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Ambrogio, un funzionario romano prestato alla religione.

a cura di Enrico Pantalone

L’elezione di Ambrogio a vescovo della città di Milano nel 373 va nettamente in controtendenza:intanto è giovane, visto che nacque a Treviri nel 339; in secondo luogo non fa parte del clero né è un passionario cristiano: la sua attività è al servizio dell’Impero come governatore provinciale e come tale egli si presenta al momento dell’elezione per la poltrona lasciata libera dalla morte di Ausenzio, peraltro filo ariano.
Forse fu proprio questo il motivo che lo portò inaspettatamente a trionfare nell’elezione: egli non era né filo cattolico filo ariano ovviamente, ma come governatore provinciale intervenne per mantenere la calma cittadina e mettere pace tra gli animi, lo fece a suo modo con un lungo discorso alla folla accorsa per seguire gli eventi ed in aria di tumulto.


Le sue parole, parole dure ma necessarie, fecero presa sulla gente e qui successe il fatto che era indubbiamente inaspettato.Il popolo lo volle a capo della diocesi ed il grido “Ambrogio Vescovo” risuonò in breve in città: Milano aveva scelto il suo pastore, lui che nemmeno era nativo della città ma germanico, nemmeno era battezzato, cosa fatta successivamente nel giro di otto giorni in modo che potesse essere consacrato dopo che egli, non senza titubanza, accettò la nomina.

Nel De Officiis, uno dei suoi scritti, egli così s’esprime su sé stesso e sulla sua nomina:
Tolto ai tribunali ed alle insegne della magistratura e divenuto vescovo, ho cominciato ad insegnare ciò che neanche io avevo imparato. Cosicché a me è successo d'insegnare prima di imparare. Quindi mi è stato necessario imparare ed allo stesso tempo insegnare”.


Egli portò tutta la sua esperienza di governatore romano all’interno della chiesa.Fermo era come civile, fermo rimase come pastore, tant’è che era solito portare lo staffile con sé….
Il suo comportamento superò ben presto i limiti della diocesi milanese e prese ad essere considerato dai regnanti; infatti, egli fu un innovatore nella riorganizzazione delle strutture sociali, artistiche (ricordiamo l’introduzione del canto ambrosiano, alternanza di melodie, inni e salmi), nell’opera di fiaccatura dell’arianesimo, ma mai trascendendo, e nella lotta contro Simmaco.

Egli si permise di riprendere anche l’Imperatore Teodosio per aver ordinato l’eccidio di settemila persone nella città di Tessalonica e di far sì che egli chiedesse perdono pubblicamente per quest’atto scellerato non contro la Chiesa o contro Dio ma contro l’umanità; ma una volta che Teodosio chiese perdono umiliandosi come nessun Imperatore Romano aveva fatto prima d’allora, egli non solo lo perdonò, ma lo chiamò il Grande (nome con cui più tardi passò alla storia) perché solo un grande Imperatore poteva fare ciò che fece Teodosio.


Qui si vide l’uomo di legge oltre che l’uomo ecclesiastico, perché Ambrogio era ancora mentalmente un funzionario imperiale prestato alla Chiesa: egli non fu un “uomo di fede” come si soleva dire, non era trascendentale o spirituale ma fu un funzionario Cattolico ligio al proprio mandato come lo era stato quando aveva lavorato per la magistratura.

Per questo fu rispettato da tutti: non ebbe correnti favorevoli o sfavorevoli, il rispetto lo guadagnò lavorando giornalmente alla crescita della sua città e lavorando con essa, egli non era milanese ma divenne il simbolo perpetuo della città e la città si consacrò altrettanto in maniera perpetua a lui diventando Ambrosiana, che poi divenne il fulcro centrale dell'ideologia relativa alla cristianità occidentale.

Ambrogio considerava il mandato imperiale di Costantino il Grande come una carta costituzionale per il popolo: una renovatio imperii temperata dal Vangelo che fungeva da garanzia contro l'eventuale arroganza del principe.


Per lui questa è la vera differenza tra l'Imperatore Romano ed un re barbaro: Costantino governa su uomini liberi grazie al suo mandato, l'altro su una società di schiavi.

Nel 388 Ambrogio fornì gran prova della sua abilità politica e diplomatica scrivendo una lettera a Teodosio dove gli chiedeva di recedere dalla sua posizione volta d’obbligare i fedeli cristiani di Callinico alla ricostruzione della sinagoga nella propria città, incendiata dagli stessi in un eccesso di zelo.
La missiva dimostrava quanto in lui v'era ancora l'esperto forense romano che mai venne meno anche durante tutto il suo mandato ecclesiastico.

  •   Vediamo più da vicino alcuni passi della lettera capolavoro:
    "Come non è da Imperatore il negare ad alcuno la libertà della parola, così non è da Vescovo il tacere ciò che uno sente. Nulla rende più popolari e simpatici voi Imperatori, quando il rispetto della libertà, anche a riguardo di coloro che a voi sono specialmente soggetti, quali i soldati. C'è, infatti, questa differenza tra i buoni ed i cattivi Sovrani, che i buoni amano la libertà, i cattivi il servilismo".

Nella sua diplomazia ed eloquenza Ambrogio dimostra d'essere quel grande esperto di diritto e retore forense romano, egli in pratica volle dimostrare a Teodosio che nulla sarebbe stato più errato che costringere i cristiani a ricostruire la sinagoga distrutta; il danno era fatto, soggiogarsi non avrebbe avuto senso né avrebbe portato benefici d'ordine morale e politico.


In lui l'anima politica, del Console ligure-emiliano, avrebbe sempre avuto un posto rilevante nel modo d'agire e di pensare durante tutto il suo mandato come vescovo.

Ambrogio si dette da fare anche nel 378 per riscattare parte della popolazione resa schiava dalle tribù barbariche che, valicando le Alpi Giulie avevano invaso l'Italia orientale e dovevano esser molte centinaia, stando ai racconti.
Egli non perse tempo: vendette tutto ciò che d'arredo sacro aveva nelle chiese e ricavò una sostanziale somma di denaro che servì appunto per il riscatto.
Egli, accusato dagli Ariani d'aver spogliato un tempio di Dio rispose nel "De Officis", affermando che i vasi sacri erano destinati al Corpo di Cristo: e corpo e sangue di Cristo erano anche tutti i fedeli da riscattare dallo schiavismo, una politica sociale oltre che religiosa.

  • Ambrogio fu un Vescovo diverso sicuramente; costruì la sua impostazione religiosa lontano da Roma e da quel centro di potere, eppure riuscì ad ottenere per la Diocesi Milanese tutto ciò che molti Vescovi in altre parti dell’ecumene non ebbero mai, compresa una liturgia differente, chiamata appunto Rito Ambrosiano.

  • Ambrogio coniugò il pragmatismo del funzionario romano con la spiritualità intensa che  manifestò in molti campi, Arte compresa, cosa non banale all’epoca, anticipando di molto i suo coetanei sui problemi cittadini della vita quotidiana e sicuramente fu anche grazie a lui che la fenomenale imprenditoria milanese prese la strada che nel corso dei secoli l'ha sempre contraddistinta come protagonista nel progresso socio-economico sul territorio italico.

 

              (Enrico Pantalone)

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