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INDIA SUD – UN GIORNO  AL  TEMPIO DI  CHIDAMBARAM

(la TRIMURTI e altre simbologie)

 (Testo e immagini di Massimo Taddei)  

chidambaram-.jpg (100595 byte)

Chidambaram non è una grande città . Anche se mantiene le caratteristiche della vita  urbana  indiana, si respira la vicinanza alla vita rurale. Ci sono  ancora abbastanza mucche  in  strada, scimmie e carri di buoi  con  canne da zucchero, nonostante la presenza di mezzi a motore. Avevo  saputo  che  in lingua tamili il tempio è detto Koyil  e che quando  si  dice solo  Koyil tutti i tamili  intendono Chidambaram. Così arriviamo in città circa alle 17 e l’autista  mi chiede se vogliamo andare all’albergo e  io  rispondo  solo  Koyil.

Tutti i templi effettuano una sosta di  chiusura dalle 12,30  alle 14,30 o 16; il caldo  da queste parti detta  un po’  le regole di vita. Ai lati  della strada che  porta ad  uno  dei  quattro  ingressi cardinali,le solite bancarelle che vendono cosette  utili  alla frequentazione del tempio . Copie di oggetti rituali, frutta e piante da offrire alla divinità ,spezie, anacardi da mangiare. L’ingresso, questa piramide colorata, intarsiata di  scene  che narrano le storie antiche hindu è detto Gopuram ( città della mucca). Questa davanti  a  noi raggiunge i 60 metri ma non è la  più alta.  Prima di camminare verso l’entrata ci fermiamo ad  un banchetto  per una inevitabile sosta , il masala chai.  Latte bollito, tè bollito, spezie, tutto ribollito insieme  e servito. Indispensabile, corroborante, genera una notevole energia che ti permette di superare quello stato  di  dolce apatia a cui  altrimenti  ti  lasceresti  andare a scapito  della qualità della visita . Alcuni ne bevono un paio  ( io incluso) . Lasciamo le scarpe. Insieme a noi  affluisce al  tempio la gente del posto .

I templi del Sud sono  città. Hanno varie cinte murarie che,  in maniera concentrica, comprendono spazi vari  dedicati  ad attività  diverse : commerci, cibo, sala delle danze, del teatro, della conoscenza ( scuola), giardini, templi di  varie divinità, produzione di tilak ( pasta di  sandalo) , altre  sostanze  utili  ai  riti; una volta anche il Soma. In un  tempio ci siamo imbattuti  nella produzione di  spremuta di una pianta stupefacente, che veniva  poi offerta  a bere a Shiva.

Già, Shiva, uno dei tre dei che compongono la trimurti indiana. Si passa sotto tre portoni  consecutivi; questo  tempio  ha solo tre file di  cinta  murarie. I lati  degli ingressi sono  come tutto il resto:  scolpiti, intarsiati di scene  che raccontano la letteratura  hindu. Giunti alla vista della parte centrale servono alcuni minuti  prima di assorbire l’insieme, anche se parziale, delle bellezze che si presentano all’occhio. Si intravedono  gli  altri  gopuram in lontananza , mentre  più  a  portata di mano  sono  la sala delle  mille colonne, la vasca delle abluzioni ( per fortuna detta kulam , nome che si ricorda bene) e il complesso  di  cupole che compone la parte centrale dell' area templare. Questo  luogo rituale risale a tempi immemorabili. L' attuale sistemazione risale solo  a circa  mille anni  fa: la dinastia Chola  lo volle così monumentale come  lo si può vedere oggi. Intorno  all’anno mille d.c. nel sud dell’india si contavano un migliaio  di  templi di  questa dimensione e qualità artistico -architettonica . Tuttora un centinaio  sono ben apprezzabili. Durante quello che  io  chiamo il rinascimento indiano, fra il 500 e  il  1500 d.C. , periodo in  cui  l’ Induismo riprese la centralità religiosa nel subcontinente, nel  sud si  verificò un interessante fenomeno. I Re delle varie dinastie amministratrici ambivano  ad essere definiti rajarishi , ad  unire cioè i valori  della casta kchatryia ( raja, nobili, guerrieri) a quelli  della casta brahmana ( spiritualisti, intellettuali, preti, asceti) . I rishi, nella  tradizione, sono coloro  che hanno intuito la conoscenza ( veda) attraverso la  introspezione; sono i padri  dell' enorme e antichissimo corpus di  scritture indiane. I re vollero vivere il tempio e fondere la grandezza della potenza regale a quella sacerdotale.  Rajaraja I , intorno  all’anno mille, dinastia Chola, governò da Tanjavur , fece costruire  il tempio di Tanjavur  in  6 anni ( !!! ) e nella sua vita amministrativa  di  24 anni- il  suo  periodo  regnante - ne  portò a termine 52.

Tutto  ruota e ruotava  intorno  al  tempio. C’è un proverbio in India che recita : "Non vivere  lontano  dal  tempio, vivresti  lontano  dalla conoscenza".

Questo di  Chidambaram non è il più grande ma forse uno dei più significativi  come simbologia, mistica, come Tradizione . Ma assolutamente  non l’unico  da queste parti! Giace su un’area di 14 ettari, adesso utilizzato neanche per  un terzo; veniva gestito  e amministrato  da 2999 famiglie di brahmani, che ereditariamente si tramandavano compiti, metodi, riti, mantra, tecniche, festival, calendari  etc… Il loro cognome, diciamo, era  in tutto il Tamil, Diktcha  (iniziato) . Il tremillesimo era Shiva stesso.   Adesso sono  circa  300  le famiglie Diktcha che compongono la comunità, il condominio del Koyil.

Facciamo  appena  in tempo  a farci benedire dall’elefante nel cortile di ingresso,   che  ci  viene   incontro il mio amico Ganesh Diktcha, brahmana,  sempre  un po’ di fretta  e ci  ricorda che abbiamo  solo un' oretta per dare  un’occhiata in giro, anche salendo  sui  tetti, poi alle 18,30 circa, saremo con lui impegnati  nella puja del tramonto. Qui le cerimonie giornaliere sono  tre : alle nove e mezza; alle sei del pomeriggio  e  alle 21 . Altre cerimonie  e festival non  si  contano.

Occhiali spessi,molto magro, con il cordino dalla spalla alla vita tipico  della casta brahmana , il doti bianco (unico  pezzo di  stoffa avvolto alle gambe), ci conduce subito sui tetti . Passiamo- avvicinandosi  al centro  del  tempio -dai corridoi  che fanno  da  lato alla parte centrale . Larghi e alti per consentire grandi processioni, pieni di  sculture e simbologie. Divinità, personaggi  di  storie antiche,  animali mitici, decori naturali  fra cui il fiore del banano. Domando a Ganesh il perché di un tronco di banano verde con i  frutti  affisso ad alcune volte. Si dice che annulli la anidride carbonica che si  crea nell’affollamento e la trasformi  in ossigeno.  Niente  è pura decorazione.

Chidambaram significa il cielo permeato di  saggezza, consapevolezza (Cit in sanscrito è consapevolezza, Sat è la  immortalità, Ananda  è la beatitudine – sarebbero le tre molecole che compongono la sostanza divina di cui  anche  l’uomo  farebbe parte, la famosa Satcitananda) .

Saliamo  sui  tetti, si  toccano le cupole sotto le quali  si  trovano le statue delle divinità che vengono  ritualmente  adorate. La cupola centrale  è un esempio di rara bellezza. Fu  ricoperta di  lamelle di oro da re Jatavarman Sundara della dinastia Pandya ( 1251-1272).

  • 21600 tegole di oro equivalenti  al numero dei  respiri  del corpo umano  in un  giorno;

  • 9 pinnacoli , le porte del  corpo, 

  • il tutto  fissato con  72000 bulloni , le arterie e vene e canali linfatici del  corpo ( le nadi – infatti mahanadi sono i grandi  fiumi  detti le arterie di  dio) .

 

                                                  

La cupola copre  la Citsabha ( la sala della conoscenza) , la sede di Nataraja. Si cammina  in lungo  e in largo  sui  tetti  e il tramonto  rende l’ambiente circostante - con  il rosso dei mattoni  e l’oro della cupola - simile al  colore  arancio  delle vesti  dei sadu . Si scende nel cortile antistante  il sancta santorum. Chiamiamolo col  suo  nomeil  gharbagrya ( casa del  seme – luogo della divinità). Ogni tempietto o tempione ha  un gharbagrya  e all’interno  di un  complesso  di  questo genere ce ne saranno  una trentina. Qui, al centro del  cortile di  fronte  a Nataraja, ci sono una ventina di brahmana intorno  al  fuoco, che stanno cantando  mantra , preparando l’ambiente per la puja che sta per essere fatta . Qui si  dice che anche  i  santi  Vyagrapada e Patanjali  abbiano fatto  ascesi al  fine di ottenere la visione di Shiva  e che  la  ottennero. Shiva si manifestò nella sua forma Nataraja ( signore della danza ) . Già, dimenticavo, il Koyil è dedicato a Shiva Nataraja, cui abbiamo dedicato una sezione apposita.

Abbiamo  già visto al museo dei  bronzi di Madras, un' enorme collezione di  bronzi  degli anni 900-1100 fra cui  emerge in efficacia simbolica Nataraja. Sono fatti  con la tecnica a cera persa ed è  tuttora  oggi la stessa; produce  oggetti  impressionantemente  uguali a quelli di mille anni fa  e la si può osservare comunemente nei  villaggi, tecnica veramente semplice.

Ganesh Diktcha  ci invita sull’altare, vicinissimi  al bronzo di Nataraja, ci invita a toglierci la parte superiore delle vesti(prescrizione per soli uomini )  e ci fa avvicinare al Dio insieme a molti  altri hindu che consegnano le offerte, le quali saranno rese indietro dopo il rito. Il rumore delle campane,dei  tamburi e delle trombe si fa più robusto  e aritmico. Presi singolarmente, questi  suoni  sembrano asintonici,  nel loro insieme danno  l' immagine crescente del  suono  della danza di Shiva  fatta di infiniti  elementi. Adesso Ganesh deve lasciarci  e unirsi ai  suoi  colleghi brahmana. Si sta preparando la puja  Sarà di nuovo con noi dopo  e domani mattina. Ci apprestiamo nello spazio  di  fronte alle scale che portano  all’altare di  Nataraja. I brahmana lavorano  alacremente. La gente si  accalca ma è un giorno  comune, la densità è del  tutto  accettabile e l’ambiente rilassante. I fuochi ornamentali  abbondano. Dietro di noi  arriva la danzatrice del  tempio. Costume meraviglioso, trucco splendido. Le devadasi ( servitrici del  dio, alla lettera) sono una casta molto tenuta in considerazione. Eseguono coreografie composte dalle 108 posizioni che sono scolpite qui  a Chidambaram. Non devono  essere belle ma geometricamente esatte. Danzano  senza musica, i gesti non obbediscono al suono oppure anche al suono, ma rimangono intatte. La danzatrice guarda solo Nataraja, danza in fronte a lui (ove  noi le abbiamo fatto posto) per una decina di minuti  e se ne va. Una volta erano  anche le  prostitute del  tempio. Credo anche adesso da qualche parte; le tradizioni in India sono lente a farsi uccidere. Il governo indiano  ha vietato per legge tale attività nel 1978. Comunque chi ha  in  casa  una devadasi è sistemato. A Madurai, prima di iniziare la danza, vorrà l' immagine di  Nataraja davanti  a sé. Ella danzerà solo per lui. Inizia  il  rito. Rumore  notevole.  I brahmana disegnano  nell’aria  davanti  al dio la lettera OM ( il suono della creazione, la forma sonora del divino, del brahman), usando i simboli  dei  cinque elementi: Fuoco, Acqua, Etere, Aria, Terra. Odore di  burro  fuso ( ghi)  in giro, con il quale  la divinità viene lavata.

La gente, a certi gesti, risponde con altri gesti, soprattutto mani giunte sopra la testa; poi il fuoco viene fatto  girare fra  la gente che  lo tocca portandosi poi le mani sopra e  oltre la testa. Lo stesso  con l’acqua che viene anche bevuta . Una mezz’ora attraente.

Rito: la parola sembra  che derivi dal sanscrito rtam, da cui  deriverebbero anche retto, diritto, ritorno, routin, ruota,  ritmo. Rtam è l’ordine universale, la legge naturale. Rtu è il nome delle stagioni. Il rito - ci dice Ganesh - è la necessità degli uomini che percepiscono solo il manifesto, la loro materialità di riunirsi all’ immanifesto. Una necessità difficile da reprimere. E’ la lettura dei Veda sotto forma di  simbolo in movimento. Come se  l’uomo provasse piacere nel partecipare  ad un atto in terra che equivale a quello dei  cieli. Equivalenza fra  micro  e macrocosmo. Alla esattezza del  rito  fanno piuttosto  attenzione; il  rito ha a che fare con l' esattezza. Ganesh  ci disse: "Il rito è la lettura dei veda sotto forma di  gesti. Il fuoco lo recita per te , il fumo lo porta agli dei" veda sotto forma di  gesti. Il fuoco lo recita per te , il fumo lo porta agli dei" "Il rito è la lettura dei veda sotto forma di  gesti. Il fuoco lo recita per te , il fumo lo porta agli dei" ( Agni è detto colui che  porta l’uomo agli dei) .

Per la religione hindu, il peccato ha più una connotazione di  errore. Il peccato è un allontanarsi dall’ordine (rtam) verso lo scopo, il fine utilitaristico, diremmo noi. Pertanto  anche  il rito  deve mantenere corresponsione. Esiste  un termine sanscrito interessante che chiosa bene questo concetto. E’ shilpa. Shilpa si  direbbe l' unità di misura di  corresponsione del  simbolo  alla sua funzione. Quanto l’opera materiale dell’architetto, scultore, artista, artigiano, musicista etc. coglie le forme immanifeste, archetipe, divine che  noi non  vediamo  ma percepiamo. Non l’immagine prodotta manualmente ma il suo, come dire, archetipo trascendente. Se la materia  è tempo lo scultore deve rappresentare  il mito. Non il dito ma la luna che egli indica deve essere ritratta dallo shilpa (scultore) . L’opera  è  sempre la mimesi di un paradigma apparentemente  invisibile. La bellezza di omologia fra  l’opera  umana e Dio. Il simbolo agisce e in India più che altrove  troviamo le vestigia viventi  di una tradizione che su  di  esso aveva basata la propria funzionalità religiosa . Qui si trova anche  il confine fra artista ed egocentrico. La scultura e l’architettura quindi, la musica e la danza assumono in questa veste una funzione non solo decorativa,  per niente solo decorativa, ma veicolo di liberazione dell’uomo dai legami  della limitatezza materiale, lo eleva all’immateriale.  Ciò se il tasso di shilpa è alto. Niente di  estetico è neutro.  Shilpa, abbiamo  detto, significa anche scultura, lo shilpa shastra è il manuale della scultura, delle sculture nel tempio. 

La scultura  in India rappresenta gli  innumerevoli  aspetti  del  divino   in fattezza simil-antropomorfa. Rare sono  le raffigurazioni  di sovrani  dignitari o anche di   mistici.  Frutto  di  visione  interiore realizzata secondo precise  norme, in accordo  ai numerosi  shastra,  l’immagine è veicolo di   intuizione dello stato sacro  sotteso  a quello profano  dell’ immanifesto  nel manifesto. L’immagine  oltre l’immagine si chiama Coomaraswamy. Bellezza  celestiale, iconometrica, non  realistica;  le proporzioni  della figura  rispondono  all’uso  dell’unità di misura tala , un palmo. Le figure femminili devono  avere  “ vita stretta e mammelle alte e tonde, come giaree vicine  le  une alle altre  tanto  che nemmeno una fibra di loto possa passarvi in mezzo” . Il ventre l’ ombelico profondo  e  triplice  piega, presente anche nel  collo, simile a  una conchiglia. Cosce tornite, snelle e flessuose come la proboscide di un  giovane elefante  o il tronco  di un  albero, la pelle  ha  lo splendore opalescente della  luna, i peli serici e  i  capelli  folti  e lunghi del colore del manto  del corvo, blu-nero, lo chiamano. Nel volto ovale, labbra vermiglie e carnose si  schiudono  sui  denti  di perla e sopracciglia simili all’arco  del  dio Kama, si inarcano  su occhi allungati  che  incorniciano iridi  blu come  il loto   o  neri  come  un cerbiatto. Nella figura maschile si  condividono  alcune regole di bellezza   di  quella femminile come  il collo , la vita  o  gli occhi di  cerbiatto, i capelli  di  corvo  e   i  denti  di perla ma ad essere simile alla  proboscide di elefante deve essere  il braccio. Non c’è interesse all’anatomia realistica  ma solo  alla energia vitale  che la statuaria comunica, il suo prana . La flessione del  corpo  a tribhanga , una sorta di S giocata su uno  spostamento dell’anca più o meno  accentuato, ne sottolinea il rasa (gusto) erotico e eternamente dinamico.

Ogni  divinità ha i suoi  segni  caratteristici ( simboli), akshana, oggetti, che regge nelle svariate mani, simboli dell' Uno  e  molteplice e della molteplicità infinita di poteri, forme e gusti. Indossa simbolici ornamenti. Ogni  divinità ha  il suo veicolo vahmana  ( il modo  in cui  agisce…) e  la sua paredra/moglie ( la propria energia – il potente e la potenza )  e figli, che sono  altre forze-simbolo  attinenti  alla caratteristica principale del  dio rappresentato.Il suo aspetto può essere shanta ( pacifico), rudra ( irato,doloroso) , o rappresentante  i  vari rasa ( gusti)  che l’iconometria degli shastra prevede  e vuole comunicare.  Le statue  di  pietra  o  di  lega di metalli, o di legno , sono  dette  i  Veda degli occhi.

L’esempio più incisivo  è rappresentato dalla cosiddetta TRIMURTI . Chidambaram è un luogo ove stando  davanti  a Nataraja, a dieci metri da  lui, onorato da brahmana di tradizione shivaita, con il tilak sulla fronte, rosso, orizzontale  e pieno di  ceneri, ti volti  a sinistra a cinque metri  da te c’è l’altare a Vishnu , Vishnu a Vaikunta,  onorato da brahmana vishnuiti con tilak bianco sulla fronte , fatto di  due righe parallele verticali , i due  piedi di  Vishnu , il cui  solo  contatto  genera  illuminazione. Ci voltiamo appena finita la puja e facciamo una visita a Visnhu  sdraiato, disteso su un serpente chiamato Ananta (infinito)  il quale, lo ombrella con le sue sette teste  e, si  dice,  lo decanta con le sue  infinite bocche e da  infinito tempo cercano  di  comprendere con le parole le qualità di  Vishnu  senza riuscirci. Due parole sulla Trimurti: i tre dei presenti più o meno ovunque nei templi della intera  India che siano  di  stile nagara, dravida come questo o vasara ( classificazioni pressoché inventate ).

  Abbiamo parlato  di Shiva nella sua forma Nataraja. Vi sono  altre quattro forme principali.

  • Rudra ( il dolore , il tempo)

  • Durga ( la sua energia) 

  • Nyahaka ( senza forma , immateriale, il lingam )

  • Ardhavara Ishvara ( androgino) . E’ il dio  della gestione della materia. Distruzione e rigenerazione . Solitamente si riconosce dal  tridente ( passato presente e futuro , o i  tre guna, o  i tre mondi ) veste pelli di animali feroci che doma, porta  in mano tamburi e fiammelle di  fuoco , si veste di cenere di  sterco di mucca , frequenta  il crematorio.

A Chidambaran, Shiva  è famoso anche nella sua versione Pitchatanam (mendicante) quando, presentandosi nella povertà assoluta, faceva svenire le donne del  luogo  per il suo fascino.  Il suo  veicolo è il toro Nandi , il simbolo della materialità più vicina alla terra. Ha due figli: Ganesh (Gana-Isha, signore della materia, che ha come simbolo un topolino e trova sempre la via di uscita dalle situazioni quotidiane, molto adorato in India) e Kartikkeya (dio  della guerra, simbolo il pavone, la vanità, la madre di  tutte le guerre, piccole  o  grandi). Sua  moglie nelle sue varie forme e  nomi è Kali, Durga, Chamundi, Bhairavi etc…la potenza del potente, la sua energia.  

KALHI--a-Helebeedu.jpg (74407 byte) Immagine di Khali a Helebeedu)

E’ facile riconoscere la figura di Brahma  nelle sculture, altorilievi  delle pareti interne o esterne dei templi. Ha quattro teste, è il dio  della creazione. All’atto  della espansione di Vishnu, il dio unico ,  da ogni poro  della respirazione di  Vishnu a Vaikunta ( senza ansie)  nasce  un universo  che ha  un Brahma creatore . Secondo i Purana, egli si sveglia, vede attonito il buio e si chiede “ Chi  sono,da dove vengo, dove vado? ". E sente  un suono  nell’infinito che fa “ tapas” , che significa ascesi. Si pone  in posizione di  ascesi  sul  quel  fiore di loto da cui è nato  e comincia a creare l’universo. L’universo è basato sull’ascesi. (Brh = radice di  espandere) . E’ il dio  della conoscenza. I quattro simboli che regge nelle mani sono:

  • i quattro Veda

  • il mala ( rosario di  108 grani)

  • la brocca del mendicante per l’acqua (semplicità),

  • il bocciolo di  fiore di loto (padma – che passa dal  fango  al sole). Il suo  veicolo è il cigno. Lo Hamsa, vive nell’acqua ma non si  bagna come lo spirito nel  corpo,  l’atman. O meglio il paramahamsa,  il supremo  cigno, vive  in un  lago  di  acqua e latte e quando  beve, beve solo il latte (discernimento-viveka) . Sua moglie è Saraswati, dea delle lettere, arti, musica, poesia, conoscenza.  

SARASVATI-MADU.jpg (69087 byte) Sarasvati Madu

Lo storico greco Strabone racconta che  lungo il fiume Saraswati gli hindu  avevano  abbandonato migliaia di  città.

Vishnu (Vsh-espandere).Il tutto, il brahman universale, che tutto pervade  e di cui  tutto e tutti fanno parte . Tiene nelle mani

  • la ruota ( chakra) dell’infinito

  • la conchiglia ( ciclicità dell’espansione)

  • la mazza dell' esattezza della giustizia cosmica (dharma)

  • il fiore di loto adulto, oramai sbocciato  al sole (l’uomo realizzato). Il suo  veicolo è l’uomo con testa di  aquila, sterminatore di  serpenti, vola alto vicino al soleil suo nome  è Garuda. La moglie è Lakshmi. Dea della bellezza, ricchezza prosperità. Chi tocca Vishnu, chi  conosce Vishnu  ne fa scaturire prosperità, beatitudine. Ha varie  incarnazioni  avvenute ai cambi  di  ere o in momenti importanti  di  storia  universale fra cui le  ultime  importanti  sono  Rama e Krishna.  

Krishna-.jpg (32786 byte) Krishna

Abbiamo  visitato al calar del  sole la parte centrale del tempio. Ganesh  ci  invita ad andare a cena e domattina a visitare con la luce  il  resto, anche visto  dall’alto.

Uscendo  ci  regalano il prasada, i dolci benedetti fatti al tempio. Non avevamo fame grazie al masala chai, li mangiamo ci sentiamo  pieni pensando  di non  cenare. Contrariamente alle previsioni la cena non è  descrivibile, ci siamo  abbuffati . In India  non  si  dimagrisce neanche con la scomodità di mangiare con la sola mano  destra. Conoscete la storia narrata dall’abate Dubois?

L’Abbey Dubois è un gesuita vissuto in Karnataka, a Mangalore fra il 1860  e il 1900 e  colà morto . Fra l’altro  suo  confratello  di basilica è stato Padre Moscheni  di  Bergamo,  che ha affrescato  la cattedrale di Mangalore  in maniera eccelsa . L’Abbey  Dubois, francese,  ha descritto in vari libri  meticolosamente, in maniera splendida per  l’ indologo,  la vita dell’uomo hindu di  qualsiasi casta, nei super dettagli. Narra- raccontando  di  come ci si  comporta al gabinetto - che  una volta  un uomo di casta semplice gli si avvicinò sussurrandogli all’orecchio : “ Padre, dicono  di  voi inglesi (ndr: la parola  inglese in  India significa straniero) che tagliate gli  alberi per fare la carta che  usate per la pulizia del posteriore durante le funzioni private e che  lo fate con la mano destra. Ma non  se la prenda, il popolino è portato  alle dicerie contro  di  voi, io so  che nessun uomo  sarebbe capace di  tali bassezze".

A tavola si usa la destra, la sinistra dietro la schiena, le forchette e coltello in guerra, la tavola sarebbe  luogo  di pace e lentezza.

Al mattino siamo  di nuovo in  forma  e  alle  nove riusciamo  ad esseri  lì. Il tempo di un masala chai ed entriamo. Ganesh  ci  aspetta   e  non ha  le  incombenze del rito,  stamattinaper cui  può dedicarsi un paio di ore a  noi. Si sale  in  cima al  gopuram est ( mi sembra), il più alto . Ci sono  scale agevoli interne anche se  con  qualche  pipistrello  e  i  suoi  escrementi . Ovviamente siamo  scalzi, siamo all’interno  del tempio. Dall’alto la prima percezione è che questo possa essere solo il prodotto di una società di  dimensioni  enormi  e  di una  opulenza esagerata. Oramai  abbandonata anche dagli  accademici la teoria della invasione ariana, qui è palese che tale teoria  non  regga. La sensazione è di una grande civiltà autoctona. Un ideale filosofico organizzato socialmente, centrato e riassunto  dal tempio. Più conosco l’India e  più scopro  che ogni  singolo chilometro quadrato  del territorio era coinvolto in sculture sacre, fino nelle foreste  più remote si trovano pezzi interi di granito usati  come cava  in loco  per la trasformazione  in  narrazione di pietra. Meraviglioso esempio il pannello di  Mahamallapuram. Niente  è lasciato al caso della creatività dell’estroso individualista. Ci sono  regole  e geometrie sacrali dappertutto. A partire dall’atto della fondazione   (garbhadana) .

  • La scelta del luogo, dodici buoi addobbati di  oro  che arano il terreno quadrato, lo scavo  e la apposizione di un  tesoro sotto il luogo ove sarà il garbhagrya ( detto  anche deul). Questo centro  di  chiama Brahmasthana ( teniamo presente che la radice sth è stare, stato, to stay. Come Afghanisthan, Hindusthan...). I lati del quadrato sono  divisi in otto parti ideali ciascuno   e ogni parte viene dedicata ad  un  dio. Pertanto  quattro lati moltiplicato otto dei uguale 32 a cui  si aggiunge Brahma il  dio  della creazione da cui  nasce  l’universo  e il tutto  fa 33. La iconometria   che da  lì in poi ne consegue è classica e riguarda le proporzioni  auree come anche  l’occidente nella versione greca  o medievale francese ha conosciuto.

Alcuni garbhagrya hanno delle piramidi sopra di  sé; è meglio  chiamarli  con il loro  nome, shikara (shika è il legame, il nome del ciuffetto di capelli all’apice della testa che  al figlio maschio  si  lascia dopo la tonsura alla morte del padre o quella del  devoto in pellegrinaggio). Il termine Sick ( religione del Punjab) proviene da questo. Legame verso l’alto, movimento dell’uomo in  ascesa, del dio in  discesa verso l’uomo; fusione dei  due in quello che  noi  chiamiamo stella di Davide . 

  • E’ in realtà uno dei comuni antichissimi simboli  sulle porte delle case in India. Così come la svastica (Su = supremo , asti=benessere / Suasti = supremo benessere / Svastica= augurio di massimo benessere) .

Lo shikara è detto  anche vimana. Lo shikara  è  tipico del nord, è uno  dei  tipi  di vimana che si trovano in giro; qui  al sud chiamiamo  vimana  quello sopra  il  deul e  gopuram quello di ingresso. Nell’induismo l’accesso alla  parte  più interna, ove ha sede l' immagine della divinità  è cosa  individuale, personale, come accedere all’interno  di  se stessi. Unicità dell’accesso. Esterni  e interni  intarsiati, scolpiti , narrati. I materiali usati sono la pietra , mattoni, bronzi e il cosidetto  plaster , una miscela di sabbie, conchiglie, che  noi  chiameremmo stucco.  Dall’alto  si  gode la vista della progettazione,  della quantità di  sale e templi  disseminati organicamente sui  14 ettari  di  suolo sacro. Opera di uno  sthapati (architetto direttore )  di mille anni fa.

Si scende si passeggia lentamente godendosi altre visite. Si accede al cortile del tempio di Parvati (la  montagna, moglie di  Shiva che risiede sul  Kailasha. Uno dei nomi  di  Shiva è Kailashanata, signore della montagna  e a lui è dedicato un meraviglioso tempio a Kanchi. Qui, oltre a tutto il resto, è piuttosto emozionante vedere da vicino  con la  luce del  giorno  le 108 posizioni  di danza scolpite sui lati del  cortile delle danze. La prossima volta  organizzerò la danza  in  questo luogo se Ganesh  me  lo permetterà.  L’arte  in  India  è una forma di  yoga (radice yug = congiungere,  come to yoke= giogo ), potrebbe avere  un  certo potere curativo. Solo il bello è utile. Si racconta di  scuole di medicina che usavano narrare le storie del Mahabharata e del Ramayana  come terapia. Pettinare i neuroni . 

Il soffitto  del tempio di Parvati è completamente pitturato  di  narrazioni  dai Purana di tradizione Shivaita; alcune parti risalgono  al 1200 e mantengono i  colori originali, naturali. La sala delle 1000 colonne, detta Rajasabha, la sala del  re, è  chiusa per  pericolosità. Da fuori la si  vede bene: è a fianco  al kulam, che adesso comincia a ricevere visitatori. Non si  può accedere al  deul se  non  ci  si è lavati  al mattino. Nell’induismo le prescrizioni  di  abluzione sono  al  tramonto  e all’alba, insieme alla preghiera gayatri. Al cambio  delle  luci, quando ombra e luce si  fondono. Questi momenti  sono  detti sandhya . Dopo una lunga passeggiata e visite ai templi di  varie divinità legate a Shiva, torniamo  a salutare Nataraja prima di  lasciare  il tempio. I tamburi  suonano. La casta che costruisce  i tamburi in Tamil si chiama paryam (da qui il famoso nome). Ganesh  ci lascia qui  e torna al  suo lavoro, ci dice che siamo  stati  fortunati a venire  in  questo periodo: c’è in corso il festival e durante  il  festival milioni  di  dei siedono  nel  cielo  di Chidambaram. Noi lo salutiamo e ci  permettiamo di fargli un' offerta: i brahmana vivono  di  offerte da parte delle altre caste.Stiamo uscendo; attraversiamo i  corridoi pieni  di  colonne; capisco come il Prof. Malamoud possa essersi  riferito  a tutto  questo  con il  termine “  la danza delle pietre”, sembra proprio che ci sia lo zampino di  Visvakarman (l’architetto  degli  dei, alla lettera colui che fa tutto). Insieme a  noi  esce la  processione o megliola divinità  che  viene portata a spalla, installata su  grandi bambù, da  portatori  che uniscono le tecniche di spinta a passi  rituali e  mostrano  delle scavature nei muscoli  delle spalle. Nel nostro  gruppo  c’è  anche Febin, un ragazzo  piemontese di origine  indiana che con  sua madre ha fatto il viaggio sud alla riscoperta delle grandiosità  della sua terra di  origine. Gli indiani ovviamente  lo prendono  sempre  per  uno  di loro  ma lui non parla una parola, fra l’altro, delle migliaia di lingue e dialetti dell’India. Non ci facciamo da parte con velocità di  fronte ai carri  che passano  e un  sadu  ci  guarda con commiserazione, poi guarda Febin e  in  tamili  lo rimprovera  con un vero spassoso brontolio  che trasmette  il  senso  del  discorso : “ Va bene, loro bianchi che  non  capiscono niente… ma tu almeno insegnagli qualcosa…”. Una risata generale. Ci fermiamo  al banchetto  del masala chai e... vai un  altro. Compriamo la frutta; adesso  andiamo a Gangakondacholapuram . Lì il tempio è dotato di un ottimo giardino  con piante e ombra. Si farà  il pic-nic.

Autore: Massimo Taddei yana@geniodelbosco.it

Pubblicato su concessione scritta dell'Autore.

 

Letture consigliate di  riferimento:

  • The home of dancing Shiva – Paul Younger

  • Il grande brivido – Ananda K. Coomaraswamy

  • Manual on the bronzes – Dr.R.Kannan

  • The hindu temple – Stella Kramrish

  • Hindu manners,customs and ceremonies – Abbey Dubois

 

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                                                     maggio 2007