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KIEV, UNA CITTA’ DA SPETTACOLO di Aldo C. Marturano°
da "RASDRABLIENIE, PICCOLA STORIA DI KIEV", Atena 2006

E’ il 1028 e Jaroslav riprende le sue funzioni a Kiev, benché si muova adesso con molta più attenzione di prima. Non abuserà troppo, infatti, dell’altisonante, ma usurpato, titolo di Principe Anziano (è la traduzione più attinente del russo Velikii Knjaz) poiché potrebbe urtare i sentimenti di suo fratello e del cugino di Polozk provocando nuove beghe private, ma si dedicherà a favorire i commerci e i mercanti stranieri a più non posso… purchè trattino tutto e sempre da una base permanente con sede a Kiev! E così cominciano gli anni di crescita della grande capitale del sud.
Jaroslav, da tempo, ha capito di trovarsi nella città più importante di tutte le Terre Russe e forse anche del resto dei territori non russi vicini, vista la sua posizione geografica. Perciò è intenzionato a sfruttare la situazione nei confronti degli Imperi Romani d’Oriente e di Occidente con i quali può stipulare accordi vantaggiosi (questo poi è il suo primo interesse!) e, una volta acquistata una propria autorità, Mstislav sarà costretto a riconoscerlo in ogni momento come il maggiore ed unico sovrano delle Terre Russe. Occorre perciò al più presto instaurare i contatti con l’estero… 

Busto di Jarolslav il Saggio ricostruito da Gherasimov sulla base del cranio ritrovato nella tomba


Inviterà ospiti importanti e manderà numerose missioni in l’Europa per sollecitare alleanze di ogni tipo, spacciandosi per il più potente sovrano russo, allo scopo di ottenere un riconoscimento internazionale. Perché non viaggiò lui stesso per l’Europa? In realtà sembra che il suo handicap fisico (zoppicava!) lo condizionasse e la sua posizione momentaneamente incerta di Velikii Knjaz anche. Deciderà quindi di rimanere a Kiev per il resto della sua vita e ricevere lì gli altri potenti suoi pari… 
Si dice persino che non indicesse più così frequentemente grandi banchetti come aveva fatto suo padre giacché non amava mostrarsi in pubblico… traballante! Da grande imbonitore qual era però, gli occorreva un palcoscenico e un teatro giusto per un pubblico internazionale di una certa levatura.
Dalle intense esperienze fatte, di guerre di vittorie e di sconfitte, di conoscenze con regnanti potenti e famosi, una volta ambientatosi nel terem di suo padre, si mise a ripianificare questo particolare territorio di Kiev in modo che tutti, dal più importante dei suoi notabili fino all’ultimo dei suoi contadini lo vedessero, primi di ogni altro, come il loro proprio e magnifico padrone.
Già era stato liberato dall’ambiguo Anastasio, il vecchio vescovo che suo padre si era portato da Chersoneso in Tauride e fuggito al seguito di Boleslao in Polonia con tutto quello che aveva potuto arraffare nella Chiesa della Decima costruita proprio per lui, oltre che per fare da cassaforte al principe. Insomma era finalmente libero di agire per consolidare la propria situazione anche con la Chiesa.
Prima di proseguire, diamo una breve un’occhiata a questo stato in fieri, detto Rus’ di Kiev, che in quel momento è letteralmente a pezzi perché composto di uomini, donne e bambini sparsi in microvillaggi intorno alle grandi città, ma ancora “invisibili” nella nostra storia.
Noi abbiamo raccontato finora, infatti, la storia dell’élite al potere, mentre del resto della popolazione che viveva all’interno di questo stato abbiamo detto poco. La ragione? Perché anche noi sappiamo pochissimo o niente di loro, salvo la notizia di qualche rivolta nella città di Kiev, di cui diremo, o qualche voce di opposizione in altre città riportate nelle Cronache. Come mai? Eppure una nazione è formata non solo da chi comanda, ma anche da chi è comandato e questi sono di solito la maggioranza. 
Tentiamo qualche riflessione. 
Una nazione come gruppo di uomini ha un bisogno fondamentale: i suoi abitanti devono nutrirsi per vivere e riprodursi… Da tempo immemorabile in quasi tutta l’Europa l’agricoltura era la maggiore industria di produzione “in serie” di cibo e anche la Pianura Russa non faceva eccezione con i contadini maggiori produttori di derrate alimentari. Questi uomini, donne e bambini erano sparsi in comunità formate da microscopici villaggi lontanissimi dalle città, oltre che uno dall’altro, che facevano capo ciascuno ad un patriarca capofamiglia e il loro prodotto di solito era in quantità appena sufficiente al sostentamento dei componenti della comunità e… basta! L’eccedenza, quando c’era, veniva scambiata nei mercati che le stesse comunità organizzavano in comune, contro altri prodotti, principalmente arnesi per il lavoro o altri articoli di vestiario o voluttuari di piccolo valore. Inoltre, la situazione delle comunicazioni di quel tempo non consentiva a nessun contadino di spendere giornate di viaggio per recarsi al mercato più grande della città vicina per lucrare meglio sulle proprie eccedenze e trasformarsi in un mercante e quindi la campagna rimaneva un mondo chiuso, non solo sconosciuto ai più, ma anche completamente (e volutamente) autosufficiente, sebbene ignorato dal potere che risiedeva nella città… 
Tuttavia il prodotto agricolo era fondamentale per la vita dell’élite e questa doveva aver la sicurezza di poter contare su di esso regolarmente. Ai tempi della nostra storia si giunse al punto di costringere il contadino a produrre di più in ogni caso perché d’ora in poi ci sarebbe stato un prelievo “obbligatorio” (in russo dan’) destinato al mantenimento dell’élite e dei suoi servitori che si trovavano nelle città! 
Come giustificare questa nuova organizzazione dei rapporti sociali (o cleptocrazia)? Semplice! L’élite, benché mascherata successivamente come “gente santa” dalla propaganda della Chiesa, rimane una banda armata che si arroga la “protezione” fisica dei contadini e delle loro comunità… dalle altre bande! Quali, se ci sono solo i rapaci Rjurikidi? Da fantomatiche bande “esterne”! 
Con questo ruolo il signore di Kiev, nel passato, partiva di qui coi suoi armati d’inverno, mentre il contadino era in quiescenza stagionale e perciò sicuramente presente nel villaggio, e si dirigeva nelle campagne circostanti. Il territorio, essendo ghiacciato, era meglio praticabile e più velocemente percorribile. Questo viaggio circolare nei territori soggetti era detto in russo poljudie e conseguiva tre scopi principali: 1. Dimostrare che il signore era vivo e operante e pronto a punire chiunque non si assoggettasse alle sue pretese 2. Assicurarsi il tributo (compresi i giovani in più che l’economia contadina non poteva sfamare e che quindi offriva come schiavi o servitori o come mogli e concubine) e la fornitura degli oggetti d’artigianato e 3. Dimostrare la “giustezza” di mantenere in buona salute il signore visto che in queste occasioni di “visita” costui, con la sua ampia e autorevole possibilità di riferirsi al passato, assurgeva addirittura a giudice supremo dirimendo liti e problemi locali con sentenze definitive (sempre a pagamento!).
Il poljudie tuttavia era stato superato già al tempo di Olga, la nonna di san Vladimiro, la quale, assistita da consulenti greci, aveva organizzato una rete di suoi rappresentanti locali che potevano agire, conoscendo le leggi e i costumi dei villaggi, meglio di chiunque altro, per far continuare senza interruzioni le operazioni di prelievo del tributo ed evitando che il signore mettesse a repentaglio la proprio vita in un così lungo viaggio (durava da ottobre fino ad aprile!). Il signore si sarebbe fatto vedere occasionalmente, magari in occasioni di feste popolari o di battute di caccia…
La raccolta del tributo dunque non cessò, ma si istituzionalizzò inasprendosi ed ora diventava un obbligo personale portarlo direttamente alla postazione di raccolta (pogost’) dove faceva capo il rappresentante locale del potere kieviano, pena la “razzìa” e la deportazione per gli inadempienti! Di qui le rivolte…
Il tributo poteva essere grosso modo diviso in due porzioni, una volta nelle mani dell’élite: Una parte era destinata al consumo diretto (cibo, vestiario, suppellettili etc.) e l’altra, la più importante!, destinata all’esportazione giacché la Pianura Russa era la grandissima fornitrice di materie prime e di semilavorati per tutto il Mediterraneo e il Medio Oriente in quei X-XI sec. Dunque i mercanti itineranti o i loro mediatori (di solito ebrei o armeni) avevano il loro bel daffare sia a Kiev sia a visitare regolarmente tutti i villaggi per ordinare manufatti e semilavorati presso le famiglie contadine (sempre attraverso i bojari padroni delle terre e protetti da questi) promettendo di scambiarli con merci nuove e utili.
Da questo quadro sommario si capisce subito che il sistema tributario stava diventando oppressivo e che l’accumulazione delle ricchezze avveniva esclusivamente presso l’élite al potere, enorme, incessante e abbastanza rapida! Che succedeva però, come era il caso frequente, quando si avevano catastrofi naturali come le pestilenze o le carestie o le razzie di predoni sfuggiti alla non sempre efficiente “difesa” organizzata dal signore? Sicuramente il signore aveva tutti i mezzi migliori per affrontare e superare queste disgrazie, ma il contadino? Non si sentiva forse abbandonato a se stesso? E come reagiva?
Oggi di solito c’è un sentimento nazionale ormai antico (d’un centinaio d’anni) che tiene insieme le nostre comunità, grandi e piccole. Il signore e padrone, quando c’è, non ha più tutti i poteri di una volta… Inoltre, lo stato-nazione odierno si preoccupa che il giro (turnover) produzione-esazione e raccolta del tributo (le tasse) si chiuda attraverso l’erogazione di servizi “dovuti” al cittadino, ma a quei tempi, oltre alla funzione dell’esercizio della giustizia, l’unico servizio che l’immaginario stato forniva al supposto suddito era la difesa militare del territorio dai nemici esterni, reali o addirittura inventati dalla stessa élite secondo i propri disegni politici. Ed allora dopo sconfitte militari o inutili guerre fra i principi stessi, come giustificare il proprio ruolo? E l’élite locale a contatto più intimo con i villaggi più sperduti come si comportava?
Un’altra domanda ci sorge spontanea: La comunità del villaggio, vista la sua grande distanza (sociale e culturale) dalle città, si sentiva parte della Rus’ di Kiev oppure no? Come percepiva la “sua” nazione? Che cosa provava, oltre alla paura, per il “proprio” signore e padrone? Odio, rispetto o qual altro sentimento?
Con queste domande, che lasceremo per il momento in sospeso, riprendiamo il nostro racconto perché siamo sicuri che troveremo la risposta negli eventi…
Jaroslav dunque deve aver avuto sentore di minacce “interne” a questo punto molto pesanti e perciò si mise al lavoro in tutta fretta per costruire uno stato forte, visto che suo padre aveva cercato di farlo, senza in realtà esserci riuscito.
A chi far capo per i giusti consigli? Sicuramente ai soliti ed esperti preti greci o ai loro colleghi bulgari che da anni frequentavano Kiev! E come sceglierli fra i tanti membri delle gerarchie ecclesiastiche? Scoppierà così un’intesa ferrea fra il Monastero delle Grotte (Pecèrskaja Lavra), a pochi passi fuori Kiev, e Jaroslav… 
San Vladimiro aveva destinato al mantenimento della Chiesa e del suo “servizio ideologico” la solita decima delle entrate dei traffici, costruendo l’enorme chiesa (copriva, prima della distruzione, ben 1500 mq.!) dove questa decima veniva raccolta e ben custodita e per questo conosciuta in città col nome di Chiesa della Decima (in realtà dedicata alla Santa Madre di Dio). Jaroslav naturalmente rinnovò questo “contratto” salvo il problema (che rimase insoluto) che la decima era difficilissima da calcolare, data la mancanza di conti regolari nelle casse del principe. 
Che ne faceva la Chiesa di questa decima? E’ presto detto. 
Naturalmente c’era da pagare la cospicua prebenda al Patriarcato di Costantinopoli che garantiva il funzionamento dell’apparato con la fornitura e la messa a disposizione di personale qualificato, di archivi scritti e leggi riconosciute come uniche e sante. Poi c’era da mantenere in funzione tutta la liturgia e i suoi apparati sacri, i vestiti e le suppellettili, la costruzione e la manutenzione dei templi e dei preti relativi, l’organizzazione delle scuole dei monasteri (le sole istituzioni culturali immaginabili a quei tempi!) sebbene quest’ultima fosse alimentata dalle larghe donazioni dei ricchi padri dei discenti. La Chiesa era entrata immediatamente in funzione dopo il battesimo di Kiev e la colonizzazione ideologica della campagna e dei diversi popoli che l’abitavano era pienamente in atto in quegli anni, sebbene fortemente contrastata dalle vecchie tradizioni pagane! 
Quest’operazione di acculturazione fu relativamente costosa, ma impegnava l’apparato a lunghissimo termine perché richiedeva un capillare controllo, la suddivisione di un territorio in grandissima parte sconosciuto e la conduzione affidata a gente che sapesse fare il suo lavoro come solo un clero educato secondo gli standard bizantini poteva garantire. Al principio addirittura il prete greco (pop), era accompagnato, oltre che dagli interpreti (si sceglievano ove possibile anche popy bulgari che parlavano una lingua accessibile ai russi), da uomini armati, vista l’opposizione della gente che vedeva distruggere il proprio tessuto sociale dalle nuove regole… Sono dunque tante le spese che il potere, diviso fra Chiesa e Stato, deve sostenere affinché lo spettacolo della sua esistenza si svolga senza sosta. E lo spettacolo è importantissimo per la gente comune perché con esso, assistendovi e plaudendo, l’uomo semplice vedeva l’unico evento sul quale regolare il ritmo della propria esistenza!
Logicamente Jaroslav fu il primo attore su questo palcoscenico e, come sarà costume della sua dinastia, non si curò più della produzione o della vita nei villaggi, ma pensò soltanto ad ostentare potere e ricchezza abbellendo la propria capitale e mantenendo un livello di vita personale, il migliore possibile.
Se a Kiev c’è un principe al di sopra di tutti gli altri, ci deve essere anche un’autorità religiosa al di sopra di tutte le altre. Proprio come a Costantinopoli!
Purtroppo non sappiamo quando Kiev divenne ufficialmente una Metropolia. Le Cronache informano che Anna di Bisanzio, la nuova moglie di san Vladimiro aveva portato con sé tutto un gruppo di ecclesiastici fra cui il probabile Vescovo di Kiev a nome Michele. In seguito però, benché fra il 1018 e il 1023 sia nominato un vescovo Giovanni, solo qualche momento prima del 1030, quando si mette mano alla costruzione della più grande chiesa del mondo cristiano di quei tempi dopo quella di Costantinopoli, si nomina l’Arcivescovo Metropolita Teopempto, evidentemente mandato dall’Imperatore insieme con la squadra di ingegneri bizantini che Jaroslav aveva richiesto per progettare la sua nuova Kiev! 
Per la verità anche Mstislav avrebbe voluto che la sua Cernìgov fosse pari a Kiev in magnificenza e opulenza e addirittura i contatti con Bisanzio erano ancora più stretti di quelli più opportunistici di Jaroslav. Non dimentichiamo, infatti, che l’impresa di Mstislav in Crimea (di cui abbiamo parlato prima) era stata concordata proprio con l’Imperatore Basilio II, padrino di battesimo di san Vladimiro! 
Cernìgov però non otterrà né Metropolita né Arcivescovo, sebbene si costruisca comunque con la speranza di far concorrenza con le proprie chiese a Kiev. A Cernìgov la disponibilità finanziaria rimane più modesta e la locale Cattedrale della Trasfigurazione è più che altro un’imitazione della Chiesa della Decima. 
Dobbiamo dare atto perciò a Jaroslav che i suoi sforzi veramente titanici hanno maggior successo… benché non sia molto chiaro dove poi trovasse tutti quei soldi per realizzare i suoi grandiosi progetti!
Vediamo allora come Kiev si trasforma nel grande palcoscenico del potere. 
I tecnici bizantini giunsero, studiarono il terreno e i materiali e fecero le loro scelte. 
Era richiesto il rifacimento di tutta la città alta specialmente dalla parte che guardava il piccolo affluente Kijanka a nordest? Bene! Il terem di Vladimiro fu ingrandito di tal misura che nel cortile adesso si potevano tenere i banchetti periodici per l’intera popolazione della città (aggirantesi intorno a varie decine di migliaia di anime) e in gran comodità per tutti. La Chiesa della Decima fu lasciata naturalmente intatta col suo scenario dei cavalli di bronzo “scippati” ai greci di Chersoneso, ma, come abbiamo detto, non bastava alle aspirazioni di Jaroslav e serviva un tempio ancor più sontuoso… 
Si spianò perciò ancora del terreno verso il lato del Kresc’ciatik, cioè verso sudovest, e si ricavò un piazzale tre volte più grande della vecchia “Città di Vladimiro” dove la nuova chiesa, pomposamente e orgogliosamente dedicata alla Sapienza del Signore o Santa Sofia, trovò infine la sua collocazione!
Ci vollero circa 20 anni, ma ne venne fuori un tal complesso monumentale che il vescovo di Brema, Adalberto, che probabilmente lo vide coi suoi occhi, giudicò che Kiev potesse essere considerata “…la rivale per lo Scettro di Costantinopoli, il più bell’ornamento della Cristianità Greca (clarissimus decus Graeciae)…” Un bel giudizio! 
E allora, secondo noi, vale la pena di dare una descrizione seppur sommaria e non troppo particolareggiata di questo grande monumento della Rus’ di Kiev che è la Cattedrale di Santa Sofia, visto che fu la costruzione dalla quale il complesso ricavava tutta la sua magnificenza!
La squadra bizantina per prima cosa si rese conto di non poter utilizzare gran che delle pietre ornamentali locali. Benché si organizzassero trasporti di marmo dal Mar di Marmara, visto che le cave dei Carpazi erano troppo lontane e poco accessibili e che il basalto locale era troppo duro da tagliare, si ricorse alla pietra “fatta dall’uomo” e cioè al mattone cotto. 
Si dovettero naturalmente mettere insieme i migliori vasai e mattonai che c’erano. Costoro però fino ad allora avevano lavorato con l’argilla per fabbricare mattoni di terra cruda mentre ora occorreva spiegare loro tutto il processo di come fabbricare i mattoni cotti che avevano una tecnica molto diversa. Fu fatto anche questo. Si costruirono quindi numerose fornaci per le quantità enormi di mattoni cotti che occorrevano, abbattendo un numero grandissimo di alberi, e, affinché si riuscisse a sfruttare il bel tempo, si lavorò senza posa!
Nel 1037 comincia finalmente la costruzione!
Ci siamo ripromessi di non entrare qui nei dettagli tecnici e di mettere al contrario l’accento sulla spettacolarità che era poi la funzione maggiore di quel contesto architettonico. Ricordiamo che in questo periodo Kiev, come le altre capitali europee, entra in quella tenzone costruttiva dell’XI sec. che, giustamente, lo storico H. Dittmar chiamerà La Battaglia delle Cattedrali. Questo è un aspetto importante perché Santa Sofia e i suoi contorni costituiscono il modello di riferimento per tutte le città russe (Vladimir-sulla-Kljazma è un esempio imitativo tipico) che saranno costruite in seguito.
Il problema che già aveva affrontato san Vladimiro su uno spazio abitativo distribuito fra le diverse colline sulle quali giace Kiev fu risolto definitivamente e la Città Alta diventò un tutto unico dopo il riempimento degli avvallamenti fra una collina e l’altra (usati fino a quel momento come discarica).
La Città Alta risultò divisa in tre grandi aree ben delimitate da mura proprie (di cui abbiamo parlato) unite fra di loro da ponti. La più antica è quella detta “Montagna di Kii”, fondatore leggendario della città, poi la “Città di Vladimiro” dove si trovava il sontuoso terem del principe a più piani insieme ai palazzi dei bojari importanti (obbligati a risiedere in questi palazzi quasi come ostaggi) con, in più, la chiesa “di famiglia”, quella che abbiamo detto essere chiamata Della Decima.
Ad occidente di questo spazio si trova invece Santa Sofia.
E questa fu dunque la “Città di Jaroslav” o il suo teatro personale più ostentato.
Kiev non ebbe nemmeno bisogno di un degradante Cremlino come le altre città russe di frontiera poiché era imprendibile nella sua posizione a 60 m sul livello della corrente del Dnepr e le sue mura, in gran parte di legno, furono ornate da porte monumentali in mattoni con le sante cappelle sulla cima. Di queste porte oggi restano solo le rovine, in parte ricostruite, come quelle della famosa Porta d’Oro (così chiamata ad imitazione dell’omonima di Costantinopoli).
Aggiungiamo che i maestri bizantini concorsero persino alla costruzione dei palazzi dei notabili mantenendo però quell’aspetto tipico di avere il piano terra in mattoni e quelli superiori di legno e restare, nel loro sviluppo in altezza, più bassi del terem allo scopo di non concorrere in bellezza e ostentazione col principe, naturalmente!
E parliamo dunque di Santa Sofia… (continua qui)

Si pubblica in questa sede su specifica autorizzazione scritta dell'Autore.

 

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                                             marzo 2007