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La basilica di San Pietro al Monte a Civate (Lc)

                                                                                              (di Alessandra Facchinetti)

In Civate si registra un insediamento monastico alto-medievale, articolato - se non all’origine, almeno dall’XI secolo - in due nuclei distinti: l'uno individuabile in S. Calogero al piano (1), presso l’attuale nucleo abitato, e l’altro nella basilica di S. Pietro al Monte, ubicata a mezza costa dell'allora monte Pedale (oggi Cornizzolo), il primo monastero benedettino sorto nell'area lecchese, documentato dalla metà del IX secolo d.C. (2), la cui primogenitura risulta essere avallata anche dagli scavi archeologici.

                                     
Fig. 1  Al termine della mulattiera che dalla località Pozzo si snoda lungo il versante orientale del Cornizzolo, si giunge ad un pianoro immerso in un contesto di grande suggestione, dove sorge il complesso costituito dai due edifici, posti frontalmente, costituiti dalla basilica e dall'annesso oratorio di San Benedetto

Ad introdurci alla scoperta della basilica di S. Pietro al Monte è la leggenda di Adalgiso, figlio del re Desiderio (l'ultimo re longobardo), che riacquistò la vista per una grazia ricevuta in seguito allo scioglimento di un voto (3).

  “…il re stesso, per la verità, vedendosi privato della luce, cominciò a promettere grosse ricompense e ad elevare grandi promesse, se il Signore avesse fatto tornare su di lui la luce degli occhi: avrebbe innalzato una basilica più ampia al beato Pietro apostolo, l’avrebbe abbellita con molte decorazioni e vi avrebbe portato delle reliquie dello stesso santo e lì sarebbero state conservate con grande venerazione...”

(Chronica Mediolanensis (a. 606 – 1145)).

Fig. 2  Nel VIII secolo, quasi allo scadere del dominio longobardo, sorge il primo edificio di San Pietro al Monte affidato alla cura di pochi monaci. Il monastero montano, oltre a collocarsi su una linea di confine segnato naturalmente dalle montagne verso la zona centrale del Lario, guardava certo con preoccupazione al periodo che stava vivendo, caratterizzato da molta insicurezza e precarietà. Ecco perché la sua struttura architettonica assumeva allora più l’aspetto tetragono di un castello militare che di una armoniosa abbazia. Infatti, la sua posizione e funzione era di monastero-fortezza. i monaci benedettini non potevano sottrarsi alla necessità di agire anche militarmente in certe occasioni difficili

E' dunque una leggenda, un'ipotesi ad oggi non supportata da dati documentari certi, ad avvalorare l'ipotesi di una fondazione longobarda del monastero di San Pietro al Monte, da parte di re Desiderio, a cui donò le preziose reliquie di provenienza romana che fecero della basilica, per secoli, meta di pellegrinaggio per i fedeli (4).

Si racconta che Paolo Diacono, lo storico dei longobardi, abbia sostato per un periodo presso San Pietro e lì abbia scritto parte del suo commento alla regola benedettina, il che non fa che accrescere ulteriormente il fascino di tale luogo.

Al di là delle varie ipotesi circa una fondazione longobarda di S. Pietro al Monte, è noto quanto il monastero fosse divenuto, verso la metà del IX secolo, fulcro importante della storia imperiale e monastica, con l'avvento di Lotario (imperatore carolingio, nipote di Carlo Magno) e degli abati franchi, Leodegario ed Ildemaro, che egli condusse con sé nella sua fuga in Italia, costretto a risiedere nei suoi possedimenti imperiali - tra cui, appunto, San Pietro al Monte (5) - nel periodo di trattativa con l'arcivescovo di Milano Angilberto.

Quest'ultimo esercitava un controllo religioso-amministrativo in un periodo in cui, nei dintorni, si andavano rafforzando le pievi: in tale congiuntura storica, l'abbazia mantenne fieramente la sua alleanza con l'impero, costituendo un baluardo economico, politico e militare fastidioso per il progressivo insorgere dell'insofferenza comunale.

Un'alleanza, questa, che in seguito costituirà la causa non solo della distruzione delle parti abitative del monastero, ma addirittura la fine dello stesso.

Leodegario e Ildemaro (“Magister Hildemarus”), gli abati che Lotario porta con sè durante la sua fuga in Italia, vengono incaricati dal grande Angilberto (841), di attendere nientemeno che al riordino della Regola di San Benedetto, un'opera di tale importanza che sarà diffusa in tutti i monasteri benedettini d'Europa, e senza dubbio una delle prime grandi opere dello scriptorium del monastero civatese.

Privato, in seguito ad un trattato, di innumerevoli ricchezze culturali e religiose, Lotario, nel tentativo di riorganizzare sull’ex territorio longobardo ciò che già i suoi predecessori avevano fatto nei territori franchi e germanici, stimola un processo esaltante di costruzione, rielaborazione ed arricchimento culturale che coinvolge non solo edifici già importanti come Sant’Ambrogio in Milano, con la realizzazione dell’altare, ma anche la ricostruzione dei monasteri-fortezza ai confini delle Alpi come San Pietro al Monte (6), rifugio, per le comunità monacali, dalla forza devastatrice delle invasioni barbariche ancora in atto, quindi feconda fucina di scambio culturale ed artistico.

Il suo insieme doveva costituire una fortezza compatta, impenetrabile, in grado di resistere per qualche tempo ad eventuali attacchi esterni. Tale doveva essere l'idea costruttiva originaria dei tempi longobardi e tale deve essere stata la sua funzione anche nei secoli successivi, fino alla sua demolizione nel 1176, avvenuta proprio per l'uso militare che se ne poteva ancora fare e che se ne era fatto a sostegno delle armate del Barbarossa.

Fig. 3  Sulle pareti laterali della basilica sono rimaste solo esigue tracce degli affreschi appartenenti al progetto decorativo medievale. In particolare sul lato settentrionale, a seguito dello strappo di un affresco quattrocentesco, sono state rinvenute nel 1975 delle tracce della decorazione originale

Con le preziose reliquie delle origini, le bolle ed i riconoscimenti papali, S. Pietro al Monte   diviene quindi addirittura basilica, apportando un conseguente, incontestabile bagaglio di ricchezza artistica e culturale a Civate. Il momento più fulgido dell'abbazia si avrà intorno al 1097 circa (7), epoca in cui terminano l'edificazione, accanto al monastero, dell'oratorio di S. Benedetto, nonché le decorazioni plastiche e pittoriche in San Pietro al Monte.

Dunque oggi la basilica, come testimoniano gli scavi (8), si presenta come la ricostruzione (nelle forme romaniche risalenti alla seconda metà del secolo XI) di un precedente edificio di epoca tardo-antica (IX secolo), di cui rimane un ampio vano sotterraneo, compromesso durante la realizzazione della chiesa romanica.

Questa sorta di cripta si trova al di sotto dell’attuale parte centrale della navata e la sua funzione sembra fosse legata al culto delle reliquie.

                          
                                                               Fig. 4 L'oratorio di S. Benedetto e la basilica di S. Pietro al Monte

La soluzione architettonica e strutturale adottata nel XI secolo con la ricostruzione, sopra l'originario edificio, del corpo centrale, ovvero la realizzazione dell'unica navata – una semplice aula di struttura romana con tetto a capriate scoperte – nonché delle due absidi contrapposte e soprattutto della cripta ad oriente, la quale funge anche da sostegno alla sovrastante navata unica, sembra riprodurre idealmente rovesciata nell'orientamento la disposizione precedente altomedioevale.

 

Fig. 5 Pianta della basilica di S. Pietro al Monte

Sia nell'altomedioevo che nella seconda metà dell'XI secolo, fu così attuata una soluzione tecnica destinata ad ovviare all'inconveniente del forte pendio del monte, con lo sfruttamento a scopo liturgico della situazione venutasi a creare regolando la venerazione di reliquie con un flusso di pellegrini convogliato nella cripta sottostante l'abside, secondo canoni che si andavano fissando e diffondendo proprio nel periodo durante il quale dovette sorgere il primo santuario, le cui lontane origini sono documentate dal Liber Pontificalis Romano per la venerazione della tomba del martire Lorenzo in età costantiniana.

Il muro nord della chiesa attuale che poggia direttamente su quello della cripta e che presenta diverse fasi anteriori al monumento del XI secolo, ci sembra confermare tale ipotesi.

Non va dunque trascurata in proposito la continuità di culto attestata dalle fonti e la presenza di un monastero piuttosto attivo sin dall'alto medioevo.

Tale riscoperta (…) non sembrerebbe dunque escludere per ora la tesi del radicamento dell'insediamento monastico più antico di Civate sul sito di S. Pietro al monte”.

(Da: Estratto del convegno “Età romanica – Metropoli, Contado, Ordini monastici nell'attuale provincia di Lecco (XI-XII secolo”. 7 giugno 2003)

  Per quanto concerne le due absidi, esse sembrano suggerire l'ipotesi di una fondazione riconducibile ad origini carolingie e ottoniane (9).

Ipotesi che trova un valido supporto se si tiene conto che Civate era, idealmente, legata ai territori d’oltralpe - che costituivano la culla dell’architettura carolingia e ottoniana - grazie alla antica strada romana proveniente da Bergamo (10), allacciata al tracciato stradale diretto verso i passi alpini lungo le rive del lago di Como (11) e di cui è stata fornita un'ampia trattazione qui.

Fig. 6 L'abside occidentale della basilica. Noi oggi osserviamo i conci di pietra nudi, che costituiscono le pareti dell'edificio. In realtà, tutto l'edificio era esternamente intonacato, ed il colore bianco lo rendeva più solenne. Tracce di intonaco si possono ancora vedere sugli archi del pronao, ma soprattutto rimane completamente intonacata l'abside d'ingresso ritmata da lesene poste tra due archetti pensili

E' Chiara Pirovano nel suo saggio ad illustrarci - attraverso lo studio di Paolo Piva (Paolo Piva, op. cit.), "la lettura iconografica della decorazione e della struttura architettonica legando le immagini e al contesto spaziale e liturgico, al fine di restituire alla basilica il suo ruolo di santuario e non solo di edificio monastico, offrendoci, tra l’altro, lo spunto per due percorsi di visita: uno legato alla visione dei pellegrini, il secondo legato al punto di vista del clero".  (Chiara Pirovano, op. cit.)  

                                 
Fig.7  Mentre l'abside occidentale è di forma usuale, quella orientale è articolata all'interno in due absidiole minori e in una sorta di corridoio centrale che funge da accesso e presenta una porta al centro dell'abside stessa; questa struttura tripartita si conclude verso l'interno della chiesa con tre arcate su colonne

Per molti secoli la presenza delle sacre reliquie, che la tradizione vuole fossero state donate dal re longobardo Desiderio (e che erano per certo custodite nell’altare della chiesa, all’interno di un incavo arcuato  - la cosidetta confessio - esposto verso la navata liturgica) fece della basilica di San Pietro una meta di pellegrinaggio per i fedeli, che attraverso la fruizione dell'intero apparato decorativo della basilica di San Pietro, venivano introdotti ad un insegnamento catechetico sul mistero della salvezza.  

 

Fig. 8 Pianta dell'oratorio di San Benedetto

I pellegrini, ascesi al monte Pedale dal nucleo civatese, accedevano alla basilica dal portale est. Dapprima sostavano brevemente nell’oratorio di San Benedetto (inizialmente titolato a San Giovanni Battista), che sorge ai piedi della scalinata di accesso alla basilica di San Pietro.

 

Fig. 9  L'oratorio di San Benedetto (un edificio a pianta quadrata con tre absidi semicircolari con la tipica decorazione ad archetti e un vano rettangolare di ingresso) veniva probabilmente utilizzato come luogo di preghiera e raccoglimento, ipotesi avvalorata dal tema decorativo realizzato sull'altare in muratura affrescato su tre lati

Dopo aver sostato nell'oratorio di San Benedetto, superato lo scalone, entravano nell’atrio del portale e lì venivano accolti da Cristo, raffigurato insieme agli apostoli Pietro e Paolo, nella Traditio legis et clavis.

"La presenza dei principi degli apostoli all’ingresso ricordava al pellegrino che, per l’ottenimento della salvezza, la mediazione della chiesa apostolica romana era indispensabile". (Chiara Pirovano, op. cit)

Fig. 10  La scalinata di accesso all'edificio conduce direttamente davanti all'ingresso principale dove è possibile osservare, nella lunetta del portale, la raffigurazione affrescata della Traditio Legis et Clavis: Cristo in gloria consegna le chiavi a San Pietro e il libro della Parola a San Paolo, entrambi gli Apostoli in atto di ricevere i simboli hanno le mani velate.

In questo affresco Cristo non è raffigurato per intero, è come se il suo corpo continuasse nella porta di ingresso: il pellegrino, varcando questa porta, entra a far parte del suo corpo che è la Chiesa. E' possibile leggere la scritta sul lato inferiore dell'affresco che annuncia che la chiesa era dedicata a San Pietro e a San Paolo. 

Fig. 11 Varcata la soglia di ingresso si nota come l'abside orientale sia suddivisa all'interno in tre ambienti: un piccolo corridoio centrale affiancato da due absidiole, che introduce alla navata unica con tetto a capriate, ormai spoglia degli affreschi romanici

  "Oltrepassato il portone a due battenti, il fedele, in una sorta di nartece, si trovava circondato dalle immagini che conferivano allo spazio liturgico un ruolo preciso e indicavano figurativamente l’accoglienza del pellegrino penitente che ambisce alla futura redenzione: ecco dunque due pontefici romani, Marcello I e Gregorio Magno, raffigurati nell’atto di accogliere i penitenti e i catecumeni; la visione apocalittica della Gerusalemme celeste, ad indicare la futura redenzione; il Seno di Abramo, altra promessa di redenzione". (Chiara Pirovano, op. cit.) 

Sulle pareti laterali sono raffigurati due pontefici, e precisamente Gregorio e Marcello, che continuano la missione di evangelizzazione delle genti affidata a Pietro e Paolo (foto sotto a dx).

Fig. 12  Nella prima volta a vela è rappresentata la Gerusalemme Celeste, città nella quale saranno accolti tutti i battezzati, al centro della quale siede Cristo su un globo, ai cui piedi è raffigurato l'agnello, simbolo della sua morte e resurrezione, da cui sgorga una sorgente d'acqua a cui si viene invitati a dissetarsi (sul libro tenuto in mano da Cristo è scritto: Qui sitit veniat - Venga, chi ha sete)

Fig. 13 Nelle vele della seconda volta si possono osservare le quattro personificazioni dei fiumi del Paradiso terrestre; nel punto di incontro delle vele sono riportate le lettere greche X e P iniziali del nome di Cristo, affiancate dall'A e dalla W . Sulle due balaustre laterali sono raffigurati il grifone e la chimera, simboli del male, che affrontato fugge sconfitto

  "Il pellegrino però, sottolinea Piva, non necessariamente dialogherà con tali immagini, anzi, alcune se le lascerà alle spalle senza neppure notarle.

Fig. 14 Le due cappelle laterali, di destra e di sinistra, sono dedicate rispettivamente ai santi e agli angeli, nel catino absidale è affrescato un Cristo Pantocrator benedicente

  Le immagini, dunque, in questo frangente, entrano in rapporto stretto non con il fedele, bensì con lo spazio architettonico e liturgico, contestualizzandolo sia nella realtà che virtualmente.

Fig. 15 Un riquadro del parapetto in stucco che protegge la scala di accesso alla cripta: Nel primo quadro sono presenti un leone e un grifone alato, simboli dell'uomo e dello spirito, che si cibano di una pianticella priva di frutti; nel secondo riquadro si leggono due leoni che si protendono verso l'uva; nel terzo riquadro i leoni, cibandosi di pesce, si trasformano in esseri alati e quindi si spiritualizzano

D’altro canto, il percorso impostato dalla struttura architettonica della basilica, sembra chiedere al pellegrino, una volta entrato nell’edificio, di concentrarsi verso un preciso obiettivo: le reliquie, custodite nella confessio dell’altare, e la Crocifissione, raffigurata nel frontone orientale del ciborio".(Chiara Pirovano, op. cit.)  

 

                        

Fig. 16 Di notevole interesse artistico è, infine, il ciborio realizzato in stucco. Sulle quattro fronti cuspidate è proposto il tema del mistero della fede, sono leggibili, in ordine: la morte, la resurrezione di Cristo, l'attesa della sua ultima venuta

"Il pellegrino segue dunque, con lo sguardo, un immaginario asse visivo che attraversa l’edificio da est a ovest e che lo guida dritto alle reliquie e all’immagine di Cristo crocifisso, che, tosto, gli richiamano alla mente il martirio e la tribolazione, dunque due esempi di salvezza.

Una volta venerate le reliquie (custodite nell’altare della chiesa, all’interno di un incavo arcuato, esposto verso la navata liturgica) il pellegrino discendeva in cripta, dove avrebbe potuto sostare in preghiera, e, di nuovo, alle spalle dell’altare, trovarsi di fronte alla rappresentazione della Crocifissione, sovrastata dalla raffigurazione della Dormitio Virginis.

Infine, tramite una seconda scala, il pellegrino risaliva alla navata superiore, dirigendosi poi all’uscita, un portale posto sulla parete nord dell’edificio ecclesiale, concludendo il suo percorso penitenziale.

Diverso il punto di vista dei religiosi.

I monaci, infatti, che probabilmente accedevano all’edificio dal portale sud occupando il banco situato nell’abside ovest, volgevano lo sguardo nella direzione opposta rispetto ai fedeli, cioè verso est, incontrando lungo questo secondo ipotetico asse visivo, un’altra serie di immagini: in primo luogo la Traditio legis et clavis in stucco sul lato ovest del ciborio, in cui Cristo affida alla chiesa la sua missione.

In seconda battuta, una serie di scene, tratte dall’Apocalisse, che si susseguono secondo la corretta sequenza dettata dal testo: all’interno del ciborio I Quattro Angeli che trattengono i venti e l’Agnello acclamato dai martiri, e infine la straordinaria visione del lunettone orientale: la Vittoria sul drago dell’Apocalisse (12), comprendente vari episodi e in cui, nuovamente, domina la scena la figura di Cristo in trono che trionfa sulla morte e che soccorre la chiesa".(Chiara Pirovano, op. cit.)  

Fig. 17 Volgendosi per tornare verso l'uscita si ammira il grande affresco in cui si può "leggere" parte del capitolo dodicesimo dell'Apocalisse. Attraverso questo capolavoro l'ideatore del progetto decorativo richiama i fedeli alla realtà quotidiana: il male, simboleggiato dal drago, è sempre in agguato, ma il Signore invia il suo aiuto (la schiera angelica guidata dall'arcangelo Michele), e grazie al sangue versato dall'Agnello (in stucco nella parte sommitale della lunetta) il male verrà sconfitto

"Legame ideale e voluto tra la visione/percorso dei pellegrini e quella dei monaci, è la scena della Traditio legis ripetuta in due occasioni (l’affresco del portale est e il rilievo in stucco del ciborio). Essa, pur facendo da trait d’union, assume, nelle due versioni, un diverso valore a dipendenza del destinatario: ai pellegrini segnala il ruolo mediatore della Chiesa apostolica, conferitole da Cristo, per l’ottenimento del perdono e della salvezza; per i monaci invece, raffigura la Chiesa che si autorappresenta come investita dal potere di giudicare e assolvere i penitenti.

Da un lato i pellegrini penitenti chiedono il perdono e la redenzione e dall’altro la Chiesa con la sua facoltà di accogliere e di assolvere: i due punti di vista finiscono dunque per incontrarsi, nel soddisfacimento di un equilibrio che li coinvolge entrambi".(Chiara Pirovano, op. cit.)  

 

NOTE

(1) Esauritesi per lunghi periodi le ragioni della particolare dislocazione su un pericoloso territorio di confine del monastero sulla montagna, per questa ed altre ragioni contingenti, si rese improcrastinabile l'edificazione di un più ampio monastero a valle, presumibilmente già preceduto da costruzioni monacali per così dire provvisorie e con logica dotate di un sacro edificio per l'officiatura dei monaci. Fu così che sorse il monastero di S. Calocero, in cui furono trasportate le reliquie del santo. Nel trascorrere dei decenni, la costruzione del monastero di San Calocero, fu affiancata dall'oratorio di San Vito e Modesto nel borgo di Civate che venne ad aggiungersi al già presente oratorio di Sant'Andrea sulla penisola di Isella, alla chiesa della Santa, e ai successivi piccoli oratori di Borima e del Brunioso. Sorgeva poi nel borgo, nelle vicinanze del nuovo monastero di San Calocero, anche un nuovo ospizio di accoglienza ed assistenza per i pellegrini nella Cà Nova, appellativo di un piccolo quartiere in cui un edificio antichissimo ancora oggi, con interessanti affreschi, conserva il nome di cà di pelegrett , cioè casa dei pellegrini.

(2) Il documento più antico, ancora esistente, sulla realtà del monastero di san Pietro al Monte, riportato nel Libri confraternitatum Sancti Galli, Augiensis, Fabariensis ( in Libri confraternitatum, ed. PIPER in M:G:H:, Berolini 1884, p. 357), risale solo all’845, riferendosi al monastero svizzero di Fabaria (Pfäffers). In esso si cita la comunità monacale di San Pietro al Monte e si da l’elenco dei monaci presenti. L’assenza di un documento originale di fondazione ha dato modo a diverse interpretazioni degli storici ed alla raccolta di numerosi documenti che parlano della fondazione. Alcuni documenti sono ripresi dalla sintesi cronologica presentata in appendice a una serie di ipotesi di Giovanni Spinelli, pubblicata a p. 594 in Archivi di Lecco, anno VII, 3, 1984. Le date riferite all’origine sono le seguenti: a) 706 – maggio 10: un’antica iscrizione, ora scomparsa, che nel secolo XVII ancora si leggeva su una parete della chiesa di S. Pietro al Monte diceva “ averla fabbricata Re Desiderio alli 10 Maggio l’anno 706” ( Porter, III, p. 394, n. 12).“ Nel settecentosei Dino abbate de Santo Pietro regnando Desiderio con suo figliuolo Algiesio nel regno d’Italia, ordinò che si facesse la chiesa quale è quella di S. Pietro di Roma: quali tutte cose a voi Padre Bartolomeo di S. Pietro in Chivate per gratia d’Iddio e della Santa Sede Apostolica l’ho ridotte a memoria Umaine de Barzanore” ( Ms. ...ecc

(3) La narrazione della famosa leggenda del cinghiale fu riportata da Galvano Fiamma nella sua Cronica Danielis.

(4) Le notizie circa tali reliquie sono piuttosto confuse: si citano le chiavi e gli anelli delle catene usate durante la prigionia di San Pietro; ma la tradizione adduce anche che re Desiderio avrebbe donato al monastero di Civate: un braccio di San Pietro, un’ampolla con sangue coagulato di San Paolo e la lingua di papa Marcello. Il testo più antico che cita tali reliquie di provenienza romana, risale al XIV secolo, la cosidetta Chronica Danielis: pur non avendo verosimiglianza la donazione da parte di re Desiderio assunta dall’autore, ha valore invece la sua testimonianza che le reliquie si trovassero proprio nell’altare di San Pietro. Cfr Piva Paolo, San Pietro al Monte di Civate, in Pittura murale del Medioevo Lombardo, Milano 2006, pp.88; (Chiara Pirovano, op. cit.). Con l'avvento di Lotario, a cui darà man forte arcivescovo Angilberto, si pone il problema di ritrovare le spoglie credibili del santo. Ciò rende dunque possibile la traslazione delle reliquie di San Calocero dal monastero di Albenga, sul mar Ligure, all’abbazia montana, ufficialmente per allontanare le reliquie tanto preziose dal pericolo delle scorrerie dei pirati saraceni e dagli assalti dei vichinghi norvegesi e danesi che già avevano devastato l’antica Luni e la valle del Magra. Così l’abbazia ligure divenne semplicemente una delle sempre più numerose proprietà del monastero (Carlo Castagna, op. cit.).

(5) Col trattato di Verdun dell’843, il territorio lasciato all’imperatore, la Lotaringia, era stata ridotta ad un lungo e stretto corridoio che dal mare germanico arrivava a comprendere il regno d’Italia con le città imperiali di Aquisgrana, Treviri, Metz, Strasburgo, Colmar e Basilea. Venivano esclusi i territori di Reichenau, con San Gallo e Ulma e le città dell’alto Reno tra cui Ingelheim, Worms, Magonza e Fulda.

(6) Sarà meno difficile, se si considera questo rapporto, capire come il ciborio di San Pietro al Monte sia praticamente il gemello stilistico di quello ottoniano di Milano). 

(7) Da sottolineare anche il contrasto tra la realtà monastica e la chiesa ufficiale milanese - e le sue vicende - come reazione alla simonia ed al nicolaismo  imperanti già sotto la protezione di Guido da Velate, arcivescovo. Ed è in questo periodo (1097circa) che si terminavano in Civate le edificazioni del monastero di San Calocero a valle, l'oratorio di San Benedetto e le decorazioni plastiche e pittoriche in San Pietro al Monte. E' certo questo il momento più fulgido dell'abbazia. A conferma di ciò, si ascrive al XII secolo la realizzazione del Messale di Civate di rito monastico , uscito dallo scriptorium civatese insieme al Manuale d'uso che risulta però di rito ambrosiano.

(8) L’esistenza di un edificio di epoca precedente a quello romanico, fu rilevata grazie agli scavi archeologici compiuti tra il 1879 e il 1881 da Vincenzo Barelli. Cfr Virgilio Giovanna, La basilica di San Pietro al Monte a Civate, Missaglia 2008, p.44.

(9) L’influenza di Carlo imperatore, succeduto, di fatto, a re Desiderio, si ripercuoterà, seppur indirettamente, anche sulla basilica di San Pietro al Monte. Basti pensare ai monasteri tedeschi di Fulda e San Gallo, ricostruiti sotto la direzione di Carlo Magno (di fatto succeduto a re Desiderio) e con la collaborazione di personaggi notevoli come Acuino da York ed Eginardo, architetto ed orafo di Carlo Magno. Incoronato imperatore del Sacro Romano Impero la notte di natale dell’800, Carlo Magno, coi suoi paladini, si preoccupa di conquistare al cristianesimo i territori orientali germanici unificandoli alle terre d’Iberia. In tali regioni Carlo favoriva la cultura diffusa dai monaci irlandesi ed anglosassoni, che dai monasteri sorti qualche secolo prima ad opera di San Colombano ora riportavano in una Europa distrutta l’eredità del sapere e della dottrina cristiana e latina, coltivando l’amore per i testi antichi; amore assai raro nella barbarie dei primi secoli del medioevo. Essi ponevano le basi delle future e famose biblioteche di Echternach, Bobbio, Fulda, San Gallo, influenzando la produzione artistica carolingia, ottoniana e poi romanica. L’imperatore faceva suoi ministri Alcuino da York, anglosassone monaco benedettino, formatosi alla scuola di S. Agostino di Canterbury, e in seguito il vescovo Teodulfo, della chiesa visigotica. Per interessamento degli stessi e sui disegni di Eginardo, architetto ed orafo dell’imperatore, si sviluppò l’architettura carolingia che annovera la cappella palatina di Aquisgrana (805), opera di Oddone di Metz, costruita sul modello di S. Vitale in Ravenna, la basilica di Germigny-des-Prés (806), unico esempio francese del periodo. L’intervento della corte palatina in quegli anni stabiliva la centralità del territorio renano, legando in uno stretto rapporto di civiltà e di cultura varie città e monasteri che vedevano, oltre ad Aquisgrana, la presenza di Colonia, Coblenza e Treviri, i centri di Magonza e Fulda, Worms, Spira e Strasburgo, Reichenau, San Gallo e la vicina Coira, oltre il passo alpino dello Spluga appena sopra il Lario. Nell’802 la chiesa di Fulda viene ricostruita, per volontà di Carlo Magno, sotto l’abate Ruggiero, con l’aggiunta a quella originaria di un’abside occidentale in cui riporre le spoglie del fondatore. Questa chiesa era la prima del suo genere nel periodo carolingio. La chiesa del monastero di San Gallo, ad imitazione di quella di Fulda, risulta biabsidata, ed ogni abside è occupata da un altare. Quello orientale è dedicato a San Gallo e alla Vergine, quello occidentale a San Pietro. 

(10) Si possono evidenziare alcuni aspetti della morfologia del territorio che hanno condizionato l’andamento della via antica: il corridoio naturale della Valtesse che separa il sistema collinare dove sorge la città di Bergamo e le valli orobiche, il passaggio nei pressi di Almenno San Salvatore della via romana su di un ponte di epoca romana costruito sfruttando un isolotto al centro del fiume Brembo, la cosiddetta “riviera” dalla valle San Martino che separa il monte Canto Alto dalla valle San Martino, la presenza nei pressi del restringimento tra i laghi di Garlate e di Olginate, dove la corrente del fiume Adda è meno forte, di piloni pertinenti ad un ponte di età romana. La sella di Gabiate che con un percorso agevole mette in comunicazione Civate con Garlate, le sponde del fiume Cosia che con andamento orizzontale congiunge la città di Como con il piano d’Erba proteggendo la via da possibili impaludamenti.

(11) Va inoltre tenuto presente che Pavia, “capitale del regno longobardo, deve aver certo ispirato la dedicazione del monastero di Civate con la presenza di San Pietro in Ciel d’Oro, le sue ricchezze ed il fascino che da essa poteva venirne al popolo longobardo più della stessa cattedra dell’Apostolo. A tale dedicazione in ogni modo non furono estranei altri elementi che caratterizzavano e sottolineavano la religiosità del tempo”. (Carlo Castagna).

(12) Piva adduce che l’immagine del lunettone ovest consiste in una visione sintetica e ciclica che corrisponderebbe alle tre parti in cui la Vulgata divide il testo di Ap 12. cfr Piva Paolo, testo cit. p.94. 

 

Bibliografia 

- Chiara Pirovano, "San Pietro al Monte - Tra arte romanica e cultura benedettina a Civate, in provincia di Lecco". 

- Paolo Piva, "San Pietro al Monte di Civate" in "Pittura murale del Medioevo Lombardo", Milano, 2006.

- Appunti per il 2° Corso di Formazione su San Pietro al Monte - 1° incontro: l’ambiente e la storia (Relatore Carlo Castagna).

- Carlo Castagna, "Un monastero sulla montagna - Visita a S. Pietro al Monte".

  (Autrice. Alessandra Facchinetti)

 

 

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                                                                                           Settembre  2012