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                                                       La Mandragora

                                                                     (di Gianluca Toro)

La relazione tra l’uomo e le piante magiche è stata rappresentata in miti, leggende e credenze. Miti particolari sono quelli che narrano l’origine di tali piante, l’origine dell’uomo da esse e quelli che riportano un loro specifico utilizzo, in genere legato a un culto. E’ possibile incontrare miti differenti per una stessa pianta e differenti versioni per uno stesso mito, a seconda delle differenze culturali tra popoli di origine diversa che impiegano la stessa pianta. Inoltre, un mito può avere subito, nella sua costruzione, influenze e interpretazioni da parte di culture esterne, perdendo così le sue caratteristiche originarie e trasformandosi in racconto o storia. Nel presente articolo sarà discussa la dimensione mitica della pianta magica per eccellenza, la mandragora, attraverso un’analisi dei principali documenti disponibili.

Tra tutte le piante tradizionalmente considerate magiche, sicuramente la mandragora (Mandragora officinarum o Mandragora autumnalis) è una delle più importanti, con una storia lunga e complessa che ha lasciato testimonianze in differenti parti del mondo. La mandragora aveva (ed ha tutt’oggi) anche un impiego medicinale, afrodisiaco e psicoattivo.  

L’origine della parola “mandragora” è oscura. Secondo alcuni deriverebbe dal sanscrito mandros, “sonno”, e agora, “sostanza”, oppure mandara, “paradiso”. Altri commentatori propendono per un’origine sumerica, da nam-tar, “pianta del dio del castigo”, o tedesca medievale, da mann-dragen, “figura di uomo”, o ancora persiana, da mardumgià, “erba dell’uomo”. Dioscoride, nel De materia medica, la chiama antimelon, archinen e morion, mentre in latino è mandragoras. Claudio Eliano, nel De animalium natura, la chiama cynospastos, “estirpata per mezzo di un cane”, e dice che brilla di notte. La chiama anche aglaophotis, “risplendente”, termine poi ripreso poi da Plinio il Vecchio nella Historia Naturalis.

In Oriente, è citata nel Vecchio Testamento in Genesi e nel Cantico dei Cantici con il nome di dudaim, “amore e paura”. Nel primo episodio, Rachele, disperata per non avere figli, supplicò Lea di darle una delle mandragore trovate dal figlio Ruben, concedendole in cambio il marito per una notte. Nel secondo episodio, Shulammite invita il suo amante ad andare nei campi dove crescono le mandragore. Flavio Giuseppe, nella Guerra Giudaica, menziona una pianta nota come baaras, “ardore”, probabilmente la mandragora, che “[…] verso sera emette una luce brillante, elude le persone che tentano di raccoglierla, a meno che non si pongano su essa certe secrezioni del corpo umano […]. Applicata al paziente, la radice fa espellere i demoni”. Un nome significativo è quello attribuito nell’Arabia preislamica, cioè abu ‘lruh, “signore del respiro vitale” o “signore dello spirito”, a indicare la carica spirituale della mandragora e probabilmente la sua identificazione con una divinità. Con l’avvento dell’Islam, ritroviamo Tufah al-jinn, “mele del demonio”, Baydal-jinn, “testicoli del demonio” e anche “candela del diavolo”. Questo valore negativo attribuito dagli Arabi alla mandragora si ritrova in una formula per la preparazione di un veleno a base di radici decomposte della pianta. In Persia, il nome è sag-kan, “scavata da un cane”.

In Asia, nella medicina popolare dell’India, la mandragora è nota come Lakshmana, “che possiede segni fortunati”, ed è usata come afrodisiaco e nell’assistenza al parto.

Nell’Europa medievale, alla mandragora furono attribuiti numerosi epiteti, per esempio “mela di Satana”, “testicoli di Satana”, “mela dello stolto” e “mela dell’amore”. Per i Germani era nota come Drachenpuppe, “pupazzo-dragone”, e Galgenmännlein, “piccolo uomo delle forche”, mentre in Islanda come thjofarot, “radice dei ladri”. Altre denominazioni ricordavano l’effetto narcotico e le streghe. Una della caratteristiche della mandragora che suscitò la fantasia degli antichi fu la somiglianza della sua radice con la figura umana. Sembra che sia stato Pitagora uno dei primi a descrivere la radice come antropomorfa.

E come per  tutte le piante magiche, estirparla era pericoloso. Occorreva seguire un preciso rituale e rispettare certe precauzioni. Teofrasto di Lesbo, poi ripreso da Plinio il Vecchio, scrive che per raccoglierla bisogna tracciarle attorno tre cerchi con una spada e tagliarla rivolgendosi a ovest. Tagliandone una seconda parte, si dovrebbe danzarle attorno e dire “quante più cose è possibile sui misteri dell’amore”. Durante il Medioevo, il rituale prevedeva di recarsi sul posto il venerdì al crepuscolo, con un cane nero affamato. Dopo essersi tappate le orecchie, si facevano tre segni di croce sulla pianta, si scavava attorno e si poneva attorno alla radice una corda, poi annodata al collo o coda del cane. Poco lontano si poneva del cibo per l’animale, il quale strattonando staccava la radice che emetteva un grido. In questo modo, il cane moriva al posto dell’uomo.

Stando alle testimonianze archeologiche, questa pianta era già nota agli antichi Egizi a partire dal XIV secolo a.C. Ricordiamo la scena di raccolta di radici di mandragora rappresentata sul sarcofago di Tutankhamon e le scene nella tomba di Ramses II. In quest’ultimo caso, la mandragora è accompagnata dalla ninfea e dal papavero da oppio, anch’esse piante dotate di proprietà psicoattive. Sembra che queste tre piante fossero utilizzate in combinazione per preparare un unguento in grado di indurre stati ipnotici, di transe ed estatici. Nell’Europa medievale, la mandragora era un probabile ingrediente degli unguenti delle streghe. E’ stato infatti riportato da alcuni sperimentatori che i principi attivi contenuti nella pianta possono provocare la sensazione di volare e di viaggiare in posti differenti da quello in cui ci si trova, offrendo così una possibile interpretazione al volo delle streghe verso il sabba.

Si credeva che il solo odorarla poteva indurre al sonno. Celso consigliava di porla sotto il cuscino per addormentarsi e anche Apuleio, Luciano e Plinio il Vecchio confermano questo fatto. Plutarco riporta che le più belle mandragore crescono ai piedi delle viti e che il vino ottenuto da queste vigne ha grandi proprietà ipnotiche. Anche Filostrato descrive la mandragora come soporifera. Inoltre, Demostene e Platone paragonano i quieti cittadini ateniesi a degli “ubriachi di mandragore”, fatto confermato da Pindaro e Senofonte. La pianta trova applicazione anche nell’arte militare delle imboscate. Infatti, Frontino scrive che Maharbal, mandato dai Cartaginesi contro i ribelli africani, sapendo che la popolazione era dedita al vino, lo miscelò con mandragore. In questo modo, Maharbal uccise i ribelli o li prese prigionieri mentre giacevano come fossero morti.

In riferimento alle proprietà afrodisiache della mandragora, Afrodite, la dea dell’Amore, era chiamata Mandragoritis. In Egitto, con la pianta si preparavano filtri d’amore per le coppie che desideravano avere molti figli. I Beduini della regione del Negev in Israele la considerano sacra ed è vietato danneggiarla e le donne sterili ne mangiano i frutti immaturi dopo il periodo mestruale, recitando i versi del Corano.

Dioscoride consigliava il vino di mandragora come anestetico in chirurgia, così come Isidoro di Siviglia. Il vino alla mandragora lo si somministrava ai condannati al rogo o alle più diverse torture, usanza forse ereditata dal mondo biblico. In questo modo, la sofferenza era in parte alleviata. Sembrerebbe, poi, che l’effetto narcotico sia stato sfruttato in Palestina per indurre una specie di trance narcotica nei condannati alla crocifissione e probabilmente la spugna che fu data a Cristo sulla croce era imbevuta di vino alla mandragora. L’uso del vino alla mandragora come anestetico in medicina è sopravvissuto in Europa fino all’inizio del XVIII secolo, sottoforma di una spugna bollita in una miscela di vino, corteccia di radice di mandragora, semi di una specie di lattuga con effetti soporiferi e foglie di gelso. Tali spugne erano molto utilizzate dai medici della Scuola Medica di Salerno.

La mandragora era trattata come un vero e proprio essere vivente, avvolta in un panno rosso e posta in una scatola, custodita in un luogo sicuro fuori dalla vista dei curiosi e nutrita periodicamente. Alla morte del possessore, andava in eredità all’ultimogenito dei figli, che deponeva nella bara pane e una moneta d’oro. Si teneva in casa come amuleto per garantire una protezione magica, per divinare, per favorire la fortuna e la procreazione. Usanza comune era di intagliare la radice in forma di essere umano, dando origine alle cosiddette imaguncula alrunica, da Alraune, nome tedesco della mandragora. La stessa Giovanna D’Arco fu accusata di possedere, come talismano magico, una mandragora in forma umana.

In Francia, la mandragora era nota come main de gloire, “mano di gloria”, o mandragloire, forse dall’unione delle parole mandragora e Magloire, quest’ultimo nome di un elfo del folklore francese, personificato come una radice di mandragora lavorata. In Britannia, una leggenda narra di uno spirito notturno che compare con le dita della mano fiammeggianti. D’altra parte, “mano di gloria” è anche il nome dato alla mano amputata di un uomo morto e usata come torcia magica per commettere furti di notte. Si tratta di un tema popolare del folklore europeo, comparendo in trattati, manuali di stregoneria, resoconti di processi alle streghe e credenze popolari. Per esempio, nel Libro dei segreti di Alberto Magno, l’autore spiega come preparare una mano di gloria. Lo scopo della mano di gloria è “[…]meravigliare coloro ai quali è mostrata e renderli immobili, come fossero morti”. Questa mano, tagliata a un morto e seccata, era usata come portacandela per pratiche occulte. Si dice che la mano brilli di notte, proprio come la mandragora, come la pianta si trova sotto le forche e ha un effetto soporifico simile. Ad Antiochia, Costantinopoli e Damasco, sono state ritrovate radici di mandragora modellate in forma umana. Questo sembra dimostrare che non solo l’uso della pianta è antico, ma che lo è anche il desiderio di accrescerne il potere magico, modificandone la forma. Ancora nell’età moderna, in Armenia, si usa bruciare le radici di mandragora per scacciare gli spiriti maligni dalle case e inalarne il fumo è considerato una cura per la pazzia. Una specie di mandragora è usata, poi, in riti magici nel Sikkim, in Himalaya.

In tempi moderni, le credenze e gli usi della mandragora sono rimasti ancora vivi. In Inghilterra, agli inizi del ‘900, era usata come anestetico e come rimedio omeopatico per la gotta. In alcune zone, i popoli alpini la usano come amuleto protettivo contro il tempo brutto. In Grecia, almeno fino agli anni ’60, le donne sterili portavano parte della pianta al collo per favorire la fecondità e ponevano il frutto o la radice sul proprio corpo durante l’atto sessuale sempre per favorire la fecondità. In Romania, la mandragora era parte di un rito per favorire l’incontro tra uomo e donna.

Da quanto riportato, è possibile ipotizzare una certa “dimensione mitica” della mandragora, essenzialmente rappresentata dai poteri posseduti.dalla pianta.

In più, altri dati relazionati riguardano la sua origine divina o comunque miracolosa. Si tratta di elementi comuni a diversi racconti mitici che, nel caso specifico della mandragora, sarebbero stati rielaborati nel corso del tempo, fino a essere riproposti nei racconti, leggende e credenze popolari successive, acquisendo una certa autonomia. In sostanza, vi sarebbe un “nucleo mitico” originario rimasto inalterato e vivo nel suo significato più essenziale. Questa sopravvivenza potrebbe rimandare al significato principale dei miti legati alle piante magiche., in quanto il mito della pianta magica, mediatrice fra il mondo ordinario e quello soprannaturale, fornisce un fondamento all’impulso dell’uomo verso la conoscenza delle forze nascoste della natura.

Nell’antica letteratura mitologica, è citata una pianta magica denominata moly, che alcuni studiosi hanno identificato con la mandragora, anche se l’individuazione è piuttosto discussa. Nell’Odissea, Omero riporta che il moly è il dono di Hermes a Ulisse affinchè potesse proteggersi dagli incantesimi della maga Circe. Eustazio riporta un mito di origine del moly. Il gigante Picoloo si era innamorato di Circe e voleva rapirla. Intervenne però il dio Helios, padre della maga, che uccise il gigante:

“E dal sangue del gigante sparso sulla terra germogliò il moly, che prende il nome dalla “fatica della battaglia”. Ma il suo fiore, dal biancore abbagliante come quello del latte, proviene dall’abbagliante Helios, che vinse il combattimento; la nera radice spunta dal nero sangue del gigante, ovvero, se ne può spiegare la natura col fatto che Circe diviene spettralmente smorta per lo spavento”.

In questo mito incontriamo due temi essenziali, quello della morte violenta e quello della nascita miracolosa, comuni ad altri racconti mitici. L’erica nasce intorno al cadavere di Osiride, la violetta dal sangue di Attis, la rosa e l’anemone dal sangue di Adonis, la melagrana e il timo rispettivamente dal sangue di Dioniso e dei Coribanti, mentre un’altra erba nasce dal sangue di Prometeo. Questo motivo pagano fu ripreso dal Cristianesimo. Infatti, secondo la leggenda, dal sangue del Cristo caduto ai piedi della croce crescerebbero diverse piante medicinali, ma anche il grano, la vite e la mirra.

Nel Medioevo, soprattutto nei paesi germanici, in Francia e in Islanda, era diffusa una credenza secondo cui la mandragora cresceva dallo sperma o dall’urina caduta al suolo al momento della morte di un impiccato condannato ingiustamente.

Il tema della nascita delle piante dallo sperma di un dio o di un essere umano dai poteri eccezionali lo si ritrova specialmente in Oriente. Ricordiamo al proposito la leggenda di Caiumarath. In essa, Adamo, escluso dal Paradiso Terrestre e separato da Eva, sognò di abbracciare quest’ultima. Il suo sperma cadde a terra e da lì crebbe una pianta che prese forma umana e divenne Caiumarath. Caiumarath è stato identificato anche con Adamo e inoltre rappresenterebbe Gayômart, il primo uomo della tradizione iranica. Quando Gayômart morì, il suo sperma cadde in terra e vi rimase per 40 anni., dopodiché da esso nacquero due piante che assunsero una forma umana di maschio e femmina.

La nascita dallo sperma potrebbe rimandare al tema mitico primordiale della ierogamia del dio del Cielo con la Madre Terra, in cui lo sperma assume natura divina, essendo il veicolo dello spirito creatore.

In generale, la morte violenta richiama il motivo mitico della creazione mediante il sacrificio. Attraverso il sacrificio, la nuova vita che ne scaturisce si manifesta in forma superiore e il sacrificato avrebbe ben potuto essere il protagonista di un mito originario.

Trattando delle virtù terapeutiche della mandragora, Ildegarda di Bingen, nella Physica, la definisce “un pezzo di terra che non ha mai peccato”. Secondo alcune interpretazioni di questa definizione, la guarigione avviene tramite una regressione simbolica e rituale alle origini, ai tempi di Adamo nel Paradiso Terreste. Chi ha bisogno di cure ritorna simbolicamente al tempo mitico, al momento della creazione dell’uomo e del mondo. In questo modo, si rinasce nuovamente e si è liberi dalla malattia.

Secondo una certa tradizione mediorientale, forse antecedente al Cristianesimo, la mandragora dalla radice antropomorfa nasce nel Paradiso Terrestre, dove Dio ha creato il primo uomo. Crescerebbe ai piedi dell’Albero del Bene e del Male, con il quale a volte è identificata. In questo caso, la mandragora è associata a un luogo primordiale, dove ha luogo la creazione primigenia. Si tratta quindi di una pianta primordiale e quindi mitica.

In differenti culture europee, arabe e asiatiche, si riporta che l’uomo originò dalla mandragora, in base all’aspetto antropomorfo della radice:

“I primi uomini sarebbero stati una famiglia di gigantesche mandragore sensitive, che il sole avrebbe animato e che, da sole, si sarebbero distaccate dalla terra”. 

“L’uomo apparve originariamente sulla terra in forma di mostruose mandragore, animate da una vita istintiva, e che il soffio dell’Altissimo costrinse, trasmutò e sgrossò, e infine sradicò, per farne degli esseri dotati di pensiero e di movimento proprio”.

In una leggenda della Siria si racconta:

“Quando Dio creò il mondo, si riservò la creazione degli esseri viventi sulla terra, nelle acque e nell’aria; ma, nel suo contratto con Satana, aveva dimenticato il sottosuolo. Lo spirito del Male, geloso del Creatore, volle, anche lui, fabbricare degli uomini e delle donne viventi sotto terra. Il suo genio inventivo, ma incompleto, non portò che alla plasmazione informe delle mandragore. Dal momento che queste, strappate da terra, penetrano nel regno di Dio, cessano di vivere”.

I primi due racconti rimandano a un preesistente mito di origine dell’uomo, in cui la sua origine è successiva a quella della pianta. La pianta ha una sensibilità, propria di tutti gli esseri viventi, trasmessa poi all’uomo al momento della sua creazione. La leggenda siriana, invece, ricorda il tema della nascita miracolosa mediata da un intervento soprannaturale, in questo caso maligno.

Per quanto riguarda i miti legati all’utilizzo della mandragora, ricordiamo un racconto dell’antica letteratura religiosa egiziana, noto come Distruzione e salvataggio del genere umano. Il dio del Sole Ra vuole punire gli uomini perché non lo venerano e allo scopo invia la dea Hathor a ucciderli. Però cambia idea e deve fermare Hathor:

“Disse allora Ra: ‘Chiamatemi messaggeri che corrano rapidamente, che si affrettino come l’ombra di un corpo’.

Furono portati allora questi messaggeri sull’istante. E disse quindi la Maestà di questo dio: ‘Recatevi a Elefantina, e portatemi didit in quantità’. Gli furono portate queste didit, e la Maestà di questo dio grande fece che il Chiomato che abita a Eliopoli macinasse queste didit, e che inoltre schiave spremessero l’orzo per farne birra. Quindi, furono poste queste didit in questa bevanda, ed essa fu come il sangue degli uomini.

Si fecero 7000 brocche di birra. Venne quindi la Maestà del re della Valle e re del Delta Ra con questi dei per vedere questa birra.

Ora, venne la mattina dell’uccisione degli uomini da parte della dea nel giorno in cui essi rientravano.

Disse allora la Maestà di Ra: ‘Quanto è bello questo! Con questo io proteggerò gli uomini!’ Disse Ra: ‘Portatelo al luogo dove essa vuole uccidere gli uomini’.

Si levò presto la Maestà del re della Valle e re del Delta Ra, al termine della notte, per fare che si versasse questa bevanda soporifera. Furono così sommersi i campi per tre palmi sotto l’acqua, per la potenza della Maestà di questo dio.

Venne allora questa dea del mattino presto, e trovò questo sommerso. Bella ne fu la sua faccia, ed essa si mise a bere, e fu una cosa gradita al suo cuore, tanto che se ne venne ubriaca, e non riconobbe gli uomini.

Disse allora la Maestà di Ra a questa dea: ‘Benvenuta in pace, o diletta!’ E questa fu l’origine delle  Giovanette di Jamu.

Disse allora la Maestà di Ra a questa dea: ‘Si facciano per lei bevande soporifere nella celebrazione della festa annuale, e si distribuiscano alle schiave’. Questa è l’origine del fare bevande soporifere in distribuzione alle schiave per la festa di Hathor da parte di tutti gli uomini fino al primo giorno”.

Questo mito non rappresenta solo l’origine di un utilizzo cultuale della mandragora (didit), è qualcosa di più. E’ la storia di una seconda nascita dell’umanità, resa possibile attraverso il potere della mandragora.

Limitatamente ai documenti qui discussi, risulta che la dimensione mitica della mandragora è piuttosto complessa e interessa differenti tempi storici e zone geografiche. Come per tutte le piante magiche, il ruolo della mandragora come specie psicoattiva all’interno dei miti relativi non è trascurabile e probabilmente ha influito sulla loro elaborazione. Se non mancano i miti di origine della pianta in questione, quelli riguardanti il suo utilizzo sono piuttosto scarsi. Questo potrebbe essere un campo di indagine da approfondire, soprattutto nell’ambito della cultura europea.   

 Bibliografia 

-         Cattabiani A., 1996, Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Mondadori Editore, Milano

-         Eliade M., 1988, “Gayômart, Adamo e la mandragola”, in: Eliade M., 1988, Spezzare il tetto della casa. La creatività e i suoi simboli, Jaca Book, Milano, p. 159-169

-         Eliade M., 1990, “La Mandragola e i miti della ‘Nascita miracolosa’ “, in: Eliade M., 1990, I riti del costruire, Jaca Book, Milano, p. 115-165  

-         Festi F., 1995, “Le erbe del diavolo 2: Botanica, chimica e farmacologia”, Altrove, 2: 117-145

-         Izzi M., 1987, La radice dell’uomo. Storia e mito della Mandragora, Ianua, Roma

-         Müller-Ebeling C. & C. Rätsch, 2004, Zauberpflanze Alraune. Die magische Mandragora, Nachtschatten Verlag, Solothurn

-         Pieirni P.L., 1999, La Magica Mandragora, Edizioni Rebis, Viareggio

-         Samorini G., 1995, Gli allucinogeni nel mito. Racconti sull’origine delle piante psicoattive, Nautilus, Torino

 (Autore:Gianluca Toro email: gianlucatoro@libero.it)

 

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