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TEMATICHE: Due passi nell'Italia nascosta Simbologia e Cultura Orientale UTILITY: Ricerca veloce titoli per argomento SERVIZI:
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MEGALITICHE DELLA VALDOSSOLA
Il caso di Montecrestese
di
Adriano
Gaspani
I.N.A.F - Istituto Nazionale di Astrofisica
Osservatorio Astronomico di Brera - Milano
adriano.gaspani@brera.inaf.it La
Val d’Ossola contiene testimonianze del passato di grande importanza e di
interesse ben più ampio di quello locale o regionale.
Sin dalla fine del secolo scorso la valle godette di grande notorietà in
campo archeologico grazie alla scoperta nel 1890-91 delle necropoli celtiche di
S. Bernardo e di Ornavasso delle necropoli di Pedemonte di Gravellona Toce tra
il 1954 e il 1958, e di Montecrestese nel 1974.
Le testimonianze archeologiche della Val d’Ossola sono molto varie e
coprono un arco di tempo molto esteso. I reperti più antichi sono quelli legati
alla presenza di gruppi di cacciatori del Mesolitico, tra il IX e il VI
millennio a.C., recentemente messe in luce all’alpe Veglia presso Varzo. I
reperti del Mesolitico sono di fondamentale importanza nell’ottica dello
studio e della comprensione della presenza umana nell’arco alpino in quel
periodo. All’imbocco della Val d’Ossola, presso Mergozzo e a Pedemonte di
Gravellona Toce sono stati rinvenuti manufatti in pietra e ceramica collocabili
cronologicamente al tardo Neolitico e al successivo Eneolitico, circa III
millennio a.C. L’età del Bronzo è rappresentata, oltre che a Mergozzo, anche
nell’Ossola Superiore da rinvenimenti come il pugnale rinvenuto al Passo
dell’Arbola in Val Formazza, la matrice di fusione trovata a Toceno e
l’ascia rinvenuta a Folsogno, località entrambe poste nella Val Vigezzo,
reperti che si collocano in diverse fasi entro il II millennio a.C. A
tutt’oggi sono però carenti le testimonianze di quella parte dell’età del
Ferro corrispondente alla prima metà del I millenio a.C., sono numerose invece
quelle della fase successiva che si stende dal V-I sec. a.C.
Oltre ad alcune tombe della necropoli di Gravellona Toce e all’unica di
Montecrestese, che risalgono al V-inizi del IV sec a.C., il gruppo più numeroso
e costituito da quelle delle grandi necropoli di Ornavasso S.Bernardo e di
Pedemonte di Gravellona Toce, da alcune tombe di Bannio e da quelle isolate di
Crodo, di Mozzio, di Toceno e di Calice, del periodo della romanizzazione (fine
del II-ultimi decenni del I sec. a.C.). Molto
cospicuo è poi il gruppo delle tombe gallo-romane risalenti agli ultimi decenni
del I sec. a.C., epoca durante la quale avvenne la conquista romana dell’arco
alpino, e soprattutto di quelle che risalgono al I e al II secolo poste nelle
località di Mergozzo-Praviaccio e alla Cappella, Candoglia-San Graziano,
Pedemonte di Gravellona Toce, Ornavasso-In Persona, Bannio, Rivera di Viganella,
Domodossola, Masera, Montecrestese, Crodo, Mozzio, Cravegna, Baceno, Premia, di
numerose località della Val Vigezzo quali Druogno, Toceno, S.Maria Maggiore,
Craveggia, Folsogno e della Val Cannobina come Malesco, Finero, Gurro.
Il sito di Castelluccio I - Prospetto A
questo periodo risalgono anche alcune testimonianze epigrafiche di cui,
famosissima, quella della Masone di Vogogna del 196 d.C. che ricorda il restauro
della strada del Sempione. I ritrovamenti del III e IV sec. a.C. sono meno
numerosi e sono rappresentati da alcune tombe rinvenute a Candoglia-San
Graziano, a Mergozzo--Praviaccio, a Dresio di Vogogna, da resti di costruzioni
come a Candoglia—San Graziano, Mergozzo, Gravellona Toce-Pedemonte e
S.Maurizio e da monete isolate di cui alcune rinvenute in corrispondenza di
passi alpini quali Devero, il Passo di Monte Moro e il Passo di Antrona.
Salvo che in pochi casi, la documentazione archeologica è costituita da
materiali di provenienza prevalentemente funeraria, cioè da tombe talvolta
riunite in necropoli, o da oggetti isolati, mentre quasi niente si sa invece
degli abitati.
Il
sito di Castelluccio I - Planimetria Accanto
a queste testimonianze che appartengono con assoluta certezza al campo
dell’archeologia, sono presenti in Ossola altri reperti di cui è ancora
problematico stabilire con sufficiente affidabilità una collocazione
cronologica.
Il
sito di Castelluccio I - Sezione In
questo gruppo possiamo comprendere i massi con coppelle ed incisioni, che come
sempre, risultano essere di difficile datazione, ma anche alcune strutture
formate da allineamenti di monoliti, i circoli formati da grosse pietre e alcune
imponenti strutture in pietra a secco. Le
possibilità di giungere a una affidabile valutazione della loro datazione sono
legate principalmente al fatto di poter associare queste strutture a materiali
in qualche modo databili quali i manufatti in pietra o in osso, in ceramica o in
metallo, soprattutto se di origine organica in modo che il metodo del
radiocarbonio possa essere validamente impiegato.
Anche se nuove scoperte si sono aggiunte negli ultimi anni a quelle già
note da tempo, purtroppo, in Ossola nessuna ha finora restituito materiali che
ne rendano possibile la datazione.
Il
sito di Castelluccio I - Sezione Le
strutture in pietra a secco ossolane, per il momento non sembrano avere
confronti soddisfacenti in aree vicine e complessivamente sono poco numerose per
cui, almeno per ora, non è possibile fornire risposte documentate alle domande
relativamente a quando, da chi e per quale scopo queste strutture vennero
edificate.
Il
sito di Croppole – Vista frontale L’Ossola
è piena di costruzioni in pietra a secco, tra i quali i numerosissimi muri di
terrazzamento che sostengono gli appezzamenti di terra coltivabile, ma non ci
sono solo questi, ne esistono altri la cui uso è di difficile interpretazione. Le
ricognizioni degli ultimi due anni hanno portato alla scoperta di manufatti di
pietra con caratteristiche molto particolari nel cui ambito sono stati
individuati tre elementi: 1)
Strutture con copertura a falsa volta, cioè ottenuta con file sovrapposte di
pietre che sporgono man mano che si procede verso l’alto fino alla lastra di
chiusura. 2)
Terrazzamenti quadrangolari disposti in serie digradanti, contenenti
strutture a falsa volta. 3)
Gruppi di grossi blocchi di pietra infissi verticalmente nel terreno, (menhir)
in due casi nelle immediate vicinanze di strutture a falsa volta.
Le
strutture a falsa volta sono caratterizzate da una copertura ottenuta con file
di pietre sporgenti le une sulle altre e una lastra centrale di chiusura.
Le 15 strutture finora note agli archeologi, due si trovano a Croppo di
Pontetto, una a Croppola-Sotto, due a Castelluccio, due a Villadossola--Murata,
una a Sogno, tre a Varchignoli, due a Boschetto, due a Viganella.
Altre sono state segnalate ma non sono ancora state adeguatamente
studiate. Le strutture a falsa volta
finora analizzate sono inserite, con una sola eccezione, in muri di
terrazzamento.
Il
sito di Croppole – Prospetto Per
lo più sono caratterizzate da una pianta accentrata che può essere più o meno
circolare, ellittica o irregolarmente poligonale, con variazioni che sembrano
dipendere, più che da diversità di progetto, dalle dimensioni delle pietre
utilizzate. Quella
di Castelluccio I ed altre due, hanno invece una pianta rettangolare allungata
in cui la tecnica della falsa volta è presente con qualche adattamento, come la
suddivisione dello spazio del soffitto in sezioni di forma quadrangolare per
consentire ai lastroni di chiusura di poggiare su filari di pietre aggettanti. Sulla
base di una presumibile differenza di funzione, gli archeologi hanno
classificato queste strutture in quattro gruppi. Il
primo gruppo comprende le strutture a pianta accentrata, con accesso stretto il
quale presumibilmente poteva essere chiuso con una porta o con qualche sistema
di sbarramento. Il
secondo gruppo comprende le strutture ad esedra con accesso largo circa quanto
la larghezza del vano; alcune sono a pianta semicircolare, altre sono
maggiormente allungate penetrando profondamente nel terreno del terrazzamento.
I
menhir allineati di Castelluccio I durante i rilievi del 2000. Il
terzo gruppo include le strutture a pianta accentrata prive di accesso,
verosimilmente destinate ad essere utilizzate una volta sola a meno di non
penetrarvi dall’alto rimuovendo la lastra di chiusura.
Queste ultime non avendo aperture d’accesso, sono le più difficili da
individuare: per ora, infatti, ne è nota soltanto una, identificata a
Varchignoli grazie al crollo di una parte della volta.
L’ultima categoria comprende le strutture a camera rettangolare con
accesso stretto su uno dei lati lunghi. Una
serie di terrazzamenti con caratteristiche particolari è stata individuata a
Varchignoli in Valle Antrona. Terrazzamenti
con esedre, analoghi ma meno imponenti e regolari, si ripetono, in valle Antrona,
anche in un altro punto di Varchignoli, dove vi è un’esedra di dimensioni
modeste ma con una lastra di chiusura gigantesca, a Villadossola-Murata e a
Viganella, dove una delle due strutture finora identificate ha come stipite un
masso di eccezionale grandezza. Strutture
ad esedra sono presenti, infine, anche a Montecrestese, una a pianta accentrata
(Castelluccio I) ed una a pianta allungata (Pontetto I).
Per quanto riguarda i menhir, per ora saranno presi in considerazione
solamente quelli riuniti in gruppi inequivocabilmente eretti dall’uomo.
I menhir ossolani si presentano come monoliti di forma allungata, infissi
verticalmente nel terreno; la loro altezza è compresa tra gli 80 e 140 cm.
dal suolo, con un interramento al massimo di cm. 40.
Castelluccio
I – Dettaglio della struttura muraria Generalmente
sono massi con la sommità appuntita o arrotondata, in cui l’intervento umano
fu limitato all’innalzamento e al puntellamento della base, con scaglie di
pietra per assicurare la loro stabilità. Alcuni
monoliti mostrano, invece, uno o due incavi semicircolari presso la sommità ed
altri si presentano come lastre con due profonde tacche a spigolo vivo, che
danno un aspetto rozzamente antropomorfo. Non
mancano comunque i monoliti caratterizzati da una forma intermedia non ben
definibili anche a causa dello stato di conservazione.
In nessun caso è stato possibile riscontare la presenza di tracce di
levigazione della superficie oppure la presenza di coppelle o decorazioni.
L’ipotesi che i menhir ossolani possano stabilire direzioni
astronomicamente significative sembra abbastanza fondata, almeno così sembrano
mostrare i risultati preliminari di una ricerca condotta da A. Gaspani e
tutt’ora in corso di realizzazione. Fino
ad ora sono stati identificati, tre raggruppamenti di menhirs, tutti nell’area
di Montecrestese. Due
di essi sono in connessione con strutture a falsa volta (Castelluccio I e
Croppole) ed uno è costituito da una fila di quattro monoliti, senza apparente
rapporto con strutture litiche (Castelluccio II).
Alla classificazione della forma dei singoli elementi dovrà quindi
seguire la tipologia dei raggruppamenti di cui andrà analizzata in dettaglio
l’orientazione rispetto alle direzioni astronomiche fondamentali, e il
rapporto con le strutture circostanti.
Croppole
– Menhir allineati Nel
mese di ottobre del 2000 l’attenzione è stata focalizzata sui due complessi
di Castelluccio I e di Croppole, programmando per le fasi successive il rilievo
di tutte le strutture ossolane alla ricerca di elementi astronomicamente
significativi. L’obbiettivo
iniziale è stato quello di eseguire la georeferenziazione oggettiva ed
affidabile degli elementi presenti in zona in modo da permettere poi l’analisi
archeoastronomica con un elevato livello di affidabilità. In
raltà il lavoro di georeferenziazione è stato completato solamente in piccola
parte in quanto l’alluvione dell’autunno 2000 ha interrotto i lavori di
rilevamento, per cui in questa sede è possibile solamente fornire i risultati
relativi a Castelluccio I e Croppole, già di per se stessi molto significativi.
Le successive indagini archeoastronomiche sono state pianificate per il prossimo
futuro. Le
tecniche utilizzate sono state basate sull’identificazione, nei vari siti, di
una serie di punti di riferimento di cui sono state determinate con alta
precisione le coordinate geografiche mediante rilevamento satellitare (GPS)
accurato a livello decimetrico e riferiti all’ellissoide internazionale WGS84
(World Geodetic System 1984).
Dai punti rilevati sono state determinate alcune direzioni di riferimento
(basi GPS) il cui azimut astronomico è stato determinato con alta precisione e
che hanno permesso di ottenere le orientazioni rilevabili nei siti in maniera
molto accurata.
Croppole
– Interno della camera praticata nella struttura muraria Il
complesso di Castelluccio I (Latitudine: 46°
09’.7332 N, Longitudine: 8°
19’.11702) è costituito da una struttura a camera rettangolare inserita in un
terrazzamento e da 10 monoliti (menhir)
eretti verticalmente sul piano sovrastante.
Croppole
– La struttura muraria La
camera interna si presenta come un corridoio lungo circa 6 metri, largo 1,20
metri e alto circa m. 1,60 rispetto al piano della soglia.
La copertura è composta di lastroni sostenuti, nei lati corti, dalle
pareti e, nello sviluppo longitudinale della camera, da travi litiche poste
trasversalmente che sorreggono a loro volta anelli di pietre aggettanti secondo
la tecnica della falsa volta. L’apertura
di accesso, di forma trapezoidale è volta ad occidente, e si apre nel muro di
contenimento del terrazzo, in corrispondenza di uno dei lati lunghi della camera
ed in posizione asimmetrica rispetto a questa.
Sul piano superiore si innalzano i 10 monoliti di cui tre mutili ed uno
abbattuto ma intero. Quattro
sono situati lungo il fronte del muraglione, in posizione simmetrica rispetto
alla camera; di essi ne rimane solo la parte inferiore dalla quale si può
dedurre che dovettero essere formati da una lastra di pietra sottile e stretta.
Rilievo
dell’orientazione della linea di menhir di Castelluccio I nell’autunno
dell’anno 2000. La
loro morfologia è simile a quella dei monoliti utilizzati in Valdossola per il
sostegno dei filari di viti ma la particolare disposizione parallela o obliqua
rispetto al muro è tale da escludere assolutamente un uso in questo senso. Gli
altri sei menhir, seguendo il perimetro della roccia di sfondo, si dispongono ad
arco di cerchio. Insieme
ai precedenti descrivono una sorta di ellisse irregolare, in cui cinque si
collocano radialmente e gli altri cinque frontalmente rispetto ad un ipotetico
centro, asimmetrico rispetto alla camera sottostante.
Le dimensioni e la forma variano notevolmente, alcuni sono
grossolanamente piramidali, altri a lastra con o senza i caratteristici incavi
semicircolari. Non
è quindi assolutamente chiaro se, date le differenze di forma, dimensioni ed
orientamento, i vari elementi costituissero fin dall’inizio un tutt’uno o
siano stati innalzati in momenti diversi. Le
strutture murarie che costituiscono il sito di Castelluccio I sono allineate in
modo da essere ortogonali alla direzione di tramonto del Sole al solstizio
d’inverno lungo la linea dell’orizzonte naturale locale rappresentato dal
profilo delle montagne visibili sullo sfondo.
Considerato il luogo dove la struttura è stata edificata, cioè
all’interno di una stretta valletta, viene spontaneo ipotizzare che la scelta
del luogo non sia assolutamente casuale, ma sia stata operata proprio in
funzione della particolare orientazione solstiziale che poteva essere codificata
in una struttura da edificare in quell’area.
Ottimizzazione
della collocazione cronologica per il sito di Castelluccio I Nemmeno
la disposizione dei 5 menhir di sfondo posti sulla piattaforma superiore risulta
essere casuale, ma sono posti in modo da costituire dei punti di stazione,
mentre gli altri 5 monoliti posti sul bordo della struttura muraria a secco
costituiscono dei convenienti punti di collimazione atti a definire un certo
numero di linee astronomicamente significative che, entro i limiti delle
inevitabili incertezze insite nelle misurazioni, risultano connesse con i punti
di tramonto del Sole nei giorni dei solstizi e degli equinozi[1],
lungo un periodo di tempo che si stende dall’età del Rame a quella del Bronzo
e a quella del Ferro.
Ottimizzazione
della collocazione cronologica per il sito di Croppole Questo
fatto è dovuto al fatto che i punti di levata e di tramonto del Sole e della
Luna risentono principalmente del lento cambiamento di inclinazione dell’asse
di rotazione della Terra e non, come avviene nel caso delle stelle, dal fenomeno
della precessione degli equinozi, che è più veloce e che causa una variazione
della posizione di levata e di tramonto degli astri, di maggiore entità
rispetto a quanto si verifica nel caso del Sole e della Luna. Per
questo la difficoltà di collocazione cronologica rende affidabili solamente gli
allineamenti basati sui più importanti fenomeni solari e lunari, mentre per
quanto riguarda le stelle la situazione rimane poco determinata a causa della
difficoltà di datazione unita al veloce cambiamento dei punti di levata e di
tramonto delle stelle a causa del fenomeno della precessione degli equinozi. Nel
sito di Castelluccio I esistono quindi 12 linee astronomicamente significative
su un totale di 91 possibili le quali si ripartiscono statisticamente in 4 linee
dirette verso il punto di tramonto del Sole al solstizio d’estate
(declinazione del Sole pari a d=+e),
5 linee dirette verso il punto di tramonto del Sole al solstizio d’inverno
(declinazione del Sole pari a d=-e),
2 linee dirette verso il punto di tramonto del Sole agli equinozi ed anche un
allineamento lunare diretto verso il punto di tramonto della Luna alla sua
digressione intermedia settentrionale, al lunistizio che avviene ogni 18,61 anni
solari tropici, quando la declinazione del nostro satellite naturale raggiunge
il valore d
=(+e-i), dietro le montagne
poste a nord-ovest. Una delle linee
solstiziali invernali è molto interessante in quanto è coincidente con
l’asse dell’ingresso alla camera a falsa volta che è praticata nel grande
muro superiore.
Questo
fatto implica che nel giorno del solstizio d’inverno i raggi del Sole che
tramontava illuminavano l’interno della camera; questo fatto avveniva
solamente nei pochi giorni posti a cavallo della data di solstizio invernale che
poteva andare dal 13 Gennaio per il 3000 a.C. recedendo fino al 26 Dicembre, del
calendario giuliano, nel caso del 500 a.C. L’analisi
probabilistica tesa a determinare la probabilità che, entro i limiti di
incertezza delle misure ottenute, sia possibile rilevare 12 linee
astronomicamente significative su 91 possibili solamente a causa di ragioni
puramente casuali ha fornito un livello di probabilità tanto ridotto da
ritenersi praticamente nullo; è evidente che i menhir di Castelluccio I
e l’orientazione dell’entrata della camera praticata nella struttura muraria
principale furono deliberatamente voluti in fase di costruzione del grande
manufatto litico. Il
complesso di Croppole comprende una struttura a camera a pianta ellittica
inserita in un terrazzamento, un cospicuo gruppo di monoliti sul piano
antistante e tre vasche tagliate nella roccia. La
camera, costruita nello spazio tra due mammelloni glaciali, è alta metri 2
metri circa dal livello dalla roccia del fondo, larga m. 2,75 e profonda m.
1,85. La
copertura è anche in questo caso a falsa volta ed è costruita con blocchi
disposti in file regolari aggettanti fino ad arrivare alla lastra di chiusura.
Vista
della Valle Ossola dai siti di Montecrestese All’interno,
nello spessore dei muri, che nel punto di accesso varia tra i 60 e i 70 cm.,
sono ricavate tre nicchie ripostiglio e per terra, a destra dell’entrata, è
posto un blocco di pietra che potrebbe aver avuto la funzione di sedile. L’accesso,
aperto nel fronte del muraglione di terrazzamento è anche in questo caso
rivolto ad ovest ed ha un profilo lievemente trapezoidale.
Vi si sovrapponevano tre soglie, corrispondenti a tre livelli di
riempimento interno. Il
sondaggio di scavo eseguito dagli archeologi durante gli anni ‘80, praticato
su metà circa della superficie della camera, ha dato scarsissimi resti
riferibili ad una presenza umana anche solo occasionale.
Il gruppo dei monoliti, che sorge sul più settentrionale dei due
mammelloni glaciali, è costituito da un grosso blocco, posto orizzontalmente in
posizione dominante la vallata che si apre ai piedi del promontorio di
Montecrestese, e da alcuni menhir. Di
questi, otto sono ancora al loro posto, almeno altri quattro giacciono a terra
interi presso il punto in cui sorgevano originariamente ed altri sono in
frammenti. Ad
un primo colpo d’occhio sembrerebbero disporsi su due file parallele in
direzione nord-sud, ai piedi del masso orizzontale, ma potrebbero anche aver
formato un cerchio intorno ad esso se si tiene conto di quelli divelti e
spezzati. Tra
quelli situati all’estremità settentrionale vi è una sorta di vasca
trapezoidale in cui ancor oggi vengono convogliate le acque che scendono dal
mammellone, la quale fu costruita in parte tagliando la roccia del fondo e in
parte con blocchi abbattuti e con pietre a secco.
Una vasca analoga per forma e dimensioni è posta lungo il pendio
sottostante. Nelle
vicinanze vi sono grossi monoliti che potrebbero aver rappresentato altrettanti menhir
abbattuti. Nelle
vasche vi confluivano le acque di drenaggio provenienti dal terrazzamento
sovrastante, tramite un canaletto il cui sbocco, anch’esso con copertura a
falsa volta, era situato alla base del muro di sostegno.
Dal punto di vista archeoastronomico è risultato subito chiaro che anche
il sito di Croppole risulta essere astronomicamente orientato, ma anche in
questo caso la difficoltà di collocazione cronologica rende affidabili
solamente gli allineamenti basati sui più importanti fenomeni solari e lunari,
mentre per quanto riguarda le stelle la situazione rimane ambigua proprio per la
difficoltà di datazione unita al veloce spostamento dei punti di tramonto di
esse a causa della precessione degli equinozi.
Anche a Croppole le strutture litiche sono tendenzialmente esposte verso
occidente quindi risultano privilegiati gli allimeanenti connessi con il
tramonto degli astri più che con la loro levata. L’ingresso
della camera ellittica praticata nel muro superiore appare allineato verso un
punto dell’orizzonte naturale locale in cui poteva essere visto tramontare il
Sole al solstizio d’estate, in virtù del fatto che esiste un certo errore che
dipende anche dal fatto che l’ingresso della camera ha una larghezza
dell’ordine degli 80 centimetri, si verifica cha anche la luce della Luna
quando, ogni 18,61 anni, tramontava al lunistizio tale per cui la sua
declinazione era pari a d
=(+e-i), entrava illuminando
l’interno della cavità. Nello
spazio compreso tra le due muraglie è posta una sequenza di tre menhir allineati
con rilevante accuratezza verso il punto di levata del Sole al solstizio
d’estate, all’orizzonte naturale locale, e dalla parte opposta verso il
punto di tramonto della Luna al lunistizio in cui la sua declinazione era pari a d
=(-e+i). Accanto
a questa linea di monoliti esiste una sequenza di 2 menhir che
individuano una coppia di direzioni esattamente omologhe alle due precedenti e
cioè la linea che passa per i due monoliti è allineata con rilevante
accuratezza verso il punto di tramonto del Sole al solstizio d’estate,
all’orizzonte naturale locale, e dalla parte opposta verso il punto di sorgere
della Luna al lunistizio in cui la sua declinazione era pari a d
=(-e+i).
Questa situazione si presta ad alcune interessanti considerazioni, la
prima delle quali è la volontà di allineare due serie di menhir in modo da
marcare con ottima accuratezza le due direzioni solstiziali estive.
La probabilità che questo possa essere avvenuto a caso è 1 su 14400,
quindi bisogna ritenere deliberata la disposizione dei 5 menhir che si rilevano
a Croppole sulla piattaforma posta tra i due muri megalitici.
Il fatto che le direzioni opposte al quelle solstiziali estive
identifichino i due punti relativi alla levata e al tramonto della Luna al
lunistizio tale per cui la declinazione dell’astro era pari a d=(-e+i),
che corrisponde ad un fenomeno visibile uno ed un solo giorno ogni 18,61 anni
solari medi, potrebbe anche essere un artefatto dovuto alle linee solstiziali
descritte in precedenza, anche perché la levata lunare nella direzione rilevata
era scarsamente visibile a causa dell’altura sul cui pendio è ubicato il sito
di Croppole. Nelle
immediate vicinanze del sistema di 5 menhir esiste un masso piatto di rilevanti
dimensioni (circa 2 metri ´
1 metro) che si allinea bene con un menhir posto a sud-ovest in modo da
determinare una linea diretta verso il punto di tramonto del Sole al solstizio
d’inverno, all’orizzonte naturale locale. Lo
stesso masso determina una linea parallela alla direzione del meridiano
astronomico locale, con uno dei tre menhir che identificano la direzione della
levata del Sole al solstizio d’estate, e quindi verso la direzione del polo
nord celeste. L’analisi
probabilistica ci mostra che nel sito di Croppole essendo globalmente possibili
57 linee di cui 8 sono risultate astronomicamente significative, allora la
probabilità che questo sia avvenuto solamente in seguito ad una combinazione di
fattori casuali è solamente 1 su quasi 47 milioni; da escludere quindi che i
menhir si trovino disposti nel modo rilevato solamente per ragioni casuali, ma
bisogna ammettere che la configurazione fu deliberatamente posta in opera
dall’uomo. Rimane ora da
comprendere quale fosse stata la reale funzione dei due siti presi in esame in
questa sede e anche degli altri 13 che ancora aspettano un’analisi adeguata;
per ora la risposta a questa domanda è impossibile da formulare. Quello
che è importante è che l’analisi dei due siti dal punto di vista
archeoastronomico ha fornito risultati molto interessanti, infatti dopo aver
eseguito una rigorosa analisi probabilistica è emerso molto chiaramente che le
configurazioni formate dai vari elementi litici sono state anticamente
deliberatamente poste in opera dell’Uomo in modo da essere astronomicamente
significativi. Il
criterio di orientazione è risultato essere di tipo prevalentemente solare con
particolare riferimento ai punti di tramonto dell’astro diurno all’orizzonte
naturale locale durante i solstizi. Rimane
per ora completamente oscura e misteriosa la reale funzione che le strutture
megalitiche ossolane rivestirono durante l’epoca altrettamto misteriosa della
loro costruzione e del loro uso. La
collocazione cronologica delle strutture megalitiche ossolane è attualmente
sconosciuta in quanto le indagini archeologiche non sono attualmente in brado di
fare luce su questo punto; in mancanza di altri mezzi è stata tentata
l’ottimizzazione cronologica delle due strutture studiate sulla base
delle evidenze archoastronomiche. Ogni
data astronomica prevede una particolare posizione nel cielo del Sole, della
Luna, dei pianeti e delle stelle che può essere calcolata fino ad un limite
remoto pari al 4000 a.C. circa, in maniera rigorosa, mediante opportuni
algoritmi, quindi a prima vista potrebbe sembrare possibile datare i siti
archeologici astronomicamente significativi nel momento in cui alcuni
allineamenti siano orientati verso i punti dell’orizzonte locale in
corrispondenza dei quali taluni corpi celesti sorgevano o tramontavano in epoca
remota. Secondo
questa visione del mondo, la quale era piuttosto diffusa durante i primi tempi
di sviluppo dell’Archeoastronomia, una volta rilevati, in un sito, alcuni
allineamenti astronomicamente significativi era possibile mediante un opportuno
processo di ottimizzazione al computer giungere a determinare l’epoca in cui
gli allineamenti e i loro corrispondenti bersagli sulla linea dell’orizzonte
naturale locale raggiungevano il massimo accordo possibile. Quell’epoca
era assunta come collocazione cronologica del sito e delle strutture
archeologiche che era possibile rilevare in quel luogo.
Il risultato trovato in questo modo è preciso, ma non è accurato.
Questo vuol dire che il margine d’errore interno del risultato trovato
è molto ridotto, al massimo qualche decina d’anni, ma tale risultato sarà
poco accurato potendo essere lontano dal vero anche 1000 anni o più.
Un esempio emblematico è rappresentato dai risultati delle ricerche
condotte durante gli anni ‘60 dall’inglese Alexander Thom relativamente alle
orientazioni rilevate nei siti megalitici britannici che mostravano di essere
correlate con i punti di levata e tramonto della Luna ai lunistizi.
Thom tentò di ottimizzare matematicamente l’epoca in cui l’accordo
tra le direzioni degli allineamenti e quelle dei punti lunari era massimo
ottenendo una valutazione dell’epoca media di costruzione delle strutture
megalitiche in errore di oltre 1000 anni (in
meno) rispetto alla reale collocazione cronologica oggi accettata e basata sulla
datazione dei ritrovamenti archeologici. Il
reale margine di errore che è insito nel problema è talmente elevato che la
probabilità di riuscire ad ottenere in questo modo una collocazione cronologica
efficace di un sito archeologico è, salvo qualche raro caso, molto ridotta. A
parte alcuni casi del tutto particolari la datazione eseguita mediante
riferimenti astronomici è quindi sempre estremamente incerta e facilmente fonte
di errori grossolani. Prendiamo
nuovamente ad esempio i monumenti megalitici abbondanti lungo tutta la costa
atlantica dell’Europa; non ci è dato di sapere con sicurezza determinato
allineamento di monoliti potesse ragionevolmente essere stato costruito al fine
di indicare sull’orizzonte il punto dove un determinato ast potesse sorgere o
tramontare. A
causa del lento moto di precessione e del cambiamento ancor più lento
dell’inclinazione dell’asse di rotazione della Terra, nello stesso punto
dell’orizzonte locale era possibile veder sorgere vari astri, in differenti
epoche. Ciascuno
di questi astri avrebbe potuto essere stato l’obbiettivo primario
dell’allineamento che noi oggi abbiamo ricostruito e stiamo studiando.
Nel caso sia possibile dimostrare in maniera affidabile che un
determinato allineamento sia potuto corrispondere sull’orizzonte locale alla
posizione del sorgere o del tramonto del Sole o della Luna, non ci è dato di
sapere senza fonti scritte se la comunità che costruì la struttura megalitica
in oggetto considerasse o meno importante l’istante della tangenza del bordo
superiore del Sole con il profilo dell’orizzonte, oppure il momento di
bisezione del disco dell’astro oppure il contatto dell’orizzonte con il
bordo inferiore di esso. In
più esiste anche la possibilità che all’epoca durante la quale furono erette
le strutture megalitiche, l’orizzonte naturale apparente fosse coperto dalla
vegetazione formata da alberi di altezza mediamente differente da quella della
vegetazione presente attualmente. Questo
si traduce in un innalzamento o in un abbassamento artificiale dell’orizzonte
naturale apparente effettivamente utilizzato dagli antichi uomini per le loro
osservazioni rispetto a quello che gli archeoastronomi sono in grado di misurare
oggi. L’effetto
della forestazione è maggiore quanto minore è la distanza del profilo
dell’orizzonte dal sito dove si trovano fisicamente i monoliti che determinano
l’allineamento. Cambiando
l’altezza dell’orizzonte naturale locale apparente rispetto a quello
astronomico locale si rileva, nell’emisfero boreale, uno spostamento verso sud
del punto di levata e di quello di tramonto degli astri visti da un determinato
punto di osservazione. La
variazione dell’azimut del punto in corrispondenza del quale si vede sorgere
(o tramontare) l’astro rispetto a quello che lo caratterizza nel momento in
cui esso sorge all’orizzonte astronomico locale è funzione della differenza
tra le altezze apparenti dei due orizzonti, quello naturale e quello
astronomico, e della latitudine del luogo di osservazione.
Aumentando la differenza tra l’altezza apparente dei due orizzonti
locali aumenta anche la variazione di azimut di prima visibilità dell’astro.
Lo stesso succede salendo in latitudine dall’equatore verso il polo
nord per cui può accadere che la differente altezza dell’orizzonte naturale
locale introduca un errore nell’azimut di prima visibilità dei corpi celesti
che pu arrivare anche a parecchi gradi. Tutte
queste ambiguità possono comportare differenze di datazione anche di alcune
migliaia di anni, quindi è molto facile dimostrare che la datazione dei siti
archeologici mediante la metodologia astronomica è un problema molto mal posto,
la cui soluzione risulta essere quasi sempre indeterminata.
L’uso degli allineamenti che puntano in corrispondenza dei punti di
sorgere e di tramonto delle stelle invece che del Sole o della Luna sembrerebbe
capace di fornire prestazioni più accurate, ma in realtà la situazione non
migliora affatto in quanto a priori non ci è dato di conoscere quale fosse
effettivamente la stella scelta dai nostri lontani predecessori quando
l’allineamento venne disposto sul terreno. L’uso
di stelle diverse che sorgono con un azimut astronomico quasi simile implica
differenze di datazione molto forti. Ad
esempio nel 501 a.C. la stella Capella era caratterizzata da una declinazione
boreale pari a 38.9 gradi, ma nel 1350 a.C. la stessa declinazione era, per
effetto della precessione degli equinozi, quella della stella Arcturus. In
corrispondenza della stessa latitudine geografica, entrambe le stelle sorgevano
e tramontavano, in epoche differenti, con lo stesso azimut astronomico e quindi
nella stessa posizione all’orizzonte astronomico locale.
È chiaro quindi che se un allineamento puntasse verso un punto
sull’orizzonte astronomico locale corrispondente a quel particolare valore di
azimut, non sarebbe possibile discriminare tra Capella e Arcturus senza
conoscere in anticipo almeno una stima della collocazione cronologica delle
strutture presenti nel sito archeologico. Se
non ci è dato di sapere quale delle due stelle fosse stata ritenuta importante
dai costruttori dell’allineamento ci troveremmo
davanti ad un’incertezza di oltre 800 anni nella datazione dell’allineamento
eseguita c metodi puramente astronomici. Se
le stelle importanti sono esplicitamente note, allora la datazione si riduce ad
un problema (non banale) di ottimizzazione in condizioni di incertezza, ma
perfettamente risolvibile mediante l’applicazione di tecniche di calcolo
neuro-fuzzy (basate sulle reti neuronali artificiali e sulla logica fuzzy). Allo
stesso modo se gli allineamenti presenti nel sito son un numero consistente
allora, sempre utilizzando le reti neuronali artificiali è possibile
ottimizzare statisticamente la collocazione cronologica tale per cui l’accordo
tra le direzioni codificate nel sito archeologico e la posizione della levata o
del tramonto degli astri, all’orizzonte naturale locale sia la massima
possibile. Ovviamente
la soluzione non sarà unica e il processi di ottimizzazione generalmente
selezionerà più di una datazione possibile la quale sarà caratterizzata da un
determinato margine di incertezza. Ancora
meglio, più che una datazione definita, è meglio ottimizzare l’intervallo o
gli intervalli temporali in cui la collocazione cronologica vera potrebbe essere
compresa, con un determinato livello di probabilità.
Questi metodi matematico-statistici, basati sull’applicazione delle
reti neuronali artificiali, sono stati applicati sperimentalmente al caso di
Montecrestese utilizzando, per ora solo i dati misurati in una coppia di siti,
Castelluccio 1 e Croppole, in quanto solo in quei siti è stato per ora
possibile eseguire le misure di rilevamento archeoastronomico.
Questo metodo potrebbe aprire uno spiraglio di luce sul problema, finora
irrisolto, della collocazione cronologica delle strutture megalitiche presenti
in Valle Ossola. I
risultati ottenuti sono confortanti e mostrano una situazione molto complessa,
ma decisamente interessante e meritoria di successivi approfondimenti,
utilizzando i dati di tutte le strutture presenti nell’area ossolana. Prima
di tutto è stata eseguita l’ottimizzazione individuale della collocazione
cronologica dei due siti ottenendo due distinte soluzioni, una posta nell’età
del Rame e l’altra in quella del Ferro. I
risultati sono espressi dalla seguente tabella:
Sito
Età del Rame
Età del Ferro
Castelluccio 1
2314 a.C.
933 a.C.
Croppole
2487 a.C.
797 a.C. da
cui appare chiaramente che l’analisi fornisce risultati consistenti sia dal
punto di vista archeologico, ma anche da quello matematico-statistico.
I due siti sembrerebbero costruiti in epoche differenti, ma è una
illusione in quanto le differenze sono dovute alle incertezze insite nei dati e
soprattutto nel problema di ottimizzazione sul tappeto.
In seconda battuta è stata eseguita l’ottimizzazione globale
simultanea di entrambi i siti, ottenendo la valutazione complessiva della
collocazione loro cronologica ottenendo nuovamente due valutazioni distinte
nuovamente posizionate una nell’età del Rame e l’altra in quella del Ferro. I
risultati sono espressi dalla seguente tabella:
Età del Rame
Età del Ferro
2400 a.C. ± 62 anni
860 a.C. ± 52 anni L’analisi
statistica ha permesso di determinare l’intervallo in cui potrebbe essere
contenuta la collocazione cronologica nei due casi. I
risultati sono i seguenti:
Età del Rame: 2280
a.C. < epoca < 2521 a.C.
Età del Ferro: 760
a.C. < epoca < 962 a.C. con
un livello di probabilità pari al 95%. Questi
valori potrebbero rappresentare due possibili intervalli di datazione per le
strutture megalitiche di Montecrestese. I
risultati della presente ricerca hanno permesso di mettere in evidenza due
possibili collocazioni cronologiche per le strutture megalitiche poste entro
l’area di Montecrestese. Per
ora sono stati utilizzati solamente due siti, per cui i risultati vanno intesi
come preliminari, essendo opportuno e di fondamentale importanza la ripetizione
del processo di ottimizzazione su un insieme di misure derivanti dal rilevamento
archeoastronomico eseguito si tutte le 15 strutture che sono attualmente note
nell’area ossolana in studio. Il
metodo sembra funzionare bene e quindi le i risultati potenzialmente ottenibili
potrebbero gettare una luce sul problema, finora irrisolto, della collocazione
cronologica delle strutture megalitiche presenti in Valle Ossola. [1]
Le orientazioni equinoziali in epoca preistorica e protostorica
potrebbero essere più propriamente attribuiti alle direzioni di
sorgere e di tramontare delle stelle poste sulla Sfera Celeste in prossimità
dell’equatore celeste. (Autore:Adriano Gaspani)
Sezioni correlate in questo sito:
www.duepassinelmistero.com Avvertenze/Disclaimer Novembre 2011 |