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di Enrico Pantalone


Ci sono delle terre nell’artico orientale, lungo lo Stretto del Mare di Baffin, tra le coste canadesi, l’isola di Ellesmere e quelle della Groenlandia, che sembrano perdersi tra un infinito d’azzurro boreale, nel bianco dei ghiacciai eterni, nel verde intenso delle brevi estate e nel tenebroso e misterioso silenzio tra le nebbie: sembrano esserci migliaia di elementi da scoprire, una terra che di per sé racchiude segreti secolari e forse chissà…..l’essenza della vita umana, partiamo quindi con il nostro kayak…..
La storia di queste terre e soprattutto della Groenlandia ci parla di popolazioni che si sono insediate e poi sono scomparse nel nulla, come se ad ogni mutazione della temperatura, un’immigrazione (dalle terre nord-occidentali soprattutto) facesse seguito un’estinzione (l'ipotesi più probabile) oppure un’emigrazione (cosa peraltro più difficile) e viceversa, questo a partire dal 2.000 a.C. nei territori dell’attuale Canada ed in particolare intorno al 1200 a.C. nella grande isola bianca, mentre ad ovest si suppone che insediamenti ci fossero già 10.000 anni fa.
Questi territori orientali sono sicuramente le terre più abitate dagli Eschimesi in rapporto alla popolazione effettiva, in Groenlandia essi superano il 40/45% complessivo degli abitanti eppure orgogliosamente essi si definiscono groenlandesi, a riconoscimento del valore dato a questa terra che appare a noi misteriosa ed inospitale ed a loro ricca e piena di vita.
Spesso i (deplorevoli,n.d.w.) cacciatori di foche, gli inuit si spingono molto lontano dalle coste sicure per migliorare la qualità della preda e con le loro slitte raggiungono in pochi giorni mete che a noi sembrano irrealizzabili umanamente tra la nebbia ed il gelo, sul pack desolato, e spesso si perdono, ed è qui che entrano in gioco fattori incredibili come il senso dell’orientamento e la disciplina mentale.

 

                                            (immagine tratta QUI)

Molti racconti raccolti da vari autori narrano proprio di queste cacce e dei loro risvolti che a noi sembrano drammatici, ma agli inuit risultano poco più che una pratica da sbrigare con solerzia, lo scrivente ha provato proprio questa estate a perdersi a 3000 m d’altezza tra la neve, la nebbia ed il gelo nonostante il terreno conosciuto e percorso da anni: lo sbigottimento, il senso totale di disorientamento incide rapidamente nella mente e preclude spesso la scelta migliore, ora m’immagino come dev’essere il perdersi sul pack artico magari in una baia lontano dalle coste, nelle nebbie eterne senza punti di riferimento come la bussola (che ho usato io ), prassi normale per gli eschimesi che vanno a cacciare.
Lasciamo stare la spiritualità o l’istinto del cuore, fraseologie desuete, gli inuit sono dotati essenzialmente di un grandissimo spirito d’osservazione della natura circostante (che esiste anche nell’artico) e comprendono il movimento dei venti e la loro direzione per riuscire prontamente a capire dove andare, superando ogni problema.
L’artico appare quindi una terra di frontiera molto accentuata (a differenza dell’antartico) dove la convivenza dell’uomo e degli animali ha profonde radici d’adattamento ed ancora oggi è pervaso da un misto di modernità e tradizione non certo leggendaria.
Proprio questo rapporto colpisce tutti noi come ha colpito tanti personaggi celebri, scrittori, geografi, archeologi, storici e medici. Il Grande Nord orientale è un territorio che ha dato vita ad un termine che identifica molto bene la passione che circonda questo mito: nordicità, cioè il complesso delle caratteristiche fisico-ambientali che generano la ricerca della possibilità di vivere a queste latitudini.
La parte occidentale e perfino la Baia del Mare di Baufourt tra l’Alaska ed il Canada è industrializzato ed abitato perfettamente; oramai, su quella costa, nonostante il freddo, si vive come in qualsiasi parte del mondo civile, ma sulla costa orientale ciò non è ancora riuscito, nonostante gli insediamenti umani nella Groenlandia ed a Thule in particolare, che appare una cittadina spettrale, con il suo promontorio, il Monte Dundas, dall’incredibile sagoma tronca, e gli iceberg che galleggiano tutto l’anno vicino alle rive.




                                             (immagine tratta QUI )

Indubbiamente anche il clima ha generato la differenza tra l’est e l’ovest: nei territori del nord-ovest non è raro che oltre il circolo polare artico si tocchino i 34/35° nelle brevi estati, ma ciò non accade ad oriente dove la temperatura raramente supera i 15/18 ° e parliamo dell’entroterra e delle coste ovviamente.
Certamente anche in queste condizioni gli umani e gli animali convivono da secoli generando un equilibrio necessario all’intero globo terrestre.
Uno degli aspetti più incredibili è il modellamento delle rocce da parte non solo del vento, come in altri luoghi della Terra, ma anche dai ghiacci, uno spaccato incredibile e dai colori suggestivi e nel contempo assolutamente straordinari, tale da lasciar correre la fantasia verso inimmaginabili bellezze d’origine superiore.
La baia di Baffin, come quella di Hudson, è sicuramente figlia dell’era glaciale, un’idrografia complessa creata attraverso diverse fasi di drenaggio successive nel corso di diversi millenni e che hanno realizzato a quei suoli gelati tipici di queste terre chiamati permafrost o meglio pergelisol e talmente profondi in alcuni punti (più di 500 mt), da erigersi ad ostacolo principale all’occupazione umana, ma non come si potrebbe supporre durante i rigidi inverni, ma nelle brevi estati, dove lo scongelamento della parte superiore crea un’inquietante liquefazione del terreno, rendendo difficilissimo perfino il mantenimento di una costruzione a cui si cerca d’ovviare abbassando artificialmente la temperatura tra le fondamenta e ricreando un minimo di stabilità del terreno.
Il territorio orientale, la cosiddetta tundra, è tutto pianeggiante o quasi, a parte dei rilievi collinari costieri di scarsa importanza geologica o addirittura formati dal ghiaccio come i pingos, le tipiche colline create dall’accumulo di permafrost, questo è un altro dei motivi per cui l’influsso dell’Artico è più violento e deciso, il lato occidentale è invece salvaguardato dalle catene montuose di oltre 6000 metri che impediscono al gelo “d’occupare” tecnicamente il territorio, in Alaska, la temperatura media in inverno è simile a quella del confine americano-canadese, ma che differenza di latitudine…… 
Ma, torniamo agli amici inuit, probabilmente a detta degli studiosi d’antropologia, gli abitanti più felici della Terra, abituati a non avere nulla e sul fatto di poter contare solamente su sé stessi, anche nei momenti di difficoltà maggiore, affrontano la vita con una naturalezza ed una pace incredibile, sempre attivi, sempre pronti ad aiutare la gente, hanno ottenuto il rispetto di tutti coloro con cui sono venuti in contatto, tanto che oramai anche gli europei che risiedono in questi luoghi (i danesi p.e.) sentono quella terra come loro, il più alto numero di matrimoni del mondo (in percentuale ovviamente) tra razze etniche diverse a queste latitudini dimostra che l’integrazione ha subito un’evoluzione continua ed incessante e questo va un po’ a discapito della purezza della razza eschimese che progressivamente si riduce (un po’ come trovare dei Milanesi a Milano…), la forza dell’artico orientale è anche questa, l’unione per sopravvivere meglio seguendo le logiche ed i parametri che probabilmente nessuno di noi si sognerebbe d’utilizzare alle nostre latitudini.
Forse in nessun altro posto del mondo come in questi luoghi artici la parola ecologia ha un senso così profondo, apolitico, non è solamente un’espressione alla moda per ricchi annoiati o per pseudo rivoluzionari da operetta di cui il mondo è pieno, qui non ha nemmeno bisogno di una spiegazione né nessuno che la insegni, perché si percepisce attraverso tutto il patrimonio che la natura ci mette a disposizione e che viene offerta in un panorama assolutamente unico ed in più il mare Artico offre ricchezza sia in termini di vita vegetale che animale, sia in termini qualitativi (pensiamo alle notevoli varietà da studiare) che quantitativi (pensiamo all’industria ittica che sfama mezzo mondo). 

(foto tratta da QUI. Permission is granted to copy, distribute and/or modify this document under the terms of the GNU Free Documentation License, Version 1.2 or any later version published by the Free Software Foundation; with no Invariant Sections, no Front-Cover Texts, and no Back-Cover Texts. A copy of the license is included in the section entitled "GNU Free Documentation License")

Il freddo, il gelo, il vento, la nebbia sono caratteri che rendono unici questi luoghi, li fanno amare e rispettare, certo forse anche a causa del timore che incutono nell’uomo, il quale sa fronteggiare, sconfiggere e distruggere pericoli anche maggiori e magari anche più pesanti, ma di fronte all’oscuro diventa sempre guardingo: forse s’è raggiunto un patto, l’uomo non disturba la natura e la tranquillità di questi posti e la natura ci inonda di sensazioni superiori, a tratti magiche, meravigliosa essenza di ciò che s’intende per vita; il nostro kayak ritorna alla base di partenza, attendiamo con ansia di ripartire attraverso questi elementi tenebrosi ed affascinanti al tempo stesso.

(Enrico Pantalone: http://www.enricopantalone.eu)



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                                              gennaio 2007

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