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        LE FESTE DEL CALENDARIO EGIZIO

                                                                                       (di Paolo Galiano ©)

 

La conoscenza che gli Egizi avevano del cielo stellato era molto complessa e tutt’ora poco nota, anche se abbiamo a disposizione “mappe” del cielo molto particolareggiate dipinte nei templi (fig. 1) e nelle tombe (fig. 2): ciò che è difficile è rapportare le costellazioni così come le vedevano gli Egizi con quelle con cui noi, sulla base delle mappe celesti greco-romane ed arabe, abbiamo dimestichezza. 

Fig. 1 : Lo zodiaco del tempio di Hathor a Dendera: il tempio, la cui prima fondazione si può far risalire a Khufu (Cheope), presenta sul soffitto di una delle sue sale uno zodiaco di epoca tolemaica nel quale sono raffigurate le stelle e le costellazioni così com’erano note agli Egizi, molto differenti come nomi e come rappresentazioni da quelle  dei popoli mediterranei successivi.

 

Fig. 2: Il cielo con le sue costellazioni raffigurato nella sala del sarcofago di Sethi I nella Valle dei Re: il alto i Decani, le stelle che segnavano le ore della notte, in basso le costellazioni circumpolari

 

Ad esempio le stelle circumpolari, che gli Egizi chiamavano “Imperiture” perché non tramontavano mai, avevano per loro forme e nomi ben diversi dai nostri: la costellazione dell’Orsa Maggiore (assimilata a Seth, l’uccisore di Osiride) era raffigurata sotto forma di un toro o di una coscia di toro (fig. 3), quella di Orione prendeva il nome del Dio della morte e della rinascita, Osiride, mentre la stella Sirio della costellazione del Cane Minore era identificata con Iside (fig. 4).

 

Fig. 3: Particolare della precedente: le Stelle Imperiture, dove si recava l’anima (o meglio l’Akhu) del faraone dopo la morte per prendere posto tra gli Dèi. Al centro in figura di toro la costellazione dell’Orsa Maggiore (Seth?), sotto un Dio a testa di falco (Horus?) che trattiene il toro con una fune, a destra la figura di un ippopotamo femmina che viene identificato con la costellazione di Boote e che tiene ferma l’Orsa Maggiore.

 

Fig. 4: La costellazione di Orione (riconoscibile dalle tre stelle della fascia centrale) era identificata con Osiride che viaggiava nel cielo notturno sulla sua barca, così come Sirio della costellazione del Cane Minore era Iside, colei che portava il nuovo anno e il rinnovamento della natura grazie all’inondazione del Nilo (tomba di Senmut, XVIII Dinastia). Sirio era chiamata Sopdet, la stella Sothis dei greco-alessandrini.  

Il cielo era Nut, la consorte del Dio-terra Geb, con il corpo piegato ad arco su di lui e coperto di stelle (fig. 5), vista nell’atto di inghiottire il Sole-Râ per il suo viaggio notturno e farlo rinascere all’alba del nuovo giorno (fig. 6).

In definitiva, il cielo era per gli Egizi non una semplice manifestazione di ciò che circondava la terra ma una proiezione del loro credo religioso che rispecchiava in alto ciò che era in basso nel loro mondo, mantenuto nell’Ordine perpetuo contro il Caos delle forze oscure grazie all’azione rituale del Faraone.

 

 

  

Fig. 5: Nut il Cielo e Geb la Terra separati dal loro padre Shu, il Soffio vitale (Papiro Greenfield)

 

 

Fig. 6: La Dèa del cielo, Nut; raffigurata nell’atto di inghiottire il Sole per il suo viaggio notturno e rigenerarlo dentro di sé per farlo rinascere la mattina dal suo utero  

1 - Formazione del calendario egizio

Il calendario egizio si è sviluppato in un arco di tempo di tre millenni attraverso tre fasi, basate sui movimenti della Luna e della stella Sirio (calendario luni-stellare), del Sole e della Luna (calendario lunisolare) o principalmente della Luna con correzioni sul ciclo solare (calendario lunare modificato, di uso religioso). Le successive trasformazioni del calendario si resero necessarie perché le differenze temporali esistenti nei reciproci rapporti tra i corpi celesti di riferimento erano tali da non renderli perfettamente sovrapponibili se non su periodi di tempo da medi a lunghi.

La differenza esistente tra la lunghezza dell’anno solare e quella dell’anno lunare, che comporta circa 11 giorni di differenza (12 mesi lunari sono 354 giorni di media contro i 365,25 di quello solare e solo ogni 309 lunazioni si ha il riallineamento con il calendario solare), non risulta perfettamente corretta dal computo dell’anno di Sirio, stella che ha un ciclo superiore di undici minuti all’anno solare (365,5 giorni contro 365,2422 rispettivamente), per cui ogni 128 anni la comparsa di Sirio posticipa di un giorno rispetto all’anno solare, il che sul lungo periodo dei tre millenni di durata della civiltà egizia equivale a più di 23 giorni di differenza.

Poiché il sole perde un giorno ogni 4 anni rispetto a Sirio, il riallineamento dei due movimenti sothiaco e solare avviene ogni 1460 anni, cioè 365 x 4 (ciclo chiamato “anno sothiaco” o “grande anno”, il quale in realtà non ebbe mai un significato particolare per gli egiziani), ma la levata eliaca di Sirio non coincide con il primo giorno dell’anno solare in quanto si sarà spostata in avanti di circa 11,4 giorni (1460 / 128).

Possiamo distinguere nell’evoluzione del calendario egizio una serie di passaggi: il calendario più antico era probabilmente un calendario lunare [1], il quale però non poteva avere rapporto diretto con l’avvicendarsi delle stagioni quando, intorno al 3200 a.C., l’agricoltura conobbe un maggiore sviluppo: il riconoscimento del legame tra il giorno della levata eliaca di Sirio (cioè la sua comparsa ad est prima dell’alba) e il periodo delle inondazioni del Nilo, necessarie alla fertilità dei campi, determinò il passaggio da un calendario lunare ad un calendario luni-stellare.

Si ebbe così un calendario che iniziava con la stagione corrispondente al nostro autunno (periodo dell’inondazione del Nilo) ma, a causa del fluttuare delle fasi lunari e del progressivo posticipare della levata eliaca di Sirio, poteva accadere che la levata avvenisse dopo la Luna Nuova con cui aveva inizio il primo mese del nuovo anno.

Per tale motivo nel calendario lunistellare era necessario inserire un mese intercalare tutte le volte in cui il primo mese dell’anno cadeva entro 11 giorni dalla effettiva levata eliaca di Sirio: questo mese intercalare, dedicato a Thoth, veniva inserito ogni 2 o più raramente 3 anni [2].

Pertanto si ebbe un anno costituito da tre stagioni ognuna di quattro mesi di 30 giorni: Akhet (Inondazione = estate - autunno), Peret (Semina = inverno - primavera) e Shemu (Raccolto = primavera - estate) [3]. Come si nota, la suddivisione dell’anno anche nelle sue denominazioni era basata sul lavoro agricolo.

Il mese iniziava nel primo giorno di Luna Nuova dopo la scomparsa dell’ultimo falcetto lunare (quindi non alla sua ricomparsa come a Roma) e il giorno iniziava con l’alba [4]. I singoli mesi potevano essere chiamati con un numerale (ad esempio III mese della stagione di Akhet) ma avevano un nome proprio almeno a partire dal Medio Regno, come risulta dal testo del Papiro Ebers (circa 1550 a.C.), che salvo occasionali variazioni si mantenne anche nelle epoche successive e che era riferito alla principale festa del mese; solo in epoca tolemaica esso venne sostituito nell’uso comune da un nuovo nome, non sempre attinente a quello precedente.

Intorno al 2770 a.C. circa si riconobbe la necessità di formulare un anno che avesse date fisse in modo da evitare la complessità dell’inserimento del mese intercalare, e nacque così l’anno solare civile basato sul movimento solare, diviso in 12 mesi di 30 giorni, ciascuno ripartito in tre decadi, più 5 giorni epagomeni.

Data però la differenza tra i cicli del Sole e di Sirio fu adottato intorno al 2500 a.C. un nuovo tipo di calendario ad uso esclusivamente religioso, il calendario lunare modificato, basato sull’osservazione astronomica dei movimenti del satellite e introducendo un mese intercalare a seconda della necessità; nel 325 a.C., durante la Dinastia dei Tolomei, venne corretto artificialmente il computo con un complesso sistema matematico basato sul calcolo di un ciclo di 25 anni, fatto di 16 anni di 12 mesi e 9 anni di 13 mesi opportunamente alternati, in modo che 25 anni civili corrispondessero a 309 cicli lunari necessari ad ottenere il riallineamento della fase lunare con il movimento solare (risultando i due cicli rispettivamente composti di 9125 e 9124,95 giorni).

Anche così l’anno civile manteneva un errore derivante dal mancato computo delle circa sei ore di maggiore lunghezza dell’anno solare effettivo rispetto all’anno civile: gli Egizi (o per attenersi strettamente alla tradizione o perché non erano quei grandi astronomi che comunemente si ritiene) non corressero mai questo errore, per cui  vi fu chi si lamentò in quei tempi che “la stagione di Peret viene nella stagione di Shemu”.

Con Tolomeo III Evergete vi fu un tentativo con l’Editto di Canopo del 238 a.C. di correggere la variazione derivante dalla discrepanza tra anno civile ed anno solare reale, ma l’inserimento di un 6° giorno epagomeno ogni 4 anni per compensare la differenza, in pratica l’equivalente di un nostro giorno bisestile, non venne mai realmente adottato e solo Ottaviano Augusto riuscì ad imporre l’anno giuliano nel 26 a.C., anche se nella pratica l’antico anno civile solare continuò a sopravvivere almeno fino al III sec. d.C.

 

2 - Le feste del calendario egizio

Le feste erano divise in due gruppi principali: le “Feste del cielo” (ḥebu nu pet) e le “Feste dei tempi dell’anno” (ḥebu tep teru). Le prime erano le feste connesse ai movimenti lunari e stellari, in particolare a quelli di Sopdet - Sirio, le seconde comprendevano invece le feste che cadevano nel corso dell’anno in rapporto alle tre stagioni. Con l’avvento del calendario civile si ebbe una particolare dicotomia: alcune feste vennero segnate due volte, con data fissa secondo il calendario civile e con data mobile secondo quello lunare religioso [5].

Alcune di queste feste si trovano citate fin dall’Antico Regno, quali la Festa del Capodanno (wep renpet) e la Festa dell’Inizio dell’Anno (tepy renpet), la Festa Wag, la Festa di Thot, la Festa di Min e la Festa di Sokar (che in seguito venne incorporata in quelle di Osiride) [6].     

Tra le “Feste del cielo” le più importanti erano quelle del giorno di Luna Nuova e di Luna Piena (jaḥ wer, cioè “Grande Luna”) e la festa del sorgere eliaco di Sirio (peret sepdet), evento che precedeva l’inizio dell’inondazione del Nilo, e che non coincideva con il giorno del Capodanno solare per i motivi astronomici di cui si è detto (poiché la levata eliaca di Sirio porta un ritardo di 11 minuti rispetto al ciclo solare, ciò comporta una fluttuazione del Capodanno che ogni 128 anni si sposta in avanti di un giorno: attualmente la levata di Sirio avviene a Menfi intorno al 2 Agosto [7], variando a seconda della latitudine del luogo a cui ci si riferisce).

Le “Feste dei tempi dell’anno” erano le feste proprie delle singole divinità o erano correlate ad eventi particolari; tali feste variavano a seconda dei luoghi, poiché ogni tempio di ogni città aveva un proprio calendario delle feste, le quali erano a volte proprie del tempio e a volte comuni ad altri templi e, in tal caso, non sempre coincidenti nello stesso mese o giorno.

Ciò rende particolarmente difficile elencare tutte le feste, anche perché la documentazione non è completa e solo pochi calendari templari sono giunti fino a noi per intero e con una precisa elencazione delle date e delle feste: i migliori esemplari sono quelli risalenti a Thutmosi III e trovati scolpiti sulle pareti dei templi di Karnak, Elefantina, Abido e Buto [8].

     Esaminiamo in breve le feste più importanti ed alcuni tra i rituali più significativi, per cercare di comprendere la concezione su cui si basavano il calendario e la religione egizia.

  •  Festa Uag

Mese: Tekh (luglio – agosto)

In un certo senso questa festa è analoga alla Bella Festa della Valle della quale parleremo più avanti, in quanto essa, celebrata il I mese di Akhet (Tekh) nei giorni 17 e 18 [9], consisteva in una cerimonia che si svolgeva ad Abido in onore di Osiride e dei defunti, identificati con lui. È tra le feste più antiche, in quanto essa compare già in iscrizioni del Regno Antico.

 

  • Festa di Opet (ḥeb ipet)

Mese: Menkhet (agosto – settembre)

La festa in onore della Triade tebana, celebrata nel II mese di Akhet (Menkhet), prendeva

il nome dal tempio di Amon a Luxor, ipet resut, la “Camera segreta [10] del Sud”, per

distinguerlo dal tempio situato a Karnak (hut aat, “la Grande Dimora” [11]).

In un tempo più antico la cerimonia, consistente nel viaggio della statua del Dio da Karnak a Luxor per visitare la sua divina sposa Mut, avveniva all’andata per via di terra e al ritorno sul fiume, ma dal tempo di Hatshepsut (XVIII Dinastia) ambedue i viaggi avvenivano per via fluviale; in seguito, dopo l’intermezzo di Akhenaton, la cerimonia venne estesa anche a Mut e al figlio Khonsu e la sua durata giunse a 27 giorni, quindi quasi tutto il mese di Menkhet. Come per altre cerimonie, quali la Festa del Sollevare il Cielo di Montu [12], anche durante la Festa di Opet si potevano interrogare quali oracoli le barche sacre su cui venivano portate le divinità per ricevere responsi sia ufficiali che di carattere privato.

Il fine della cerimonia era duplice: essa doveva ridare forza agli Dèi, in base alla concezione egizia che la divinità diminuisse il suo potere con il passare del tempo, e insieme doveva rinnovare il diritto del Faraone quale figlio di Amon-Râ a possedere il legittimo potere per guidare il suo popolo e mantenere la stabilità e il benessere dell’Egitto. Per tale motivo veniva rinnovata la cerimonia dell’incoronazione e si pensa (ma non vi sono prove certe [13]) che avesse luogo anche una ierogamia tra il faraone e la Dèa Mut allo scopo di portare fertilità e prosperità al paese.

  • Festa di Khoiak

Mese: Kaherka (ottobre – novembre)

La grande festa del mese di Khoiak [14], il cui antico nome era Ka-her-ka, “nutrimento su nutrimento” cioè abbondanza, poiché si teneva al momento del deflusso dell’inondazione e del deposito del fertile limo sui campi pronti per la semina, ha come base il mito della morte e resurrezione di Osiride. Poiché fin dai Testi delle Piramidi il defunto era assimilato ad un Osiride, è chiaro il duplice significato sul piano agricolo ma anche spirituale della festa.

La descrizione delle diverse fasi di essa si ritrova in testi del Nuovo Regno che vanno dal 1150 a.C. (Medinet Habu) al 100 d.C. (Dendera), ma rituali simili sono già presenti nei Testi dei Sarcofagi del Medio Regno (ad esempio nelle formule 269 e 330 per la trasformazione in Osiride del defunto identificato con il seme di grano). Era la più importante tra le feste dedicate ad Osiride: la sua durata variava secondo le differenti liste da sette (Medinet Habu) a quattordici giorni (Dendera), ma i riti principali erano costanti, semina di granaglie in stampi di terra (nel Nuovo Regno in forme a figura del Dio, come testimonia il reperto nella tomba di Tut ankh-Amon di uno di essi) che venivano annaffiati fino alla germinazione [15], seguita dall’erezione del pilastro djed, simbolo della colonna vertebrale e identificato con Osiride risorto [16].

Nel tempio di Dendera a questi riti si aggiungevano nei giorni tra la semina e la germinazione una serie di rituali specifici per “ritrovare” i pezzi in cui il Dio era stato smembrato da Seth secondo una delle versioni del mito [17].

Alla cerimonia veniva associato anche Sokar, il Dio a testa di falco che presiedeva alla necropoli di Ro-stau a Menfi e che ha un ruolo di particolare rilievo nel Libro di ciò che è nella Duat [18], la cui  festa nell’Antico Regno era separata da questa dedicata ad Osiride.

  • Festa di Neheb-kau (ḥeb neḥeb-kaw)

Shefbedet (novembre – dicembre)

Forse nell’epoca dei Ramessidi la Festa di Khoiak venne fatta coincidere con la Festa di Neheb-kau (d’altronde, Neheb-kau era il nome arcaico del mese di Kaherka [19]) al primo giorno del I mese di Peret (Shefbedet): così almeno si pensa di poter dedurre da un frammento papiraceo del Calendario di Armant, dove il rituale era eseguito in onore di Montu, Dio solare e guerriero [20]. La Festa di Neheb-kau era una cerimonia legata alla regalità e alla conferma del Faraone quale intermediario divino tra il mondo degli uomini e quello degli Dèi, identificato con Horo che aveva preso posto sul trono del padre Osiride.  

  • Festa del Sollevare il Salice (ḥeb saḥa teret)

Mese: variabile secondo i diversi calendari templari nell’ambito delle tre stagioni

La festa era probabilmente in un tempo più antico una festa dedicata ad Osiride [21] ma successivamente venne estesa ad altre divinità: le cerimonie dei diversi templi si svolgevano nel periodo più strettamente di carattere agricolo, tra il terzo mese di Akhet e il terzo mese di Shemu: “Si è rilevata la concordanza della celebrazione di questo rituale con i momenti più rilevanti delle attività agricole: dalla seminagione alla raccolta dei cereali”.

La scelta del salice è legata alla sua capacità di germogliare in breve tempo da un ramo tagliato: simbolo quindi di rinascita e per questo connesso al mito osiriaco di morte e resurrezione.

Ma è possibile anche un altro significato del salice: “In diversi testi si dice che Osiri è la fenice nata in cima al salice in Eliopoli, la fenice sembra quindi identificarsi a Osiri come manifestazione eliopolitana del dio… si può considerare il salice come materializzazione dell’orizzonte da cui emerge la fenice, che è una forma di Osiri e di Râ riuniti e rinascenti nel loro aspetto solare all’alba[22]. In tale contesto il salice avrebbe quindi il duplice valore di luogo nel quale si manifesta Osiride e di albero simboleggiante il rinnovamento.

In definitiva il rito del “sollevare il salice” “può essere considerato un rito propiziatorio atto a garantire un prospero rifiorire della natura”, come scrive la Demichelis, ma su di un piano superiore è anche il rito di rinnovamento della “forza” del Dio per il quale il rito è celebrato.

  • Festa della Vittoria (ḥeb nekḫet)

Mese: Rekeḥ wer (dicembre – gennaio), a Esna Ipetḥemet (maggio – giugno)

Il mito di base di questo rituale è la vittoria di Horo su Seth o su Apophis o la vittoria di Râ o di Horo considerato come suo figlio [23] sull’umanità che si è ribellata contro  il Dio solare ormai divenuto vecchio (evidente come questo mito sia di epoca più recente) o, più in generale, la vittoria sui nemici anche fisici dell’Egitto [24]: in altri termini la vittoria delle forze dell’Ordine cosmico e della Maat sul Caos che tenta di distruggere l’armonia della creazione. Per questo il rituale veniva celebrato anche per altre divinità: un Dio guerriero come Montu [25] o un Dio cosmogonico e quindi creatore dell’Ordine quale Khnum.

Alla “festa della vittoria” era probabilmente collegato anche, almeno per Montu, un combattimento rituale di tori che avveniva sulla “Collina di Montu vittorioso” ad Armant, la cui data di celebrazione, il giorno 21 del  II mese di Peret (Rekeḥ wer), coincide con quella della celebrazione della Festa della Vittoria per l’Horo di Edfu; il toro è simbolo direttamente collegato alla regalità come dimostra uno dei cinque nomi del Faraone, il “nome di Horo” quale “Horo il toro possente”, e come si vede sui rilievi delle cosiddette “palette” rituali, in cui sono presenti sia il leone che il toro come simboli regali.

  • Festa del Sollevare il Cielo (ḥeb aḫ pet)

Mese: da Rekeḥ wer (dicembre – gennaio) a  Rekeḥ nedjes (gennaio – febbraio)

Il riferimento alla base della festa è un mito di Ptah: Geb (la Terra) e sua moglie Nut (il Cielo) erano intimamente congiunti l’uno con l’altro ma, affinché il mondo potesse venire in esistenza, era necessario separarli e per tale motivo intervenne, secondo una delle versioni, Ptah alzando Nut e separandola dal marito Geb [26].

Il significato creatore e ordinatore del rito appare chiaro: solo mediante la distinzione tra i due elementi è possibile portare passare dall’Uno al molteplice e dare alla luce la Creazione; non diversamente ad esempio nella versione biblica Jahwèh separa le Acque di Sopra da quelle di Sotto lasciando venire alla luce la Terra e nella mitologia babilonese il mondo appare dalla divisione in due del mostro primordiale Tiamat. Probabilmente l’estensione della Festa del Sollevare il Cielo ad altri Dèi sottintende non l’aspetto creatore quanto quello ordinatore della divinità nei suoi diversi aspetti.

Secondo il calendario delle feste di Montu la celebrazione aveva inizio la sera del giorno 28 del II mese di Peret (Rekeh wer): “La notte della festa di Montu signore di Armant nella sua bella [27] Festa della Vittoria e del Sollevare il Cielo”, [28] e durava tre giorni, dal 29 al primo giorno del III mese (Rekeh nedjes) [29].

Il testo farebbe quindi pensare, almeno ad Armant, ad un succedersi delle due Feste della Vittoria e del Sollevare il Cielo, anche se vi sono motivi per ritenere che la prima fosse celebrata invece il giorno 21 con un combattimento rituale di tori, come sopra si è detto. I calendari di Medinet Habu, di Edfu e di Esna e la stele di Buto di Thutmosi III confermano la data del 29 come inizio della festa [30]. Secondo la Demichelis però vi è un motivo religioso per la celebrazione consecutiva delle due feste, in quanto ciò “potrebbe derivare da una loro complementarità. Il sollevare il cielo è l’atto che compie il demiurgo … in quanto stabilisce il cosmo in opposizione al caos… L’ordine stabilito è però costantemente minacciato dagli eterni oppositori del sole” e da qui la necessità di celebrare la lotta e la sconfitta dei nemici di Râ e in particolare di Apophis [31]

Il terzo giorno della festa per Montu di Armant (in giorni differenti per Horo di Kom Ombo e per Horo di Edfu [32]) veniva compiuto il rito del Sollevare la Coscia o Dare la Coscia (khepesh [33]). La base di questo rituale si ritrova in una variante del mito di Osiride, in cui il fratello Seth sotto forma di ippopotamo uccide Osiride colpendolo con la zampa: l’offerta al Dio della zampa (e nel rituale di Edfu è proprio previsto il sacrificio simbolico di un ippopotamo [34]) è simbolo della vittoria di Horo sul nemico di suo padre e quindi connette la Festa della Vittoria con la Festa del Sollevare il Cielo, rafforzando il senso di riaffermazione dell’Ordine sul Caos di cui Seth è simbolo.

Lo stesso rituale dell’offerta della coscia si ritrova nel Libro dell’apertura della bocca FIG. 7, nel quale sono descritte le operazioni che i sacerdoti devono compiere per far vivere magicamente il defunto: in questo caso l’offerta rituale assume il significato di simbolo della vita che viene ridata al defunto per mezzo delle formule e degli atti compiuti dai sacerdoti.  

 

 

Fig. 7: Alcune scene del Libro dell’Apertura della Bocca (disegno della pittura parietale della tomba di Sethi I), dove si vede il “rituale della coscia”: la zampa del toro sacrificato viene offerta alla statua del defunto come segno della vittoria di Horus su Seth-toro

 

La coscia ha in Egitto anche il significato di stabilità: la Costellazione della Coscia corrisponde alla nostra Orsa Maggiore e negli zodiaci dipinti o scolpiti nei templi e nelle tombe fin dalla IX e X Dinastia l’Orsa Maggiore, raffigurata in forma di una zampa di toro a volte con la testa di questo animale, è sempre rappresentata insieme alla figura di un ippopotamo femmina che tiene una zampa poggiata su di un palo per l’ancoraggio delle barche e identificabile con la costellazione di Bootes, forse a significare che la stella Arturo, la più splendente di essa, tiene ancorata l’Orsa Maggiore rendendola stabile [35].

Un possibile significato analogo lo possiamo trovare nella lotta tra Giacobbe e l’Angelo, durante la quale l’Angelo, per non essere sopraffatto da Giacobbe, con il tocco della mano gli invalida una gamba: “Vedendo che non riusciva a vincerlo lo percosse nel cavo del femore e il cavo del femore di Giacobbe si lussò[36]. Considerata la dipendenza dei miti ebraici dalla letteratura religiosa e sapienziale egizia, la storia di Giacobbe potrebbe essere basata su di uno dei significati del simbolo della coscia.

  • La Bella Festa della Valle (ḥeb nefer en inet)

Mese: Chontchat (aprile – maggio)

Festa molto antica risalente almeno al Medio Regno, di cui abbiamo notizia almeno dalla XI Dinastia sotto Nebhepetre Mentuhotep, si celebrava nel II mese di Shemu (Chontchat) nel periodo del raccolto.

La festa sembra sia stata in origine una festa degli Antenati, nella quale venivano riattualizzati i legami tra vivi e morti secondo quella particolare concezione egizia per la quale era necessario il periodico rinnovamento di tutto l’esistente, della creazione come degli Dèi.

Alla base del rituale vi era l’offerta ad Osiride e ai defunti (come nel nostro 2 Novembre) di ghirlande di fiori simboleggianti il rinnovarsi della vita, accompagnata da musica e danze: le barche sacre partivano dal tempio di Karnak ed attraversavano il Nilo per recarsi ai templi funerari dei Faraoni costruiti sulla riva occidentale, considerati membri della famiglia divina in quanto figli degli Dèi, mentre i privati si riunivano presso le tombe dei loro avi festeggiando allegramente con canti e bevute.

 

  • La Festa della Bella Unione (ḥeb en shen)

Mese: Ipetḥemet (maggio – giugno)

Chiamata anche “Festa del Sacro Matrimonio”, questa festa, che si teneva in Edfu nel tempio di Horo e che durava tutto il III mese di Shemu (Ipetḥemet), era costituita in realtà un insieme di celebrazioni che possono essere considerate molto simili a quelle della Bella Festa della Valle ma molto più complesse ed articolate, formando in realtà due feste distinte: la Festa della Bella Unione e la Festa di Behdet [37].

In essa è possibile distinguere momenti e significati diversi: viaggio di Hathor da Dendera a Edfu per apportare la fertilità nelle regioni che la Dèa attraversa, ierogamia di Hathor e di Horo a Edfu e nascita successivamente a Dendera del figlio Hor-sma-tawy (“Horo che unisce le Due Terre”, cioè l’Alto e il Basso Egitto), celebrazione degli Antenati Divini chiamati “i figli di Râ”, venuti con lui a Edfu dalla “Alta Collina”, cerimonia del “condurre le vacche sopra il tumulo” (cerimonia con cui si nasconde la tomba per non farla scoprire ai profanatori ma al tempo stesso simboleggiante la penetrazione del seme nella terra perché dia i suoi frutti), infine celebrazione del trionfo di Horo su Seth e distruzione dei nemici.

Mentre la Bella Festa dell’Unione era limitata al primo giorno, la Festa di Behdet occupava almeno i tre giorni successivi: poiché la durata totale era di 14 giorni, non sappiamo cosa accadesse nei rimanenti.

Importante il rapporto della Festa con le fasi lunari: il viaggio di Hathor iniziava due settimane prima della Luna Nuova, quindi in fase di Luna calante, e la barca sacra della Dèa che recava la statua giungeva a Edfu nel giorno di Luna Nuova, durante la notte avveniva la cerimonia del matrimonio sacro e nei giorni successivi di Luna crescente si svolgeva la seconda parte della Festa, cioè la Festa di Behdet, della durata di due settimane, quindi Hathor ripartiva per Dendera nel giorno di Luna Piena, gravida del figlio di Horo.

 

Concludiamo con la citazione di due rituali, l’uno per la fecondità della terra d’Egitto e l’altro per la distruzione dei suoi nemici: in ambedue i casi il rituale religioso si svolge sula base di azioni magiche, l’una affidando alle acque del fiume uno scritto recante la lista delle offerte per essere certi che Hapi venga a conoscenza dell’offerta, l’altra utilizzando una rete che materialmente deve imprigionare i capi dei popoli pericolosi per il mantenimento dell’ordine in Egitto.

 

  • Rituale di Ramesse II in onore di Hapi

Mese: Tekh (luglio – agosto) e Khons (marzo – aprile)

La stele di Gebel Silsila fatta erigere da Ramesse II [38] riporta l’istituzione di una cerimonia voluta dal Faraone in onore del Dio Hapi, il Nilo personificato in forma androgina quale apportatore di fertilità e di vita per le regioni dell’Egitto.

La celebrazione, che era prescritta per due date distinte, il giorno 5 del mese I di Akhet (Tekh) e il giorno 5 del mese III di Shemu (Khons), si teneva in onore di Hapi, di Amon e di un gruppo di divinità riunite sotto il nome di “Collegio Meridionale”: “È Hapi che fa vivere le Due Terre, che fa esistere il cibo del paese, l’abbondanza dopo che lui è scaturito… Egli [= il Faraone] ordina che sia deposta un’offerta a suo padre Amon re degli Dèi e ad Hapi padre degli Dèi [39] e al Collegio meridionale che presiede all’onda [del fiume]”.

Il testo si conclude con la lista delle offerte con una frase di significato non chiaro: “Elenco di questa offerta in questo giorno del gettare uno scritto ad Hapi”, come se all’offerta materiale si dovesse anche aggiungere un’offerta magica scritta su papiro.

 

  • Rituale della “caccia con la rete”

Mese: non specificato

Il rituale, tradotto dal Donadoni da un testo del tempio di Edfu [40], costituisce una delle forme di azione magica contro gli avversari dell’Egitto, raffigurati da statuine su cui si iscrivevano i nomi dei “quattro nemici” che stanno ai quattro punti cardinali, Etiopici, Asiatici, Libi e Popoli del mare; il rituale si rivolge a Horo-che-è-in-Senut (località non identificata).

La formula va recitata “quattro volte all’alba, due volte all’ora decima” (cioè al tramonto, poiché il conto delle ore in Egitto iniziava dall’alba), ma non è specificato il mese in cui il rito si svolgeva, a meno che non fosse quotidiano. Con esso si dovevano “prendere con la rete” i nemici ed i loro discendenti: “Siate pescati con la rete la notte, se non siete stati presi nel giorno! Siate pescati con la rete voi e i vostri figli, se non siete stati presi voi ed i vostri fratelli!”.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

  • S. DEMICHELIS: Il calendario delle feste di Montu, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Torino 2002

  • S. DONADONI: Testi religiosi egizi, ed. UTET, Torino 1997

  • C. GALLO: L’astronomia egizia, ed. Muzzio Padova 1998

  • R. A. PARKER: The calendar of ancient Egypt, University of Chicago Press, Chicago 1950

  • Festivals in the ancient Egyptian calendar  in www.digitalegypt.ucl.ac.uk/ideology/festivaldates.html

  • M. TOSI: Il grande santuario di Amon-Râ a Karnak, ed. La Mandragora, Imola 2000

  • M. TOSI: Dizionario enciclopedico selle Divinità dell’Antico Egitto, 2 voll., ed. Ananke Torino 2006

Da visitare sull’argomento del calendario e delle feste egizie: 

                                                                                      

Akhet                            Tekh                                      Thot                   luglio - agosto

(inondazione)               Menkhet                                 Phaophi               agosto - settembre

Hathor                                     Athyr                 settembre - ottobre                  

Kaherka o Nehebkau             Choiak                 ottobre - novembre

 

Peret                           Shefbedet                              Tybi                  novembre - dicembre         

(semina)                    Rekeḥ wer                             Meshir              dicembre - gennaio

                                  Rekeḥ nedjes                   Phamenoth              gennaio - febbraio

                                    Renenutet                         Pharmouti            febbraio - marzo

 

Shemu                         Khons                                 Pakhon                     marzo - aprile

(raccolto)                     Khentkhety o Chonchat       Payni                     aprile - maggio

                                    Ipetḥemet o Ipip                  Epiphi                     maggio -giugno

                                    Wepet–renpet [41]                Mesori                   giugno - luglio

Giorni epagomeni            (nel calendario civile)                                cinque giorni [42]

 

In corsivo la serie dei nomi dei mesi dell’anno lunare originario nel Medio e Nuovo Regno [43], quelli di epoca tolemaica ed i mesi corrispondenti del calendario gregoriano.

 

 


NOTE:

[1] PARKER ritiene che non vi siano dati certi circa l’esistenza di un calendario egizio arcaico basato esclusivamente sui movimenti lunari.

[2] Rimandiamo a PARKER pagg. 31 ss. per un approfondimento  dell’argomento e per le prove archeologiche di esso.

[3] Per semplificare la lettura dei termini egizi abbiamo inserito come di consueto una e per renderli più leggibili, ad esempio Akhet è in realtà scritto akht, Peret prt e Shemu šmu.

[4] PARKER pag. 10.

[5] PARKER pag. 39.

[6] PARKER pagg. 32 ss e Festivals in the Ancient Egyptian calendar in www.digitalegypt.ucl. ac.uk.

[7] Ringraziamo il Prof. Adriano Gaspani dell’Osservatorio di Brera per averci fornito il calcolo della data della levata eliaca di Sirio a Menfi per il 2012.

[8] DEMICHELIS pag. 55.

[9] TOSI Dizionario vol. I pag. 156.

[10] O interna, con significato di harem sec. TOSI Il grande santuario pagg.117.

[11] Idem pag. 11.

[12] La cerimonia oracolare avveniva al terzo giorno della festa, insieme con la presentazione al Dio di ghirlande di fiori chiamate ‘nkw, “fiori della vita”, e mazzi di cipolle; l’offerta di cipolle agli Dèi era frequente ed è sicuramente attestata per una festa di Sokar il giorno 25 del IV mese di Akhet (Kaherka), per Amon nelle sue forme di Amon, Amon Râ, Amon Min (DEMICHELIS pag. 81 e note relative), e nel “giorno del masticare le cipolle” in onore di Bastet il giorno 4 del IV mese di Peret (Renwet) (DEMICHELIS pag. 82 e nota 263).

[13] Si veda www.philae.nu/akhet/Opet.html.

[14] La cerimonia era tenuta ad Esna il primo giorno del mese di Kaherka (Khoiak), IV mese della stagione di Akhet (DEMICHELIS pag. 63), a Karnak  dal 21 al 30 del mese, secondo la stele di Koptos e la lista di Dendera dal 12 al 30 (www.digitalegypt.ucl.ac.uk/ideology/khoiak.html); si tenga presente che in questi ultimi calendari non tutti i giorni erano dedicati ai riti.

[15] Nei rituali più tardi queste forme di terra venivano sepolte in una particolare area della necropoli dalla quale venivano riesumate quelle sepolte l’anno precedente.

[16] Sul pilastro djed ed il suo rapporto con la colonna vertebrale si veda DE RACHEWILTZ Il libro egizio degli inferi,  ed. Atanor, Roma 1959 pagg. 98 - 99

[17] Ricordiamo che la versione più antica, che si può leggere nei Testi delle Piramidi, parla di Osiride gettato giù da una rupe da Seth: “Iside e Neb-het hanno trovato Osiride, suo fratello Seth lo aveva gettato giù a Nedit” (par. 1256) e Osiride è stato gettato giù [o deposto?] da suo fratello Seth, ma egli è colui che è in Nedit” (par. 1500). Rimandiamo su tale argomento a GALIANO La via iniziatica dei Faraoni, ed. Simmetria, Roma 2009 Appendice IV.

[18] GALIANO idem, commento all’Ora V.

[19]In  Festivals in the ancient Egyptian calendar cit. in Bibliografia.

[20] DEMICHELIS pag. 48 nota 142 e pag. 63.

[21] DEMICHELIS pagg. 64 – 67.

[22] DEMICHELIS pag. 66.

[23] Nei testi del tempio di Edfu è scritto: “Vieni alla mia voce, padre mio Osiri! Io sono tuo figlio Horo. Sono io il toro figlio del toro, sono io l’erede figlio dell’erede; sono io Horo figlio di Râ” (in DEMICHELIS pag. 68 nota 119).

[24] Sono note infatti celebrazioni della Festa della vittoria per Thutmosi III vittorioso a Megiddo e per Ramesse II dopo la sconfitta della popolazione dei Mashuash (DEMICHELIS pag. 67). Sull’argomento della Festa della Vittoria e della Festa del Sollevare il Cielo facciamo riferimento in particolare al lavoro della DEMICHELIS pagg. 67 – 86.

[25] Anche Montu fin dalla XII Dinastia è identificato con Râ: “Montu-Râ, signore di Tod; il toro vittorioso che colpisce i nemici e uccide Apophis a Djedem” (DEMICHELIS pag. 70 nota 138), ma anche con Raharakhti, tanto che uno dei nomi di Armant è “Eliopoli del Sud” (DEMICHELIS pag. 68 e nota 125) .

[26] In altre versioni del mito tale atto è riferito a Shu, l’Aria o Soffio vitale, padre dei due amanti.

[27] Il termine nfr si traduce “bello” con significato non solo di bellezza ma anche nelle diverse accezioni di perfezione e vitalità.

[28] DEMICHELIS pag. 37 e nota 62.

[29] Idem pag. 39.

[30] Idem pag. 37 nota 62 e pag. 73.

[31] Idem pag. 74 e nota 192.

[32] Idem pag. 82.

[33] Idem pag. 43 nota 106. La parola è anche il nome della spada a forma di scimitarra di cui in molte raffigurazioni templari il faraone è armato o che offre al Dio del tempio.

[34] Idem pag. 82.

[35] GALLO L’Astronomia egizia pag. 163 e pag. 174.

[36] Per l’episodio si veda Gen ed. Tabor XXXII, 23 – 33.

[37] Sembra incerta la localizzazione di Behdet: per alcuni era una città del nordovest del Delta dove era venerato Horo in forma di disco solare alato e di cui Edfu nell’Alto Egitto era considerata l’analogo, ma per altri autori è il nome antico di Edfu, città risalente all’epoca dell’Antico Regno. Tosi identifica Behdet con Damanhur, città del Delta orientale (Dizionario enciclopedico vol. II sub voce).

[38] DONADONI Testi religiosi egizi pagg. 253 – 254.

[39] Nel testo della stele Hapi à detto “Padre dell’Enneade”.

[40] DONADONI Testi religiosi egizi pag. 518 – 519.

[41] Wep-renpet significa “quello che apre l’anno”, cioè il giorno della levata eliaca di Sirio: con l’avvento del calendario civile passò a indicare il primo mese ed il primo giorno del primo mese dell’anno nuovo, sganciando così il concetto di Capodanno dalla effettiva fase di Sirio, la cui levata eliaca venne da allora identificata come peret sepdet, “il mostrarsi di Sirio” (PARKER).

[42] In questi giorni, secondo il mito ottenuti da Thot con una partita a senet in cui egli vinse Atum, si ebbe la nascita dei figli di Geb e Nut, che Atum intendeva impedire, cioè Osiride, Horo il Vecchio (non il figlio di Osiride e Iside ma una forma antecedente di Horo), Seth, Iside e Nephtys (Plutarco  Iside e Osiride, ed. Adelphi, Torino 1988, pagg. 68-69).

[43] Per una lista delle feste si vedano gli elenchi nei lavori di SCHOTT e di PARKER nei testi citati in Bibliografia.

(Autore: Paolo Galiano)

 

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