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( a cura di Andrea
Romanazzi)
Le
storie e i racconti sulla licantropia ( da lycos che significa lupo
e anthropos che significa uomo) affondano le loro radici nella
notte dei tempi quando l’uomo, vivendo tra le braccia della mater
natura e circondato dalla sua immanenza che si tramutava in alberi ed
animali, si sentiva parte integrante della stessa. Moltissime sono così
le tradizioni degli uomini-cambiaforma, o meglio degli uomini -lupo
sparse in tutto il mondo. Forse la più antica la ritroviamo nella Bibbia,
ove re Nabucodonosor, a causa della sua vanità, fu
trasformato da Dio in un lupo. Esempi di divinità dalle sembianze
animalesche le troviamo anche nella cosmogonia egizia ove si parla
di Anubi, il dio sciacallo o ancora il dio lupo Ap-uat
che aveva la funzione di traghettare i morti nell’aldilà, mentre nella cosmogonia
nordica, di cui parleremo in seguito, e dove il lupo
è simbolo di vita, troviamo, come fedeli compagni di Odino,
i canidi Freki e Geri, mentre simbolo dell' apocalisse
finale è il lupo Fenrir.
Il
mito narra che il dio Tyr, per incatenare definitivamente il
malvagio animale, lo sfidò a rompere un laccio sacro e indistruttibile.
Fenrir fiutò l’inganno e
disse di accettare solo se qualcuno avesse posto la mano tra le sue fauci. Ovviamente, come previsto, il lupo non
riuscì a rompere il magico laccio, ma Tyr perse l’arto.
Questo
particolare ci permette di legare l’episodio a quei riti di smembramento,
tipici del culto del lupo e presenti in altre civiltà; lo
smembramento e la seguente dispersione nei campi delle “parti” ,non
e’ altro che un rituale di fertilità: la morte stessa genera
rinascita nella natura.
E’
così che, in Irlanda,
alcune dee madri sono raffigurate in compagnia di piccoli cani e in
uno dei santuari Celti più importanti, la fonte di
Haughey, nei pressi del sito di Emhain Macha,
furono trovate delle ossa di questo animale mentre in Germania,
nell’Europa centrale, lo ritroviamo come fedele compagno della dea
germanica Holle che
guida i morti negli inferi.
Tracce
di questi antichi ricordi le troviamo poi nella cultura classica, ad
esempio nella cultura greca ne parla Ovidio nelle sue
celebri “Metamorfosi” o nei miti riguardanti il re
dell’Arcadia, Licaone, che, per aver cercato di ingannare Giove,fu
trasformato dallo stesso, in un lupo. In realtà sembrerebbe che questi
miti fossero legati ad ancor più antiche usanze di feste pagane di
tradizione sciamanica ove era abitudine consumare carne di
lupo e venerare l’animale come un dio. Era infatti l’animale che,
tramutatosi in guida per il sacerdote, gli suggeriva comportamenti e
rituali. Il cibarsi della carne dell’animale totemico, così, non era
una gozzoviglia ma un sacramento solenne, un modo di
acquistare ed assorbire una parte di divinità.
Lo
stesso Apollo, dio della luce, termine caratterizzato dalla stessa
radice della parola lupo, “luke”, fu partorito da Latona che
assumeva spesso sembianze di lupo e sembra che la stessa divinità,
conosciuta anche con il nome di Apollo Liceo, avesse potere su
questi animali.
Tradizioni
legate all’adorazione dell’animale le troviamo anche nella cultura
romana, del resto i fondatori dell’Urbe, Romolo e Remo,
furono proprio allattati da una Lupa, che poi divenne lo
stesso simbolo della città. La tradizione voleva anche che i due re
avessero vissuto proprio con un branco di lupi e che, accoppiatisi con
tali belve, avessero dato origine a creature per metà umane e per metà
fiere. Petronio, nel suo Satyricon , parla per la prima
volta dei “versipellis”, uomini all’interno dei cui
corpi crescevano folti peli, così che bastava si rivoltassero come un
guanto per cambiare il loro aspetto. Inoltre nelle date attorno al 15
Febbraio, a Roma ,si celebravano i famosi “Lupercali”,
feste in onore del dio Lupesco protettore delle greggi e degli
armenti. Questi rituali, basati spesso su riti orgiastici con sacrifici
animali, erano stati a loro volta ereditati dai romani dalle
popolazioni autoctone che vedevano nell’animale una divinità.
La
scelta del lupo, o delle fiere locali come divinità, non era casuale;
infatti l’animale, che con i suoi comportamenti era considerato grande
predatore, era in competizione con gli stessi uomini cacciatori e così il
selvaggio, per propiziare una buona caccia, cercava di onorare l’animale
sia per ingraziarselo e evitare che gli sottraesse il sostentamento, sia
per poter ereditare la sua stessa capacità di caccia. Ecco così che il
lupo diventa il dio-protettore-cacciatore adorato in moltissime culture
animiste e che ritroviamo tra i Germani, i popoli
nordici, i Mongoli, gli Indiani d’America e in
moltissime altre tradizioni.
Il
culto del lupo lo troviamo anche nelle tradizioni sciamaniche-finniche
dell’area russa o slava, le cui tradizioni legate a uomini che si
trasformavano in lupi. furono descritte dallo stesso Erodoto, che
ci parla del popolo dei Neuri e che ritroviamo anche in un passo
del famoso “canto di Igor”, ove si narra delle trasformazioni
in lupo del principe Vseslav, e nelle numerosissime leggende
locali. L’antico nome che questi popoli davano agli uomini-lupo era vulko-dlak,
pelle di lupo, forse per una tradizione legata a uomini che si vestivano
con le loro pelli e dunque forse guerrieri come nelle tradizioni nordiche
o sciamaniche. Del resto per il primitivo, secondo i principi della magia
empatica o imitativa, travestirsi con le pelli dell’animale equivaleva a
trasformarsi nello stesso, acquisendo i suoi poteri e le sue capacità
come testimoniato dai cacciatori Pawnee o i Mau-Mau, gli uomini-
leopardo, piaga e terrore dei soldati inglesi o, ancora, i guerrieri
nordici come i ulfhednar, le teste di lupo o i non lontani cugini Berseker,
i camici d’orso.
Si
narra che questi terribili guerrieri andassero in battaglia solo vestiti
della pelle del loro animale totemico, urlando, ringhiando e ululando come
lupi e che erano presi da una furia così devastante, definita poi dai
latini con il termine di “furore”, che non sembravano avvertire il
dolore delle ferite loro inflitte o che uccidevano con disumana forza sia
i nemici che i loro compagni per poi morire spesso con il cuore scoppiato.
Sicuramente per favorire il connubio tra uomo e bestia, e dunque assorbire
tutte le caratteristiche dell’animale essi, come in molte tradizioni
sciamaniche, facevano sicuramente uso di droghe come quelle ottenute dal
micidiale fungo della Amanita Muscaria, che provocava
visioni e grandi scariche adrenaliniche e che era poi mescolata con delle
bevande alcoliche.
Storie
di guerrieri-lupi le
troviamo poi anche nelle tradizioni italiche, ove si
parla del popolo dei Reti, abitanti nell’area che oggi è il
Trentino e il Veneto settentrionale e che crearono numerosi problemi alle
mire espansionistiche di conquista dei romani e dei popoli dei
Peleghetes, Lastojeres, Cajutes, letteralmente orsi, cani e lupi.
LA MELANCONIA
CELEBRALE
Il
lupo e i suoi sacerdoti hanno sempre avuto una valenza benefica,
essi erano intermediari tra l’uomo e le forze naturali,
rappresentate appunto dalle fiere delle quali, a scopo magico, guerriero o
semplicemente per caccia, l’uomo cercava di accapparrarsi la forza.
Successivamente
però avviene una trasformazione: con il passaggio dalla caccia
all’allevamento, il lupo subisce una prima trasformazione, esso
non è più animale totemico ma diventa nemico delle greggi e dunque
dell’uomo, ma sarà nel Medioevo che esso assumerà sembianze
malvagie che lo legheranno alla magia e al demonio. Nel 1252 con la
bolla papale “Ad extirpena”, Papa Innocenzo IV
autorizzò la persecuzione dei culti pagani, ma soprattutto nel 1500-1600
la caccia alle streghe diviene anche caccia al licantropo che,
oramai perduto il suo significato sacerdotale, viene visto come mostro
o come malattia. Moltissimi malati di quella che veniva definita “melanconia
celebrale”, una forma di quella che chiameremmo oggi schizofrenia,
furono accusati di stregoneria e condannati al rogo.
Nascono
così le tradizioni legate ai “lupomini”, “werewolf”
o “loup garou”, uomini che si trasformavano in lupi ma il cui
significato, oramai demonizzato, era completamente differente da quello
dei sacerdoti sciamani. Moltissime sono le tradizioni popolari e i
racconti sui licantropi, spesso vecchi guaritori o semplici malati di
mente venivano scambiati come adoratori del demonio. Successivamente
queste “malattie” furono legate anche a timori e tabù, così ecco che
se un paese veniva colpito da peste o carestia, significava che in questo
era nascosto un “lupomino” e così si scatenavano terribili cacce
all’“untore”. Stessa cosa dicasi per violazioni di tabù, nel
materano ad esempio, ed in particolare a Grassano, vi era la
credenza che chiunque avesse sposato la sua figlioccia si sarebbe
trasformato nelle notti di luna piena in un lupo, forse antico ricordo di
culti autoctoni che veneravano il sacro animale e tradizioni simili le
ritroviamo nell’area siciliana e nel pugliese.
La
religione Cristiana non poteva rimanere a guardare. Per esorcizzare
questi antichi ricordi e per guarire queste malattie legate a
Satana, iniziò a introdurre nella cultura popolare santi
guaritori come Sant’Antonio da Padova e il più famoso San
Vito, legato al famoso “ballo del santo”,un modo per
esorcizzare epilessie e malattie “lunari”, per non parlare di San
Francesco d’Assisi e la vicenda del lupo, un modo per esorcizzare
antichi culti pagani legati all’animale totemico dell’area
umbro-abruzzese e legarli alla nuova figura cristiana, idea che ritroviamo
anche nella versione “abruzzese” dell’evento e in particolare della
tradizione del paese di Cocullo dove si narra che San
Domenico, patrono del villaggio, si trovava a combattere contro un
lupo che, la tradizione voleva aver rapito un bimbo in fasce per poi
portarlo con sè nel bosco. Fu il santo, con le sue preghiere a Dio, a far
tornare l’animale con il pargolo e a renderlo mansueto, un altro modo
per identificare il santo con la signora delle bestie, la padrona della
natura che può donare vita e morte ai suoi credenti.
Sarà
proprio questo tentativo di cancellare la cultura popolare che ha permesso
la sua sopravvivenza, anche se camuffata da false vesti, infatti questi
rituali antichissimi sono sicuramente eredità dei culti autoctoni
sciamani europei, successivamente assorbiti dal Cristianesimo con una vera
e propria opera di sincretismo che ci ha permesso di conoscere antiche
tradizioni mai del tutto dimenticate, che ancora oggi combattono contro il
tempo e l’umana dimenticanza.
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