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L’ARCANGELO OCCULTO

CREATURA DI FIAMMA SPLENDENTE 

                                        Alexandra Celia

Prologo

Fuoco eccelso sono le parole di Enoch, quando pronuncia il

santo volere dell’Altissimo, e il suo calamo imprime arcani

segni sull’avorio colore: “Poi disse l’Altissimo parlò, il Sacro

e il Grande e mandò Uriel dal figlio di Lamech, e gli disse:

vai da Noè e digli nel mio nome nasconditi e rivelagli che la

fine si sta avvicinando, che l’intera terra sarà distrutta, e un

diluvio sta per scendere su tutta la terra per distruggere

tutto ciò che vi è sopra”. – Libro delle Osservazioni 10,1 ‐

Egli controllò sulle porte d’Egitto che vi fosse il sangue

d’agnello, durante le piaghe, così ancora, è scritto, poiché

Uriel l’arcangelo detiene, inoltre, la chiave dell’Inferno

durante i tempi – oscuri – della fine. Lo stesso arcangelo

che condusse Abramo verso Ovest.

Narra la storia che troppo spesso uomini di valore e

pensiero furono accusati ingiustamente, eclissati come

esseri indesiderati, ma in egual modo accadde agli esseri di

luce, che ci si dimenticasse di loro, della loro bellezza, della

loro natura inafferrabile, e che tristemente fossero messi a

tacere, seppelliti in un remoto angolo del cosmo

dall’insindacabile verdetto di un sol giudice terreno!

Se, però, la redenzione divina può toccare mortali

creature, ancor di più può sfiorare le ali infinite di un

essere di fiamma, Uriel l’arcangelo dimenticato nel tempo

e nello spazio storico attende unicamente una sua

rinnovata teofania.

Clemente III, 174° pontefice della Chiesa cattolica, eletto

nel 1187 lancia un sinistro decreto, in breve tutte le

raffigurazioni dell’arcangelo Uriel dovranno essere

definitivamente cancellate da ogni chiesa, ogni visibile

rappresentazione di quest’angelo dovrà scomparire nel

buio. Perché un simile tristo decreto? Tutto ebbe principio

quando…

La fine di un nuovo principio.

Anno Domini 745, il pontefice Zaccaria indice ‐ con estrema

urgenza‐ un Sinodo diocesano nell’eterna città di Roma. Il

problema presenta una scottante natura d’indole morale

etica, ecclesiastica, l’arcivescovo Adalberto di Magdeburgo

dev’essere condannato e sospeso dal suo cristiano

incarico. Il motivo che proietta la mano del vicario di Cristo

a firmare il decreto di condanna è serissimo, gravissimo,

voci sostengono – fondate, o no ‐ che Adalberto

s’intrattenga e comanda figure angeliche per il suoi fini di

pratiche magiche. E, ancora, che egli abbia formulato una

preghiera che concretamente porrebbe al suo comando e

servizio, proprio, l’arcangelo Uriel. Lo stesso che nel

mosaico tempo guidò le azioni degli ebrei schiavi in Egitto,

esprimendo loro il volere dell’Altissimo. Secondo il Sinodo

si condannava quella preghiera di Adalberto che si

allontanava dai canoni della Chiesa del tempo, e che nel

contenuto esprimeva tangibili invocazioni a nomi di angeli

sospetti, Raguel, Tubuel, Sabaoc, Siniel. Lo stesso Uriel finì

tra i nomi indesiderati, nella rete di quelle entità private

della loro essenza luminosa, anche se inizialmente si

presentava una logica diatriba se fosse, o meno realmente

un’entità negativa. Il tutto fu sbrigato con una sonora

condanna promossa nei confronti dell’arcangelo

fiammeggiante Uriel, il quale subì l’esclusione, cadendo

definitivamente nell’oblio dell’universale oscurità. Al pari

di un astro che rapidamente appare nel cielo notturno, e

con ugual fulmineità scompare nel nulla più assoluto e

desolante, poiché avvenne che un giorno i molti lo

trovassero indesiderabile e poco amabile.

Negli atti del Sinodo, contro il vescovo mago si ribadiva

che nelle Sacre Scritture sono resi noti soltanto tre nomi di

angeli, Michele, Gabriele, Raffaele, questa sentenza così

lapidaria definiva per sempre in ambito di materia di fede

e culto, quello che un eone lontanissimo era considerato

uno tra i più bei angeli del Signore, come valide fonti

sostengono a riprova che tra le molteplici cose esistenti

alcune verità possono essere travisate negativamente e

tragicamente. E’ pur vero, tuttavia, che spesso il negativo

viene riabilitato sulla concezione di nuove ed inaspettate

scoperte, e riflessioni che navigano tra la dimensione/linea

della filosofia e della teologia, secondo una propensione

analitica governata dalla sacra scrittura antica.

Il libro apocrifo di Enoch XI, 9; XX,2; X 1‐2; esprime parole

di venerazione per un arcangelo di nome Uriel, indicato

come la luce di Dio, la fiamma di Dio. Uriel è, quindi, un

arcangelo di fuoco, poiché il suo nome nell’antica lingua

egizia suona come U‐Ra‐el indicante, appunto, non solo

una fiamma, una luce, la Luce di Dio, ma lo stesso Sole RA.

L’Antico testamento nel 1 Libro dei Re, fa riferimento a

questo angelo, il re Salomone lo stimerebbe come pura

presenza dell’Altissimo, di Colui che lo rappresenta sulla

terra. Questa è la storiografia di un angelo che tristi motivi

portarono al suo inabissarsi. Nell’antica letteratura le

citazioni di Uriel non mancano, anche se per alcuni

riferimenti si ricorre a testi non canonicamente

riconosciuti, come il libro di Enoch, e nell’antica cultura

ebraica non sono scarse le fonti di questo enigmatico

Arcangelo.

Ma, chi scrive, tuttavia non desidera ripercorrere i luoghi

letterari antichi biblici della cultura ebraica, cristiana e non

solo ‐ si potrà sviluppare questo in altra sede ‐ quanto

considerare il valore arcano, misterioso, nascosto di un

dipinto di un grande maestro del Rinascimento Leonardo

da Vinci, e la sua opera ‘La vergine delle rocce’ un soggetto

eseguito in due versioni, forse simultaneamente.

L’arco storico e cronologico che assiste lo svolgersi

temporale tra il 1483 e il 1486, o 1495-1508, contempla un

grande genio dell’umanità impegnato nella creazione e

realizzazione di due opere che sono avvolte – per un verso

– nel mistero, come in un affascinante racconto che le sue

radici creative estende fin nel mondo più recondito, in

ombra ed occulto dell’arte teosofica. Le opere di Leonardo

da Vinci sono tra quelle che maggiormente richiedono un

sacro e riverente silenzio meditativo, come non pensare e

riflettere sul famosissimo Cenacolo – in Santa Maria delle

Grazie a Milano, una tra le più espressive opere del

Maestro rinascimentale, quali i canonici del refettorio delle

Grazie richiesero e pretesero dal genio dell’arte. 

Foto Leonardo Cenacolo 1495-1498-Milano).jpg (376327 byte) Cenacolo, Leonardo da Vinci, 1495 -1508 

 

Ogni capolavoro di Leonardo è come una scintilla del divino

trasportata su tela, o come affresco, della sua anima, del

suo spirito che di tutto faceva esperienza fino all’estremo

del pensabile e dell’analizzabile. La pura visione, concreto

materializzare il soggetto d’arte, non appariva come cosa

sufficiente a Leonardo. A motivo di questo egli

sperimentava nuove, innovative tecniche pittoriche. In

quanto scienziato tendeva promuovere nuove idee che

andavano a completare quelle preesistenti. La pittura di

Leonardo è come un’apparizione che pur restando

immobile, ha un segreto movimento sotto le sue arcane

forme. Le prospettive, paesaggi in ombra esprimono il

tangibile pensiero del Maestro, della sua innata sensibilità

d’artista e di scienziato. Osservando i capolavori

leonardeschi, sovente si ha l’impressione che i dipinti

parlino un linguaggio semantico, le cui parole vanno

sfumando nel silenzio più assordante. Queste sensazioni,

tuttavia, sono unicamente una percezione delle nostre più

recondite intuizioni, spesso scarsamente preposte,

preparate ad una lettura oltre il colore, e le affascinanti

linee mosse dal pennello. E’ necessario elaborare una

‘visione’ oltre la visione, superando il consueto ‘vedere’, ed

‘osservare’ l’oggetto pittorico!

Si presentano vibrazioni del colore esprimente cose che si

protendono oltre la forma, il soggetto, le tonalità, le

prospettive definite canonicamente dalla medesima arte,

come dalla critica dell’arte. Poiché ogni lavoro di Leonardo

manifesta mille parole, infinite lettere di luce che vanno

all’unisono verso un unico vertice. Tutte tendono a

confluire nel punto di fuga, che è in vero il punto di fuoco

del pensiero artistico. Riflessioni profonde commuovono,

inaspettatamente, il pensiero sensibile di Leonardo dotato

di un intelletto vivace, intuitivo che va traducendo nelle

sue opere intercedono le forme ed i colori. Un caso

plausibile è nella raffigurazione di Cristo nel Cenacolo, in

cui le parole non si ascoltano realmente, si percepiscono

con il nostro segreto senso, come se effettivamente fosse

un ‘silenzio’ udibile con suoni ultraterreni. Sono presenti,

le parole, nell’intensità cromatica dei colori, nelle

sfumature che celano particolari di rilievo, tra quelle

pieghe sottili del manto di Cristo si nasconde l’imperante

espressione evangelica giovannea “Uno di voi mi tradirà…”.

 

Foto Il volto di Cristo part. del Cenacolo di L. da  V..jpg (467708 byte) Volto di Cristo, part.del Cenacolo

E’ il dramma presente in modo cosmologico, e

rappresentato nell’affresco nel gesto sicuro della mano

protesa verso il centro della mensa, e dei commensali

convenuti al banchetto conclusivo del suo essere ente

terreno. Il pane si è fatto/trasformato, transustanziato in

logos di vita eterna, nello sguardo assorto e lontano del

Maestro, il figlio dell’Altissimo, in un tacere che ha

l’eloquenza di mille panegirici. L’astro solare brilla

sottostante i colori e gli sfumati, tra ombre e luci che

Leonardo trasporta con maestria dalla tavolozza

imprigionandoli, poi, con movimenti meticolosi nei

segmenti che formano il suo dipinto, ma ogni tratto grida

altisonanti non definite verità, emergono dal chiaro‐scuro

delle linee le forme vitali nascoste. Dunque, si ascolterà un

dipinto di Leonardo non con l’udito, ma con la profondità

del nostro cuore, della nostra sensibilità intellettiva. La

natura avvolge l’uomo, ma nasce dall’uomo stesso, è parte

essenziale della vita umana, una concezione traducibile da

Leonardo mediante le strutture/architettoniche del colore

e delle forme geometriche applicate. Unitamente alla

saggezza della prospettiva che la luce cattura

imprigionandola nelle linee di fuga per rimanervi ed essere

rilasciata lentamente all’occhio del visitatore incantato,

rapito, ed estasiato dalle opere vinciane. Il tema uomo/natura

del Quattrocento si dirama ulteriormente con

Leonardo nel Cinquecento, sposando ulteriormente le

sorelle scienze della pittura, quali la filosofia, la teologia, la

matematica, e l’astronomia. L’enigmatica Monna Lisa

rivela questo mistero dell’uomo centro della Natura

rivelata, dell’inconoscibile, dell’inafferrabile universo, e

della vita che oltrepassa la morte per glorificarsi

nell’eterno divenire del Dio fattosi uomo. Se il pensiero

artistico di Leonardo è un enigmatico mistero traducibile

nell’espressione delle sue opere, un tema in particolare

attrae, per meglio delineare, definire questo arcano esserci

del mistero nel Mistero.

Mi riferisco al periodo creativo dell’artista tra il 1483 ed il

1486, in cui Leonardo realizza – tra le molteplici attività di

pittore e ricercatore – due opere singolari: “La Vergine

delle rocce”. Quest’opera è complessa, non facilmente

decodificabile con un moderno, ed attuale linguaggio.

Tutto necessita di trasformarsi e plasmarsi al tempo biblico

in cui l’azione coinvolge l’arcangelo Uriel, scelto da

Leonardo come presenza celeste tra la Vergine, il Battista

fanciullo ed il Cristo bambino. Si è fatto riferimento alla

particolarità di un soggetto realizzato in duplice versione,

con delle piccole, ma significative differenze. Un dipinto è

custodito nel Museo del Louvre a Parigi, il secondo nel

National Gallery di Londra.

 

Foto Leonardo Vergine delle rocce Londra 1495-1508-  Nat.Gal..jpg (253327 byte) Vergine delle Rocce, Londra, 1495-1508, Nat.Gal

 

Foto Leonardo Vergine rocce- LOuvre 1483-86..jpg (61806 byte) Vergine delle Rocce, Louvre,1483-86

Perché Leonardo desidera sviluppare due dipinti del

medesimo tema inserendo, però, in uno alcuni particolari

significativi? Elementi che si presentano in uno dei due

dipinti in modo sibillino, suscitando nell’osservatore quesiti

spontanei e naturali. Nella versione londinese i soggetti

hanno l’aureola, Uriel non indica con l’indice, non osserva

colui che presumibilmente è l’osservatore.

Il cuore dell’opera in questione ‐- nelle due versioni – è

traducibile dalla presenza della Santa Vergine che appare

assorta in una personale riflessione, qualcosa

d’introspettivo e che sfugge ad una ipotetica traduzione

semplicistica. I quattro soggetti in primo piano sono i

conduttori tra corpo ed anima. L’unione armonica perfetta

tra il bello ed il buono, nel senso della sublimazione

spirituale e mistica. Uriel così inserito da Leonardo nel

dipinto, quasi fosse l’angolo di un triangolo, calamita

l’osservatore, poiché questo l’osserva dal dipinto stesso –

nella versione presente al Louvre ‐ indicando

contemporaneamente con l’indice della mano un punto

estremo rispetto alla sua figura. Indica il piccolo Battista?

Un elemento nascosto nella tela dal pittore? Intende

rammentare con il Battista – che secondo le scritture vivrà

eremita nel deserto cibandosi di locuste, e vestendo pelli

fino al momento in cui rivelerà la Natura divina di Cristo

enunciandolo al mondo con il battesimo nel fiume

Giordano. La stessa croce che nella versione londinese

Leonardo inserisce come sacro elemento al piccolo

Battista, indica quel passo evangelico che enuncia: “Prendi

la tua croce e rinnega te stesso” (Mt. 16,24) – che un

tempo lui fu l’arcangelo del deserto per gli ebrei erranti,

che portò il volere dell’Altissimo per aiutare gli schiavi

d’Israele in Egitto. Uriel così disposto nel dipinto non è il

punto di fuga del quadro, ma egualmente rapisce lo

spettatore in un dubitativo contemplare quell’infinito

segno insito nello sguardo narrante dell’arcangelo che,

osservando colui che l’osserva, indica egli stesso

contestualmente, in un punto di un ipotetico orizzonte

immaginario. Il Battista fanciullo? Qualche cosa di ben

diverso, indefinibile, inafferrabile? Sempre nella versione

di Parigi l’arcangelo appare con le ali occultate dal manto,

e complessivamente i cromatismi di tutto il dipinto

consentono di ammirare un’eloquenza ed una maggiore

intensità. Il paesaggio è forte, ruvido, quasi dantesco,

primievo, un richiamo proprio al libro del Genesi? Un

mistero ulteriore da svelare, comprendere, investigare?

Quale codice ha volutamente inserito Leonardo nel

quadro? Il segno ed il simbolo diventano essenze di

comprensione per l’intelletto umano, il primo non può

separarsi dal secondo al fine di estrapolare la vera natura

dell’espressione artistica e pittorica. Segno e simbolo sono

chiarissimi linguaggi per l’anima valutante e per il cuore

umano sede dei sentimenti più nobili, sede della bellezza

percepita, degli affetti più sublimi, apertura all’ascesi e

mistica.

Volutamente Leonardo in questo contesto pittorico

enuclea – sempre in quel di Parigi - la simbologia del sacro

– specifico del cristianesimo - quale le aureole e la croce

del Battista, forse a ragione di una interpretazione più

soggettiva in materia di fede e teologia. E’ specifico di colui

che osserva di leggere intuitivamente quanto il dipinto cela

e rivela, forse che colui che contempla debba eseguire un

lavoro interiore d’ermeneutica e di esegesi del testo

pittorico, aprendo, così, il proprio io spirituale alla fusione

con il segno pittorico.

Perché Leonardo inserisce proprio l’arcangelo Uriel,

pensando al famoso sinodo di Roma e a Clemente III che

espresse la dura volontà di vedere cancellato per sempre

questo speciale angelo? Quale è in verità il messaggio che

l’artista vuol esprimere scegliendo Uriel? Una possibile

risposta potrebbe esserci suggerita da un grande Padre

antico. Riguardo alle categorie o specie di angeli, Origene -

185/254 - ammette la differenza di una categoria dall’altra,

ma, non si tratta di una differenza sostanziale e definitiva,

poiché si può passare da una specie all’altra grazie all’uso

del libero arbitrio e ai meriti o demeriti acquisiti. Nella

medesima prospettiva Origene considera i diversi e

molteplici uffici. Ogni gerarchia è ordinata a svolgere

funzioni varie e gloriose. Ogni angelo ha una mansione

diversa dall’altro in forza dei propri meriti, dello zelo e

delle virtù manifeste prima della organizzazione del

mondo. Origene afferma che “nell’ordine degli arcangeli è

stato attribuito a ciascuno questo o quel genere di ufficio,

altri hanno meritato di essere iscritti nell’ordine degli

angeli e di agire sotto l’autorità di questo o

quell’arcangelo, di questo o quel capo o principe del suo

ordine”. Agli angeli è stato concesso di ordinare e

governare l’universo. Lo sfondo su cui Leonardo ha inserito

la scena madre ha per tema la natura nel suo aspetto più

duro, la roccia viva e primordiale, che richiama al principio

del mondo, della creazione, quando tutto si stava

compiendo, ma nel contempo la roccia/pietra di scarto

sulla quale viene edificata la nuova Chiesa. Un particolare

cattura l’attenzione, ad un certo punto sulla linea

dell’orizzonte Leonardo racchiude un dolmen come in un

cerchio, e oltrepassando il nero megalite s’intravede la

luce solare, ed un nitido cielo, e la stessa aria percepita

crea la dimensionalità del dipinto stesso. Questo

particolare sembra rievocare il mistero di Stonehenge, ed il

culto solare del solstizio d’Estate?

Sinotticamente le due versioni della medesima opera,

mantengono la centralità del soggetto nella Santa Vergine,

la quale appare assorta in un mistico silenzio, un ascetico

pensiero travisabile nei tratti del volto delicati e giovanili,

ma impenetrabili. La sua mano tesa in avanti come per

afferrare, o difendere il piccolo Gesù, con un movimento

più ferreo, rigido – una sottile, quasi impercettibile

differenza da quello londinese – nel quadro di Parigi. Forse

la Vergine esprime uno stato interiore della sua anima,

travisando per Gesù un doloroso futuro di morte, quasi

ch’ella lo volesse strappare al nefasto futuro destino, ma

tutto deve compiersi secondo le scritture, il già non ancora

è di fatto presente e reale nei sacri soggetti, e, le stesse

dure rocce dello sfondo sono un rammentare il calvario, il

Monte Calvo sul quale svetterà la croce di morte di Cristo.

Tutta la natura così rappresentata da Leonardo ha in se

stessa infinite letture, molte simbologie racchiude, e con

queste gli insoluti misteri della vita e della morte. La

Vergine è essa stessa espressione della vera humilis

medievale, quella in cui non è se non il concetto più

elevato e profondo della virtù umana, quale questo oscuro

periodo interpreta ed elargisce nei suoi contesti canonici

cristiani, e non solo. Quindi nella Vergine delle rocce, si

può intravedere, oltre il dipinto, un aspetto misteriosofico

che aleggia oltrepassando il visibile artistico. Dunque,

analizzando il dipinto in questione si ha la netta sensazione

di assistere a più scene simultaneamente, la cristiana,

biblica, quella templare misterica, e di un’arcana

letteratura che contempla l’invisibile nel visibile percepito.

Questa lettura, ancora, conduce di fatto a pensare per vie

artistiche come ascetiche e mistiche, quale quella di un

Pseudo-Dionigi, o di un San Giovanni della Croce con la sua

Notte oscura. San Giovanni della Croce si riferisce

contestualmente allo Pseudo-Dionigi, in particolare a

proposito del rayo de tenebla, assimilato nella ‘notte

oscura’ (II,5) alla contemplazione infusa dell’anima non

ancora illuminata e purificata, siamo dinanzi ad una

contemplazione nebulosa, secondo l’ispirata definizione di

Jean-Pierre Camus, o di caligine per ricalcare lo Pseudo-

Dionigi. La ‘notte oscura’ dell’anima di San Giovanni della

Croce. Una tal via mistica di ascesi verso la perfezione è

una continua ricerca della sublimante realtà, è quanto

Leonardo stesso rende manifesto attraverso l’espressione

delle sue opere. Intuisco l’anima oscura come le tenebre

della notte che avvolgono il genio Leonardo. La Vergine

delle rocce, anticipa di pochi anni il lavoro del Cenacolo per

il refettorio delle Grazie. Penso, osservando attentamente

quest’ultima opera vinciana che alcuni particolari

s’estendono dal precedente tema fin’ora considerato. Ma

vedremo questo a breve.

L’opera in questione si è enunciato vede la luce nel periodo

tra il 1483-86, alcuni opterebbero una data tra il 1495 e

1508 per il londinese. Chi scrive è convinta che le due

opere trovano la loro genesi sincronicamente, per

committenti diversi, o semplicemente per il fatto che uno

rispecchia la sintesi arcana dell’anima di Leonardo, proprio

quello di Parigi, in cui Uriel l’arcangelo osserva ed indica un

mistero, la cui natura non è stata completamente

investigata, dove i colori più accesi sembrano rievocare il

fuoco d’amore che sprigiona dalla natura leonardesca. Il

fatto certo storiograficamente è che La Vergine delle rocce

procede di poco il lavoro del Cenacolo 1495-1498. Ad una

sottile analisi, e acuto osservare, sembra quasi che il volto

di Gesù del Cenacolo ricalchi quello della Santa Vergine, nei

tratti somatici, nei delicati lineamenti. Una comparazione

che chiama in causa ulteriormente la natura e l’alone di

mistero che ha avvolto tutta la vita del grande genio

vinciano, anche questa tesi confermerebbe la necessità di

indagare in profondità.

Ma riprendiamo il soggetto primario l’arcangelo Uriel

voluto dal Vinci a dispetto dei precetti dettati dalla Chiesa,

e che presumibilmente dice, narra più di quanto si possa

immaginare, pensare, sostenere, forse Uriel rievoca

l’antica, ancestrale sapienza che affonda le sue radici nei

miti orientali antichi, nelle civiltà sumerica e babilonese. La

questione più eloquente dovrebbe sentenziare chi è

l’arcangelo Uriel tratteggiato artisticamente da Leonardo?

L’arcangelo del Libro di Enoch, della cultura antica ebraica,

della Kabbalah? Difficile a priori, stabilire questi enigmatici

punti, risalire alla vera intuitività artistica voluta da

Leonardo. Simbolicamente la presenza di Uriel conferma e

rafforza quanto detto fin ora. La simbologia dionisiaca

degli angeli luminosi – fiamma, fuoco, luce, ambra – le

dimore divine dell’ambito della Luce.

Una lettura simbolica ed esoterica di Leonardo.

Enunciavo di alcune rilevanze simboliche presenti in alcune

opere di Leonardo che necessitano di una lettura sinottica.

Osservando la mano del Cristo nel Cenacolo, protesa in

avanti verso il centro della mensa, rievoca quella della

Vergine delle rocce. La mano del Cristo è la destra, della

Vergine la sinistra, entrambe aperte in atto di afferrare,

prendere qualcosa, o fermare, arrestare un evento

spazio/temporale, un mistero che inesorabilmente

incombe e che è presagito dal cuore intellettivo sia di

Cristo, che della Vergine. Vi leggerei gli elementi maschili e

femminili voluti da Leonardo, inseriti secondo un iter

sapienziale alchemico che segue la via destra e sinistra dei

grandi esoteristi, il grande come il piccolo veicolo dei

buddhisti. I processi di purificazione per gradi ascensionali

in ambito spirituale, come alchemico ed esoterico.

Vediamo degli elementi presenti in alcune opere del Vinci

che indurrebbero ad una riflessione estesa in altre sfere

del sapere e della conoscenza, che non una consueta

analisi del testo pittorico ascritta alle canoniche vie

dell’arte.

Nel Cenacolo l’indice dell’Apostolo Tommaso è rivolto

verso l’alto, indicando un punto dello spazio che non ci è

dato vedere e conoscere. Solitamente l’interpretazione di

questo gesto pittorico segue il processo canonico della

critica dell’arte, e di quella dei testi evangelici: “Se non

metto il dito nel costato di Gesù….” (Gv 20,24-29). Ma è

proprio questo che Leonardo intende affermare?

Se confrontiamo la Vergine delle rocce, Uriel è indicante

con l’indice un punto dello spazio che si allontana dall’idea

comune, ad una prima osservazione sembrerebbe indicare

il piccolo Battista, ma lo sguardo enigmatico dell’angelo

farebbe propendere per altra valutazione. Analizziamo altri

scenari pittori di Leonardo, nel dipinto del San Giovanni

Battista del 1508-13, il soggetto ha l’indice rivolto verso

l’alto come quello di Tommaso del Cenacolo. Cosa vorrà

indicare questo particolare elemento, unicamente il tratto

biblico? Penserei a ben altro di misterioso e da

decodificare. Ancora, prendiamo il Bacco un dipinto del

1510-15, il soggetto ha l’indice indicante un punto dello

spazio che non rientra nell’ottica visiva dell’osservatore.

 

Foto Leonardo Bacco Louvre 1510-1515-.jpg (118445 byte) Bacco, Louvre, 1510-15

Inoltre se ammiriamo il volto di Uriel nella Vergine delle

rocce, con quello del San Giovanni Battista e di Bacco, si

noterà una straordinaria somiglianza, luoghi paralleli che

m’inducono ad una riflessione che trascende la realtà: il

soggetto è sempre Uriel l’arcangelo che emerge dal

sapiente pennello di Leonardo, nonché dal suo vibrante

spirito.

Foto S. G. Battista Louvre, 1508-13 vinci.jpg (209839 byte) San Giovanni Battista,Louvre, 1508-1513

Dunque, sarebbe da supporre che Leonardo e l’arcangelo

Uriel hanno affinità elettiva, uno stretto rapporto

trascendentale, e ricolmo d’enigmi. La vita di Leonardo,

forse, ha esperimentato in questo angelo il suo spirito

guida, l’essenza ispiratrice di tutto il suo genio artistico,

l’essenza della gloriosa Luce divina!

Se desideriamo andare oltre con l’esegesi dei dipinti in

questione, l’ermeneutica di uno nei riguardi dell’altro

testo, conducono a comprensioni più profonde ed elevate.

Il dito di Tommaso l’incredulo, rapportato all’indice

dell’angelo Uriel, del Battista, come di Bacco fanno stilare

dall’animo la sensazione che Leonardo volutamente

desideri unire le cose terrene con quelle celesti e divine.

Esprimere il divino dell’arcangelo con il terreno e materiale

di Tommaso, cioè dell’uomo in quanto creatura limitata e

debole. L’indice di Uriel, però, è rivolto in senso

orizzontale, mentre in Tommaso, nel Battista, in Bacco

sono rivolti verso il cielo. Perché? Come tradurre le varie

tipologie pittoriche? Presumibilmente, tutto questo

indurrebbe ad un pensiero teologico, filosofico, ma anche

esoterico e soteriologico, di fascino e mistero. Il divino

disceso mediante l’angelo, si unisce al terreno Tommaso

l’uomo del Cenacolo, il quale tenta la sua ascesa celeste,

ma, la salita è irta di aspre rocce, come quelle presenti

nella Vergine delle rocce, e nello sfondo del Cenacolo.

Inoltre rivelerebbero quell’arcano per cui, l’uomo è entrato

per il piano salvifico di Dio nel Misterium per eccellenza

quello angelico, e delle creature di Luce che Uriel

rappresenta sulla terra, evidenziato da Leonardo nello

sguardo enigmatico e ultraterreno dell’arcangelo. L’uomo

può ascendere al cielo per mezzo della fede e delle opere

di carità si, ma anche attraverso le varie ‘porte’ della

conoscenza esoterica ed alchemica che deve essere in

grado di aprire e comprendere, togliendo il velo

dell’incertezza, dell’ignoranza che ricopre le cose occulte,

al momento non conoscibili, quasi invisibili. Secondo la mia

tesi il Cenacolo dipenderebbe dal dipinto La Vergine delle

rocce, per un fattore che desta perplessità, osservando il

volto di Cristo con quello della Vergine si ravvisano

possibili somiglianze nei lineamenti e nella modalità

riflessiva con cui i due soggetti sono disposti nelle

rispettive opere. Collegamenti possibili, ma sapientemente

occultati si troverebbero fra queste due insigni opere che

richiamano al sentimento sovraelevato dell’anima che la

perfezione ricerca attraverso i percorsi della catarsi, cioè

della purificazione e trasmutazione. Da vile metallo all’oro

splendente, da uomo creatura caduta, ad angelo essenza

di puro spirito, ente di fuoco. Da Tommaso del Cenacolo ad

Uriel della Vergine delle rocce, del San Giovanni Battista,

del Bacco si troverebbe una linea continua del medesimo

racconto di Leonardo, tutto incentrato nella ricerca del

sublime, del vero, del bello, ma di un parallelo mondo, le

cui porte di accesso sono relegate all’interno delle

strutture dei dipinti considerati. Tasselli che devono essere

cercati, scoperti, rivelati nelle loro intime nature misteriose

ed incomprensibili ai profani.

Il linguaggio di Leonardo offre motivi letterari esoterici,

come essoterici, di modo che le sue opere sono creazioni

dalla duplice valenza, per i molti, e per i soli eletti che

osservano le cose nascoste, ma rivelate ai ‘piccoli’! Le

creazioni vinciane sono eterni custodi di celati enigmi,

come enigmatica è la vita medesima del grande genio.

Nel dipinto del Bacco, per esempio, si nota poco distante il

soggetto immerso in una bucolica natura, un bel cervo

disteso sull’erba dalle lunghe corna, rappresenta lo zolfo

alchemico ed incarna l’anima. Il vivo ardore dell’anima –

sentenziava il grande padre orientale Giovanni Cassiano

nelle sue Conferenze – è paragonabile al bellissimo cervo –

metafisicamente è il cervo spirituale – che pascola sulle

montagne dei Profeti e degli Apostoli, saziandosi dei loro

più sublimi ed arcani ammaestramenti. Il cibo sublimato è

la sostanza eterea dei Salmi, e delle preghiere che

immettono l’anima sull’ascendibile via della compunzione,

fino alla redenzione assoluta e contemplativa della mistica

Luce di Dio. E, dunque, l’anima è finalmente come

trasfigurata nell’aurea smeraldo della trascendente

bellezza divina salificante, pulchrum et verum, il bello ed il

vero risplenderanno nel cosmo!

Il soggetto – Bacco - è una figura mitologica romana che

trova corrispondenza nella cultura greca con il dio Dioniso.

Rappresentante dell’energia naturale per effetto del calore

e della umidità, cosa che consente il progresso vitale delle

piante. Divinità benefica che dona agiatezza, cultura,

ordine sociale. Figlio di Zeus, che nei Canti Orfici,

nell’elenco dei sovrani degli dèi, Dioniso è il sesto, l’ultimo

re degli dèi. Investito da Zeus, il padre lo pone sul trono

regale e gli da lo scettro e lo fa re di tutti gli dèi. Sempre

nei Canti Orfici, Dioniso è fatto a pezzi dai Titani e

ricomposto da Apollo. Nel Bacco di Leonardo, il bastone

sottile che stringe a modo di scettro è il richiamo espresso

alla regalità di Dioniso, pastore e re della natura

incontaminata, lo stesso che è presente nel San Giovanni

Battista.

La via esoterica ed ultraterrena.

La via esoterica ed ultraterrena per Leonardo passa

attraverso la Luce angelica, e la inarrestabile Cerca della

somma verità. Uriel in quanto essere, creatura di Luce, di

fuoco potrebbe essere il mediatore di questa Cerca senza

fine, rivalutato, riabilitato da Leonardo come la creatura

angelica che salva ed aiuta la creatura terrena e miserabile

l’uomo. Miserabile, perché a motivo della caduta, del

peccato deve sottostare alle leggi cosmiche, incluso il male

che lo fa soccombere. Leonardo, come del resto l’umanità

errante, tenta le possibili vie della redenzione, della

trasmutazione, della trasmigrazione dallo stato di peccato,

debolezza, materia, a quello superiore di bellezza, purezza,

immortalità. Ogni pensiero ed azione soggettiva dell’uomo

si trova a dover fronteggiare i molteplici quesiti del dubbio,

che si contrappone alla verità. Poiché a nessuno è dato

conoscere, o sapere tutto quello che è, nella sostanza,

presente oltre l’orizzonte terreno, superate le linee che

portano ai cieli. Forse, semplicemente Leonardo ha

desiderato rivalutare un arcangelo che per gli insondabili

misteri dell’esistenza umana, subì l’onta della condanna

senza colpa. Un giorno, lontano nel tempo qualcuno, i

molti parleranno di un Arcangelo particolare, un essere di

fiamma dal nome luminoso di Uriel. Quel giorno, in quel

tempo futuro, l’uomo avrà riscoperto il suono, il linguaggio

angelico e la sublime presenza di tutti gli angeli guidati

dallo stesso reietto arcangelo Uriel!

Autrice:Alexandra Celia

 

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