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       Convegno "L'eredità dell'Antico Egitto"                    

                                   Milano, 20 aprile 2008

                                                             (report di Marisa Uberti)

Nell'accogliente e gremita sala Michelangelo dell'Hotel cittadino omonimo, non sono mancati all'appuntamento i cinque più illustri e controversi studiosi dell'Antica Civiltà Egizia: Robert Bauval, Andrew Collins, Graham Hancock, Robert M. Schoch, J. Antony West, moderati dal dr.Roberto Pinotti e riuniti per la prima volta insieme in un Convegno organizzato da Acacia Edizioni, Acacia onlus e Associazione Sviluppo e Cultura. Quello che segue è un resoconto dei punti essenziali illustrati dai conferenzieri, tenendo conto che l' interpolazione delle traduzioni simultanee dall'inglese all'italiano effettuate dalle brave operatrici in sala, unita ai limiti della scrivente, può aver comportato alcune imprecisioni, per le quali ci scusiamo.

                               

Nella foto sopra, da sin. R. Pinotti, R. Bauval, A.Collins, G. Hancock, J. A. West. In quella sotto, da sin. R.Schoch, Hancock, West.

                            

 

Il primo a prendere la parola è stato Robert Bauval, che ha esposto la sua apprezzatissima relazione in lingua italiana. Lo studioso, autore di innumerevoli libri di successo, ha subito affascinato la platea presentando i suoi ultimissimi studi relativi a nuove scoperte effettuate grazie ad un ricercatore egiziano, Marai, con cui sta condividendo l'entusiasmo e l'impegno di approfondire possibili correlazioni tra una zona a carattere preistorico del deserto egiziano e l'epoca dinastica. A settecento chilometri dal Nilo, si badi bene, in quello che Bauval stesso definisce il deserto più arido del mondo, si trova Jebel Uwaynat, un territorio grande come la Svizzera, scoperto nel 1923 dall'armata inglese, che attualmente è 'suddiviso in tre diversi Paesi: un quarto è in Egitto, due quarti in Libia, un altro quarto in Sudan. Un luogo ancora incontaminato, inesplorato che, attraverso le descrizioni del relatore, ha finito per incantare anche noi, semplici auditori e indagatori del mistero. Non sono poche le problematiche che si presentano a chi si voglia avventurare alla ricerca di questo luogo 'dimenticato' dal mondo della ricerca: è necessario possedere i permessi necessari (cosa che richiede molto tempo), delle jeep in grado di muoversi nel deserto (mancando totalmente strade ovviamente) e delle guide, rifornimenti sufficienti di acqua, di benzina e di viveri. Non ci si può lavare in nessun luogo durante il percorso, non esiste modo di comunicare con nessuno (non funzionano i comuni cellulari ma soltanto quelli GPS/ satellitari), si possono fare incontri poco rassicuranti in pieno deserto (perciò è indispensabile viaggiare con i permessi e la presenza di scorta) e soprattutto va calcolata la riserva di acqua e benzina necessarie per il tempo del viaggio. Una di queste disattenzioni nell'organizzazione può costare cara. Il viaggio di Bauval, Marai e tutto il necessario (permessi compresi), è iniziato dal Cairo ed è durato circa cinque giorni per raggiungere Uwaynat. Una volta arrivati, Bauval si è sentito catapultare in una dimensione completamente sconosciuta rispetto al mondo in cui normalmente siamo abituati a vivere; una zona molto suggestiva, piena di siti preistorici, in cui gli unici abitanti sono gli animali, che possono permettersi di vivere senza i bisogni umani (è chiaro che però acqua da qualche parte deve trovarsi, per abbeverarli. La fig. 11 mostra inoltre la crescita di erba sul suolo arido desertico). Al momento presente è ancora inesplorata e non vive nessun essere umano; ma nel 1923 quando venne individuata dagli inglesi, la zona aveva qualche abitante: l'esploratore  che vi si avventurò raccontò in seguito di non aver visto nessuno per i primi tre giorni ma qualcuno, che lo osservava, c'era. Il terzo giorno infatti si decisero a portargli una tazza di latte di capra. Vivevano allo stato che noi consideriamo 'primitivo' e già nel 1930 di loro non si sapeva più nulla: non risultavano più presenti a Jebel Uwaynat. La cosa più straordinaria è che molto tempo fa, in questo deserto arido c'era molta acqua e molta gente. Lo testimoniano le pitture rupestri trovate nelle grotte lì presenti e che potrebbero datarsi a 17.000 anni fa. In una grotta sono visibili uno specchio d'acqua e persone vi fanno il bagno; altrove si trovano raffigurati animali tipici dell'ambiente savana (come la giraffa ad esempio, fig. 4); in un'altra ancora si notano mucche dal pelo pezzato (fig.7), che non sono comuni in Egitto; oltre a diversi altri enigmatici particolari, come la posizione dei personaggi nella figura 6 (cosa fanno?). Ma il fatto più sconcertante è che Bauval e compagni hanno ritrovato un cartiglio con l'iscrizione del faraone Montuhotep (fig.9), insieme ad altre iscrizioni di epoca dinastica.  L'interrogativo conseguente a tali scoperte è stato: l'Egitto faraonico conosceva questo sito in pieno deserto? Cosa ne pensavano? Bauval ha avanzato l'ipotesi che questo luogo possa essere identificato come la terra di Yam che si ritrova in antichi documenti e che non si è mai localizzata.  Ma come lo avrebbero raggiunto? Il mezzo di trasporto su asini è da scartare perchè abbisognano di ingenti quantità d'acqua; è stato calcolato che a coprire il tragitto di trecento chilometri servirebbero almeno venti stazioni d'acqua... Indagini inerenti una civiltà che ha preceduto quella dei faraoni ne sono state fatte, anche se manca una vera e propria continuità logica tra la 'preistoria' egizia e l'epoca delle prime dinastie ufficialmente riconosciute (attorno al 3000 a.C.).Nel 1974 il ricercatore Fred Wandorf individuò diverse strutture megalitiche nel deserto, compresa una piccola Stonehenge ma più vecchia di 2.000 anni. Lo studioso aveva indagato una zona desertica nota come Nabta Playa, i cui insediamenti si possono far risalire al 6.700 a.C. circa. Bauval aggiunge che i circoli megalitici di quel sito sono orientati sulle stelle della cintura di Orione e la località è situata sullo stesso parallelo del Jebel Uwaynat (22,5°), così come Abu Simbel. Bauval ha da tempo indicato che questo orientamento astronomico è in gioco anche per le piramidi della piana di Giza in cui lui, come molti sanno ormai benissimo, ha individuato una correlazione non casuale con le tre stelle che formano la cosiddetta cintura di Orione, per gli antici Egizi sede della dimora eterna del faraone nell'aldilà, collocata nel Duat. Il plateau di Giza sarebbe dunque stato organizzato in modo da ricreare in terra ciò che c'è in cielo; ma nel 2500 a.C circa, epoca cui vengono datate le piramidi, il passaggio delle tre stelle al meridiano non creava un angolo di inclinazione compatibile con quello delle piramidi stesse (si perdoni l'imprecisione tecnica, n.d.r.). Sarebbe caduta tutta la teoria che correlava Giza ad Orione! Le piramidi infatti non potevano essere spostate ma...le stelle si! Con software speciali di astronomia, Bauval riuscì a ritornare indietro nel tempo fino a che la situazione celeste fosse sovrapponibile a quella della piana. Questo tempo era il 10.500 a.C. Bisognava retrodatare l'epoca dei costruttori delle piramidi a quell'epoca, per trovare una esatta corrispondenza tra le tre piramidi e le tre stelle della cintura di Orione, cosa che gli egittologi ufficiali non hanno mai accettato, poichè sono contrari ad accogliere argomentazioni fuori dalle righe. Ma soprattutto perchè mancano ulteriori prove a suffragio. Molti studi devono essere intrapresi, evidentemente, al fine di dare risposte agli interrogativi al momento insoluti, tuttavia quando Bauval e Marai hanno presentato i loro primi risultati ottenuti a Zahi Hawass (Soprintendente di tutte le Antichità Egiziane), egli non ha mostrato molta importanza per la questione. Bauval, forte dell'esperienza, pensa però che il sito archeologico non resterà a lungo ancora di libero accesso; paventa una possibile chiusura e un'interdizione alle grotte da parte delle autorità. Ha tuttavia in programma di ritornare entro l'anno a Jebel Uwaynat e ha intenzione di portare un piccolo gruppo di persone interessate a fare la sua stessa esperienza; chi avesse voglia e salute può dunque candidarsi all'insolito tour in pieno deserto egiziano, con tutta l'organizzazione necessaria predisposta a tal fine. Ulteriori informazioni si potranno trovare tra qualche settimana sul suo sito internet: www.robertbauval.com

Una platea molto attenta ha coronato con un sentito applauso l'intervento del dr.Bauval, al quale ha fatto seguito la relazione di J. Antony West, imperniata su uno degli argomenti più delicati e difficili della storia Egizia: la simbologia che, secondo West, è inserita sapientemente negli edifici presenti in loco, testimoniando il fatto che essi furono realizzati secondo una geometria affatto scontata ma secondo quella che viene oggi appellata 'Scienza Sacra'. Rifacendosi agli studi di un egittologo non ortodosso, il dotto Renè Schwaller de Lubicz, il relatore ha ripercorso le scoperte di quest'ultimo, che si era accostato alla geometria sacra fin dagli anni '20-'30. Era nato nel 1885 e nel 1936 fece un viaggio in Egitto, per trascorrervi le vacanze, ma finì per restare fino al 1954. Fu fortunato perchè in quel periodo il tempio di Luxor era oggetto di restauro e dunque potè annotare diverse scoperte. Aveva compreso che in quel maestoso complesso templare si potesse celare la "chiave" per penetrare la dottrina degli Antichi. Egli fu tra l'altro uno dei primi a dire che la Sfinge presentava tracce di erosione dovute a piogge torrenziali e a ipotizzare la presenza di una 'civiltà' precedente a quella Egizia. Cosa che West condivide, avendo a sua volta eseguito studi in tal senso. Durante la sua permanenza a Luxor, de Lubicz sviluppò la teoria dell' antropocosmo, che diede vita ad un'opera letteraria monumentale, "Il Tempio dell'Uomo", uscito nel 1957 (che raccolse l'indifferenza del mondo accademico). Un lavoro che deve essere rivalutato, dice West. Lo studioso aveva compreso che gli Egizi detenevano, già ben prima delle scoperte di Pitagora, le leggi dell'armonia e della proporzione (sezione aurea) che sono inserite in natura anche se non le vediamo. Ad esempio, suggerisce il relatore, con il fenomeno della risonanza si è scoperto che suonando una melodia al violino vicino ad una lastra di metallo su cui è stata sparsa della sabbia in modo casuale, le molecole si dispongono secondo meravigliose forme 'armoniche' (musica congelata) senza che nessuno intervenga.

Anche ogni dio egizio veniva associato a geometrie particolari. La dottrina egizia è, secondo de Lubicz, creazione architettonica completa facente parte di una dottrina completa, che chiameremo Sapere (o Tradizione). Una Scienza unica (unicum) che comprende le più importanti branche dello scibile umano. Ma che cosa vuol dire "antropocosmo'? Letteralmente significa Uomo-cosmo. Essere consapevoli di questo, presuppone riuscire a penetrare dentro sè stessi e introdurci alla "coscienza Suprema". Il Tempio di Luxor fu, in origine, strutturato su 3 assi e ogni aggiunta successiva o modifica, rispettò questo iniziale progetto. Inserite nel tempio, vi sarebbero le proporzioni del corpo umano e delle sue funzioni creatrici superiori, in quanto l'Uomo è egli stesso incarnazione di principi cosmici o delle leggi della Creazione che, se sono interdette alla maggior parte dell'umanità, qualcuno ha saputo decodificare o penetrare. Il tempio quindi è un modello simbolico delle stesse. Nel luogo più inaccessibile ai profani, in cui potevano entrare soltanto i sacerdoti, veniva collocato il ' Sancta Sanctorum' in cui i 'misteri venivano svelati' .Qui c'è la testa 'pensante', l'Uomo che si fa 'Verbo divino', il logos, base di ogni 'Uomo-dio'. Questa filosofia la conoscevano non solo gli Egizi, ma la si deduce dai codici Maya, dalle geometrie dell'architettura Indù, da quella Cinese e certamente in molte altre sparse per il mondo. La cosa fondamentale da tenere presente è che questo concetto evidenzia il fatto che ci fu un periodo -nella storia passata dell'umanità - in cui gli Iniziati di tutte le grandi civiltà ebbero accesso a questa 'dottrina', della quale noi abbiamo perso la chiave di codifica. Se vogliamo comprendere lo spirito di qualsiasi civiltà, bisogna comprendere dove ha posizionato la sua cultura creativa.. La nostra dov'è collocata? Oggi la nostra energia creativa, asserisce West, va verso strumenti di distruzione di massa o frivolezze. Lo chiamiamo progresso ma non lo è. Oggi l'Egitto è involuto. Un tempo invece seppe incarnare i principi cosmici nelle proprie realizzazioni; la religione egizia (che era un 'corpus' di discipline) ha fatto da base alle successive, tanto che in quella cattolica ritroviamo molti rimandi ad essa e nelle grandi cattedrali gotiche cristiane possiamo individuare 'qualcosa' di quell'antico seme, che riemerse dopo secoli di oblio. Se interpretiamo la storia umana come ciclica, oggi noi siamo vicini al fondo di questo ciclo, non all'apice come vanitosamente riteniamo. Il suo sito web è: http://www.jawest.net/


                                       

                  Il dr. J. A.West in un momento della sua corposa relazione

                          

La pausa- pranzo ha permesso di 'riordinare' le idee, oltre che di poter interagire con i diversi relatori, circondati chiaramente da ammiratori per autografi vari o foto ricordo. Si è ripreso nella sessione pomeridiana con l'attesissima esposizione del celebre ricercatore e scrittore Graham Hancock (nella fig. 2 in cima alla piramide di Cheope), che non ha deluso. Molto arduo condensare in queste poche righe tutto il suo intervento, ma ne daremo brevi e stimolanti cenni. Lo studioso, che effettua i propri sopralluoghi avvalendosi della collaborazione della fotografa Santha Faja, sua consorte, ha ripreso la questione della monumentale opera della grande piramide di Giza, attribuita al faraone Cheope, per via di un cartiglio (fig.1) ritrovato su un blocco della G.P. (e per una statuetta ritrovata nei pressi della base della stessa). Si sa che questo cartiglio è autentico, risale all'epoca del suddetto faraone, così come altri segni incisi sui blocchi, che permetterebbero la datazione all'epoca del suo Regno (circa 2500 a.C.). Hancock infatti non esclude che questo faraone abbia 'avuto a che fare' con la costruzione in esame, ma sostiene che potrebbe averla già trovata in loco ed avervi apportato dei lavori. Ha indugiato sulla 'precisione' delle sue incredibili misure, sul suo orientamento astronomico, e sui condotti scoperti nella cosiddetta Camera della Regina, investigati già nel 1993 da Gantenbrick (a cui poi fu vietato proseguire) ma in seguito esplorati con sofisticati robot dall'equipe del prof. Hawass e dalla National Geographic Society. Al momento attuale non si conosce ancora quale fosse il loro scopo nè cosa si celi oltre alle famose 'porticine' trovate a circa sessanta metri della loro lunghezza (la larghezza è di circa 20 x 20 centimetri). Ha riproposto una riflessione in merito all'enormità dei blocchi presenti nella struttura, da lui più volte indagata anche in zone normalmente precluse. Ad esempio, ha potuto salire nell'ultima camera di decompressione situata nella struttura sovrastante la Camera del Re. Chiamata in modo erroneo, secondo lui, di decompressione perchè non era quello lo scopo della struttura, del tutto simile al pilastro Djed (o Zed) che per gli antichi egizi rappresentava la colonna vertebrale del dio Osiride. A questo livello si trovano enormi monoliti posizionati in maniera obliqua (a fare da copertura), e ancora non si può capire come una civiltà che non possedeva nè la ruota nè metalli come il ferro abbia potuto portarli fino a simili altezze.

                                                        

 

Le cifre però, ha asserito Hancock, non dicono niente di sostanziale, non farebbero capire- da sole- che questo è un luogo 'sacro'. Esso va  inquadrato nel contesto in cui sorge, e tenendo presente che esso doveva ricreare il Duat, cioè un luogo in cui dimora il dio Osiride (che il faraone morto poi incarnava). Il Duat non è solo un luogo simbolico, secondo Hancock, ma anche fisico. Le descrizioni che di esso ne fanno i Testi egizi, infatti, menzionano porte, cancelli, corridoi, camere, e questa descrizione può essere comparata con la struttura interna della Grande Piramide ma anche del plateau di Giza, nella disposizione dei suoi monumenti. E' come se quegli antichi costruttori avessero voluto creare un universo parallelo. Nei suoi studi, Hancock ha spesso rilevato come il numero 72 sia ricorrente in diverse antiche civiltà; tramite opportuni calcoli si è giunti a capire che gli Egiziani dovevano conoscere il fenomeno della Precessione degli Equinozi, che la Terra compie in quasi 26.000 anni, un lasso di tempo lunghissimo rispetto agli altri movimenti cui è soggetta (Rivoluzione e Rotazione). Le ricerche hanno portato a ritenere che il sito di Giza 'riproduca' in terra una situazione celeste che era possibile osservare nel 10.500 a.C., in cui si presentavano nel cielo diverse disposizioni stellari che sarebbero state eternate nella pietra. Straordinarie le immagini che immortalano il tramonto del sole sulla piana di Giza, che sembra scendere una scala costituita dai gradoni della piramide per poi scomparire e levarsi il giorno successivo comparendo sul capo della Sfinge all'Equinozio di Primavera. In questo cosmo pietrificato che si perpetua e non muore, ma si rinnova ciclicamente, potrebbe consistere il messaggio fondamentale: l'immortalità dell'anima(crediamo di poter sintetizzare così il fulcro del discorso). Fenomeni analoghi- che devono essere stati debitamente calcolati dai costruttori (anche se gli egittologi sono più disposti a credere al 'caso'!), non si rilevano solo in Egitto. I complessi templari di Angkor Wat e Angkor Thom, in Cambogia, datati attorno al 1150 d.C., denotano corrispondenze notevoli tra i monumenti che li compongono e la costellazione del Drago, così come le distanze fra le varie costruzioni rispecchiano fedelmente, in proporzione, le distanze fra le citate stelle. Ma non come si presentano oggi. Così come la disposizione delle tre grandi piramidi del plateau di Giza non appare sovrapponibile al cielo di oggi nè a quello del 2.500 a.C. ma a quello del 10.500 a.C., anche Angkor Vat si comporta come una fedele replica della costellazione del Drago come appariva nel cielo di 12.000 anni fa! Il tempio di Angkor Vat è un gigantesco mandala che rappresenta l'universo e i suoi continui processi di disintegrazione e ricostruzione; la levata del sole all'Equinozio di Primavera sembra scandirsi sul monumento in una sequenza che poco ha dell'approssimativo, e così anche il 'serpente' di luce che si 'palesa' per soli venti minuti lungo la piramide maya di Chichen-Itza. Marcando tutti i templi più importanti, si vede che hanno una correlazione con la costellazione del Drago (assimilabile, a seconda delle culture, al serpente). Anche quei templi -che appartengono ad un'epoca diversa - potrebbero essere sorti su precedenti e più vetusti monumenti? Perchè tutte le civiltà più antiche sembra abbiano voluto 'fissare' nella pietra determinati momenti astronomici? Forse perchè il Sapere non si è mai estinto e continua sotto diverse vesti a riprodurre la medesima verità? Nei testi maya (vedasi il Manoscritto di Dresda, uno dei pochi  conservatisi dopo l'ecatombe dei colonizzatori europei in centro e sudamerica) la razza umana, passando attraverso dei 'cicli', si troverebbe tra poco alla fine (2012). Se guardiamo l'attuale configurazione celeste, l'alba dell'Equinozio di primavera sulla piana di Giza mostra che la situazione è 'ribaltata' rispetto al 10.500 a.C.: il Drago è in basso, Orione in alto; la costellazione del Leone e quella dell'Acquario si scambiano la posizione e così la Sfinge oggi ha lo sguardo rivolto verso il sorgere all'orizzonte della costellazione dell'Acquario, età in cui l'umanità sta per entrare. Qualche autore sostiene che nel 2012 determinati allineamenti astronomici scandiranno una catastrofe mondiale, altri invece -in una visione più ottimistica e rassicurante -ritengono che si tratterà di un passaggio ad uno stato di coscienza più elevato, forse un ritorno alla saggezza che antichi costruttori avevano inserito nella pietra dei loro edifici. Il sito web del relatore è http://www.grahamhancock.com/

                                               

Sulla scia dell'applaudita esposizione di G. Hancock, il ricercatore Andrew Collins ha proposto un tema che ha davvero spaziato tra filosofie e culture mondiali, affrontando aspetti talvolta ostici per il pubblico medio, partendo dal titolo della sua relazione: Finding the key to first creation (più o meno "individuazione della chiave della prima creazione/origine"). Cercheremo di sviscerare gli aspetti più salienti di quanto abbiamo capito. Ovviamente sappiamo che le piramidi  ufficialmente vengono fatte risalire alla IV dinastia e realizzate in sequenza di generazione (Cheope, Chefren e Micherino). E se non fosse così? Da una serie di studi, si è capito che unendo gli apici delle piramidi più esterne si può disegnare un triangolo perfettamente equilatero, il cui vertice terminerebbe su una montagna abbastanza prominente, il Gebel Ghibli, che potrebbe essere stato in realtà il punto di osservazione originario della piana ai tempi delle piramidi; cioè potrebbe essere partita da qui la decisione di dove posizionare la seconda piramide (Chefren). Poteva essere usato come primo punto della triangolazione che offre una magnifica postazione di avvistamento delle piramidi in terra e dei corrispettivi stellari in cielo(vedi fig.2 e 5). C'è da dire che Collins ha individuato, oltre alla correlazione di Giza con Orione, un'altra costellazione secondo lui importantissima per gli antichi costruttori delle piramidi: quella dell Cigno. Innegabile, lui dice, che molte civiltà protostoriche, quelle che lasciarono i cerchi di pietre o i tumuli preistorici, li direzionassero sull'asse nord-sud; non vi era una stella polare tra il 9500 a.c. e il 9000 a.c., e ci si basava sul movimento delle stelle circumpolari intorno al Polo Nord celeste. Attraverso il programma astronomico Skyglobe per queste date, si è accorto che solamente una costellazione poteva essere oggetto del loro sguardo, il Cigno, costellazione molto brillante nel cielo. Bisogna pensare che per gli antichi ogni costellazione evocava o rappresentava qualcosa di reale, a ciascuna veniva attribuita una corrispondenza terrestre, un nome, un animale o una divinità. Nell'antica Mesopotamia la costellazione del Cigno veniva vista come un uccello rapace, mentre nel mito classico veniva vista a volte come un avvoltoio, il simbolo della trasmigrazione delle anime nel culto neolitico dei morti. I Sabei di Harran- una razza conosciuta anche come Caldei, che occupava l'Alta Mesopotamia -veneravano il Nord come Causa Prima e anche come la direzione del Paradiso. Nei Testi delle Piramidi, un passo recita che il faraone in morte ascende al cielo del nord (settentrione) diviene  un akh, uno spirito glorioso e una stella imperitura circumpolare o vicina alle stelle circumpolari che ruotano attorno al Polo celestiale (fig. 1). Seguendo questa 'pista', lo studioso ritiene di poter individuare un'antica scienza detenuta da un'elite sciamanico-sacerdotale di epoca prediluviana che ha lasciato una  grande impronta in tutti i culti e le genti che sono venute successivamente. Collins sostiene che il primo faraone della V dinastia, Userkaf,  abbia scelto la stella più luminosa del Cigno, Deneb, per orientare il suo tempio solare ad Abu Ghourab, a sud del plateau di Giza. La stessa stella si colloca direttamente all'apice della seconda piramide della piana di Giza; tali correlazioni stellari potevano essere osservate dal Gebel Ghibli. Ma perchè era così importante il Cigno per gli antichi Egizi? Perchè, sostiene Collins, così come Ra (dio sole) è nato da Nut (la dea/ Cielo egizia), raffigurata come una donna/ Via Lattea che circonda le costellazioni (fig.6), nella tipica iconografia egiziana, quella del Cigno viene a trovarsi all'altezza della vulva della dea/Cielo, aspetto femminile dal quale scaturisce la vita (l'origine). Se si osserva la situazione della posizione celeste della costellazione del Cigno, (non abbiamo capito però a quale epoca si riferisca Collins, ci scusiamo),  tracciando segmenti virtuali che uniscano le stelle principali, notiamo che appare una figura che ricorda un uccello (appunto il cigno) che si ‘rispecchia’ sulla piana di Giza con la disposizione dei monumenti a formare un enorme volatile, il cui becco confluisce nel Gebel Ghibli. Il sito del relatore è http://www.andrewcollins.com/



 

Se è sempre spinoso il percorso di chi vuole addentrarsi negli aspetti più filosofici o simbolici degli antichi costruttori delle piramidi egiziane, poichè tali studi sonopiù il frutto di tesi personali e speculazioni soggettive che di riscontri concretamente oggettivabili (di cui la scienza accademica non può fare a meno!), diverso è il caso di chi certe 'prove' tangibili sembra sicuro di averle trovate. Parliamo dell'ultimo relatore in programma al convegno, il geologo e geofisico Robert Schoch, della Boston University. Anni fa, e in seguito diverse volte, si è recato sulla piana di Giza per verificare l'età della Sfinge, che chiunque abbia letto i suoi lavori sa ormai che risalirebbe ad un'epoca antecedente quella ufficialmente riconosciuta, che è quella della IV dinastia (ca 2500 a.C.). In quest'epoca è più probabile che siano state apportate delle modifiche o dei restauri ad una struttura che esisteva già. Le prove degli egittologi a favore della tesi che la Sfinge risalga al 2.500 a.C. circa si basano sul fatto che si trovi anzitutto sulla piana, insieme alle piramidi a quell'epoca fatte risalire, e precisamente al tempo del regno del faraone Chefren; di quest'ultimo avrebbe attinto le fattezze, rilevate in base ad una statua del sovrano ritrovata nei pressi. Le fattezze dei volti di Chefren e quello scolpito nella Sfinge non sono affatto simili, dice Schoch; infatti  un'analisi comparativa dei lineamenti ha dato risultati divergenti, facendo anzi supporre che la tipologia del volto appartenga ad un soggetto di tipo negroide (fig.1-2-3). La testa appare altresì sproporzionata rispetto al resto del corpo del felino, è più piccola e questo depone per un rimodellamento della scultura, la quale inizialmente poteva averne una del tutto differente. Inoltre, la stele custodita tra le sue zampe, risalente al tempo della XVIII dinastia, nota come Stele del sogno fatta incidere dal faraone Tuthmosis IV come ringraziamento (per aver esaudito il sogno di divenire re in cambio di averla fatta dissotterrare dalle sabbie che la ricoprivano), recherebbe inciso il cartiglio con il nome di Chefren. Schoch ha ribadito che sulla stele c'è soltanto un dubbio riferimento al suddetto faraone, si legge solo una Ka (Chefren è Khafre o Kafre, Cheope è Kufu, Micerino è Menkaura).Va detto che la Sfinge, nella sua storia, è sempre stata ricoperta dalle sabbie fino a tempi recenti, (vedi fig.4) e doveva essere periodicamente liberata. Le prove che lo studioso, come geologo, ha però portato a difesa della sua tesi, sono quelle delle tracce di erosione sul corpo della Sfinge e sulle pareti del recinto che la racchiude. Tracce che denotano un lavoro costante delle intemperie, per un periodo di tempo prolungato, indicative di scrosci di acqua (pioggia) che scende dall'alto. Il vento infatti causa un tipo di erosione orizzontale e scavata (tunnel) e non è stato questo a causare i segni verticali e a rendere i blocchi arrotondati, come sostengono invece gli egittologi ortodossi. Schoch è convinto che le tracce presenti sul corpo della Sfinge siano dovute ad una erosione di diverso tipo, di origine pluviale; il vento scava lo strato morbido delle rocce, quello superiore, l'acqua agisce in modo diverso (fig.5-6-7-8-9-10). Ma in Egitto le condizioni climatiche non presentano piogge così copiose da millenni; al tempo della IV dinastia quei tipi di piogge torrenziali non si verificavano già da molto tempo. Per trovarle bisogna spostarsi molto più indietro nel tempo, attorno al 5.000 a.C. o ancor prima. Altra questione che il prof. Schoch ha portato all'attenzione della sempre più rapita platea è stata quella delle 'camere' interne alla grande Sfinge di Giza. Una stele raffigura la Sfinge (con la sua controparte celeste, molto probabilmente), fig.11, sopra un palazzo, cosa che ha fatto ipotizzare che al di sotto della statua vi fossero stanze segrete. Una di esse, agli inizi del Novecento, fu descritta dal veggente dormiente Edgard Cayce, che aveva predetto che sotto la zampa destra della Sfinge si celava una camera degli archivi che conteneva tutti i documenti relativi ad una civiltà antidiluviana, molto progredita, corrispondente alla perduta Atlantide, che aveva raggiunto un livello di civiltà e di sapere impareggiabili. Anche se di tutto questo non è stata trovata traccia, le stanze non sono affatto un mito, come ormai anche Zahi Hawass ha confermato. Esse esistono e sono state in parte esplorate (fig.12). Le indagini sismiche inoltre hanno rivelato una serie di cavità o di alloggiamenti sotto il corpo; i risultati riportati su grafico (fig.13-14) hanno stabilito dei 'vuoti' che corrisponderebbero a dei vani, ma specialmente uno -in corrispondenza della zampa anteriore sinistra- non è stato mai indagato (e nemmeno è stata convalidata la presenza dagli archeologi). Eppure gli strumenti lo hanno rilevato. Schoch teme che eventuali camere interne alla Sfinge possano essere già semi o totalmente allagate per fenomeni di falda. Uno dei templi più enigmatici dell'antico Egitto, infatti, l'Osireion situato ad Abido e fatto risalire al tempo di Sethi I (XIX dinastia, Nuovo Regno), presenta la sua parte posteriore -poco conosciuta- sommersa dall'acqua (fig.15) che rende estremamente difficili le ricerche. A questo livello si trovano delle strutture certamente non compatibili con l'età del resto del complesso, ma molto più antiche. Ha fatto notare che su uno dei pilastri sono incisi dei cerchi contenenti dei Fiori della Vita (fig.16), un simbolo antichissimo che venne usato anche in epoca romana e nel medioevo (lo si ritrova -aggiungiamo noi- in numerose chiese e cattedrali). Ci sono altre costruzioni in Egitto che presenterebbero le medesime caratteristiche evidenziate sul corpo della Sfinge, ha asserito il prof. Schoch. Anche alla base delle piramidi si trovano blocchi che potrebbero appartenere a costruzioni precedenti e ci sono lastre pavimentali, attorno, che non sembrano avere un nesso con le piramidi stesse. Analizzando i blocchi di restauro del Tempio della Sfinge, che sorge accanto alla statua, Schoch si è reso conto che sono totalmente diversi: quando furono apposti? Su un blocco vi sono dei geroglifici della IV dinastia che attesterebbero un restauro (fig.17), segno che la Sfinge fosse già antica e bisognosa di interventi edilizi. La struttura più antica della piana, pensa Schoch, che venne restaurata nell'antico regno. Questi lavori indicano un'attività sulla piana di Giza antecedente a quello che la maggior parte degli egittologi dicono. Nel finale, Schoch lancia una supposizione: se non si accetta l'idea di una Sfinge più vecchia di almeno due o tremila anni di quanto sono disposti gli egittologi a fare, bisogna trovare una risposta alle inequivocabili tracce di erosione pluviale che presenta. Poteva trovarsi sulla piana di Giza una struttura rocciosa che gli agenti atmosferici - con il passare del tempo- 'modellarono' in forma vagamente somigliante ad un animale (fig.18)? Avrebbe potuto, nel momento giusto, evocare l'idea di scolpirla in forma di felino posto a guardia della necropoli, all'epoca dei faraoni? Questa ipotesi potrebbe conciliarsi con i segni di erosione riscontrati da Schoch sul corpo e su alcune parti non restaurate della Sfinge nonchè del recinto, dovuti all'azione di piogge prolungate, con altre parti che non li mostrano, perchè al tempo dei faraoni in Egitto, appunto, non pioveva più.

Il sito web di Robert Schoch è http://www.robertschoch.com/

            

Al termine di questo convegno, sicuramente straordinario per la presenza -in prima assoluta- di tutti e cinque questi relatori di fama mondiale, non possiamo anzitutto non ringraziarli per gli imput che hanno dato, per la loro disponibilità a rispondere alle domande che il pubblico ha sagacemente rivolto (talvolta venendo salvati -per qualche perdonabile omissione- dalle traduzioni istantanee), per le belle parole che hanno saputo spendere nei confronti della città di Milano e dell'organizzazione ricevuta. Tuttavia i misteri delle piramidi continueranno a mantenersi tali e la Guardiana di Giza proseguirà il suo millenario compito di custodire il segreto.

                                      

 

 

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                                                                                            aprile 2008