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di Enrico Pantalone



Don Carlos, figlio primogenito di Filippo II d’Absburgo e Maria Emanuela di Portogallo, nipote di Carlo V, era destinato a succedere al padre dopo la sua morte come da prassi ereditaria, ma come dalla vicenda ben conosciuta attraverso romanzi, opere teatrali e melodrammi egli finì i suoi giorni esiliato e rinchiuso in fortezza dal padre fino alla morte avvenuta forse per avvelenamento.
Lasciando cadere l’aspetto romanzato, veniamo a cercare di comprendere le ragioni per cui egli non riuscì ad arrivare al trono, quali valenze sociologiche lo portarono in rotta di conflitto con il padre e l’intera corte asburgica retta, come sappiamo, da un durissimo cerimoniale che metteva in difficoltà anche il più sagace e preparato dei nobili in questa materia.
Iniziamo ad inquadrare il padre, Filippo II, castigliano fino al midollo più del padre Carlo V, nonostante i capelli rossicci che facevano pensare alla sua discendenza borgognona, intransigente, maniaco del cerimoniale, ma attivo e generoso sul lavoro, instancabile primo servitore del suo paese.
Egli amava leggere di persona ogni dispaccio e legge proposta, si circondava solamente di gente fidata e altrettanto dura sul lavoro, aveva poco tempo per festeggiamenti e odiava la rilassatezza dei costumi tipica del tempo: fu l’Imperatore della Controriforma, rigido applicatore del dogma papale, molto poco propenso a concedere qualsiasi beneficio (come aveva fatto invece il padre) a coloro che s’opponevano alla società che egli stava costruendo: non ammetteva discussioni, odiava peraltro l’economia che infatti diede risultati nefasti in seguito ad errate scelte.
La madre Maria Emanuela, figlia di Giovanni III del Portogallo, era l’esatto opposto, una donna dolce e remissiva, amava il marito pur sapendo che il suo matrimonio era stato deciso altrove, sognatrice, in qualche modo passò i suoi geni al figlio Carlos, morì presto, dando modo a Filippo di risposarsi ed attuare la sua politica con nuove strategie.
Don Carlos fu ribelle fin dalle prime battute della sua vita, odiava l’impostazione militare impartita all’educazione dalla sua stirpe, odiava la Fede Cattolica (pur praticandola) bigotta, insomma possiamo definirlo come un eretico in seno alla più dura delle famiglie che hanno dominato il mondo nella storia.
Figuriamoci se il padre gli avesse proposto (e magari lo avrà anche fatto) di sposare una qualche cugina al solo scopo di far continuare la stirpe: possiamo immaginare la sua risata di fronte alla faccia austera del genitore.
Non avendo in pratica conosciuto la madre, morta quando egli aveva appena un anno, ne riportò sempre un’immagine angelica di donna sofferente per sentito dire, idealizzandola profondamente, questo sicuramente lo instradò inevitabilmente in rotta di collisione con il padre, ai suoi occhi una belva assetata del suo sangue dopo aver avuto a suo modo di vedere, quello della madre: in questo forse si rivede un lato drammatico degli Asburgo, della bisnonna Giovanna, detta la Pazza, anche lei rinchiusa in fortezza fino alla morte. 
Un altro appunto importante fu che il padre cercò in qualche modo di recuperarlo e spesso lo proteggeva con molta forza anche quando Carlos spinto dalla sua presunta follia mentale non lesinava sadismi nei confronti delle sue piccole nobili compagne di gioco, cosa insopportabile nell’austera corte castigliana. 
Don Carlos probabilmente non era realmente pazzo, era semplicemente scoordinato con la società castigliana (e forse anche europea) del tempo in cui viveva, intrisa di Ragion di Stato e bigottismo, per questo Carlos non fu mai considerato come il Principe Ereditario, nemmeno dalla corte, gli fu negata sostanzialmente ogni libertà d’azione visto le sue prese di posizione ed i suoi “giochini perversi”.
Altro fattore importante fu anche l’amore che legò Carlos ad Elisabetta di Valois, terza moglie di Filippo II, il figlio se l’intendeva quindi con la matrigna, erano giovani entrambi, Elisabetta fu sposata da Filippo per avere un figlio maschio e continuare la discendenza, ma non vi riuscì e finì appunto per trovare in Carlos un uomo da amare veramente.
Egli, infatti, ne fece da un lato la sua Musa, rispettandola, parlandole dolcemente, facendo con lei lunghe passeggiate e dall’altro lato imponendole la sua brama di dominio anche nei rapporti sessuali, spesso al limite della crudeltà vera e propria nei confronti della donna che remissiva per natura subiva a quanto sembra manifestando un discreto consenso, insomma, i due parlavano del Sole, della bellezza della Natura, del canto degli uccellini, ma erano anche due torbidi amanti, soli ed incompresi, chiaro che questo non poteva stare bene a Filippo II: da quel momento egli non pensò altro che al modo di liberarsi d’un incomodo figlio.
Don Carlos amava la vita, la libertà, aveva una profonda gioia di vita, non portò mai la spada al suo fianco, distruggendo il mito dell’Hidaldo e dell’Hispanidad, ma non dobbiamo pensare però che fosse un agnellino, anche lui tesseva le sue trame nefaste dietro l’apparenza libertaria e brigò per liberarsi del padre.
Egli voleva il trono, conquistatolo avrebbe svolto un impressionante cambiamento a tutta la politica spagnola di quel tempo, con ogni probabilità avrebbe risolto diverse controversie arrivando a compromessi, ma la società castigliana del tempo non poteva permettersi ciò, Filippo II fu con ogni probabilità la baionetta che colpì al cuore Don Carlos, ne fu l’esecutore pratico anche se in realtà era tutta la corte intera ad essere contro di lui ed a volerne la morte.
Questo è il vero punto, Don Carlos era solo, nessuno seguiva i suoi ideali, non aveva nemmeno amici al di fuori dei confini spagnoli, nemmeno tra i paesi Riformisti, i quali, in teoria, avrebbero avuto tutto l’interesse a creare confusione magari appoggiandolo politicamente.
Questo sta a significare che egli non godeva di molto credito, quindi siamo portati a pensare che molto di quello che si disse sulla sua violenza “passionale” doveva essere vero, probabilmente i vari emissari e diplomatici esteri riportarono su di lui note estremamente negative ai propri governi, facendo riferimento ai suoi ragionamenti non sempre pragmatici e realisti ed al suo “turpe” comportamento per una persona che aspirava a governare: non era semplicemente il personaggio giusto su cui puntare per cercare un cambiamento di rotta nella politica spagnola del tempo: troppo idealista, il rischio di fallire era già palese, rischiare sarebbe stato assurdo, anche perché di fatto giovarono di più, per esempio, alla causa dei Paesi Bassi l’intransigenza e l’ottusità dei governanti spagnoli, caso tipico quello del Duca d’Alba.
Dunque tiriamo un po’ le somme sulla vicenda che ha tante luci, ma anche tante ombre non facilmente dissipabili: da un lato abbiamo un padre, orgoglioso d’appartenere ad una stirpe che ha “creato un mondo” ossessionato dall’idea di non avere un figlio valido a cui trasmettere i propri ideali e le proprie prospettive verso un impero su cui “non tramontava mai il sole” e dall’altra parte un figlio, perverso e privo di qualsiasi interesse per la vita politica del tempo, incapace sia d’assumere una posizione netta e contraria all’assetto istituzionale (pur sempre pretendeva che i suoi visitatori elencassero nel presentarsi tutti i loro titoli nobiliari e naturalmente faceva altrettanto con i suoi) sia incapace di guidare una rivolta: così la morte (per avvelenamento ?) di Don Carlos eliminò ogni problema al proposito e fece tirare un sospiro di sollievo a mezza Europa.
Se v’aspettate che io dia il mio parere in merito alla vicenda rimarrete delusi, la risposta la troverete tra le righe di ciò che ho scritto, e ovviamente dovete leggere bene tra di esse.
A ben pensarci probabilmente non c’è una vera necessità di risposta, non vi fu nulla di così drammatico da non essere contemplato tra le vicende quotidiane del tempo, dove imperavano i giochi di potere tra le dinastie (Absburgo e Valois ne furono un esempio concreto) e dove nulla era lasciato al caso .

(Enrico Pantalone)

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