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                         Una civiltà marinara che univa i continenti nell’età dell’Oro

                                                                           di Alberto Arecchi
nuovi studi e ricerche

La vera Atlantide

Sulla base di lunghe ed accurate ricerche, esposte nel mio libro “Atlantide. Un mondo scomparso, un’ipotesi per ritrovarlo” (ed. Liutprand, 2001), ritengo che l’Atlantide, il mitico regno descritto da Platone nei suoi Dialoghi, sia realmente esistita e si trovasse al centro del Mediterraneo.
Il dibattito su Atlantide inizia, ed è opportuno che rimanga legato, ai testi di Platone. Considerazioni fantastiche ed esoteriche vorrebbero collegare il “continente scomparso” a culture umane antichissime (di decine o addirittura centinaia di migliaia d’anni). È invece importante rivolgerci al periodo immediatamente anteriore alla storia scritta, in cui la memoria sfuma nelle nebbie dell’epica e dei miti dei popoli ellenici, che arrivarono al bacino del Mediterraneo in un’epoca compresa tra il 2000 ed il 1500 a.C. Armati di ferro, s’imposero alle culture del bronzo ed abolirono la società matriarcale, in nome di una nuova centralità maschile, nella famiglia e nella religione. Nelle epopee di dèi e semidèi, di giganti e di titani, è adombrato il processo di formazione delle antiche nazioni, ed in questa palude nebbiosa Platone colloca l’esistenza di Atlantide: in un’epoca i cui protagonisti si chiamavano Poseidone, Athena, Zeus, Atlante, Erakles, Minosse… antichi re, trasformati nel mito in dèi e titani.
 

Pro-memoria sulle datazioni

Si pensa che Solone abbia compiuto il viaggio in Egitto, cui si riferisce Platone, verso il 570 a.C. I fatti raccontati dovrebbero risalire a 10.000 – 9.000 “anni” prima, ma i “novemila anni” di Platone devono corrispondere a un periodo lungo, sì, ma “a misura” della stirpe degli Achei e dei Greci, dopo che essi si insediarono nel bacino del Mediterraneo. Eudosso di Cnido (matematico, geografo ed astronomo greco), e dopo di lui anche Manetone e Diodoro Siculo, spiegano che occorre intendere “mesi” là dove Platone scrisse “anni”. Ciò collocherebbe il periodo della grande espansione d’Atlantide, e la sua guerra contro gli antenati degli Ateniesi, tra il 1320 ed il1295 a.C., mentre la tremenda catastrofe che pose fine a quel regno sarebbe avvenuta mille mesi (circa 80 anni) dopo, ossia tra il 1240 ed il 1210 a.C.
 

La ricostruzione geografica

È naturale che i gruppi umani s’installino nelle zone di bassa pianura. Se oggi il livello medio dei mari dovesse repentinamente innalzarsi di 130-200 m, quasi nessuna traccia rimarrebbe dello sviluppo tecnologico e della civiltà attuali: scomparirebbero fonti d’energia e centrali... rimarrebbero solo tracce nel mito. Se ciò avvenisse nell’arco di decine o centinaia d’anni, consentirebbe le migrazioni sugli altipiani, ma se la prima ondata fosse improvvisa e violenta... sarebbe la fine per il cuore stesso delle società sviluppate. Appare perciò ovvia la possibilità di ritrovare tracce d’insediamenti umani, più o meno antichi, in ogni parte del mondo, su fondali marini, sino a qualche centinaio di metri di profondità.

La mia ricerca si è basata sull’esistenza di due bacini chiusi, l’uno più elevato e l’altro in depressione rispetto al livello generale dell’acqua degli Oceani, ed un terzo bacino (il Mediterraneo occidentale, in comunicazione con gli Oceani tramite il varco di Gibilterra). Una catastrofe tellurica avrebbe causato la scomparsa del bassopiano d’Atlantide, con una nuova conformazione delle coste e dei mari.

Nel Mediterraneo orientale, le quote d’affondamento sono ben superiori a quelle di altri mari. Una gran parte del fondo del Mediterraneo sembra costituita da rupi e vallate, come se non si trattasse di fondo marino, ma piuttosto di terraferma; infatti capita di continuo che i pescatori subacquei scoprano strade ed edifici molto più antichi e situati a maggiori profondità negli abissi marini. Appare significativo – ad esempio – il nome di “Banco Medina” (Medina, in arabo, significa città) dato al fondale che – nelle mie ipotesi – corrisponde alla giacitura dell’antica capitale di Atlantide… Sprofondamenti ancora più notevoli di edifici e di città preistoriche sono stati notati nei pressi di Thera e vicino a Milo.

Ritroviamo l’Atlantide di Platone

Appaiono chiari alcuni punti:
 

  • la narrazione ripresa da Platone si colloca al tempo dei progenitori degli ateniesi e degli abitanti della città egizia di Sais; quindi non 10.000 anni prima, quando gli antenati di tali popoli vivevano in altre regioni;
  • le caratteristiche di Atlantide sono quelle d’una società dedita alla navigazione ed all’agricoltura, con strutture sociali articolate e la conoscenza della metallurgia dell’oro, del rame, del bronzo.

Gli antenati dei greci erano presenti nel Mediterraneo orientale in un periodo compreso tra il 3000 ed il 1500-1200 a.C., corrispondente alle prime 20 dinastie di faraoni egizi. Della storia di quel periodo e delle culture mediterranee sembra di sapere tutto, ma in realtà conosciamo abbastanza poco, e la maggior parte della storia è avvolta dal mito: poemi omerici, leggende dei greci delle origini.

  • Secondo le mie ricerche, prima della catastrofe esisteva una vasta pianura fertile, come quella descritta da Platone, al largo delle attuali coste tunisine, compresa tra la Piccola Sirte, l’attuale Golfo di Gabès e - a nord - la penisola di Capo Bon e l’estremità occidentale della Sicilia. Essa avrebbe costituito “l’estremo occidente” del bacino Mediterraneo in cui navigavano i Pelasgi, i mitici abitatori dell’antico Mediterraneo, e sarebbe stata popolata di elefanti e altre fiere africane, con datteri e banane, come dice Platone, protetta dai venti freddi perché avvolta dai rilievi di Tunisia e Sicilia. In questa zona erano le “colonne d’Erakles” del mito greco, con i miti collegati con l’Aldilà e il regno dei morti, il Giardino delle Esperidi e il regno di Atlante.

Immaginiamo di ritornare indietro nel tempo, 3300 anni fa. L’attuale Mare Mediterraneo doveva essere distinto in due mari, posti a quote diverse e privi di comunicazioni reciproche.

Il Mediterraneo orientale, dalla Piccola Sirte alla costa siro-palestinese, comprendeva lo Ionio, il basso Adriatico e il Mar di Candia (mentre il territorio Egeo, tutto emerso, costituiva una vasta pianura costellata di rilievi montuosi di origine vulcanica). Al posto dello stretto di Messina esisteva un istmo roccioso e il canale di Sicilia era allora una fertile pianura, irrigata da fiumi e protetta da alte montagne, che scendeva dolcemente verso le sponde del mare inferiore.
Le acque di questo mare dovevano trovarsi ad una quota di circa 300 m sotto quella odierna.

Non lontano dall’isola di Malta, due strette imboccature davano accesso ad un grande golfo, profondo oltre mille metri. Intorno a quel golfo, protetto alla sua imboccatura da una vasta isola, era sorta una civiltà fiorente, fondata da una stirpe libica che era forse scesa sino a qui dalle alte montagne del sud.

Chi fosse provenuto da oriente, da Creta o dall’Egitto, avrebbe visto una costa rocciosa, piuttosto ripida, nella quale si aprivano due stretti, ai lati di un’ampia isola.

Dietro Pantelleria, in fondo al golfo, vi era l’altro mare, prossimo a debordare verso il golfo. Il Mediterraneo occidentale era - come oggi - in comunicazione con le acque dell’Oceano, attraverso lo stretto di Gibilterra, e le sue acque avevano un livello simile a quello odierno, grazie all’apporto costante di acque oceaniche. Questa era la vera maledizione pendente sul capo del popolo (Atlanti-Tjehenu) che abitava quelle terre, ma essi forse erano convinti che la situazione di precario equilibrio potesse durare in eterno, così come essi l’avevano sempre vissuta.

Ad ovest del golfo, tra i due mari, si stendeva un’ampia, fertile pianura irrigua, che poteva essere abbondantemente irrigata, grazie alle acque provenienti dall’ampio “mare” interno, le cui acque dovevano essere piuttosto dolci. Quell’estensione di pianura corrisponde, per misure e caratteristiche fisico-climatiche, al territorio descritto da Platone.

Dalla costa, la pianura saliva dolcemente verso ovest, in direzione di una cresta di colline d’origine vulcanica, ricche di giacimenti metalliferi. A circa 450 km dal Mediterraneo, si stendeva un enorme bacino d’acqua: un vero e proprio “terzo mare”, ad una quota di circa 650 m superiore a quella del Mediterraneo. Quel mare raccoglieva le acque d’un vasto bacino pluviale, esteso a sud sino ai massicci del Tassili e dell’Ahaggar (il “monte Atlante”, secondo Erodoto). Le sue acque irrigavano le terre della vasta pianura. Nel fondo di quel bacino oggi c’è un gran sedimento di sabbia, il Grande Erg orientale (Igharghar), uno dei deserti sabbiosi più estesi al mondo.

Il mondo che abbiamo descritto finì in ventiquattr’ore, tra il 1240 e il 1210 a.C.. Una serie di violenti terremoti incrinò seriamente la consistenza degli sbarramenti rocciosi e aprì brecce, che ben presto cedettero di fronte alla pressione delle acque dei due grandi bacini posti alle quote superiori: il mare sahariano e il Mediterraneo occidentale, costantemente rifornito dalle acque dell’Oceano. Le acque si fecero strada con impeto in canaloni larghi decine di chilometri, con ondate di piena veramente immani. Atlantide rimase distrutta per sempre.

Viaggi e contatti tra i continenti

Gli studiosi diffusionisti ipotizzano l’esistenza in epoca antica di viaggiatori e di connessioni transatlantiche e transpacifiche, di contatti marittimi tra i continenti, prima degli sviluppi dell’epopea dei popoli mediterranei, da interpretarsi come un “medioevo barbarico”, causato dalla supremazia dei guerrieri armati di ferro sui mercanti civilizzatori, che avevano scoperto come fondere ed usare l’oro, il rame e il bronzo.

Navigatori africani, polinesiani, cinesi, fenici. Chi erano i Fenici? Gli storici li descrivono come i primi grandi navigatori. Secondo Zapp ed Erikson, essi furono piuttosto “gli ultimi” grandi navigatori dell’antichità, insieme ai Celti (la cui flotta oceanica fu distrutta da Giulio Cesare, in un celebre battaglia navale). Si può supporre che i Fenici fossero grandi navigatori che dominavano i mari dell’est, rispetto al Mediterraneo, mentre Atlantide ed i Celti dominavano le rotte occidentali.

Erodoto scrive che i Fenici arrivarono nel Mediterraneo dal Mar Rosso, verso il 1200 a.C. Adottarono una scrittura di tipo alfabetico, modello per le successive lettere usate degli alfabeti europei, ma non è rimasta nessuna cronaca scritta delle loro imprese. La loro civiltà è descritta come sempre protesa sul mare, al commercio ed alla scoperta di terre lontane. Durante l’età del bronzo andavano a reperire il rame e lo stagno dalle zone minerarie, ma i generi di commercio includevano l’oro, le spezie, la porpora da cui – secondo la tradizione – deriva il loro nome che significa “gli uomini rossi”. Dopo il 539 a.C., con la conquista delle coste orientali da parte della potenza persiana, il centro mediterraneo della cultura fenicia divenne Cartagine. Secondo antichi racconti, i Fenici e poi i Cartaginesi conoscevano una lontana isola di Antilla, colma di ricchezze, e diedero corpo alla leggenda del continente perduto per garantirsi la conoscenza esclusiva delle rotte atlantiche. Nel sec. V a.C. molti Cartaginesi salparono verso la “nuova isola” verdeggiante e la città rischiò di spopolarsi, sì che i governanti dovettero proibire di passare le colonne d’Erakles. Gli studiosi diffusionisti ritengono che Fenici e Cartaginesi conoscessero bene le rotte degli alisei, che più tardi furono sfruttate dalla flotta di Colombo.

Malta, santuario della regalità

L’isola di Malta era l’antica roccaforte di Kalpe, ossia una delle originali colonne d’Erakles (e, ancor prima, sede degli altari di Cronos, di Melkart, di Atlante), e fu sottoposta all’enorme ondata che distrusse il cuore di Atlantide, proveniente dal golfo della Sirte. I blocchi dei monumenti, alti oltre tre metri, appaiono abbattuti da un’enorme ondata, proveniente da occidente, che li ha spinti sino a distanze dell’ordine di 5-10 m dalle loro posizioni originali. La sola spiegazione possibile è che un’immensa ondata d’acqua, diretta da ovest verso est, abbia causato l’incredibile distruzione.
 

Gli antichi miti dei Greci

Un dotto autore che si firma “Michele di Grecia” riporta tutto ad una serie di conflitti tra Greci e Cretesi. Chi furono gli eroi di quella guerra? Proviamo a ritrovare nel mito e nel racconto di Pausania i nomi dei re che compaiono nel racconto di Platone.

Cecrope (figlio del primo mitico re Ethos), aprì le ostilità – potremmo tradurre noi – col potere d’Atlantide, rappresentato dal culto di Poseidone e dai Titani. In altri miti, lo stesso episodio è presentato come se Athena, figlia naturale di Poseidone, avesse rinnegato il padre per proclamarsi figlia di Zeus. Fu la fine del matriarcato, come ricorda anche Sant’Agostino.

Lo stesso Proclo sospettava che nel conflitto tra Dèi e Titani si adombrassero le guerre sostenute dagli antichi Ateniesi contro il popolo d’Atlantide ed i suoi alleati. Gli Antichi fissavano anche la data più probabile della vittoria degli Dèi contro i Titani, corrispondente al 1505 a.C. Nella tradizione egizia, si narra che “i Giganti attaccarono Zeus ed Osiride, ma furono distrutti”. Rileviamo l’assonanza di matrici sillabiche tra i nomi Atlanti – Titani e quello della grande madre Tanith.

La saga normanna dal titolo
Oera Linda (1)parla d’un popolo biondo, originario della Frisia, con tradizioni matriarcali, che, dopo un diluvio che distrusse la terra natale (chiamata Atland), migrò verso il Mediterraneo, al comando d’una principessa guerriera (la dea Athena dei greci), e fondò Atene. Secondo Oera Linda, Cecrope fu il figlio d’una donna frisona e d’un sacerdote egizio ed era “metà uomo e metà serpente”. Questo mito di migrazione può riflettere l’arrivo di Achei e Dori nell’area del Mediterraneo orientale.

Cecrope fu il primo a nominare Zeus quale dio supremo e ad abolire i sacrifici di sangue, sia umani, sia di animali. Egli proveniva dalla città egiziana di Sais. Sotto il suo regno ebbe luogo la disputa tra Athena e Poseidone per il controllo sulla città di Atene, disputa che può riguardare il predominio dei Cretesi (Atlanti, o comunque loro alleati), devoti al culto eponimo di Poseidone.
Altri re che combatterono contro aggressori esterni (descritti sempre come popoli alleati con i Cretesi e – diremo noi – dello schieramento atlantide) furono i successori di Cecrope: il suo diretto successore Erisicto (Erysichton), e – tre generazioni dopo – Erictonio (Erichtonios, definito come un “usurpatore”, figlio di Efesto e della TerraGea): forse è l’indicazione di un’altra invasione?

Infine, suo nipote Erecteo. Sono tutti re ed eroi anteriori a Teseo, il quale apparirebbe come pronipote dell’ultimo, Erecteo.

Erictonio istituì le feste panatenee, in onore d’Athena, ma il suo successore, il figlio Pandione, era probabilmente un cretese. Il figlio di Pandione, Lico, è tramandato da Erodoto come il fondatore del regno di Licia. Ritroveremo i Lici tra i Popoli del Mare, che tentarono d’invadere l’Egitto poco prima del 1200 a.C. Apollodoro ricorda che, sotto il regno di Pandione, “Demetra e Dioniso vennero in Attica”. La prima era certamente una divinità originaria di Creta.

Anche sotto il regno di Pandione, troviamo menzione di guerre. Uno dei successori, Erecteo, dovette subire l’attacco di un “devoto di Poseidone”: Eumolpo, re di Eleusi (città alleata di Creta). Gli Ateniesi dovettero difendersi, con l’aiuto di truppe mercenarie. Secondo Apollodoro la fortuna aiutò gli Ateniesi, ma Poseidone, adirato, distrusse la casa di Erecteo, sull’Acropoli, e l’uccise con tutta la sua famiglia.

In sostanza – conclude Michele di Grecia – in questi miti non si parla esplicitamente d’una guerra tra Atene e Creta, né tra Atene ed Atlantide, ma Poseidone viene scacciato dal culto degli Ateniesi, viene estirpato il matriarcato ed una serie di aspri conflitti (Dèi e Titani) corrisponde con la narrazione della guerra tra Atlantide e l’antica Atene.

La filiazione mitica


Secondo il mito, Atlante e Cronos erano fratelli, figli di Urano. Atlante ricevette in eredità il regno dell’occidente, Cronos quello d’Oriente. Entrambi – quindi – risultano come progenitori di stirpi regali. Ricordiamo che nel mito Erakles e Atlante si scambiano per un momento il compito di sorreggere il peso del mondo, mentre Atlante raccoglie per l’eroe semidio i pomi delle Esperidi… scambio di ruoli nella progenitura di stirpi regali? Qualcuno ritiene fosse fratello d’Atlante anche Prometeo, ma sappiamo che spesso i miti s’intrecciano e diventano complicati.

Secondo i Fenici, Cronos cominciò a sospettare del fratello e lo seppellì sottoterra. Secondo i Greci avvenne piuttosto il contrario. Atlante prese il posto di Cronos e condusse i Titani in guerra contro gli Dèi (iniziò quindi – detto in termini più terra-terra – il conflitto tra i regni alleati di Atlantide e gli Ateniesi e gli Egizi del Delta).


Conclusioni


Si può ipotizzare la formazione, nel terzo millennio a.C., d’una potenza marittima nella zona del canale di Sicilia, gestita da un popolo (gli Atlanti di Platone, di Erodoto e di Diodoro Siculo, i Tjehenu delle cronache egizie) proveniente dalla regione dell’Ahaggar, nel cuore dell’attuale Sahara, là ove ancora oggi gli “uomini blu” riconoscono la culla della propria nazione e ricordano l’antenata mitica Tin Hinan (nome che rievoca “Tjehenu”).

Una civiltà protesa sui mari: verso ovest alla conquista degli oceani (erano i soli del bacino mediterraneo a poterlo fare, oltre i Celti, poiché la loro terra sbarrava la via ai popoli del Mediterraneo orientale). Ad est, nelle colonie di Creta e di Thera, rimangono le tracce del loro influsso, ma la distruzione del primitivo focolaio di diffusione fa sì che venga qualificato come “cretese” anche tutto ciò che si ritrova in aree occidentali (penisola iberica, isole britanniche ed oltre, sino ad alcuni elementi delle culture pre-maya in Centro America). Diverse dovevano essere le lingue, nel grande impero d’Atlantide, e diversi i tipi di scrittura.

Dopo il 2000 a.C., i popoli antenati dei Greci (indoeuropei armati di ferro, probabilmente imparentati coi vichinghi, come vuole anche il libro Oera Linda) raggiungono il Mediterraneo orientale, portando con sé i loro miti, da cui nascono i poemi omerici, e vivendo direttamente altre vicende che si tramandano oralmente come miti delle origini. La lotta tra i Titani e gli Dèi sarebbe la traduzione mitica della guerra tra i popoli dell’Attica, alleati con gli Egizi del Delta, e gli Atlanti che volevano sottometterli. Non a caso è il periodo di massima espansione apparente della cultura cretese.

L’eruzione dell’isola di Thera (tra il 1480 ed il 1440 a.C.) diede un decisivo colpo alla potenza cretese e facilitò la rivincita dei micenei. Il Mediterraneo orientale rimaneva un bacino chiuso, con un pelo d’acqua inferiore di circa 300 m a quello attuale, per cui i porti, le fortificazioni e gran parte delle città commerciali non sono stati trovati: dovevano trovarsi a quella quota, sugli attuali fondali.

Verso il 1200, la catastrofe finale. I “popoli del mare” sciamano alla ricerca di nuove patrie, i Filistei vanno a stabilirsi in Palestina e più a nord arrivano gli “uomini rossi” (Fenici), che sarebbero divenuti celebri come eredi dei segreti della grande navigazione.

Tutta questa storia appare mediterranea, nei miti, nelle catastrofi descritte, nelle guerre sanguinose e nelle lotte tra l’antico culto matriarcale, con le sacre isole di Malta e di Creta, ed i nuovi riti d’un Pantheon retto da figure maschili. Tanto mediterranea, da non richiedere alcuna proiezione “auto-giustificativa” lungo lontane rotte oceaniche.

Atlanti e Fenici ritornano prepotentemente in iscrizioni ritrovate sul Nuovo Continente e nelle isole del Pacifico, che narrano in caratteri e lingua libica le cronache d’antichi viaggi, di navigatori chiamati Rata e Maui (“l’uomo dell’acqua”) che divennero i geni tutelari di tanti popoli della Polinesia. Conturbante: gli stessi decifratori si sono arrampicati sugli specchi, per spiegare come mai quei navigatori si potessero esprimere in libico. Nessuno di loro pensava che l’impero d’Atlantide, proteso a navigare fuori del Mediterraneo, fosse stato proprio la culla dei popoli libici e berberi. Come potremmo dunque parlare d’un “falso”, quando si trattava d’una scoperta difficile da spiegare proprio per chi se la trovava tra le mani? Sarebbe stato più facile – per loro – creare un falso in caratteri egizi, oppure in greco. Se gli studiosi diffusionisti non l’hanno fatto, non potevano certo aver falsificato il materiale a loro disposizione.

(Autore: Alberto Arecchi. L'originale di questo articolo, pubblicato per gentile concessione dell'autore, si trova in
http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=129)

 

Nota 1)- Per una trattazione della saga: http://www.antikitera.net/rivista/numero01/oeralinda.htm

 

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                                                                     aprile 2008