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                                                        Federico II:

                                  Il Governo, la Scienza e l’Astronomia

                                                                                                            di

                                                                                                                         Adriano Gaspani

                                                                                                        I.N.A.F - Istituto Nazionale di Astrofisica

                                                                                                     Osservatorio Astronomico di Brera - Milano

                                                                                                                  adriano.gaspani@brera.inaf.it

                        

 La Scienza ed il governo dell’Impero

A cavallo tra il XI ed il XII secolo, Pietro Abelardo (1079-1114 circa), scriveva un commento alla Genesi in cui è detto che: «Nella Creazione del mondo la volontà di Dio ebbe l’efficacia della natura nel creare e nell’organizzare, ciò accadde durante quell’opera divina completata in sei giorni ... in quel tempo solo Dio possedeva la forza della natura»; queste poche righe mostrano che già a quell’epoca esisteva l’idea della separazione tra poteri divini e vigore della natura. In quell’epoca Thierry di Chartres (morto nel 1156 circa) limitò l’azione di Dio e affidò tutta la exornatio mundi, compresa la formazione dei corpi celesti e quella del corpo umano, al moto del fuoco e al suo calore che è trasmesso attraverso le sfere celesti. La combinazione dei quattro elementi originari fondamentali, e dei loro derivati, secondo le loro opportune combinazioni, offrì tanto agli scienziati delle nuove scuole quanto agli abili propagandisti di Federico II, un raffinato strumento interpretativo che permise di spiegare in maniera efficace sia i processi di generazione propri  dei fenomeni della natura, sia di esaltare il perfetto equilibrio dell’impero.

Queste nuove teorie sulla struttura dei corpi naturali ricevettero un considerevole impulso dalla lettura e dall’interpretazione delle versioni latine dei testi di Ippocrate, Galeno e Aristotele che circolarono tra l’Italia meridionale, la Spagna, la Francia settentrionale, la Britannia e l’Irlanda. In quest’ambito l’opera di traduzione sviluppata da Costantino Africano (morto nel 1098 circa), Burgundione da Pisa (morto nel 1193) ed Eugenio Aristippo (morto nel 1187) rese possibile l’accesso alle opere di Nemesio d’Emesa, Isaac Israeli e Aristotele; la riflessione sulle quali fu costantemente accompagnata dal commento di Calcidio al Tinzeo e dalle glosse al De Nuptiis di Marziano Capella. Tutto ciò fu il risultato di un’intensissima circolazione di libri e maestri che, attivi nei diversi centri scolastici dell’Occidente, furono spesso presenti nell’Italia normanno-sveva. La presenza di tanti scienziati e filosofi negli fu però soggetta alle mutazioni politiche che si susseguirono a quel tempo in Europa. Questa instabilità politica fece si che l’evoluzione e l’accettazione delle «nuova idee sulla Natura» incontrasse notevoli resistenze anche perché la lotta tra papato e impero comportò spesso lo scontro tra diverse tendenze culturali e scientifiche, in cui la posizione della Chiesa ed in particolare quella del Papa e degli esponenti della Curia Romana giocò un ruolo, come al solito molto determinate.

In realtà le idee secondo le quali doveva esistere una certa indipendenza della natura, dalla religione e quindi la necessità di studiare in modo oggettivo ed indipendente le regole e le cause dei processi naturali, si svilupparono e si diffusero con una certa lentezza tra numerose esitazioni e ostilità: per molto tempo ci si continuò a domandare se fosse possibile l’esistenza di una Scienza fondata esclusivamente sui processi fisici e non sul puro operato di Dio accettato con fede e senza condizioni. I dubbi e le riflessioni furono confortati dal vasto numero di testi tradotti dall’arabo, dall’ebraico e dal greco che a quel tempo diventavano sempre più numerosi e diffusi e l’idea di una Scienza che fosse in grado di rendere conto di tutte le forze della natura, anche quelle più «nascoste», si affermò rapidamente nelle corti di molti sovrani medievali e, di conseguenza, in Italia meridionale si venne a formare l’idea di un imperatore, Federico II, che era  Signore del mondo e degli elementi naturali senza che questo fosse strettamente controllato dalla Chiesa. Questa immagine si radicò in un contesto politico e filosofico strettamente legato all’elaborazione scientifica del secolo XII e alle tensioni istituzionali che opposero spesso il papato e l’impero e altrettanto frequentemente l’interpretazione delle Sacre Scritture utilizzando i contenuti delle opere aristoteliche.

Al tempo di Federico II esistevano poeti, cronisti latini e arabi, astrologi e filosofi i quali proponevano e propagandavano l’immagine dell’imperatore svevo che ammirava la natura e che desiderava controllarne le forze e comprenderne le manifestazioni. Benché questo atteggiamento possa non solo sembrarci ragionevole, ma estremamente logico e naturale, secondo il moderno approccio scientifico per molti pensatori medievali, di quel tempo, un tal modo di pensare costituiva un vero e proprio affronto all’ordinato svolgersi degli eventi e delle manifestazioni naturali che dovevano essere costantemente sotto il controllo di Dio e da Lui stabilite.

La polemica si  accese violentemente quando le rappresentazioni variegate della natura, nel secolo XII, erano entrate nell’arte decorativa delle chiese e degli edifici di culto sollevando  le  proteste  di  Bernardo  di  Clairvaux (1090-1153), fondatore dell’ordine Cistercense, che in una lettera a Guglielmo di St. Thierry (circa 1075-1148) scriveva: “ E che mai stanno a fare ne’ monasteri quella mostruosità ridicola, quella bellezza stranamente deforme e quella leggiadra deformi-tà, in cospetto de’ frati intenti alla lettura? Che mai vogliono le scimmie immonde, i leoni selvaggi, i centauri mostruosi? Che mai gli esseri metà uomini metà bestie, le tigri dal vello screziato, i cavalieri che combattono, i cacciatori che danno fiato alle trombe? qui tu vedrai più corpi con una sola testa; e, appresso, più teste appiccate ad un unico corpo. Qui un quadrupede ti si affaccia colla coda di serpente: là un pesce col capo di quadrupede. Altrove, ecco un animale che a vederlo dinanzi, ha figura di cavallo, di dietro ti diventa un caprone; e, viceversa, una bestia cornuta va a finire in cavallo. Insomma, dovunque così grande e mirabile appare la varietà delle forme, che si è portati a leggere molto più volentieri i marmi che non i libri, e la giornata, che dovrebbe essere impiegata a meditare la legge divina, si consuma nel contemplare siffatte frivolezze”.

Nonostante tanta acredine presente in taluni ambienti culturali, soprattutto quelli legati al mondo religioso di ispirazione romana, ma completamente assente nel mondo monastico di ispirazioni e di tradizione irlandese,  l’intensità del radicarsi della cultura scientifica in ogni aspetto della vita sociale è ben testimoniata dagli affreschi, eseguiti durante il XIII secolo, nella cripta della cattedrale di Anagni ove vengono raffigurati Ippocrate e Galeno nonché l’influsso che i diversi umori corporei esercitano sull’invecchiamento dell’uomo. Questo rinnovarsi del pensiero scientifico che pervase anche gli edifici di culto si ritrova anche in Italia settentrionale con il «maestro dei quattro elementi» che, nella chiesa di San Francesco di Lodi, assegna a ognuno dei quattro evangelisti un umore e un elemento raffigurando così Matteo con l’Acqua, Luca con la Terra, Giovanni con il Fuoco e Marco con l’Aria. L’aspetto artistico ed architettonico delle cattedrali si popolava di mostri fantastici quanto di immagini naturalistiche legate alla diffusione dei nuovi orientamenti filosofici, la poesia di corte esprimeva anch’essa un nuovo e  più stretto legame con la natura e le sue manifestazioni tra cui anche il ripetersi periodico degli eventi celesti. Nel XIII secolo la propaganda politica si impossessò del linguaggio della filosofia naturale tanto che Marcovaldo di Rield attribuì il controllo dei «quattro elementi» esclusivamente a Dio e all’imperatore Federico: «Subdita sunt elementa Deo: quos foverit ille, / Illa fovent, e converso quos urserit urgent. / Adveniente Dei famulo magno Friderico I Sol nitet, aura tepet, aqua bullit, terra virescit». 

L’attitudine al confrontare i poteri divini con quelli del sovrano fu frequente in un Medioevo che si caratterizzò per un’incessante studio delle gerarchie che ora stabilivano un ordine religioso tra Dio e le creature, ora un’armonia tra il moto apparente dei corpi celesti, il Sole, la Luna ed i cinque pianeti visibili ad occhio nudo e l’Uomo Microcosmo. Tra i secoli XII e XIII si sviluppò una simbologia del potere imperiale nella quale i sovrani erano paragonati al Sole, quale Re dei Pianeti secondo la concezione astronomico-astrologica di quel tempo, oppure agli animali regali quali il leone e l’aquila, o alla Natura quale artefice degli elementi. Pertanto, all’interno della corte federiciana, il ruolo degli astronomi, degli astrologi, dei falconieri, dei medici e dei veterinari, degli scienziati e dei dotti in generale corrispondeva a un’intensa volontà politica che se da un lato era motivata dall’affermazione del potere temporale, dall’altro era però anche accompagnata da una grande e generale ansia di conoscenza della natura e delle sue manifestazioni, tra le quali il cielo ed i fenomeni da esso mostrati rivestivano un ruolo di fondamentale importanza, anche per il fatto che a quel tempo le previsioni e le interpretazioni eseguite dagli astrologi di corte servivano spesso come guida per il governo dell’impero. Ricordiamo qui la figura di Michele Scoto, astronomo, astrologo e fidatissimo consigliere dell’imperatore svevo.

Di questa scienza Federico II si servi ampiamente per consolidare il proprio potere e per impressionare sudditi e principi. Il prestigio dell’imperatore-sapiente veniva trasmesso e propagato di corte in corte sia dalle frequenti dispute scientifiche che il sovrano ebbe con i dotti del suo tempo sia dall’emozione che doveva suscitare il seguito della sua corte. La guardia personale dell’imperatore svevo era composta da guerrieri arabi e, come racconta Salimbene da Parma (1221-1288) nella sua “Cronica”, durante i cortei ufficiali, egli si faceva accompagnare da un consistente numero di animali esotici tra cui elefanti, dromedari, cammelli, orsi, giraffe, ghepardi, scimmie e falconi. L’imperatore intendendo porsi come dominus mundi affermava, i questo modo, il suo controllo sugli animali e su tutto il Cosmo.  Nella seconda metà del XIII secolo viene completato anche il “Liber astrologiae” di Georgius Zothorus Zaparus ed il “Liber introductorius” di Michele Scoto, oltre che la prima edizione del “De arte venandi cum avibus”. Nel “Liber astrologiae” di Fendulo appaiono raffinate figure accompagnate da spiegazioni, che riguardano i dodici segni dello zodiaco, le loro influenze, la loro simbologia.

 L’iconografia segue quella classica, tramandata dal greco Arato, anche se da alcuni segni si evidenzia l’influenza orientale. E’ il caso della figura legata al segno zodiacale dei Gemelli, che sono siamesi, ovvero con un corpo e due teste. Anche nel “Liber introductorius”  di Michele Scoto appare la tradizione di Arato, con influenze islamiche da cui derivano intere costellazioni. Scoto adatta i modelli antichi ai suoi intendimenti e trasforma lo scudo di Perseo, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, creando  un corpo  celeste,  rappresentato  dall’imponente immagine di Zeus. Egli trasforma la rappresentazione dei pianeti facendo vestire a Giove gli abiti di giudice, a Mercurio quelli di un vescovo, a Marte quelli del guerriero, a Venere quelli di una dama. Ogni segno zodiacale è collegato ai decani, interpretati secondo la tradizione greca, indiana e barbarica. La disposizione delle costellazioni all’interno delle tre sfere non è sempre corretta e rivela alcune lacune. Oggetti e figure, collegati all’attività dei decani, vengono moltiplicati e i mitici simboli dell’astrologia orientale scendono dal cielo e fanno parte del mondo dell’epoca, con diverse mansioni: fabbri e contadini, cavalieri e principesse, mostri e animali. Questa dimensione della natura si mescolò, alla corte sveva, con le riflessioni scientifiche organizzate dai funzionari imperiali e dallo stesso Federico II; osservazioni che vennero trasmesse dalla sua opera “De arte venandi cum avibus”, dal libro di igiene militare di Adamo da Cremona, dai trattati di veterinaria di Giordano Ruffo, dai saggi matematici di Leonardo Fibonacci da Pisa a cui dobbiamo l’introduzione delle cifre arabe, nel coputo commerciale, peraltro di antica origine Indù, e dalle opere astronomich ed astrologiche di Michele Scoto e Teodoro d’Antiochia, nonché dal “Secretum Secretorum” come dal Libro di Sidracb.

Seconda questa visione del mondo, nel XIII secolo, vennero ad affermarsi due distinti modi di intendere la natura, talvolta popolata di spiriti e talora rigidamente informata dalle regole stabilite dalle periodicità celesti derivate  dalle osservazioni degli astri e da quelle stabilite dall’interazione tra gli elementi naturali; questa dicotomia tuttavia esprimeva i diversi aspetti di una stessa realtà naturale. Pertanto si trattava di interpretare le variegate forze di questa natura, in particolare era il mondo sublunare quello nel quale l’imperatore poteva cercare di studiare e controllare gli effetti degli influssi celesti e delle forze terrestri. Quanto tutto ciò fosse condizionante risulta dalle nozze (1235) di Federico II con Isabella d’Inghilterra che non furono consumate sino a quando le previsioni astrologiche di Michele Scoto non lo consentirono; allora l’ottima disposizione dei corpi celesti interpretata da Michele Scoto, permise non solo il matrimonio imperiale, ma anche la contemporanea emanazione della “Constitutio Pacis”. Lo studio degli astri e della natura si configurò quindi come uno strumento indispensabile per governare; d’altronde chi esercita tale funzione è destinatario di un privilegio naturale e di ciò siamo informati dallo stesso Federico II il quale, scrivendo nel 1241 a Luigi IX di Francia, esaltò la potenza dell’impero che sorpassa ogni forza umana e che atterrisce gli stessi animali che riconoscono in lui la forza del leone.

 Lo “stupor mundi”, così era denominato l’imperatore svevo, intendeva governare i diversi aspetti di una realtà naturale estremamente composita e lo faceva sia utilizzando la “Guida dei Perplessi” di Maimonide (1138-1204) sia approntando le “Constitutiones Melphitanae” emanate nel 1231 sia misurando la forza degli astri e degli elementi. In questo modo Federico II riteneva di essere egli stesso la “lex animata in terris”. Secondo lo stile di Federico II, da un lato esisteva una natura animata che trasmetteva messaggi simbolici mentre dall’altra si offriva accoglienza a moltissimi dotti ed intellettuali, di varia provenienza, anche dal di  fuori del mondo cristiano, che esponevano le regole del moto degli astri e del mescolarsi degli elementi, permettendo di comprendere una realtà intellettuale soggetta a continue scomposizioni secondo opportuni e particolari linguaggi simbolici tipici del pensiero Medioevale. Questo continuo alternarsi di orientamenti e di maestri diversi è testimoniato anche dalle vicissitudini dello “Studium” di Napoli che nonostante i ripetuti atti di rifondazione tesi a rinvigorire la sua struttura scientifica e culturale, non fu però mai competitivo con quella della corte poiché a Federico II interessava soprattutto una  Scientia naturalis” destinata al governo dell’impero e che quindi gli offrisse la forza del potere.

Al centro di questo grande fermento culturale e politico vi fu lo studio e l’operato di un intelligente imperatore medievale: il progetto organizzativo della corte federiciana fu senza dubbio imponente sia per la quantità di atti amministrativi svolti sia per la molteplicità di teorie scientifiche che si mescolarono all’interno della Magna Curia. Si trattava di un progetto politico che intendeva affermare l’egemonia dell’impero, e questo disegno istituzionale corrispondeva a un’idea di natura inserita in un cosmo onnicomprensivo, ogni aspetto del quale contribuiva al microcosmo-uomo. L’organizzazione della corte sveva avrebbe dovuto esprimere l’equilibrio dell’universo celeste, mostrando come la “machina mundi” si armonizzasse perfettamente con le deliberazioni legislative dell’imperatore; il meccanismo che metteva in stretta relazione il Cosmo, la Natura e l’Impero era tanto perfetto da essere in grado di prevedere gli imminenti rovesci. E con questo spirito che, nel 1246, l’astronomo ed astrologo Guido Bonatti da Forlì (1220 circa- 1298) riferì di essere riuscito tempestivamente ad avvisare Federico II delle trame che si stavano operando a suo danno giacché la particolare e sfavorevole collocazione del pianeta Marte nelle costellazioni zodiacali significava «uccisione dell’imperatore dei Romani». E' pur vero che non mancarono gli avvertimenti inquietanti: il giorno del tradimento si ebbe un’eclisse di Sole: presagio funesto secondo la concezione medievale. Quest’offesa contro l’imperatore fu vendicata dalla stessa furia dei «quattro elementi»: i traditori che vollero macchiar di sangue la terra furono trascinati nella polvere, quanti volevano far bere calici amari furono inghiottiti dal mare, alcuni furono sospesi in quell’aria che volevano corrompere, altri furono bruciati giacché avevano tentato di spegnere le fiamme della fede.  Il concetto di natura sviluppatosi all’interno della corte di Federico II risentirà costantemente la fibrillazione indotta dall’attività politica dell’imperatore. Questa tensione tra-spare in tutta evidenza nelle opere di Michele Scoto (morto in circostanze curiose del  1235). Quei testi presentano inizialmente una natura ordinata dal regolare moto degli astri e dei corpi celesti, e questo esprimeva una realtà in cui gli eventi «prodigiosi», compresi quelli astronomici quali ad esempio l’inaspettato passaggio di spettacolari comete erano distintamente separati da quelli naturali e ad essi contrapposti.

I miracoli sono definiti “omnia que sunt contra naturam” con l’eccezione forse delle comete che facevano comunque parte del mondo dei fenomeni celesti. La sistematica reciproca influenza degli elementi naturali e dei moti planetari, che ordinano la natura, viene insidiato dagli scontri tra spiriti maligni che tentano di circuire gli uomini, nonché dalla convinzione che gli angeli governino i pianeti e i metalli; sull’insieme metodico di regole che univano gli elementi e che permettevano di scrutare le congiunzioni planetarie irrompono le forze oscure della magia che consentirebbero, secondo il pensiero di  Michele Scoto, di influenzare con successo il corso ordinato degli eventi. Secondo la tradizione medioevale tutta la vita di Federico II fu segnata da presagi, come quando avvenne la congiura che portò Pier delle Vigne ad essere giustiziato, accusato anch’egli di aver tradito.  Nel declino del dominio federiciano la “scientia naturalis” si mostrò inefficace nel difendere il suo imperatore, tanto che il cronista Saba Malaspina (morto nel 1280) attribuirà il crollo dell’impero svevo proprio al fatto che per Federico II nella “ars matematica” aveva osato conferirsi gli stessi poteri di controllo spettanti a Dio.

Il progressivo dissolversi del potere di Federico II e della sua capacità di controllo della natura sembrerebbe significare l’apparente fallimento delle asserzioni dei filosofi del secolo XII, che avevano iniziato a separare il mondo degli eventi divini da quello dei fenomeni naturali. Il declino di Federico II non sminuirà però il vigore dell’idea di una natura ordinata che concorre alla serenità del governo; in effetti era stato già tutto previsto giacché si dice che Michele Scoto avesse ammonito l’imperatore dei rischi cui sarebbe andato incontro assumendo la corona imperiale. La stessa morte di Federico II sarebbe stata annunciata da segnali che indicavano il mutare del corso della natura e dell’impero [1]. Federico II era quindi perfettamente informato del suo destino, ma egli replicò che, pur consapevole dei rischi, la sua missione era quella di prendere la corona imperiale e di governare facendosi consigliare da tutti gli uomini dotti tanto nelle arti della scrittura quanto nelle scienze meccaniche: il corso naturale degli eventi, anche se foriero di tristi presagi, non poteva essere cambiato. Dalla corte federiciana proviene anche uno dei più antichi documenti della diffusione del ciclo arturiano in Italia.

Dopo aver tracciato a grandi linee il rapporto tra la figura, l’operato ed il rapporto tra Federico II e le idee scientifiche circolanti nel XIII secolo dobbiamo fornire qualche notizia in relazione all’Astronomia Medioevale e al modo di considerare il cielo, l’universo ed i fenomeni che in esso si producevano, in quel periodo. Questo perché dobbiamo renderci conto di quali testi si leggevano e si studiavano alla corte del sovrano svevo e nelle università da lui fondate, come ad esempio lo “Studium” di Napoli.

 

L’Astronomia ai tempi di Federico II

Agli inizi del Medioevo l’astronomia greca era praticamente sconosciuta in Europa. Non esisteva in Europa una cultura astronomica tale da richiedere una diffusione dell’Almagesto di Tolomeo. La “Naturalis Historia” di Plinio era un testo enciclopedico di carattere scientifico in cui erano presenti molte imprecise cognizioni astronomiche collocabili cronologicamente al I secolo a.C. Non dobbiamo sottovalutare la forte ostilità manifestata al cristianesimo trionfante nei confronti della cultura pagana e soprattutto nei confronti dello studio dell’Astronomia ritenuto essere un modo con cui l’Uomo, volendo conoscere la spiegazione dei fenomeni celesti e stabilirne le cause, pretendeva di porsi sullo stesso piano di Dio. Tale ostilità sfociò spesso in feroci persecuzioni. Come quando nel 389 d.C. Alessandria d’Egitto, venne incendiata la Biblioteca da una folla inferocita forse aizzata dal patriarca Teofilo. Nel 415, nella stessa Alessandria, ancora una moltitudine di fanatici cristiani, forse aizzati dal patriarca Cirillo, condannò a morte la giovane Ipazia, figlia di Teone Alessandrino, unicamente colpevole di essere stata insigne studiosa di filosofia, di matematica, di astronomia. Ad Atene, nel 529 d.C., la scuola neoplatonica fu soppressa dall’imperatore Giustiniano.

Simplicio e altri dovettero rifugiarsi in Persia. In questo ambiente di odio, da parte del Cristianesimo, verso la cultura antica, era inevitabile che le più importanti conquiste del passato venissero disprezzate e ripudiate, semplicemente perché frutto della cultura pagana. Si giunse perfino a negare l’idea della rotondità della Terra. Alcuni Padri della Chiesa e autori cristiani si distinsero in quest’opera repressiva. E specularmente alla reiezione delle idee classiche, era inevitabile che se ne manifestassero di strampalate, volte spesso a soddisfare esigenze pseudo-teologiche.

Basilio il Grande e S. Agostino accettarono l’idea, comune tra i Padri della Chiesa, della esistenza, affermata nella Genesi, delle “acque superiori”, situate al di sopra del firmamento, e svolgenti l’ufficio di mantenere fresco il mondo. Secondo Cosma Indicopleuste, vissuto nel VI sec. d.C., l’Universo era strutturato ad immagine del Tabernacolo che Mosè aveva costruito nel deserto. Entro questo ambiente molto sfavorevole vissero anche alcuni personaggi il cui contributo alla scienza astronomica fu però favorevole.

Prendiamo in esame Marciano Capella (ca. 365 - 440), autore latino originario di Cartagine il quale scrisse un’opera allegorica intitolata “Il matrimonio di Filologia e Mercurio”, noto come il “De Nuptiis”, alla quale associò altri sette libri dedicati alle sette arti liberali. Il libro VIII tratta di astronomia, ma di argomenti secondari e con scarsa precisione. Nella sua trattazione dei pianeti, fornisce un elemento interessante: pone i pianeti inferiori in circolazione attorno al Sole, secondo la concezione che assomiglia a quella attribuita ad Eraclide Pontico. Questa idea di considerare Mercurio e Venere orbitanti attorno al Sole percorrerà tutto il Medioevo, riaffiorando saltuariamente ogni tanto nelle opere degli scrittori medioevali successivi, fino all’epoca di Copernico.  

Altro  personaggio degno di rilievo è Severino Boezio (ca. 480 - 525),  eminente uomo politico durante il regno del re goto Teodorico il Grande. Nonostante fosse di religione cristiana egli, seguendo le orme di Quinto Aurelio Simmaco, suo padre adottivo, si dedicò a tradurre in latino il maggior numero possibile di opere di Aristotele, Platone e altri classici greci. Sfortunatamente, non ci sono pervenute le sue opere di argomento astronomico, ma è noto che, per esplicito incarico di Teodorico, aveva sovrainteso alla costruzione di un orologio ad acqua che Teodorico aveva deciso di donare ad un re barbaro. Boezio però fu imprigionato e  condannato a morte per essersi levato contro l’ingiustizia del re Goto. Per la sua eminente statura culturale e morale Teodorico lo aveva nominato “magister officiorum”, una carica prestigiosa equivalente al cerimoniere  di corte. Teodorico, che regnava sull’Italia dal 494, si era sostanzialmente affrancato da ogni interferenza da Costantinopoli. Boezio aveva utilizzato tutta la propria abilità  e le proprie capacità diplomatiche per migliorare le relazioni tra il papa e l’imperatore di Costantinopoli e questa sembra essere stata la causa prima della perdita di favore presso il re, del suo imprigionamento e della successiva condanna a morte. Giustino di Costantinopoli era cristiano ortodosso, mentre Teodorico era ariano.  Come è noto, durante il periodo di incarcerazione, in attesa dell’esecuzione, ebbe modo di scrivere il “De consolazione philosophiae”, che è considerata una delle opere che maggiormente esercitarono influenza nei secoli successivi.

Accenniamo ora all’opera di Macrobio, che visse a cavallo dei secoli IV e V d.C. Appartenente alla cerchia di Simmaco, fu tra gli ultimi rappresentanti della cultura pagana e sicuramente uno dei suoi strenui difensori. Fu autore di un commentario all’ultima parte del “De re publica”, di Cicerone, il Somnium Scipionis. In quest’opera Macrobio incluse una descrizione sommaria del sistema cosmologico secondo la visione tolemaica. In particolare, in un passo di tale opera Macrobio fa risalire agli Egizi la nozione che Mercurio e Venere ruotino periodicamente intorno al Sole. Questa erronea interpretazione, ripresa in seguito da altri autori europei, diede origine alla denominazione di “sistema egizio” per quel sistema di moti eliocentrici, mostrati dai due pianeti posti tra la Terra ed il Sole, che sappiamo invece essere stati invece originalmente concepiti da Eraclide Pontico.

Un altro personaggio di rilievo fu Calcidio Filosofo greco dei secoli IV e V. Non si sa praticamente nulla della sua vita. Una sua opera di una certa influenza fu una traduzione, con annesso un commentario, di parte del Timeo di Platone. Calcidio vi aggiunse alcuni commenti sulla teoria degli epicicli sviluppata per rendere conto del peculiare moto geocentrico mostrato in cielo dai pianeti quando venivano osservati dalla Terra. La versione di Calcidio è tutt’ora oggetto di studio in quanto  egli attribuisce la progenitura della teoria degli epicicli ad Eraclide Pontico, mentre è noto che gli storici dell’Astronomia attribuiscono ad Eraclide soltanto le circolazioni di Mercurio e Venere attorno al Sole e non quella degli altri pianeti visibili ad occhio nudo, cioè Marte, Giove e Saturno. La sua versione del Timeo rimase grandemente favorita anche dopo che in Europa giunsero le traduzioni dell’opera di Platone, dall’arabo.

Giovanni Filipono nativo di Alessandria d’Egitto verso la fine del VI sec. d.C., fu discepolo, assieme a Simplicio, del neoplatonico Ammonio. A differenza di Simplicio, si convertì al cattolicesimo. Divenuto vescovo di Alessandria, redasse un commento di Aristotele, esprimendo al contempo originali concezioni di meccanica. Egli tentò una prima riduzione della fisica e della cosmologia aristotelica alla teologia cristiana: ne derivò una critica sostanziale degli asserti aristotelici relativi all’eternità del Cosmo e dell’Universo. La sua critica riguardò anche la distinzione aristotelica tra moti naturali e moti violenti, sostituendola con la cosiddetta “teoria dell’impetus”, precorritrice del concetto moderno di energia cinetica, noto in Fisica.  Alcuni storici dell’Astronomia moderni hanno recentemente  suggerito che egli abbia sviluppato, in modo del tutto inconsapevole, la nozione relativistica moderna sulla variabilità del fluire del tempo in funzione della velocità. Nella sua opera De opificio mundi criticò l’uso eccessivo di citazioni bibliche, dimostrando quindi una certa indipendenza di giudizio.

Simplicio (ca. 490-560) fu un filosofo neoplatonico nato in Cilicia, nell’odierna Turchia meridionale. Sappiamo che studiò filosofia ad Alessandria, discepolo di Ammonio, a quel tempo a capo della scuola di Alessandria.  Ammonio, in molte sue opere, fu molto critico di Aristotele e questo dovette certamente influenzare Simplicio. Dopo aver completato la sua formazione ad Alessandria,  Simplicio si trasferì ad Atene, divenendo discepolo di Damascio, capo della scuola neoplatonica ateniese, e direttore dell’Accademia dal 520 d.C. Nel 529 l’imperatore Giustiniano ordinò la chiusura dell’Accademia e di tutte le scuole pagane dell’impero, per cui Simplicio, Damascio ed altri cinque membri dell’Accademia trovarono rifugio in Persia, presso il re Cosroe, che era da tempo in guerra con l’imperatore bizantino. In seguito il re di Persia e l’imperatore stipularono un trattato di pace per cui a Simplicio e agli altri fu consentito di ritornare liberi ad Atene, di professare le proprie convinzioni, almeno secondo quanto scrisse lo stesso Simplicio di questi eventi nel 565 d.C., dopo la morte di Giustiniano, ma non ci è dato di conoscere con precisione quali siano state le effettive condizioni alle quali furono soggetti filosofi della scuola neoplatonica ateniese.  Simplicio tuttavia, ritornato ad Atene, poté dedicarsi ai suoi studi, ma non gli fu consentito di insegnare la sua dottrina.

Degli scritti di Simplicio che ci sono giunti, il più recente sembra essere il suo commentario sull‘”Enchiridion” di Epitteto. A questo seguì il commentario sulla “Fisica” di Aristotele. Entrambe questi commentari sono molto importanti per la storia della Matematica e dell’Astronomia in epoca medievale e furono accuratamente studiati alla corte di Federico II di Svevia. Di enorme importanza per la storia della scienza è anche il suo commentario al “De caelo” di Aristotele in cui è presente una descrizione dettagliata del sistema di sfere omocentriche di Eudosso, come pure delle modifiche e delle raffinazioni di questa teoria apportate in epoca successiva da Callippo e da Aristotele. Nei suoi commentari, Simplicio fornisce varie citazioni della “Storia dell’Astronomia” di Eudemo, attraverso molte citazioni tratte dalle opere di  Sosigene, Gemino e Posidonio. Simplicio redasse anche un commentario sugli “Elementi” di Euclide che è giunto fino a noi attraverso una traduzione dall’arabo. L’importanza di Simplicio come commentatore dei grandi classici filosofici e scientifici dell’antichità rappresentata dal suo profondo equilibrio e nel non esitare a mettere in evidenza che il proprio contributo doveva molto ad altri commentatori che lo avevano preceduto, specialmente Giamblico e Porfirio. Egli applicò al proprio lavoro di ricerca l’attitudine mentale del vero scienziato che cerca in tutti i modi di fornire l’interpretazione più sicura degli scritti sottoposti ad indagine: un approccio di grande modernità.

Prendiamo ora in esame il visigoto Isidoro, vescovo di Siviglia, vissuto a cavallo tra i secoli VI e VII d.C.  La sua statura culturale ebbe un ruolo di assoluta preminenza per l’evoluzione culturale del regno dei Visigoti verso la loro romanizzazione. Perseguendo questo obiettivo, al quale dedicò tutta la sua vita, Isidoro raggiunse un’erudizione impressionante relativa agli autori dei primi secoli della Cristianità, e agli ultimi autori classici latini. Fu autore di un’opera monumentale di tipo enciclopedico, l’ “Etymologia”, la prima di questo genere apparsa nell’Occidente cristiano. Rimasta incompiuta, a causa della morte di Isidoro, essa venne ordinata ed edita da Braulio (590 – 650 d.C. circa), vescovo di Saragozza ed amico di Isidoro, in 20 libri in cui viene data una descrizione delle antiche scienze, compresa l’Astronomia che i gioca un ruolo fondamentale. Questa sua opera, dal punto di vista dell’organizzazione delle conoscenze, costituisce un progresso sensibile rispetto a quella di Plinio il Vecchio e tra le “antiche idee”, Braulio, include quella sulla sfericità della Terra.

Un altro autore tenuto in grande considerazione durante il medioevo fu il monaco Beda, il Venerabile. La soluzione definitiva del problema del calcolo della data della Pasqua lungo l’anno giuliano fu scritto nel 725 da un monaco anglo, il Venerabile Beda (672-735).  Il trattato aveva per titolo Della divisione del tempo”. Egli aveva proposto un ciclo di 19×28 = 532 anni per la ripetizione della Pasqua nella stessa data di calendario (ricordiamo che 19 era il numero di anni del ciclo di Metone cioè il numero di anni richiesti alla luna per tornare alla stessa fase nella stessa data di calendario giuliano, mentre 28 sono gli anni del cosiddetto “Ciclo Solare” pari al prodotto tra la periodicità della cadenza dell’anno bisestile (4) con la ripetizione della domenica (7) entro la settimana). Con il calendario giuliano avveniva invariabilmente che un qualsiasi giorno dell’anno slittava di un giorno della settimana da un anno all’altro (adesso, con il calendario gregoriano non più). Allora, tenendo conto dell’anno bisestile, lo slittamento era sempre di cinque giorni in 4 anni. Ma allora, lo slittamento sarebbe stato anche di 5×7 = 35 giorni (5 settimane) in 4×7 = 28 anni (dopo 28 anni si ripeteva il giorno della settimana). Dal momento che il ciclo di Metone di 19 anni giuliani si adattava alla datazione della Pasqua, e un ciclo di 28 anni ripeteva il giorno della settimana, ecco che un ciclo di 19×28 anni soddisfaceva la richiesta di far cadere la Pasqua sempre di domenica. Ma la sua fama di grande erudito legata alla sua opera più nota: la “Historia ecclesiastica gentis anglorum”, che spazia dallo sbarco di Giulio Cesare in Britannia fino al 731 d.C. Vivendo in Northumbria, nel monastero di Jarrow, e quindi in Britannia, un’isola lambita dalle acque dell’Atlantico, con coste caratterizzate da maree molto più ampie di quelle del Mediterraneo, scoprì il meccanismo di durata delle maree, una delle rarissime scoperte scientifiche della seconda metà del primo millennio. Beda è ancora oggi ritenuto uno dei maggiori eruditi dell’alto Medioevo e le sue opere furono tenute in grandissima considerazione.

Un altro personaggio di altissimo rilievo fu Gerberto di Aurillac (930 ca. - 1003), filosofo, teologo, umanista, scienziato, divenne papa con il nome di Silvestro II, dal 945  e tale rimase con alterne vicende fino al 1003. Dopo aver preso l’abito benedettino, visse per un po’ di tempo  in Spagna, al seguito del vescovo di Barcellona, dove frequentò le scuole arabe di Cordoba e di Siviglia, apprendendovi, tra l’altro, l’uso dell’astrolabio, la numerazione araba con i sistemi di calcolo aritmetico che utilizzavano lo zero, contribuendo successivamente a diffonderli in Europa, limitatamente in ambiente monastico. Grandiosa figura di studioso, fu al contempo umanista e profondo conoscitore delle scienze matematiche ed astronomiche. Costruì svariati modelli delle sfere celesti e del globo terrestre, per l’insegnamento dell’astronomia quando era docente alla scuola capitolare di Reims. Alla sua opera di appassionato collezionista è dovuta gran parte della raccolta di manoscritti latini della Biblioteca Vaticana. Tra i suoi numerosi scritti, sono da ricordare un’opera di astronomia, “Liber de astrolabio” nella quale si ravvisano chiare influenze scientifiche arabe, e un trattato “De Sphaera Constructione”, ma la sua opera più famosa è certamente il “ De Geometria”.

E’ opportuno citare anche il re Alfonso X di Castiglia (1223 - 1284) detto “el Sabio”(il Saggio) per l’alta illuminata opera di patronato sugli studi di astronomia che esercitò presso la sua corte, accogliendovi studiosi arabi, ebrei e cristiani. Le “Tavole Alfonsine”, redatte sotto la direzione degli astronomi Ishak ben Said, arabo e Yehuda ben Moshek Cohen, israelita, furono accolte con grande favore e godettero di notevole fama anche nei secoli successivi. Attrassero critiche, però, per l’artificiosità di alcune teorie su cui erano fondate, ad esempio quella della cosiddetta “Trepidazione”. Si racconta che Alfonso X abbia espresso la frase: “Se Dio mi avesse fatto l’onore, creando il mondo, di chiedere il mio parere, gli avrei consigliato di farlo più semplice”.

Occupiamoci ora di Ruggero Bacone (Roger Francis Bacon, 1214 - 1294), si laureò intorno al 1250 a Oxford o a Parigi. Monaco francescano di Ilchester, fu sostenitore di idee nuove che gli valsero insistenti sospetti, peraltro ampiamente fondati, di simpatia per l’astrologia e l’alchimia Nella sua opera ”Opus maius” commentò con grande acume le opere dei Greci e degli Arabi. Pur ponendosi nel solco di Tolomeo nel sistema del mondo, non esitò a proporre nuove ed originali concezioni sull’estensione dell’Universo. Possedeva notevoli cognizioni astronomiche e fisiche soprattutto nel campo dell’Ottica, ed è generalmente considerato un precursore dei tempi moderni.

 

Le traduzioni dall’arabo

La traduzione in latino di testi arabi di autori greci fu un’attività fondamentale dal punto di vista del recupero dei testi antichi che erano andati perduti o caduti nell’oblio al tempo della caduta dell’impero romano ed il periodo immediatamente successivo. Erano opere di filosofia, matematica ed astronomia, sia versioni arabe di autori greci e sia di autori arabi che praticamente tornavano alla luce. Un uomo svolse in questo campo un’attività enormemente superiore a quella di qualunque altro: Gerardo da Cremona* (1114 - 1187 ?). Avuta notizia che nella città spagnola di Toledo, da poco sottratta al dominio arabo, si trovavano un gran numero di opere arabe, tra le quali l‘“Almagesto” di Tolomeo, del quale aveva un particolare desiderio di venire a conoscenza, e che non riusciva assolutamente a trovare in Europa, probabilmente intorno al 1144 si trasferì in quella città, vi apprese l’arabo ed iniziò il lavoro di traduzione di una sterminata quantità di opere. Di Aristotele tradusse la “Fisica” ed il “De Caelo”.

Di astronomia, oltre all‘Almagesto, tradusse il “Dei luoghi geografici” di Teodosio, il “Delle ascensioni” di Ipsicle, il “Della sfera mobile” di Autolico. Tradusse anche opere astronomiche di redazione araba tra le quali vanno ricordate il “Del moto dell’ottava sfera” di Thabit ibn Qurra, e gli “Elementi di astronomia” di Al Farghani. La prima ondata di traduzioni riguardò praticamente soltanto opere in arabo. Più tardi si iniziò a tradurre direttamente i testi dal greco al latino. Uno dei più attivi traduttori dal greco fu William di Moereke (ca. 1215 - 1286) il quale tradusse molte opere di Archimede, di Aristotele e di altri. In meno di una cinquantina d’anni si ebbe in Europa una invasione di opere della classicità greca. L’autore che attrasse maggiormente l’attenzione fu ovviamente Aristotele. Presto si manifestarono delle forti perplessità sulla compatibilità degli insegnamenti di Aristotele con la teologia cristiana. La tradizione biblica della creazione del mondo contrastava con il canone aristotelico dell’eternità del cosmo. Nel 1210 le opere di Aristotele all’Università di Parigi vennero proibite, sotto pena di scomunica.

Ma durante un secolo circa di diatribe accademiche si escogitarono acrobazie dialettiche tali da consentire la loro piena accettazione nelle università di quel tempo. Ricordiamo che il curriculum di studi classici universitari del XIII secolo era articolato su due livelli: il “Trivium”, che comprendeva studi di Grammatica (cioè la  lingua latina), Retorica e Logica, ed il “Quadrivium”, che comprendeva Aritmetica, Geometria, Musica ed Astronomia. Questa suddivisione risaliva a Marciano Capella, ma, per lo meno per le discipline scientifiche, si doveva rimontare ai tempi dei Pitagorici.  Per quanto riguarda l’insegnamento dell’Astronomia nelle università, si deve senz’altro ammettere che veniva impartito tenendolo ad un livello piuttosto elementare. Un testo essenziale era lo “Sfera mundi” di Giovanni Sacrobosco, al secolo  John of Holywood (1200 - 1256).

Un altro libro di testo era il “Theorica planetarum”, di autore anonimo, forse attribuibile a Gerardo da Cremona.  Naturalmente non mancavano letture dal “De coelo” di Aristotele. Con la ripresa degli studi astronomici, fiori anche l’attività astrologica. Presso le corti, tra cui quella federiciana, ed anche presso la gente comune, molti astrologi diedero inizio alla loro attività, approfittando dei manuali di astrologia che erano stati tradotti dall’arabo. Naturalmente si andava incontro all’opposizione della Chiesa che formalmente non ammetteva una tale pratica, ma dal punto di vista pratico, in un modo o nell’altro gli astrologi riuscivano sempre a trovare una scappatoia per eludere il divieto della Curia Romana, anche perché svariati ecclesiastici del tempo credevano alle previsioni degli astrologi.  L’astrologia divenne addirittura lo stimolo principale per la produzione e la traduzione di nuove tavole. Le tavole di Al Khwarizmi furono rimpiazzate dalle Tavole Toledane, che erano state a suo tempo compilate nella Spagna islamica nel secolo XI dall’astronomo Ibrahim Al Ishtak al-Zarqali, conosciuto in Europa come Arzachel, e tradotte in latino nel secolo XII; Le prime tavole completamente prodotte nell‘Europa cristiana furono appunto le già citate Tavole Alfonsine.

I fenomeni celesti avvenuti durante il regno di Federico II

La corte federiciana era intrisa di credenze astrologiche e l’imperatore non intraprendeva alcuna impresa militare, edile o legislativa senza che gli astri in cielo fossero disposti in maniera favorevole. Michele Scoto aveva il compito di interpretare ciò che avveniva in cielo, quindi era importantissimo per il governo, l’osservazione del cielo e dei sui fenomeni. Vediamo ora di esaminare gli archivi alla ricerca dei fenomeni astronomici straordinari che furono visibili nel cielo dell’impero durante la vita di Federico II. Iniziamo dal 1198, durante il mese di Novembre di quell’anno una cometa fu visibile per 15 giorni; dobbiamo la registrazione a Ralph di Coggeshall. Nell’anno 1200 si registra la presenza di una grande macchia solare visibile ad occhio nudo sul disco dell’astro sia all’alba che al tramonto. Siamo in un periodo di elevata attività solare.

La prima osservazione risale al 21 Settembre e fu eseguita dagli astronomi coreani e registrata nel Koryo-sa. Nel Sung-shih cinese le osservazioni della grande macchia eseguite nel sud della Cina, dagli astronomi del “celeste impero”, si protraggono fino alla sua scomparsa in seguito alla rotazione del Sole fino al 27 Settembre. Nuovamente un’altra grande macchia venne registrata nello stesso testo cinese il 9 Gennaio 1201 il 9 Gennaio e la visibilità si protrasse per 21 giorni, prima della sua scomparsa a causa del periodo di rotazione del Sole sul suo asse. Di nuovo in quell’anno, il 6 Aprile, una grande macchia solare visibile ad occhio nudo compare sul disco solare, viene osservata dagli astronomi coreani e  registrata nel Koryo-sa.

Nella primavera del 1202 apparve nel cielo una cometa, osservata dagli astronomi giapponesi dal 24 Febbraio al 25 Marzo nella costellazione dello Scorpione, e le cui osservazioni furono registrate nel Dainihonshi. Nuovamente il 23 Agosto di quell’anno viene osservata una grande macchia sul disco del Sole dagli astronomi coreani e registrata nel Koryo-sa. Un’altra grande macchia solare viene osservata per 13 giorni partendo dal 19 Dicembre 1202, dagli astronomi cinesi e registrata nel Sung-shih. I fenomeni solari descritt furono facilmente osservati anche in Europa, ma l’idea dell’incorruttibilità dei corpi celesti, secondo le idee astronomiche in voga nel XIII secolo, fece calare il più assoluto silenzio sull’imbarazzante fenomeno.

Nel 1203 apparve una stella “Nova” nella costellazione dello Scorpione. La luminosissima stella  che brillò, più di Saturno, di una luce bianco-bluastra dal 28 Luglio fino al 6 Agosto, quando si affievolì e sparì dalla vista ad occhio nudo. La registrazione dell’evento è contenuta in due testi cinesi: il Tung-Kao ed il Sung-shi.  Durante il 1204, anno in cui Maimonide morì, nuovamente abbiamo l’apparizione di grandi macchie solari: il 3 Febbraio, osservate sia in Corea che in Cina. In questo anno abbiamo anche due eclissi totali di Luna, una avvenuta il 16 Aprile, osservata in  Britannia, registrata negli Annales Scheftlarienses Maiores ed una il 10 Ottobre la cui descrizione è contenuta negli Annales Sancti Rudberti Salisburgensis. Entrambe le eclissi furono visibili anche in Italia. L’anno successivo, il 1205 di nuovo è registrata in Cina l’osservazione di una grande macchia solare visibile dal 4 Maggio. Nel 1207 si registra un’eclisse di Sole avvenuta il 28 Febbraio, totale sul territorio tedesco e parziale su quello italico, registrata negli Annali di Bermonsdey. Nel 1208 avvennero due eclissi totali di Luna: una il 3 Febbraio e l’altra il 29 Luglio.

Solo quella di Febbraio viene registrata da Ruggero di Wendover, ma la sua registrazione è errata di 1 giorno in meno rispetto a quanto previsto dal calcolo astronomico. Su tutto il territorio Europeo, per 2 settimane, è visibile una cometa, registrata negli Annales Sancti Stephani Frisigensis. Siamo ora al 1210 quando una spettacolare cometa appare nel cielo settentrionale attraversando le costellazioni del Drago, dell’Orsa Minore, di Cefeo e della Giraffa, nel bimestre Febbraio-Marzo. Il 19 Ottobre dello stesso anno appare nel cielo un’altra spettacolare cometa che si muove nei giorni successivi attraversando le costellazioni di Ercole, del Serpente, dell’Ofiuco e dell’Aquila. In quell’anno si celebra il sinodo di Parigi durante il quale si proibisce la lettura e l’insegnamento delle opere di Aristotele in quanto contrarie alla Teologia Cristiana; il divieto rimase in vigore fino al 1231. Nel 1211 appare nel cielo un’altra cometa visibile per 18 giorni nei mesi di Maggio e Giugno; in questo caso abbiamo due registrazioni indipendenti: una coreana ed una europea che elenca le osservazioni eseguite in Polonia (Historia Polonica Vol. VI). Nell’anno successivo, il 1214, il 6 Marzo viene scoperta un’altra cometa molto luminosa, osservata in Germania, la cui notizia è registrata negli Annales Coloniensis Maximi.

Nel 1215 avviene una spettacolare eclisse totale di Luna osservata sul territorio europeo poco prima del sorgere del Sole. Un’altra eclisse di Luna, questa volta parziale, viene osservata il 28 Agosto 1216 e registrata negli Annales Sancti Trudperti. Nel 1217 abbiamo il passaggio di un’altra cometa molto luminosa e ben visibile ad occhio nudo nel cielo, durante l’autunno; la registrazione è di provenienza europea e la rileviamo negli  Annales Sancti Stephani Frisigensis. Nel 1218 abbiamo la notizia di un’eclisse parziale di Luna osservata da Ruggero di Wendover. Nel 1220 furono osservate nel cielo ben tre comete: la prima di colore rossastro venne scoperta il 25 Gennaio era visibile di sera ed attraversò la costellazione di Andromeda e della Lacerta. La seconda cometa fu osservata il 6 Febbraio nella costellazione di Cefeo e poi nel Drago e i successivo 21 Marzo fu visibile una terza cometa la quale si mosse dalla costellazione del Leone a quella della Lince. Nel Gennaio dell’anno successivo, il 1221 un’altra cometa fu visibile nella costellazione dell’Orsa Maggiore.

Il 1222 vide l’unico passaggio della Cometa di Halley avvenuto nel XIII secolo. Essa fu molto spettacolare e brillò nel cielo dall’Agosto all’8 ottobre di quell’anno. Il 10 Settembre la cometa era posta nella costellazione della Vergine, poi si spostò in Boote e quindi nella Chioma di Berenice puntando verso la stella Arcturus, nel Boote. Il 25 Settembre era posizionata in Boote, ci rimase per 2 mesi circa e si sposto poi nella Bilancia e successivamente nello Scorpione dove il 23 Ottobre scomparve in prossimità del Sole. Le registrazioni coreane ci indicano che essa fu talmente luminosa da essere visibile anche di giorno. Il calcolo astronomico mostra che il perielio avvenne nella serata del 28 Settembre 1222 passando a circa 85 milioni di chilometri dal Sole. Nel 1223, il 28 Agosto una cometa di colore bianco brillante apparve nel cielo; essa venne osservata in Oriente, ma anche in Europa,  nel cielo della Francia di prima sera durante i primi giorni di Luglio. Le notizie europee provengono dal Chronicon Guillelmi de Nangiaco (1303) in cui viene indicato che l’apparizione della cometa fu il presagio della morte del re di Francia, Filippo Augusto, il quale regnò dal 1179 al 1223, quando il 14 Luglio morì, quando in cielo l’astro errante splendeva.

Nel 1224 si registra l’apparizione di una stella “Nova”  nella costellazione dello Scorpione. Nel 1225 apparve una cometa, non molto luminosa, ma visibile ad occhio nudo: fu osservata il 29 Marzo di quell’anno. Nel 1226 un’altra cometa apparve nel cielo il 13 Settembre tra le costellazioni di Boote  e della Chioma di Berenice. Il 22 Novembre 1230 avviene un’eclisse di Luna registrata da Ruggero di Wendover, mentre il 8 Dicembre venne scoperta una cometa di luminosità comparabile con quella del pianeta Saturno. L’astro venne scoperto nella costellazione del Cigno, il 8 Dicembre attraversò la costellazione della Lyra, il 13 Dicembre brillava in Ercole, il 16 in Ofiuco, il giorno 29 nello Scorpione, poi si spostò nell’emisfero meridionale della  Sfera celeste attraversando la costellazione del Lupo il 4 Gennaio del 1231, poi nella costellazione della Norma, il 16 Gennaio, per tornare il 25 Febbraio nuovamente nel Lupo e terminare la sua visibilità nella costellazione del Centauro il successivo 29 Marzo.

Il calcolo astronomico ci mostra che alal data della sua scoperta (4 Dicembre 1230), la cometa si trovava a soli 27 milioni di chilometri dalla Terra e a 145 milioni di chilometri dal Sole, mentre alla data della distanza minima dalla Terra, il 15 Dicembre 1230, essa si trovava a 19,7 milioni di chilometri dal nostro pianeta: appare chiaro perché essa si spostava così velocemente nel cielo. In quell’anno la bolla “Parens Scientiarum” emessa da papa Gregorio IX, proibiva nuovamente la lettura delle opere di Aristotele perché contrarie alla Teologia Cristiana. Nel 1232 si registra un’eclisse di Sole osservata parziale a Colonia, in Germania, il 15 Ottobre e registrata negli “Annales Coloniensis Maximi”.

Nello steso anno, il 17 Ottobre, una cometa molto luminosa apparve nel cielo, nella costellazione della Vergine. La sua coda era lunga oltre 10° (circa 20 volte le dimensioni del disco della Luna). Il 27 Ottobre l’estensione della coda aveva raggiunto i 20° di dimensione angolare apparente. Il 31 Ottobre divenne invisibile a casa della luce della Luna, ma il 11 Novembre essa riapparve mostrando una coda lunga oltre 40°, più di 1/5 dell’estensione della semisfera celeste localmente visibile. L’ultima visibilità dell’astro avvenne il 14 Dicembre di quell’anno. Nel 1234 muore Michele Scoto, e una cometa viene vista in cielo il 30 Ottobre.

La registrazione di rilievo successiva risale al 5 Dicembre 1238, in cui si registra una grande macchia solare visibile ad occhio nudo: abbiamo in questi anni un nuovo massimo dell’attività solare. Questo è l’anno dell’assedio di Brescia. Arriviamo ora al 1239, in cui nel mese di Febbraio apparve una cometa nel cielo. Il 1239 è l’anno delle grande spettacolare eclisse totale di Sole visibile nell’Italia settentrionale: il 3 Giugno alle 11 antimeridiane il Sole si oscurò. L’eclisse venne osservata a Toledo in Spagna, a Montpellier in Francia, ad Arezzo, Firenze, Siena. Le osservazioni eseguite e Cesena mostra che furono visibile le protuberanze solari ad occhio nudo. Una registrazione del fenomeno è reperibile nel “Auctarium et Continuatio  Lambacensis”.

Nel 1240 una cometa brillante di luce rossastra apparve nel cielo il 27 Gennaio. Il 1 Febbraio la cometa fu osservata accanto a Giove, luminosa come Venere. Il 5 Febbraio attraversò la costellazione di Pegaso, mentre il 13 Febbraio entrò in Andromeda e poi nei Pesci, fino al 21 Febbraio quando sparì alla vista ad occhio nudo. Nello stesso anno una stella “Nova” apparve ella costellazione di Pegaso e rimase visibile dal 5 Giugno fino al 25 Aprile dell’anno successivo. Sempre nel 1240, il 17 Agosto, un’altra “Nova” apparve nella costellazione dello Scorpione.

Nel 1241, il 17 Febbraio apparve e fu visibile in cielo una cometa, le notizie intorno a questo evento sono però frammentarie. Sempre nel 1241, il 6 ottobre avvenne un’eclisse di Sole la quale fu parziale nel territorio dell’impero federiciano; manca però qualsiasi notizia in proposito. Il successivo fenomeno astronomico straordinario di rilievo accadde il 24 Febbraio 1245, quando una cometa fu vista nel cielo nella costellazione dell’Aquila; il 26 Febbraio passò a sud del Capricorno, il 30 Marzo la cometa fu osservata in Pegaso e spari alla vista i successivo 4 Aprile. Il calcolo astronomico mostra che questa cometa passò alla minima distanza dalla Terra il 22 Febbraio 1245 ad una distanza di poco più di 16 milioni di chilometri. Siamo ora al 1248, quando il 7 Giugno fu osservata un’eclisse totale di Luna subito  dopo il tramonto. Nel 1250 una cometa apparve nel cielo di Dicembre, ma non ci sono altre notizie intorno a questo evento.

Non sappiamo come furono interpretati tutti questi fenomeni astronomici straordinari dagli astrologi di corte dei Federico II, ma certamente ebbero il loro peso sia nelle decisioni politiche e militari sia nella gestione della vita pubblica e privata dell’imperatore. Chiudiamo questa rassegna segnalando che lungo tutto l’arco della vita di Federico II, furono visibili sul territorio dell’impero solo 2 eclissi di Sole, di cui una, quella del 1239, molto vistosa ed impressionante per gli osservatori dell’epoca. Le eclissi di Luna che si succedettero dal 1194 al 1250 furono invece 145, di cui però solo 35 furono totali tanto che si verificò il fenomeno della colorazione rossastra della Luna eclissata (Luna del color del sangue). Le date in cui si ebbero le eclissi totali di Luna sono spaziate di circa 4 anni l’una dall’altra e sono le seguenti. Nel 1197 si ebbero eclissi lunari totali il 5 Marzo ed il 29 Agosto; nel 1200 il 28 Giugno ed il 22 Dicembre; nel 1201 solo il 18 Giugno; nel 1204 l’evento avvenne il 6 Aprile ed il 10 Ottobre; nel 1208 il 3 Febbraio ed il 29 Luglio; nel 1211 il 29 Maggio ed il 22 Novembre; nel 1215 l’eclisse totale lunare avvenne il 27 Marzo ed i l9 Settembre; nel 1219 il 2 Gennaio ed il 29 Giugno; nel 1222 il 27 Aprile ed il 22 Ottobre; nel 1226 accadde il 14 Febbraio ed il 9 Agosto; nel 1229 il 8 Giugno ed il 2 Dicembre; nel 1230, unico evento il 28 Maggio, nel 1233 il 27 Marzo ed il 19 Settembre; nel 1237 il 12 Gennaio ed il 9 Luglio; nel 1240 il 7 Maggio ed il 1 Novembre; il 1241 unico evento il 27 Aprile; nel 1244 abbiamo le eclissi totali lunari il 25 Febbraio ed il 19 Agosto; nel 1247 abbiamo il 7 Giugno ed il 13 Dicembre; e per finire nel 1251 il 7 Aprile, ma in quella data Federico II era già morto.


[1] In una profezia attribuita a Michele Scoto si narra che Federico II (aquila nova) proteggerà con le sue ali le genti, ma poi avendo voltato le spalle alla madre (Chiesa) il becco dell’aquila imperiale scontrandosi contro la pietra (San Pietro) solida si sarebbe ritorto in modo tale da impedire l’assunzione del cibo, generando pene e dolori terribili che si sarebbero trascinati sino alla morte e oltre.

 

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