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UNA CLAMOROSA SCOPERTA SUL MISTERIOSO AFFRESCO CON IL “CRISTO NEL LABIRINTO” DI ALATRI

               

                                                                           (a cura di AA. VV.)

Un convegno per rendere pubblica una clamorosa scoperta relativa al misterioso affresco del “Cristo nel labirinto” celato in un cunicolo presso il chiostro di San Francesco nella città di Alatri in Ciociaria. Ad effettuarla lo scorso inverno, il ricercatore e scrittore Giancarlo Pavat, che dal 2007 si sta occupando dell’enigmatico manufatto. Ne ha parlato nel suo libro “Valcento. Gli Ordini monastico-cavallereschi nel lazio meridionale”, Edizioni Belvedere, 2007 ed in un articolo scritto appositamente per questo sito.

Stiamo parlando di un “affresco che ritrae un “Cristo in Gloria” al centro di un enorme labirinto di dodici cerchi concentrici neri ed altrettanti bianchi. Il diametro del cerchio più esterno del labirinto misura circa due metri” ha spiegato Pavat durante il convegno dello scorso 24 aprile 2009, svoltosi presso il cinquecentesco Palazzo Conti-Gentili ad Alatri “Nel dipinto, celato in una sorta di cunicolo presso il Chiostro di San Francesco, adiacente all’omonima chiesa del XIII secolo che ospita una grande “croce patente” rossa affrescata sulla controfacciata, Cristo ha il volto barbuto ed il capo è circondato da un “nimbo”. Indossa una tunica scura ed un mantello dorato. Con la mano sinistra, che la dito anulare porta un anello, regge un libro chiuso, posto quasi in corrispondenza del cuore. Con la destra, invece, stringe un latra mano che esce da un’apertura dello stesso labirinto. Iconograficamente parlando, l’affresco unisce la figura del “Cristo storico”, non attestata prima del IV secolo d.C., con quella dell’antichissimo simbolo del labirinto, e si presenta come un vero e proprio “unicum”; infatti non esiste nulla di simile in tutta la storia dell’arte universale”.

G. Pavat illustra lo straordinario Labirinto

Il sindaco dottor Costantino Magliocca e tutta l’Amministrazione Comunale alatrense, in particolar modo il dottor Giulio Rossi, assessore alla cultura, ed il dottor Antonio Agostini, direttore della Biblioteca e dirigente alle attività culturali, hanno fortemente voluto questo evento proprio per far conoscere agli organi di informazione e ad un pubblico più vasto questa opera d’arte meravigliosa e la scoperta effettuata da Pavat.

Sono stati invitati come relatori esponenti di spicco della cultura, non soltanto locale. La storica dell’arte dottoressa Alessandra Leo, l’ing. Giulio Coluzzi, ricercatore indipendente e coautore, assieme a Marisa Uberti, del libro “I luoghi delle Triplici Cinte in Italia”, per i tipi della Eremon Edizioni, 2008, l’archeologo medievista Giuseppe Fort ed il direttore della rivista “Fenix” Adriano Forgione. Tra il pubblico, oltre ad autorità civili e militari, persino il Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Frosinone Col. Giancostabile Salato, moltissimi studiosi, docenti universitari, appassionati e semplici cittadini. Senza dimenticare i rappresentanti dei mass media. Tutti ansiosi di conoscere nel dettaglio la natura della scoperta di Pavat, che come è stato scritto, “apre orizzonti inediti di ricerca e potrebbe cambiare la storia medievale non soltanto della Ciociaria ma pure dell’Europa Occidentale”.

                                   

                                                 Gli studiosi e le autorità comunali in un momento della conferenza

Nell’Aula Magna di Palazzo Conti-Gentili ha aperto i lavori il sindaco dottor Costantino Magliocca, il quale ha ringraziato tutti i presenti ed ha pubblicamente esternato i sentimenti di gratitudine che l’Amministrazione e la città intera nutrono nei confronti di Giancarlo Pavat, per le sue ricerche e studi sull’affresco con il labirinto, oltre ovviamente per la sua scoperta, che è stata capace, finalmente, attirare su di Alatri l’attenzione degli organi di informazione anche nazionali. Infatti nella città ernica si è già recata la troupe di Rai Uno con la giornalista Camilla Nata per effettuare alcune riprese sul labirinto, e a breve arriverà anche quella del programma di RaiDue “Voyager” di Roberto Giacobbo.

Il sindaco ha concluso garantendo che verrà fatto tutto il possibile per salvaguardare e rendere fruibile a tutti l’affresco ed il sito in cui si trova

La dottoressa Alessandra Leo rievocato le vicende relative all’affresco; dalla sua causale scoperta di dodici anni fa. “Ad opera di Ennio Orgiti, Orestino Fanfarilli, all’epoca presidente della Pro Loco alatrense, ed il presidente dell’APT Paride Quadrozzi, che penetrarono nel cunicolo per scoprire l’origine dei cattivi odori che permeavano il chiostro e si trovarono in mezzo ai liquami. Alzando lo sguardo illuminarono con le pile elettriche l’apparato pittorico”. Sino alle ricerche degli ultimi anni, alle quali ha partecipato in prima persona. “Quando, grazie alla disponibilità dell’allora assessore alla cultura avv. Remo Costantini, entrai nel cunicolo nel marzo del 2007, assieme al prof. Italo Biddittu, a Sonia Palombo ed allo stesso Pavat, fummo costretti ad usare delle mascherine, in quanto l’aria era ancora ammorbata. Va a merito dell’amministrazione se oggi è stata fatta una bonifica del sito e si può accedervi tranquillamente”. Anche la dottoressa Leo ha avuto parole di stima ed encomio per Pavat e la sua caparbietà nell’insistere nelle ricerche sull’affresco, anche quando tanti altri vi avevano rinunciato.

L’ing. Giulio Coluzzi (www.angolohermes.com), con l’ausilio di supporto multimediale, ha parlato del simbolo della Triplice Cinta, presente in diversi esemplari sulle gradinate della chiesa di San Francesco. Si è sviscerato l’argomento illustrandone alcuni esempi. Come quello presente sul sagrato della chiesa di Santa Maria della Libera ad Aquinum (FR), che contiene un “otto” rovesciato, oppure quello sui basoli del pavimento della chiesa di Sant’Antonio Abate a Priverno (LT), appartenuta all’Ordine degli Antoniani. O ancora quello tridimensionale scolpito su una parete degli ambienti sotterranei di Palazzo Simonetti ad Osimo nelle Marche. Infine, una recentissima scoperta dello stesso Coluzzi, l’esemplare di Triplice Cinta presso il sepolcro di San Tommaso Becket nella Cattedrale di Canterbury in Inghilterra.

Coluzzi ha sottolineato come, secondo alcuni autori, la Triplice Cinta rappresenterebbe le mura della mitica Atlantide, per altri invece l’archetipo sarebbe il simbolo proprio del labirinto. Ma potrebbe contrassegnare luoghi legati al sacro o alla presenza di “Forze Telluriche”.

Le Triplici Cinte di San Francesco sono forse simbolicamente collegate con il labirinto dell’adiacente chiostro? Un altro enigma alatrense da svelare.

Finalmente ha preso la parola Giancarlo Pavat, in un silenzio carico di attesa, sono scattati numerosi flash di apparecchi fotografici. Proiettando immagini sia di quello di Alatri che di altri labirinti, Pavat ne ha rapidamente ripercorso la storia. Da quello mitologico di Cnosso ad altri ben più reali. Per giungere poi al piatto forte del convegno.

“L’oggettiva difficoltà nello scattare fotografie ed ottenere immagini nitide dell’affresco alatrense e dei suoi particolari, non aveva mai permesso di riportare su carta il tracciato del labirinto e, ovviamente, di percorrerlo! Almeno sino ad oggi. Ci sono riuscito, come accennato, in un serata dello scorso inverno. Ingrandendo al computer le foto dell’affresco, allo scopo di individuarne i dettagli, scattate durante l’ultima ricognizione nel cunicolo del chiostro. E piano piano, come se fossero le tessere di un mosaico o di un puzzle, ho cominciato, pezzetto dopo pezzetto, a disegnare il percorso del labirinto su un foglio. Finché è saltato fuori qualcosa che nessuno aveva mai nemmeno immaginato. Accortomi di che cosa avevo tracciato sulla carta, ho frenato l’entusiasmo e ho fatto il punto della situazione.

Il primo aspetto interessante, che ho potuto appurare, è stato l’andamento logico, quasi matematico, geometrico, del percorso. Ed è stata questa razionalità del disegno che ha permesso di ricostruire anche quei tratti scomparsi per sempre a causa del distacco dell’intonaco.

Dal disegno è emerso che il labirinto di Alatri ha un percorso “unicursale”, ovvero esiste una sola entrata ed un sola uscita al centro e per raggiungerla c’è un unica strada.

 

   Schema del labirinto di Alatri

Come tutti i labirinti “unicursali”, lo scopo non è districarsi tra vari incroci, vicoli ciechi, corridoi che riportano sempre al medesimo punto (labirinto “multicursale”) bensì far percorrere una volta soltanto tutti i vari meandri. Voluta dopo voluta, il tracciato si avvicina e si allontana dal centro. Ritmicamente, quasi si trattasse di una danza, il sinuoso, armonico percorso conduce il viandante che vi entra, lungo un sentiero che potrebbe rappresentare l’allegoria del cammino della vita di tutti i giorni, ma pure dell’ardua ricerca della Verità con la lettera maiuscola. Che attende al centro e che ad Alatri è rappresentata da Cristo. I dodici cerchi concentrici neri rappresentano le muraglie (dobbiamo infatti immaginarci il labirinto come una struttura tridimensionale) che delimitano i corridoi; undici più il cerchio centrale, quello dove si trova il Cristo, tutti di colore bianco.

Aumentando la definizione delle foto ho scoperto pure il metodo utilizzato per realizzarlo. L’artefice ha tracciato prima la circonferenza centrale e le altre 23 ad essa concentriche. Il risultato doveva essere simile ai cerchi, altrettanto concentrici, della volta della cupola della “Rotonda” della “Spada nella Roccia” di Montesiepi. Poi, prima di colorarle di nero e di bianco, ha “tagliato” le circonferenze, creando angoli, meandri e corridoi. E dando al labirinto un aspetto cruciforme. A qualcuno ricorda una “Croce patente”, come quella presente sulla controfacciata di San Francesco.

La parete affrescata guarda a mezzogiorno, quindi l’entrata del labirinto si trova ad occidente (alla sinistra di chi l’osserva) e l’uscita è rivolta ad oriente. In pratica è orientato come la stragrande maggioranza delle chiese e delle cattedrali cristiane. Si entra provenendo da dove tramonta il sole, dalle tenebre, e ci si avvia nella direzione in cui sorge, verso la Luce.

E proprio una cattedrale, famosissima, mi è tornata alla mente, mentre osservavo il disegno del labirinto. Che, dal foglio sul quale lo avevo tracciato, a sua volta sembrava guardarmi, silente ed enigmatico. Come sempre. O, forse, quella sera un po’ meno.

Sono corso a prendere alcuni libri dalla mia biblioteca, li ho squadernati sul tavolo di lavoro ed ho trovato quello che cercavo.

Un’altro labirinto, celebre, enorme, percorso materialmente da moltitudini di fedeli nel corso dei secoli. Avevo davanti la pianta di quello che decora il pavimento della navata della Cattedrale di Chartres in Francia. E che corrisponde perfettamente a quello di Alatri.

Schema del labirinto di Chartres

Ho sovrapposto più volte i tracciati dei due labirinti e non c’è alcun dubbio. Prescindendo dalle dimensioni, in quello di Chartres il diametro del cerchio esterno è di dodici metri, e da alcuni particolari, che potremmo definire “licenze artistiche”, i due percorsi sono identici.

Le differenze riguardano il fatto che quello di Chartres ha il cerchio centrale a forma di “rosa esalobata”, gli angoli arrotondati (mentre quello alatrense ha gli spigoli netti), ed una sorta di “ghiera dentata” decora il cerchio più esterno.

Villard de Honnecourt, architetto francese della Piccardia del XIII, ci ha lasciato un notevole e davvero unico taccuino di appunti, conservato alla Bibliotheque Nazionale de France, dal quale si evince la vastità degli interessi artistici e culturali di questa sorta di Leonardo ante litteram. Conosceva la geometria e la matematica, che applicava alle costruzioni. Inoltre tra i suoi schizzi, in cui riporta figure umane, di animali, simboli, molti tratti da sculture e bassorilievi delle cattedrali gotiche, spicca la pianta del labirinto di Chartres, senza “rosa esalobata”, senza ”ghiera dentata” e con gli angoli non arrotondati”.

Tra l’altro, Pavat ha ricordato che esiste già un labirinto uguale a quello francese. “Dalla letteratura sull’argomento ero a conoscenza di un altro esemplare di labirinto preciso a quello francese. Si trova murato sulla facciata della Cattedrale di San Martino a Lucca”.

La conclusione, quindi, è una sola. Al mondo, esistono attualmente tre labirinti, Alatri, Chartres e Lucca, dal tracciato assolutamente uguale. Che cosa può significare questa incontestabile e straordinaria corrispondenza?

“Qualcuno nel XII secolo andava in giro per l’Europa, dal Basso Lazio alla Champagne, intento a realizzare, mediante pitture, sculture ed opere musive, labirinti identici? All’epoca” ha proseguito Pavat “soltanto due soggetti avevano le capacità ed eventualmente i motivi per farlo. I Cistercensi e gli Ordini monastico-cavallereschi, nella fattispecie i Templari. Se le cose sono davvero andate così, per quale ragione sono stati tracciati questi labirinti? Uno potrebbe essere (sempre che non ne siano esistiti altri) il modello originale ed i rimanenti due sono copie? E, quindi, chi ha copiato chi? Oppure l’esemplare primigenio, l’archetipo è celato altrove?”

Sono questi gli enigmi con i quali sono chiamati, d’ora in poi, a confrontarsi studiosi e ricercatori.

Nel proseguo, lo scrittore triestino ma ciociaro di adozione, visto che ormai da una decina d’anni vive nel Basso Lazio e lavora a Roma, ha messo in evidenza il legame che sembra esserci tra rappresentazioni del labirinto, soprattutto se “unicursale”, ed i luoghi sacri, meta di antichissimi pellegrinaggi.

Come appunto Lucca, e ancora, Pontremoli, Pavia, Piacenza (ma qui il labirinto non esiste più). E le stesse cattedrali gotiche francesi. “Dedicate alla Nostra Signora, le quali disegnano sulla superficie terrestre ciò che le stelle della Costellazione della Vergine tracciano in cielo.

Infine, ha concluso, subissato da applausi, avanzando alcune proposte sia di datazione che di attribuzione.

“A livello teorico, il labirinto di Alatri dovrebbe essere più antico di quello di Chartres, che la letteratura sull’argomento riconduce ai primi decenni del XIII secolo. L’Archetipo, l’Idea di un qualsiasi manufatto, normalmente precedono la realizzazione materiale dello stesso. Ebbene, un labirinto verticale non è stato fatto, ovviamente, per essere tangibilmente percorso. Rappresenterebbe, quindi, il concetto stesso di labirinto oppure il significato recondito ad esso attribuito. Ecco perchè il labirinto alatrense, verticale, precederebbe concettualmente e temporalmente quello di Chartres; orizzontale e percorso realmente dai fedeli nel Medio Evo. Inoltre, un labirinto “unicursale” testimonia una ideologia, una filosofia di vita, una professione di Fede, basate sul totale e fiducioso abbandono ad una volontà superiore. Certi, non soltanto della sua infallibilità, ma pure della sua infinita bontà e misericordia nel prendersi cura delle proprie creature. Convinzioni salde come una roccia. Tipiche degli appartenenti agli Ordini Monastici Regolari e a quelli Ospitalieri e Cavallereschi. In particolare i Templari”.

Una simile ipotesi ha trovato, in linea di massima, concordi anche gli ultimi due relatori della giornata.

L’archeologo prof. Giuseppe Fort, è una vera e propria istituzione in materia di scavi su siti appartenuti o attribuiti ai Cavalieri Templari. Romano ma di origini friulane, ha un curriculum scientifico di tutto rispetto ed è famoso per clamorose scoperte nel campo dell’archeologia medievale. Laureato in Lettere antiche indirizzo archeologico presso l’Università di Roma La Sapienza ed in Archeologia Medievale presso la facoltà di Conservazione Beni Culturali della Tuscia di Viterbo. Archeologo subacqueo, è docente presso l’UPTER di Roma. Direttore del Museo archeologico medievale di Capena “Torre dell’Orologio” e del settore archeologico navale del Centro Studi Marittimi presso il Museo del Mare e della Navigazione Antica di Santa Severa. Responsabile settore studi e archeologia della Accademia Templare d’Italia. Responsabile del Progetto Castelli del Ghana con UPTER, American University of Rome e Ministero Affari Esteri del Governo Italiano. Direttore del cantiere di ricerca del Gruppo Archeologico del Territorio Cerite di Castel Campanile, nel comune di Fiumicino. E’ responsabile del settore storico–archeologico dell’Accademia Templare Italiana dell’OSMTH. Direttore del progetto Castelli Templari in Terrasanta dell’OSMTH.

Ha appena presentato al sindaco Enrica Iorio ed all’Amministrazione Comunale del piccolo centro ciociaro di Villa S. Stefano un ambizioso progetto di scavi archeologi da realizzare presso l’antichissima chiesa diruta di S. Giovanni in Silvamatrice, di cui ci siamo già occupati anche nel nostro sito.

Fort ha analizzato non solo l’affresco con il “Cristo nel labirinto” ma tutto l’apparato pittorico ed iconografico presente nel cunicolo (Ci sono “Fiori della Vita”, “spirali”, Triplici circonferenze”, “sfere”, “stelle”). Indicandolo, senza alcuna ombra di dubbio, come medievale e cristiano. Stroncando così, definitivamente “tesi fantasiose che ancora circolano, come quella che lo attribuisce ad una fantomatica setta eretica giudaico-cristiana del I secolo d.C.. Ma al contempo ci parla di un cristianesimo esoterico, non nel senso che si attribuisce oggi alla parola, tipico dell’elite presente ai vertici dell’Ordine dei Cavalieri Templari”.

Sostanzialmente d’accordo anche Adriano Forgione.Il quale dopo aver confermato l’importanza della scoperta di Giancarlo Pavat. “È un ottimo ricercatore e si deve a lui se il labirinto e il Cristo che è all’interno, oggi stanno richiamando la giusta attenzione nazionale”, ha espresso il proprio punto di vista

“La mia è un’ipotesi basata sul fatto che le decorazioni a corredo del labirinto, come i fiori a sei petali (chiamati appunto “Margherita Templare” o “Fiore della Vita”) e i tripli cerchi, sono decorazioni tipiche impiegate dai Templari nelle loro costruzioni. In Italia e in Francia ce ne sono ancora moltissimi esempi. Inoltre, nell’ambiente del labirinto di Alatri, le decorazioni sono particolarmente curate, precise, geometricamente perfette (per quanto riguarda labirinto e margherite templari) segno di un edificio importante e di una vera e propria scuola di decoratori all’opera e questo richiedeva anche molto denaro. I Templari questo denaro lo avevano. Inoltre va detto che queste decorazioni sono tipiche degli ossari cristiani di Gerusalemme del I secolo. Potrebbero essere stati proprio i Templari a volere tali decorazioni, in quanto portarono con loro da Gerusalemme, tra le altre cose, anche questo bagaglio culturale. Circa il significato della correlazione con Chartres, è necessario approfondire gli studi, ma è possibile che la committenza di entrambe le opere fosse appartenente ad un medesimo Ordine oppure che gli architetti che progettarono le due opere impiegassero le medesime conoscenze. Devo sottolineare che sebbene le cattedrali gotiche come Chartres non furono erette dai Templari, di certo la loro costruzione fu finanziata da quest’Ordine, e dunque le decorazioni interne (statue, mosaici, pavimenti ed affreschi) potrebbero essere state richieste proprio dai Templari; nello specifico il Labirinto e molti segnacoli di una conoscenza che all’epoca in Europa non esisteva. E’ ancora troppo presto per avere risposte certe. Quella dei Templari è certamente al momento soltanto una ipotesi, ma  suffragata da buoni indizi”.

Al termine sono state distribuite le copie della pubblicazione dedicata proprio al labirinto ed alla scoperta di Pavat, scritta da lui stesso ed edita dal Comune di Alatri, con una prefazione del dottor Giulio Rossi, assessore alla cultura. Poi il pubblico, assieme ai relatori ed al sindaco è sciamato verso piazza Regina Margherita, dove si apre l’ingresso al Chiostro di San Francesco, per poter ammirare con i propri occhi l’affresco con il “Cristo nel labirinto”.

Le fotografie sono di Adriano Leo, Tommaso Pellegrini.

I due disegni dei labirinti di Alatri e di Chartres sono di Giancarlo Pavat.

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