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       Itinerario ciclo-archeologico alla scoperta dei tesori della periferia est di Roma

                                                                (di Enrico Benvenuto)

Circa 50 Km percorsi, visitati vari parchi di Roma est, alcuni squallidi, altri gioiellini, con immense testimonianze archeologiche anche più appariscenti dei monumenti del foro...

La partenza è da Ciampino, la mia città aggrappata al Grande Raccordo Anulare a sud di Roma e nota per il suo aeroporto esploso grazie alle compagnie low-cost. Una strada che corre parallela al tracciato dell’antica via Latina (meno nota ma più antica e affascinante a mio avviso della monumentalizzata Appia antica), spezzata in più punti da casali, autostrade e sottopassi inagibili mi conduce infine alla soglia del Parco degli Acquedotti. Siamo su via delle Capannelle che unisce le consolari Tuscolana e Appia. E qui sarebbe necessaria una piccola deviazione in direzione tuscolana per ritrovarsi a costeggiare le maestose vestigia della cosiddetta Villa dei Sette Bassi. Della villa, nell’antichità vero e proprio centro propulsore dell’attività produttiva di questa parte di agro romano, rimangono i volumi poderosi di un ninfeo, fondazioni, cisterne e un piccolo acquedotto “privato” che riforniva la tenuta allacciandosi ai grandi acquedotti della capitale dell’impero. Peccato che il sito sia inaccessibile benché costantemente manutenuto. Di certo non si accorgono di questo splendore le centinaia di auto che sfrecciano sulla Tuscolana, troppo è il frastuono e il tanfo di gasolio; volto le due ruote in direzione Parco degli acquedotti.

Il percorso sud-est/nord-ovest ora ricalca perfettamente la via Latina, di cui si possono vedere tracce nell’alveo di un fossato asciutto. Troppo pesante la memoria di questi luoghi evocata dagli archi in corsa rapida degli acquedotti Claudio e Felice tra ferrovie e papaveri per poter essere riportata qui. E’ una zona piuttosto “ufficializzata” fortunatamente, di cui si ha ampia disponibilità di documentazione. Mentre io sono a caccia di perle nel cemento. Accontentiamoci dunque di lasciare questa scenografica quinta alle nostre spalle e uscire dal parco in direzione nord. Percorro la ciclabile di viale Giulio Agricola che fa rima con ridicola perché si conclude in una assurda strettoia anti-ciclomotore a ogni incrocio. Passo sotto la mole della chiesa intitolata a Don Bosco, con la sua architettura postbellica, esteticamente opinabile ma almeno frutto di un chiaro intento urbanistico,  e punto viale Palmiro Togliatti, l’asse portante e ipercaotico della viabilità tangenziale di Roma est. Evitando commenti sull’assurdo corridoio della mobilità e l’altrettanto assurda ciclabile raggiungo il nuovo Parco di Centocelle. Le aspettative sono grandi: si dice di due ville romane scoperte, di nuove piste, di un bosco che lo separa dalla strada. La zona archeologica, sebbene dimenticata, ha la stessa natura vista prima, della grande villa imperiale come centro di controllo del contesto agricolo circostante. Ma il sospetto comincia a montare quando vedo che lo sterminato schifo degli sfasciacarrozze è ancora lì, si sono limitati a mettere una recinzione tra questi e il parco. Una piccola “favela” di baracche “vive” da cui esce il fumo di un pranzo domenicale che si addossano ad essa senza timore. L’odore di gomma bruciata è quasi insostenibile. All’interno la situazione non è migliore: erba alta incolta, qualche sentiero sterrato, qualche panchina. Il parco sorge sull’area dell’ex aeroporto militare di centocelle e ne conserva a memoria storica la pista su cui era prevista l’installazione di una attrazione a tema per bambini: io vedo solo una lingua d’asfalto tra gli sterpi. Le ville romane sono coperte di terra, visibili solo dai cartelli informativi già abbondantementi segnati dai provetti writer romani. In fondo, oltre una rete, un temibile ecomostro sta emergendo dalla terra. Il fabbricato dell’ex aeroporto viene ristrutturato e ingrandito dal ministero della difesa per farne uffici.

Anche gli extracomunitari sdegnano questo luogo e a ragione invece si addensano a Villa de Sanctis, poco più su, sulla via Casilina in direzione centro. Qui domina l’enorme mole del mausoleo dedicato a Elena, la mamma dell’imperatore Costantino, che fa ombra sulle panche di travertino, sculture moderne e grandi alberi frondosi. Qualcuno più fantasioso ha appeso palloncini a ogni ramo e improvvisato una bella festa. Ma l’impronta della storia non si esaurisce qui, sulle terre di proprietà del primo imperatore cristiano infatti si possono scorgere i resti di una cisterna sulla cui sommità ora fa capolino una curiosa banderuola di ferro. Mentre sotto i piedi ignari dei bambini che giocano si estende uno dei complessi catacombali più grandi di Roma, intitolato ai santi Marcellino e Pietro, sorprendentemente ricco di decorazioni musive perfettamente conservate. Attenzione però la visita può essere assai ardua fuori dall’unica settimana di apertura pubblica dell’anno, in Giugno! Rivolgo ancora lo sguardo al più visibile mausoleo e non posso non pensare alla perizia tecnica dei miei antenati romani ammirandone la volta. Per alleggerirla fu costruita utilizzando come “mattone” una specie di anfora chiamata ‘pignatta’. Ed ecco svelato il mistero del toponimo del quartiere che mi ospita, meglio noto come Tor Pignattara!

Tutt’intorno tanti, tantissimi immigrati a fare barbecue, a giocare a pallone usando come porte i ruderi di una villa romana o le arcate degli acquedotti; Una periferia piuttosto centrale, ma che pare un altro mondo anche se non si capisce “quale”; poi ogni tanto il rudere di una torre, un sepolcro tra le fabbriche ti ricordano che sei a Roma, la città degli imperatori e dei papi.

Rimonto in sella per dirigermi verso la prossima tappa, Villa Gordiani. Sono solo a pochi metri dal Casilino 900, ennesima colata di cemento tradotta in alti palazzoni curiosamente disposti a raggiera, frutto della furia urbanizzante degli anni del boom economico. Case per gli sfollati del centro storico e per le orde di nuovi migranti attratti dal miraggio della capitale che per la maggior parte si andavano ammassando in baraccopoli non lontano da qui, tra la ferrovia e l’acquedotto Felice lungo l’asse di una via di cui parleremo ancora, via del Mandrione.

In questi pensieri assorto, quasi senza accorgermene sono arrivato a Villa Gordiani divisa a metà dalla via Prenestina, avendo lasciato alle spalle il criticatissimo campo nomadi di via dei Gordiani (appunto) e il prospiciente campo base degli operai che stanno costruendo la terza linea metropolitana di Roma, la metro C.

Mi asciugo il sudore della fronte, scrollo le spalle ai problemi dell’attualità e mi rituffo nella storia. E stavolta il salto è ancora più lungo. Sono in presenza di una villa patrizia di età repubblicana, si scavalca l’anno zero all’indietro nel tempo. Questa tuttavia è interrata per la maggior parte per motivi di preservazione mentre le strutture emergenti sono attribuite ai possedimenti della famiglia imperiale dei Gordiani, che diede i natali a 3 imperatori. E altrettanto imponenti sono le rovine in un incredibile stato di conservazione. Come potesse sembrare 2000 anni fa con la sfilata di colonne di marmo e porfido rosso e una profusione di statue e decorazioni è arduo a dirsi, ma l’emozione è intatta. L’impianto di un enorme edificio basilicale a tre navate apparentemente irrelato al complesso della villa, si può scorgere tra le fronde dei salici ahimé attraverso una rete di protezione. L’evocatività sacrale del luogo è palpabile anche se non sembra toccare i molti romani intenti a cercare refrigerio dalla calura estiva e un po’ di relax. Poco oltre sul clivo di una lieve altura si erge la tor de schiavi, che deve il suo nome a Vincenzo Rossi dello Schiavo, che ne entrò in possesso nel 1400. Oggi questo è il nome di tutto il quartiere circostante, non lontano dal popolare Centocelle. La torre medievale, come sempre accade a Roma, usa come basamento un ninfeo del III secolo. L’oculo che si apre su un lato di quest’aula ottagona lascia filtrare i possenti raggi solari sugli indolenti romani sdraiati sull’erba. Mi piace pensare sia un monito dell’incessante mutevolezza delle cose, della ricostruzione e la stratificazione continua che sono il vero cuore del fascino di Roma.

E’ tempo di inoltrarsi verso la periferia più estrema ma che nasconde dei veri piccoli tesori.

Mi dirigo lungo la Prenestina verso Tor Tre Teste ed il suo bel parco. .

 

 

La chiesa di Meier (lo stesso architetto della tanto criticata teca dell’Ara Pacis) a Tor Tre Teste. Intorno alti palazzoni, inconfondibile stile anni 60, dietro il bel parco dove corre l’acquedotto alessandrino. Perché questo quartiere si chiama così? La spiegazione nella prossima foto: è la Torre Tre Teste. Si trova sulla Prenestina tra fabbriche abbandonate e il deposito degli autobus. La torre è crollata per metà negli anni cinquanta, ma l’arcano emerge dalla lastra di marmo che si intravede sotto la torre, tra le frasche. Tre persone. Tre teste!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Certo i residenti del quartiere non ne devono essere molto orgogliosi se lasciano che il simbolo stesso sia occultato in questo modo. Ma forse pochi conoscono questa lastra, la torre e la minuscola chiesetta. D’altra parte la Prenestina qui non è certo un bel posto per passeggiare. O forse sono giustamente più impegnati a combattere contro la nuova lingua di asfalto nero che si sta per costruire (la Prenestina bis) per ridare respiro al traffico impazzito della Consolare e devastare definitivamente l’unica bellezza del quartiere: il parco.

Esso accerchia le vestigia dell’acquedotto alessandrino fino ai limiti di un immenso paradiso verde: la Tenuta della Mistica. Privata e inaccessibile. Ogni percorso tra i campi è precluso. Costeggio la tenuta tra papaveri, spighe verdi e soffioni e ritorno sulla Prenestina.

Per uscire dal GRA devo attraversare via dell’Omo, una strada contornata da centinaia di ingrossi e magazzini, prefabbricati e lamiera tra cui si aggirano loschi personaggi su grosse auto. La maggior parte di questi magazzini sono cinesi e la scritta in italiano non ce l’hanno proprio, qui è terra loro, si devono capire tra di loro perché qui i cinesi vendono agli altri cinesi, magari quelli di Ciampino o piazza Vittorio e ovviamente, sono aperti anche di domenica. Uno stacanovismo che rende, evidentemente.

Fuori dal GRA la borgata di Torrenova che confina con Tor Bella Monaca ma in confronto pare quasi bella. Qui la popolazione è rumena credo, e slava. Giovani palestrati, con magliette aderenti e birre in mano a bivaccare in un bar o nell’unico mega centro commerciale della zona. Poi a un tratto, su via Squinzano devi girare attorno a un grosso rudere, ma se guardi meglio scopri che è un intero tratto di acquedotto compresso tra le case, a un palmo dal naso dei forse ignari abitanti che si affacciano dal balcone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Procedendo in direzione sud, dopo una bella salita sbarchi sulla Casilina e, chi l’avrebbe mai detto? Ti ritrovi davanti un vero e proprio castello, con la torre merlata, il portale e la pesante grata, il castello di Torrenova. Tutt’intorno gli immensi scavi della metro C, orde di pendolari in attesa del trenino costretti ad aspettare quasi in mezzo alla strada, a pochi metri c’è il GRA. Tra gli archi del castello cumuli di paccottiglia di una pseudo attività commerciale non meglio identificata, e qualcuno che beve. Per la storia del monumento rimando al seguente link http://www.aicarte.com/brevestoriacastello.htm ma posso accennare che vi sono coinvolte alcune delle famiglie nobili più note della storia romana, dai Cenci agli Aldobrandini. Si che fino a non troppi anni fa qui si era in una stupenda campagna, l’ormai quasi perduto agro romano. Ma una tale storia cozza terribilmente con lo stato attuale di degrado e abbandono. L’ennesima nota dolente in questo viaggio poco convenzionale. Non siamo ai fori imperiali qui.  Siamo in zona giardinetti, altra borgata altra corsa. Via dei Ruderi di Torrenova suona bene e infatti alla fine della strada mi regala questo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sembra un paesaggio idilliaco ma siamo sempre tra capannoni e campi da calcio. Ruderi di Torrenova, difficile saperne qualcosa di più.

Giardinetti è tutto un intreccio di strade e stradine, molte senza uscita. Una delle tante borgate romane sorte spontaneamente senza i vincoli di un vero piano regolatore e senza autorizzazioni, tanto che in molte di queste zone ancora non arriva la rete comunale delle fognature. A sud di questa borgata c’è lo stradone con le rotatorie di Tor Vergata, inaugurato per il giubileo del 2000. Ma nessuna delle stradine che percorro ci sfocia, il quartiere resta senza interconnessioni, drammaticamente chiuso su se stesso. Unica possibilità, ributtarsi sotto il GRA e percorrere il desolante vialone di Cinecittà est, viale Ciamarra. Qui quanto a rifiuti non si scherza, i palazzoni tragicamente simili al Laurentino 38 o a Corviale, con i “ponti” che scavalcano queste autostrade urbane e in mezzo altri lavori: il corridoio della mobilità. Un progetto da milioni di euro che dovrebbe unire velocemente il capolinea metro di Anagnina e l’area dell’università di Tor Vergata ricalcando il percorso di un autobus che già esiste, il 20 express. Però ci sarà anche una pista ciclabile in mezzo alla strada! Progetto esoso quanto inutile visto che tra pochi anni la metro C passerà a uno soffio da Tor Vergata - anche se si sono guardati bene dal farcela arrivare direttamente - giustificato solo dai famosi mondiali di nuoto del 2009 per i quali si sta costruendo prioprio qui la fantomatica città dello sport di Calatrava. Un altro scandalo che grida vendetta. La città dello sport costa 250 milioni di euro (500 miliardi di lire!!!) e NON vi si svolgeranno le gare dei mondiali di nuoto perché non si farà in tempo a finirla. Forse vi si svolgerà la sola cerimonia di apertura. Le gare al foro italico. Quindi i 500 miliardi saranno serviti per costruire una bella piscinetta in mezzo ai campi. Erano state promesse anche strutture alloggiative per studenti fuori sede, una nuova sede per il rettorato. Non so se vedranno mai la luce passato l’entusiasmo (e i finanziamenti) per i mondiali di nuoto. Eppure la zona è ora un immenso cantiere con decine di gru a incidere per sempre un’altra porzione di campagna romana, costellata di numerose emergenze archeologiche pressoché abbandonate. Tutto ciò senza nemmeno avere in cambio servizi per i cittadini (che non siano mega centri commerciali) e in definitiva una maggiore qualità della vita. Il nostro grado di civilizzazione odierno non sembra essere poi tanto distante da quello dei nostri avi dei secoli bui, in cui impoveriti e atterriti dai barbari, dai briganti e dalla generale corruzione dei costumi costruivano le loro fortezze sfruttando i monumenti di un passato che non gli apparteneva più e che però hanno contribuito a far arrivare fino a noi.

La desolazione è accresciuta da pesanti nuvoloni sospinti da un vento infuriato. Davanti a me la stazione Anagnina, ma per evitare il traffico svolto verso un’altra borgata storica: la Romanina. Ormai veleggio verso lidi noti e con la stanchezza che monta voglio solo tornare a casa e scrostarmi dalla fronte lo strato di smog, polvere e polline accumulato in questa nuova grande odissea a pedali. (Autore:Enrico Benvenuto)

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                                                                             agosto '08