Finis Gloriae Mundi-J.V.Leal
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Ermando Danese

  FINIS GLORIÆ MUNDI

                                2allegor.jpg (124253 byte)

Senza dubbio è bene spiegare la bella dimora filosofale dell’Ospedale della Santa Carità di Siviglia, tramite l’interpretazione magistrale dell’Adepto che si presenta sotto il nome Fulcanelli.

Nel periodo in cui visse Juan de Valdés Leal, l’inquisizione spagnola (fondata nel 1478 e soppressa soltanto nel 1833) prendeva di mira propriamente i cosiddetti “illuminati” (alumbrados).

«La Spagna esaltava l’inquisizione» scrive l’Adepto «infiammava gli animi di fede e perseguiva con lo stesso rigore i suoi saggi ed i suoi mistici. A dispetto di ciò, e come nel resto dell’Europa, fiorirono scuole di alchimisti in Santiago de Compostela ed a Siviglia; tuttavia dovettero operare in una clandestinità quasi totale, perché lo Stato non li proteggeva contro un’accusa di stregoneria o di eresia che immediatamente avrebbe condotto al rogo o alla prigione. Pertanto non troveremo né in Galizia né in Andalusia quelle composizioni mitologiche o simboliche che ci siamo rallegrati di decifrare ne Le dimore filosofali. Gli artisti spagnoli e specialmente Juan de Valdés Leal trasmisero i segreti dell’Opera attraverso temi religiosi e, più raramente, picareschi. Finis Gloriae Mundi rappresenta, senza alcun dubbio al riguardo, il messaggio più finito della scuola ermetica sivigliana».

L’Alchimia ha posseduto sempre una doppia conoscenza esoterica, sia per l’insegnamento spirituale sia per quello fisico, contemplando nello stesso tempo la dottrina del Chiliasmo riguardante la fine del mondo e, per l’appunto, il dipinto di Juan de Valdés Leal rivela l’alta scienza nella sua integrità.

Leggiamo ora la descrizione del quadro simbolico fatto dal nostro Adepto:

«Al di sopra di un sepolcro giacciono, in bare aperte, tre corpi in differenti stadi di apparente decomposizione, le nuvole si aprono su una mano elegante e quasi femminile segnata dagli stigmi della Passione, questa mano regge una bilancia i cui due piattelli straripanti si equilibrano, essi sono segnalati con le parole: né più né meno.  

Davanti ad una scala debolmente illuminata che sembra salire verso un mondo più accogliente, magari lo stesso mondo dal quale esce la mano fatidica, la civetta di Minerva veglia la metamorfosi dei cadaveri. In primo piano giace un vescovo con cappa e mitra d’oro molto pallido, quasi bianco, che ancora mantiene il suo bastone d’oro tra le sue mani incrociate sul petto, mentre il velluto scarlatto che copre la bara si strappa e comincia a lasciar vedere il legno di rovere del quale è fatto. In secondo piano, ai piedi del primo personaggio, riposa un cavaliere che, come testimonia la bandiera che lo copre, appartenne ad una degli ordini religiosi militari, Calatrava, San Juan o Santiago che furono, tanto in senso figurato, avamposto della Riconquista. La terza bara, completamente sul fondo, non contiene altro che un scheletro senza attributi, ai piedi del quale si ammucchiano ossa e crani slogati. Davanti al vescovo, un filatterio serpeggia negligentemente al suolo e porta queste parole: Finis Gloriae Mundi. L’insieme della scena è ricoperto da una luce purpurea che, più che illuminare, appena tinge le nuvole fuligginose nelle quali si fondono le pareti del sepolcro».

Questo sepolcro non è altro che una variante ermetica del sotterraneo della cattedrale di Chartres.

«Notre-Dame de Sous-Terre, la Virgo Paritura» scrive Jean Markale «è l’eterna partoriente di un mondo in divenire, di un’umanità che diviene. Con questo scopo preciso, i costruttori della cattedrale di Chartres hanno proiettato verso il cielo le linee architettoniche di forza che sorgono dalle tenebre della grotta, dove Dio si è manifestato nella materia improntandone le vie, come testimonia la Vergine dagli occhi chiusi.

Quando aprirà gli occhi, il mondo sarà forse quello che i profeti e i druidi del tempo antico avevano scorto negli astri, un mondo che non conoscerà più violenza, né odio, né ingiustizia, né morte».

Nel nostro quadro filosofico, Dama Natura la ritroviamo nella mano femminile che regge la bilancia. Gli stigmi della Passione che la segnano indicano le sue mistiche sofferenze.

«La creazione stessa» scrive San Paolo «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto[1]».

 

Per quanto concerne l’insegnamento sul compimento della Grande Opera, il nostro Adepto scrive che nel dipinto «vediamo un vescovo, un cavaliere ed un uomo senza attributi particolari che dobbiamo supporre contadino o artigiano: stiamo davanti ai tre ordini: oratores, bellatores e laboratores. In essi leggeremo l’allegoria delle tre operazioni che finiscono l’Opera nella materia: raccolta dello spirito celeste, combattimento delle due nature, umile lavoro nell’oscurità, ognuna delle quali ha bisogno della virtù di ognuno dei tre stati.

Gli abiti liturgici che veste il vescovo non si portano che in due epoche, Natale e Pasqua, la nascita del bambino e la resurrezione che trascorrono entrambe nel seno della nerezza di una grotta. I Padri greci della chiesa stabiliscono già l’analogia tra la tomba e la nascita, le fasce che avvolgono il neonato e quelle che mantengono il sudario. In Natale, Dio muore per nascere uomo limitato; durante la Settimana Santa questo ultimo muore affinché nella mattina di Pasqua sorga nella sua perfezione l’uomo-Dio».

 

Al riguardo della tradizione del Chiliasmo, troviamo nella grotta mistica il divenire proprio di Madre Natura. La grotta parte dall’oscurità e viene verso la luce. La civetta, sacra a Minerva dea della Sapienza, perché il suo sguardo penetra l’oscurità, ci dona la chiave. La parte superiore del suo corpo è illuminata. La psiche dell’uomo si evolve, riesce a vedere sempre di più. Le ossa e i crani slogati, posti nell’oscurità, sono emblemi parlanti delle civiltà scomparse. Il cadavere più in fondo alla grotta, anch’esso nell’oscurità, rappresenta il medioevo dal quale proviene la civiltà attuale.

«La scala è vigilata dalla civetta di Minerva» scrive l’Adepto «con questo Juan de Valdés Leal suggerisce che, ad una maggiore scala, i processi alchemici si applica alle società umane, rivelazione che allora non poteva osarsi bensì sotto il manto di una meditazione religiosa. Questo ultimo segreto di Hermes, l’applicazione dell’arte alle società umane, non doveva svelarsi mai, né perfino nella trasmissione orale del Maestro all’apprendista, prima che l’artista non l’avesse scoperta con l’osservazione minuziosa del suo crogiolo e della Natura».

La luce che illumina i due cadaveri in primo piano è una luce naturale, è la capacità di vedere dell’umanità attuale. «La bara del vescovo» continua l’Adepto «è tappezzata con un tessuto il cui colore rosso potrebbe evocare la Pietra filosofale e che tuttavia si disfa in brandelli» La religione comincia a perdere inesorabilmente il suo vestito di sacralità e mostra il suo contenuto. Il colore rosso della Pietra, o della Verità, è un colore posticcio, è solo un pretesto per l’Arte.

Leggiamo ancora quanto scrive l’Adepto:

«I piattelli della bilancia sembrano perfettamente equilibrati, benché uno sguardo attento scopre un leggero soprappeso in quello di destra che contiene i simboli liturgici, e è sospeso sopra al corpo del cavaliere. Perché qui i simboli sono incrociati: sul vescovo vediamo i simboli della cavalleria, elmo, cane e gioielli marcati con un cuore scarlatto, mentre sopra al cavaliere distinguiamo una stola, un pane incominciato, un libro, un mortaio di vetro col suo maglio, ed un cuore rosso sormontato dalla croce. Questo cambiamento di piattelli nel momento della pesata dei cuori e la disposizione invertita dei due personaggi designano una via molto poco evocata negli scritti alchemici, al che noi stessi non dedichiamo altro che scarse allusioni, conosciuta come via reale. Raimundo Lullo, consacrando l’Ars Brevis non descrive altro che i suoi principi e in maniera particolarmente oscura».

Il peso del cuore sarà, dunque, determinante. Il piattello della bilancia con i simboli religiosi comincerà a pendere verso il cavaliere. L’umanità comincia a vedere, a rendersi conto. San Paolo fa notare che «colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: “Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi[2]».

L’umanità ha quindi bisogno di un cavaliere che lo elevi dal suo stato. Egli, incarnando la stessa umanità, assumerà i simboli precedentemente posseduti dalla religione.

«L’asino, nell’Arte del Vasaio di Cipriano Piccolpasso» scrive Canseliet «tirando la ruota fa girare il mulino allo stesso modo di un secondo uomo che, vestito riccamente ma scomodamente, aziona altrove in maniera del tutto diversa. Sono le figure 66 e 69 che illustrano il testo. Lì a margine segnammo in nota l’osservazione di Fulcanelli:

“Un monarca, un principe o un ricco personaggio questa volta fa girare la macina dopo l’asino”».

Tutto questo è stabilito nella via secca. San Paolo, parlando a questo riguardo di Dio, assicura che «non certo a degli Angeli egli ha assoggettato il mondo futuro, del quale parliamo[3]».

Canseliet ci assicura che l’interruzione del terzo libro di Fulcanelli, fu causata dall’interpretazione dell’allegoria ermetica della virtù dei due battesimi secondo le parole di San Giovanni Battista:

«Ricordiamo le parole di San Giovanni Battista, che indicano con precisione le due grandi purificazioni; qualche appunto riferito a esse e restato nella cartella vuota dell’importante lavoro interrotto, mostra come quelle parole abbiano potuto, con la loro eventualità dubbiosa, prima fissare l’attenzione del Filosofo e poi decidere il mutismo dell’Adepto».

È quanto troviamo nel Deuteronomio (XXXIV, 4):

    «Il Signore disse a Mosè: “Questa è la Terra che ho promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe dicendo: ‘Alla tua posterità la donerò’. Te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi ma tu non vi entrerai”».

Inoltre, siccome i piattelli della bilancia non sono perfettamente equilibrati, le parole NIMAS NIMENOS (ni más ni menos) né più né meno, perdono il loro valore primitivo e acquistano un secondo significato, ciò riguarda il tempo, cioè che vi sarà un’età stabilita.

«Nell’Età dell’Oro» scrive Fulcanelli «l’uomo rinnovato ignora qualsiasi religione, e ammira le opere Divine senza manifestazioni esteriori, senza riti e senza veli».

Questo tempo stabilito lo troviamo pure nell’Apocalisse (X, 1 e segg.):

    «Vidi poi un altro angelo possente discendere dal cielo. La sua faccia brillava come il Sole. Egli aveva in mano un libro aperto, e pose il suo piede destro sul mare e il sinistro sulla terra. Poi alzando la mano destra verso il cielo giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli, che non vi sarà più dilazione di tempo. Ma al suono della tromba il mistero di Dio sarà compiuto, secondo quanto ha annunciato ai suoi servi, i profeti».

   

Infine, per le parole portate dal filatterio posto davanti al vescovo, e che dà il titolo al quadro (Finis Gloriae Mundi), l’Adepto ricorda:

«Non sta scritto che nessuno sa il giorno, né l’ora, ma solo il Padre che sta nei cieli? Se, come abbiamo scritto, conviene arrivare all’ultima ora con sangue freddo, non abbiamo raccomandato mai di spaventare i Paesi con stupidate né datare con un’ora completamente umana la fine dei tempi».

Il profeta Isaia (II, 12 e segg.) ci assicura che solo il Signore sarà esaltato in quel giorno:

«Poiché ci sarà un giorno del Signore contro ogni superbo e altero, contro chiunque si innalza ad abbatterlo; contro tutti i cedri del Libano alti ed elevati, contro tutte le querce del Basan, contro tutti gli alti monti, contro tutti i colli elevati, contro ogni torre eccelsa, contro ogni muro inaccessibile, contro tutte le navi di Tarsis e contro tutte le imbarcazioni di lusso. Sarà piegato l’orgoglio degli uomini, sarà abbassata l’alterigia umana; sarà esaltato il Signore, lui solo in quel giorno e gli idoli spariranno del tutto».

 

La dimora filosofale dell’Ospedale della Santa Carità di Siviglia non si ferma qui, come è stato detto, il suo insegnamento diplomatico riguarda pure quello fisico. Lo si ritrova nella bara del vescovo, nei crani, nella civetta, ecc. L’Adepto scrive al riguardo:

«Che ragione ha Juan de Valdés Leal di concedere un posto centrale del suo quadro alla ponderazione, né più né meno?

Sottolineiamo che la civetta si mantiene all’altezza dei piattelli della bilancia divina. Juan de Valdés Leal insiste sulla necessità dell’equilibrio, di una regolazione dei processi, e la mano celeste che sostiene la bilancia indica chiaramente che questa regolazione deve venire dalla cosa alta, della parte già sublimata della materia, dell’uomo, o della Natura, dato che benché la mano porti gli stigmi della Passione, sembra la mano di una donna. La Natura allora, quando compie la sua Pasqua, sta nella sua perfezione. Ma qui risiede un arcano temibile che ancora è inopportuno svelare più chiaramente. 

Non ha conseguenze che gli uomini di scienza, contrariamente a questa prudenza completamente filosofica, abbiano lasciato il controllo della sua opera ai nuovi principi della politica? Gli Adepti del passato misero sempre in guardia i loro discepoli contro l’appetito di ricchezze e potere dei re.

È quello che hanno scoperto durante questo secolo i sapienti atomisti. Non li insulteremo per avere cercato di leggere le foglie più interne del Liber Naturae, ma ci sembra straordinariamente deplorevole che la loro prima preoccupazione sia stata la messa a punto della bomba A.

Non ignoriamo la necessità di preservare i pochi segreti ultimi che continuano ad essere oscuri per la scienza profana e non abbiamo l’intenzione di facilitare il lavoro ai cacciatorpedinieri, ma per obbedire allo spirito che incoraggiava gli antichi filosofi, nei tempi attuali esigono, più che lettera morta, parlare alto e chiaro. Quando il ladro sta già nella casa a niente serve mettere catenacci alle porte.  

Il segreto diventa un manto di ombra col quale si avvolgono chi, eludendo le precauzioni degli alchimisti del passato, hanno decifrato gli indizi che lasciarono, grazie ai lavori degli atomisti ed i biologi. Mentre le equazioni di questi ultimi ed i simboli mitologici degli antichi Adepti non sono compresi bensì che da un pugno di uomini, quei banditi si prenoteranno il potere che dà la comprensione delle cause e ridurranno i Paesi alla peggiore delle servitù, quella dell’anima. La sua casta orgogliosa tratta di regnare con una forza inespugnabile, circondata da quella che Sir Winston Churchill chiamava “una muraglia di bugie”. Scrivere in lingua oscura fortificherebbe i suoi maneggi; il dovere di un alchimista consiste oggi di rivelare quello che i ladri hanno rubato e proporzionare alle sue vittime i mezzi per assicurare la sua propria salvaguardia».  


[1]Lettera ai Romani, cap. VIII, vv. 19 e segg.

[2]Lettera agli Ebrei, cap. II, vv. 11-12.

[3]Lettera agli Ebrei, cap. II, v. 5.

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L' immagine ingrandita del dipinto è  tratta da http://www.wga.hu/index1.html