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LA MORTE DEL "CHE"

 (di Almar)

 

Stiamo per affrontare un argomento molto discusso e sul quale è difficile fare piena luce, ed approfondendolo cercheremo di capire come realmente si sono svolti i fatti.

Avremmo potuto scrivere intere pagine sulla vita di Ernesto Guevara de la Serna, conosciuto nel mondo come “Che Guevara”, ma invece ora ci concentriamo sul suo ultimo periodo di vita e di lotta.

Che Guevara, grandissimo personaggio storico-politico capace di essere ancora oggi simbolo di molti giovani e meno giovani, contribuì alla liberazione di Cuba dalla sanguinosa dittatura fascista di Fulgencio Batista, appoggiato apertamente dagli Stati Uniti; il dittatore scappò dall’isola il 1 gennaio del 1959 diretto verso gli Usa, che gli diedero asilo.

Dopo la grandiosa impresa, il Che decise di intraprendere svariati viaggi, sia di “lavoro”, essendo diventato rappresentante delle Rivoluzione Cubana nel mondo, sia di studio, attraverso i quali venne a contatto con realtà diverse; in questo modo comprese che il suo ruolo non doveva essere solamente a difesa di Cuba, ma anche (e soprattutto) quello di intraprendere altre lotte di liberazione in favore di Paesi soffocati da feroci dittature. Infatti nel 1965 decide di partire per il Congo, con lo scopo di fermare quella che era ormai diventata una vera e propria guerra civile e di contrastare la tendenza imperialista operata in quei Paesi (e non solo) da parte degli Usa e di alcuni Stati europei (Gran Bretagna e Francia su tutti). Ben presto si rende però conto che non vi erano le premesse adatte per raggiungere gli obiettivi che lui e i suoi compagni di battaglione si erano prefissati e così dovette ritirarsi e tornare a Cuba.

Nell’isola rimase però solo pochi mesi, poi, nel 1967, comunicò a Fidel Castro la sua volontà di ripartire per un’altra lotta di liberazione, questa volta in Bolivia. Fidel si mostrò subito contrario, avvalendosi essenzialmente di 3 argomentazioni, che vediamo di seguito:

1) Il Che serviva a Cuba, sia per le sue note capacità di organizzazione sociale ed economica, sia per il fatto che ormai egli era diventato un simbolo della Rivoluzione agli occhi di tutti e la sua permanenza avrebbe aiutato il popolo ad accettare le misure che Fidel e il Governo stavano per adottare, che non erano delle migliori considerando gli attriti esistenti tra Cuba e gli Usa, che gli avevano posto contro l’embargo economico;

2) Allo stato dei rapporti internazionali, era preferibile non attirare ulteriormente l’attenzione statunitense andando a scatenare una rivolta di massa contro un altro stato da essi “controllato”, cioè la Bolivia, tramite il dittatore René Barrientos Ortuño;

3) L’equipaggiamento di cui il Che avrebbe potuto disporre per tentare l’impresa non era dei migliori ed inoltre il Partito Comunista Boliviano non collaborava come avrebbe dovuto, con correnti contrastanti al suo interno, probabilmente per paura di rappresaglie del dittatore.

Guevara decise ugualmente di partire, appoggiato da un ridotto numero di uomini provenienti per lo più, oltre che da Cuba, dall’America Latina.

L’operazione riscosse inizialmente alcuni importanti successi, ma in seguito le cose iniziarono a non mettersi nel verso giusto per il Che e i suoi. Durante un combattimento contro l’esercito del dittatore, che nel frattempo venne a conoscenza della presenza del Che in Bolivia, il battaglione di liberazione ebbe ingenti perdite ed il cammino rivoluzionario era ormai compromesso.

Guevara decise però di proseguire la lotta, nella speranza di un vasto appoggio popolare, che non arrivo però mai, poiché il popolo boliviano temeva troppo la ferocia di Barrientos e dei guerriglieri dell’esercito per unirsi alla lotta per rovesciare il dittatore.

Un giorno, in uno scontro a fuoco, un membro del battaglione del Che rimase ferito, ed egli, per aiutarlo a mettersi in salvo, scelse di percorrere una strada meno sicura di quella che aveva previsto di intraprendere e così i guerriglieri boliviani con agenti della Cia infiltrati, con l’aiuto di alcuni testimoni costretti a parlare, li rintracciarono e li circondarono, arrestandoli. Era l’ 8 ottobre 1967.

Appena appresa la notizia, Barrientos ordinò la fucilazione di Guevara, troppo scomodo per il dittatore, trovando però l’opposizione della Cia e del Governo Usa, che invece avrebbero preferito un Che vivo che fornisse loro informazioni sui piani rivoluzionari e sulle strategie di cooperazione tra Cuba e Urss. Bastò però la minaccia da parte di Barrientos di non concedere più agli Usa le risorse boliviane per far sì che la Cia assecondasse il dittatore nel suo intento, volendo però conferme tangibili del fatto che si trattasse effettivamente di Ernesto Che Guevara.

Il giorno seguente alla cattura, circa all’una di pomeriggio, il Che fu condotto alla fucilazione, che venne eseguita da un solo uomo, Mario Terán, un sergente dell’esercito boliviano, estratto a sorte poiché molti soldati si erano “chiamati fuori” dal compiere l’atto. E così se ne va uno dei più grandi personaggi rivoluzionari di sempre.

Dopo aver scattato numerose fotografie ritraenti il Che morto con accanto giovani militari che si vantavano della sua uccisione, il suo corpo venne trafugato e si dice che le mani vennero amputate e mandate a far esaminare alla Cia, perché anche gli Usa potessero constatare l’uccisione.

Il ritrovamento dei resti di Guevara risale al 1997, quando il presidente boliviano Sanchez de Lozada acconsentì ad un gruppo di antropologi forensi provenienti da Cuba e dall’Argentina (terra natale del Che) di poter entrare in possesso dei resti del rivoluzionario, sepolti fino ad allora in un luogo “segreto”.

Il Che è ora a Cuba, sepolto nel mausoleo di Santa Clara, recante la sua celebre frase

“¡Hasta la victoria, siempre!”. A lui sono state dedicate innumerevoli statue e monumenti, sull’isola e non solo.

Prima di conoscere questa versione di come si sia svolta l’uccisione del Che (accreditata da ormai tutti gli storici, i giornalisti e le autorità), erano state diffuse altre due diverse versioni, che ora citiamo:

1) Il Che sarebbe morto a causa di un attacco della guerriglia boliviana durante un conflitto a fuoco, senza che gli Usa sapessero dell’accaduto;

2) Il Che sarebbe morto su ordine del Líder Máximo Fidel Castro Ruz, invidioso secondo alcuni della popolarità di cui godeva a Cuba, in Sud America e negli altri Stati socialisti, maggiore della sua. Fidel avrebbe concesso al Che equipaggiamenti volutamente scadenti e avrebbe fatto interrompere i contatti radio tra il battaglione e Cuba quando Guevara chiese rinforzi.

E fu proprio questa seconda versione che resistette fino a pochi anni fa, quando vennero scoperti documenti e testimonianze che sostenevano inconfutabilmente come l’assassinio fu opera dell’operazione congiunta Cia-esercito boliviano. La distorta versione dei fatti fu diffusa dagli Usa sia nel tentativo di dichiararsi estranei ai fatti (un loro coinvolgimento rischiava di mettere in cattiva luce Washington nei confronti dei sud e centro americani) che per screditare Fidel Castro agli occhi dei cubani, che avrebbero intrapreso, secondo la Cia, una rivolta per destituire il presidente; ma tutto questo non accadde mai.

Fidel Castro ha sempre ricordato, e ricorda tuttora, la fondamentale figura del Che e il decisivo apporto dato da lui per la sopravvivenza di Cuba socialista, che dura ormai da quasi 50 anni.

Curiosamente, l’esecutore materiale della condanna a morte del Che, Mario Terán, si è recato recentemente a Cuba, rinomata per le grandi capacità dei propri medici, per farsi curare agli occhi; egli infatti era affetto da una malattia che lo rese progressivamente cieco. I medici cubani accettarono di curarlo e gli hanno restituito la vista. Questo è stato un gesto veramente nobile e significativo da parte di Cuba; probabilmente il Che avrebbe voluto così.

 

 Al Che

TU EJEMPLO VIVE, TUS IDEAS PERDURAN

 

                                                        Versione spagnola/Versión española

LA MUERTE DEL "CHE"

 

En este artículo afrontamos un argumento muy complicado, sobre lo que ha sido dificil sacar a la luz la verdad.

Habríamos podido escribir muchas páginas sobre la vida de Ernesto Guevara de la Serna, conocido en el mundo como “Che Guevara”, pero ahora nos concentramos sobre su último periodo de vida y de lucha.

Che Guevara, extraordinario personaje histórico-político capaz de resultar hoy en día también un símbulo para mucha gente, jovenes y viejos, contribuió a la liberación de Cuba, agotada por la sangrienta dictadura fascista de Fulgencio Batista, apojado por los Estados Unidos; el dictador escapó de la isla el 1 de enero de 1959, dirigido a los EE.UU., que le concedieron asilo político.

Después de la grande empresa, el Che decidió de entraprender muchos viajes, de trabajo (porque era representante de la Revolución Cubana en el mundo) y de estudio y a través de estos viajes tiene contactos con algunas realidades; de esta manera él comprendió que su función no tenía sólo que ser en defensa de Cuba, sino también en ayuda a los Paises explotados por feroces dictaduras.

En 1965 él parte por Congo, por parar aquella que era una verdadera guerra civil, empezada por causa de los Paises imperialistas, que querian aprovechar de aquella situación para apropiarse de los recursos minerarios que Congo tenía. Pero la tentativa del Che no ha tenido éxito y así él volvió a Cuba.

Pero allí quedó sólo pocos meses y, en 1967, comunicó a Fidel Castro su voluntad de partir por Bolivia. Fidel se demostró contrario, esencialmente por 3 motivos:

1) El Che era útil a todo el País, por su capacidad organizativa social y económica y porque él era un símbulo de la Revolución y habría podido ayudar a la gente para comprender en manera mejor las medidas económicas que el Gobierno había adoptado después del embargo puesto por los Estados Unidos;

2) Para la dificil situación de las relaciones internacionales con el Norte América era mejor no llamar la atención intentando la liberación de otro Estado controlado por los EE.UU., o sea Bolivia, por medio del dictador René Barrientos Ortuño;

3) El equipo de que el Che necesitaba no era disponible y además el Partido Comunista Boliviano no colaboraba como habría tenido que hacer, probablemente por evitar represalias de parte del dictador.  

Guevara decidió igualmente de partir, apoyado por pocos hombres cubanos y latonoamericanos.

Inicialmente la lucha de liberación tuvo éxito, pero después la situación empezó a peorar. Durante un combate contra el ejercito del dictador el batallón del Che sufrió ingentes pérdidas y el camino revolucionario fue comprometido, pero el Comandante Guevara no quería retirarse y esperaba en un grande apoyo popular para derrotar el dictador; desafortunadamente el apoyo no llegó: la gente tenía miedo de la represión dictatorial.

En el curso de una batalla, un miembro del batallón de liberación fue herido y el Che, para ayudar a su compañero a salvarse, elegió un recorrido poco seguro y así los guerrilleros bolivianos con agentes de la Cia infiltrados, con la ayuda de algunos testigos costringidos a hablar, circundaron el batallón y arrestaron sus miembros. Era el 8 de octubre de 1967.

Cuando Barrientos fue informado de esta noticia ordenó de matar el Che, pero encontrando la oposición de la Cia y del Gobierno de los Estados Unidos, que habrían preferido interrogarlo sobre los movimientos revolucionarios y las relaciones entre Cuba y URSS. Entonces Barrientos amenazó los EE.UU., afirmando que, si el Che no habría sido matado, Bolivia no les habría permitido más de explotar sus recursos minerarios (sobre todo la plata), y entonces la Cia concede al ejercito boliviano de matar Guevara, pero queriendo las pruebas que el cuerpo fuese efectivamente el suyo. 

El día siguiente a la captura (9 de octubre), más o menos a las trece, el Che fue matado por un golpe de arma de fuego disparado por un sargento del ejercito boliviano elegido entre los pocos que no habían renunciado a cumplir el asesinato. Su nombre es Mario Terán.

Así muere uno de los más grandes personajes revolucionarios de la historia.

Después de haber fotografiado el Che muerto cerca de algunos jovenes militares que se jactaban de su asesinio, su cuerpo fue sepulto en un lugar “secreto” y sus manos fueron amputadas y enviadas a la Cia.

El hallazgo del cuerpo del Che remonta al año 1997, cuando el presidente boliviano Sanchez de Lozada permitió a un grupo de antropólogos forenses cubanos y argentinos (el Che nació en Argentina) de encontrarlo en aquel lugar “secreto”.

Hoy en día el Che está sepulto en Santa Clara (Cuba), donde está escrita su famosa frase:

“¡Hasta la victoria, siempre!”. A él han sido dedicadas muchas estatuas y muchos monumentos, no sólo en la isla.

Antes de conocer esta versión de los hechos que han contribuido a la muerte de Ernesto Che Guevara (reconocida como verdad), fueron difusas por lo menos otras dos versiones, que ahora examinamos:

1) El Che habría muerto durante un ataque de la guerrilla boliviana, sin que los EE.UU. fuesen venidos en conocimiento de los hechos;  

2) El Che habría muerto por orden del Líder Máximo Fidel Castro Ruz, envidioso, según algunos, de la popularidad de Guevara en Cuba, en Latinoamérica y en los otros Estados socialistas, que era mayor de la suya. Fidel habría elegido de conceder al Che equipo deliberadamente de baja calidad para la lucha en Bolivia y habría ordenado de interrumpir los contactos vía radio cuando él pidió otros hombres en ayuda de su batallón durante la lucha.

Y fue propio esta segunda versión que “resistió” hasta hace algunos años, cuando fueron descubiertos documentos y testimonios que demonstraban como el asesinio fue obre de la Cia y del ejercito boliviano de Barrientos. La versión falsa fue difusa por mano de los Estados Unidos por estas particulares razones:

- declararse extraños a los hechos (su implicación arriesgaba de provocar protestas en toda Latinoamérica contra Washington); 

- desacreditar Fidel Castro a los ojos de los cubanos, esperando que la gente habría protestado contra el presidente, hasta su destitución; así los EE.UU. habrían podido volver a controlar la isla, pero dodo esto no pasó.

Fidel Castro ha siempre recordado, hoy también, Ernesto Guevara y su fundamental ayuda a la liberación y a la supervivencia de Cuba socialista, que dura de casi 50 años.

Es singular que el ejecutor material del asesinato del Che, Mario Terán, ha ido recientemente a Cuba (famosa por las optimas capacidades de sus édicos) por hacerse curar los ojos: los médicos cubanos aceptaron de curarlo y le han restituido la vista. Esto ha sido un gesto muy noble y significativo de parte de Cuba; probablemente el Che habría hecho lo mismo.

 

 Al Che

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