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DALLA TORRE DI BABELE ALLA GERUSALEMME CELESTE

L'ATTIVITA' DEI LAPICIDI ALLA SACRA DI SAN MICHELE

 

di Frans Ferzini © AA.VV. “Sacra Natura” a cura di Gianni Boschis e Giampietro Casiraghi, Ed. Rosminiane-Stresa-20190, Atti del XIX Convegno Sancrese – Sacra di San Michele, 17-19 settembre 2009

 
"Quid est deus?
Longitudo, latitudo, sublimitas
et profundum
."
 (Saint Bernard de Clairvaux De consideratione, V, XIII)


Parlare di una metodologia di lavoro relativa alla pietra impiegata alla Sacra di San Michele (TO), non è cosa del tutto agevole se consideriamo le possibili quantità informative da condensare nel poco spazio disponibile.
 
E' giusto precisare che, per poter parlare esaurientemente di una qualunque tecnica operativa lapidea è importante definire, al di là dell'intimo rapporto esistente tra utensile e materiale, quali siano i rapporti tra i materiali lapidei dissimili tra loro e le diverse difficoltà operative, le quali comportano scelte tecniche e risultati estetici differenti.
 
L'epoca storica presa in esame è quel periodo discutibilmente definito “medioevo”, periodo ben poco oscuro se consideriamo il fatto che le tecniche di costruzione ed in particolare il taglio della pietra erano tutt'altro che povere, sia per l'eredità ricevuta dalle sopravvissute scholae romane, sia per l'aspetto evolutivo delle tecniche grazie al fenomeno d'itineranza degli artefici e la divulgazione dei modelli che renderanno possibile la diffusione del “Romanico” e il successivo passaggio al “Gotico”.
 
Non di poco conto è il ruolo svolto dal valore itinerante giocato dalle Taglie di mestiere, spesso con legami parentali, le quali favoriscono lo scambio tra “logge operative” distanti tra loro, delle tecniche di taglio ed attrezzi diversi, simbologie desunte dai codici miniati da riportare sui capitelli, idee progettuali che diverranno, col finire dell'età gotica, veri libri di cantiere gelosamente custoditi dal Maestro di Corporazione.


 Esempi di queste traslazioni culturali le possiamo trovare nelle introduzioni di strumenti da taglio come per esempio l'ascia da pietra, assai usata nei territori allora chiamati “Lombardi”, che viene importata nella Lucchesia dalla Taglia dei Guidi o come in Cataluña, ove la Consorteria Lombarda di Magister Raimundo, operante per la ricostruzione della chiesa della Seu d'Urgell distrutta dagli Arabi, apporterà, suo malgrado il termine “Lambardus” nel lessico ispanico per definire il costruttore, il tagliatore di pietre.
 
Anche la Sacra di San Michele non è da escludere da questi apporti d'itineranza, anzi ne è favorita dalla posizione geografica in un antico confine tra terre longobarde e franche, sul percorso naturale della via Romea.
 
Nell'anno mille molte maestranze comacine si erano stabilite in terre lontane dal nord Italia, in Francia, in Cataluña ed in Inghilterra, fondendo il loro sapere con quello sviluppato nei territori-ospite tanto da decentrare il fulcro della conoscenza stilistica nel crocevia naturale di queste itineranze, ossia la Borgogna e la Provenza.
Le maestranze lombarde, esaurito in patria il loro sapere, si spostarono in discipulato verso cantieri “moderni” quali Saint Trophime ad Arles o Cluny, per apprendere nuovi stili e tecniche attraverso le sopravvissute immagini classicheggianti, i decori geometrico-fitomorfici e gli animali fantastici osservabili nello Scriptorium dei grandi monasteri. Immagini da imprimere nella mente e riprodurre poi su grandi architravi, pulpiti e plutei.
E' il caso di Magister Nicholaus, il quale concluso il proprio tour d'apprendimento in Francia, forse a Chamalières, sosta alla Sacra di San Michele, ove ci lascia lo splendido fregio con caulicoli abitati nella “Porta dello Zodiaco”. Questo è il risultato di un'esperienza maturata in terre franche che diverrà tipica sul percorso padano dove stanno fiorendo i grandi cantieri delle “cattedrali bianche”.
 
Stesso intreccio culturale ci è dato dagli altri elementi decorativi presenti alla Sacra, come per le colonnine marmoree della citata “Porta dello Zodiaco”,
per i rilievi di tipo padano nell'interno absidale, come per l'Hortus descritto nei capitelli del portale della chiesa, strombato nella sua cornice a modanature gotiche in cui tradisce una trattazione morbida di estrazione lombarda nella raffinata modellazione delle foglie a forte aggetto dal fondo, nonché la quinta bicroma in cui albergano.
 
La mia attenzione vuole spostarsi nel lavoro apparentemente più umile, quello meno osservato relativo al taglio della pietra da costruzione. Essa, divisa sostanzialmente in due tipologie lapidee, il calcescisto e la prasinite, forma l'apparato costitutivo del corpo di fabbrica, il suo decoro ed ancora la sua “pelle”.
 
Il taglio della pietra in forma parallelepipeda, rappresenta l'indiscussa tecnica primaria per ottenere moduli per erigere un muro, tecnica definita Opus Quadratum (Grand Appareil) che permette una maggiore coesione per aderenza tra i blocchi qualora quest'ultimi siano ben riquadrati e rifiniti poi superficialmente.
 
Il calcescisto, erroneamente definito un materiale inservibile, veniva tagliato all'ascia o con uno scalpello a punta (subbia), il cui utilizzo è visibile nelle caratteristiche linee parallele che tendono a pareggiare le superfici rugginose di questo materiale.
 
Nella prasinite, dal colore verde pastello, la sostanza minerale è più compatta e meno stratificata, cosa che permette una riquadratura più raffinata con superfici rettificate all'ascia dentata, un'ascia da pietra il cui filo tagliente è formato da punte triangolari che colpendo la superficie lapidea formano una texture puntinata di grande effetto plastico. Questo utensile rappresenta una variante evolutiva della semplice ascia da pietra e troverà una forte espansione europea, in particolar modo in Austria, Germania ed in Francia dove ancor oggi viene usata col nome di Grain d'Orge.
 
L'aspetto estetico che l'ascia dentata fornisce, rende morbide le superfici in modo differenziato dalla quantità dei denti posseduti dall'utensile e dalla abilità dell'operatore, sino a modellare in modo preciso anche le modanature dei portali o, come ben visibile sulle colonne interne della chiesa, che paradossalmente appaiono leggere.
 
Particolare raffinatezza è rappresentata dai colonnini esili che formano la loggetta absidale, detta dei “Viretti”.

 

Colonnino dei "Viretti". restauro integrativo nella loggia operativa della Sacra (foto F. Ferzini)

 

L'ascia dentata gioca un ruolo fondamentale nella modellazione della loro sezione circolare lievemente rastremata al sommoscapo. La puntinatura serrata dichiara la volontà precisa di lasciar che la luce crei sensibili variazioni di chiaro e scuro superficiali, una pelle desunta dalla bulinatura dei metalli preziosi.
 
Anche la subbia, utilizzata in modo tangente alla superficie crea texture puntinate, ma più profonde di quelle dell'ascia. La subbia incide profondamente, scava sbozzando i “fondi” delle forme per ottenerne gli “scuri”, ossia le parti concave d'una modanatura poi rifinite con un'ascetta dentata di piccola dimensione.

 

 

Modanatura nella loggia dei "Viretti" (foto F. Ferzini)

 

 

Asce dentate da pietra (foto F. Ferzini)
 
L'incertezza, la stanchezza, la difficoltà definiscono l'imperfezione che umanizza la superficie, mitigata dagli interventi successivi, ottocenteschi, quando l'utilizzo della bocciarda (una mazza dentata) o la “gradina” (sorta di scalpello dentato nato intorno al XIV secolo) faciliteranno agli operai impiegati dal D'Andrade, ad operare sui blocchi di prasinite integrati al santuario, a formare la scalinata che collega la “Porta dello Zodiaco” ed il portale della chiesa, nonché i maestosi archi rampanti sovrastanti.
 
La tecnica di squadratura è qui perfetta e la commistura tra i blocchi è precisa e rettificata da un nastrino (bindello), scolpito con uno scalpello piatto, che isola sui bordi del modulo il campo bocciardato. Anche lo studio stereotomico è ormai all'apice ed è notabile nella perfetta attenzione del taglio delle parti che costituiscono un angolo, un diedro, una curva modulata o, ancor più, qualora un angolo retto si fa piano, tondo o l'incavo si fa estroflesso.
 
L'apparente facilità dell'umile lavoro del taglio della pietra da costruzione, svanisce se si considera l'iter operativo che dalla cava, come quella D'Andrade, visibile nei pressi della Sacra, conduce all'opera finita. Si doveva staccare il masso dal monte, possibilmente attraverso delle separazioni naturali chiamate litoclasi, mediante cunei di ferro percossi con una mazza e con l'aiuto di leve di ferro che favorivano il progressivo distacco e “varata” del blocco a piè di cava. Era poi necessario eseguire una prima sezione del masso da effettuarsi per mezzo di una serie di cunei di ferro di varie lunghezze, percossi all'interno di pozzetti scavati a scalpello lungo una linea. Così separate, le parti venivano portate sino al piazzale di cava, ove gli scalpellini operavano per fornire gli “sbozzi” secondo misure stabilite, prima con ulteriori sezionature a cunei e poi, mediante una subbia di grande dimensione sino ad ottenere una prima riquadratura dei “pezzi”. Le grosse asperità erano tolte con un grosso scalpello col tagliente a cuneo, chiamato in modo diverso secondo le regioni:”scapezzino” sulle Apuane, “ schiantino” o “giadino” nel Piemonte ed in Lombardia.
 

 

Attrezzi-base dello scalpellino. Da sinistra:scalpello, gradina, subbia, mazzetta (foto F. Ferzini)


Era poi compito degli scalpellini, con qualifiche superiori, a rifinire i singoli pezzi mediante misurazioni e riquadrature controllate alla squadra, e forme anche complesse ricavate tramite delle sagome chiamate “modine”. Esse rappresentavano un bene prezioso, perciò custodite gelosamente dal momento che erano state disegnate in relazione alle parti di quell'edificio, con valore fisso ed unico, senza le quali era possibile compromettere la giusta dirittura di una scala o di una colonna, la curvatura di un arco.
 
Il popolo dei costruttori proseguiva nella scala operativa che, passando dagli ornatisti, arrivava all'Imagier (lo scultore d'immagini), il Caput Magister ed infine il Maestro d'Opera, detentore dei progetti e dello scibile conoscitivo composto di sapere simbolico e totale raggiungimento tecnico. Egli era a capo dei vari Capi Magistri che formavano le Taglie e dettava gli incarichi attraverso un suo sottoposto, il Parlier, che aveva il compito di far da ponte tra i Magistri e i dettami del Magistro d'Opera.
 
Non è semplice immaginare un cantiere attivo nel medioevo, come quello della Sacra di San Michele. Un brulicare di gente dalle diverse provenienze e con diverse mansioni e con differenti capacità tecniche: dai legnaiuoli intenti a costruire le centine ed i ponteggi, ai muratori nell'atto di erigere i muri, mentre i manovali trasportavano pietrisco, portavano la malta ai piani superiori, e facendo ruotare gli argani o la “gabbia dello scoiattolo” sollevavano i grandi blocchi. A piè dell'opera, gli scalpellini riquadravano, tagliavano, sagomavano, mentre i giovani apprendisti facevano la spola per rifornire gli scalpelli, forgiati dal fabbro, o li si vedono intenti a “tirare” la malta in grandi vasche.
 
L'immagine del cantiere possiamo capirlo dai codici miniati, come quello di Hrabanus Maurus che ci tramanda l'espressione di un sentimento, una volontà costruttiva che, pur essendo formata da un inimmaginabile dispendio di forza e lavoro umano, riflette un desiderio di edificazione interiore, il costruire secondo un piano divino della salvezza, un progetto che partendo dall'insegnamento imposto dalla realizzazione della Torre di Babele, costringe i costruttori a lasciare l'opera per itinerare in luoghi diversi tra loro, ed apprendere leggi operative che li riuniranno in un nuovo cantiere, quello della Gerusalemme Celeste.

 (Autore:Frans Ferzini. L'articolo è presente in originale nel sito dell'Autore stesso: www.ferzinifrans.com)

 

 

Sezioni correlate in questo sito:

I Maestri Comacini
La Sacra di San Michele
Medioevo (e cattedrali)

 

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                                                                Novembre 2010