato via da un cane.

Il sale, componente delle operazioni alchemiche, è associato alle radici di piante come mandragora, brionia e angelica (Angelica archangelica, Angelica sylvestris), all’effetto di raffreddamento e al piombo.

Nel Manoscritto di Manchester (XVI o XVII secolo), copiato da codici più antichi, troviamo un riferimento all’homunculus: “Per fare la mandragola. Prendi due lirio, disponili in forma di un uomo intero e seppellisci il tutto nel campo finchè non crescano foglie spesse. Prendi il rasoio e prepara [?], passalo dappertutto tranne che sulle ciglia e sui capelli della testa. Togli invece tutto da ogni altro luogo in cui l’uomo ha peli. Dopo che l’hai lasciato crescere, seppelliscilo per un giorno finchè le raidores [?] diventino lisce, vale a dire ciò che si è tolto da esse”.

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(Gianluca Toro)

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