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                                                                                            “L’Arguzia e l’Umorismo sono corroboranti

                                                                                             della Religione, e promotori della vera Fede”

                                                                                                                                  Anthony Ashley Cooper Shaftesbury

 Una rondine non fa Primavera ma una Gru fa il Natale

Commento di Michele Trapani al libro: “Il Canto delle Gru” di Sante Anfiboli  – Ed. Bietti

Da molto tempo ormai, dopo anni in cui l’esegesi è stata affidata esclusivamente a storici e critici d’arte, ad accademici o ad esoteristi di scarso valore, si avvertiva l’esigenza di uno studio serio ed approfondito che collocasse molte delle realizzazioni pittoriche del Rinascimento nel loro proprio humus culturale in modo competente e convincente, riportandole nell’universalità dei principi proclamati dalla Scienza di Ermes.

Quest’opera finalmente è stata realizzata e noi non nascondiamo un certo piacere nel presentarla al grande pubblico di appassionati dell’Arte. A nostro modo di vedere nessuno meglio di Sante Anfiboli (che evidentemente è uno pseudonimo) poteva far fronte a quest’onere, ciò a causa non solo degli “oltre trent’anni di frequentazione dell’enigmistica alchemica” ma anche per il desiderio d’anonimato, proposito assolutamente tradizionale e che da sempre contraddistingue coloro che non si curano affatto di cose vane come l’apprezzamento degli uomini.

Questi fattori se non rappresentano propriamente un sigillo di garanzia in senso assoluto sono di certo dei dati indicativi. Del resto poi giudicherà il lettore.

Come dicevamo questo studio fa riferimento al periodo storico, a cavallo tra la fine del 300 e la seconda metà del 500, che fu particolarmente felice dal punto di vista della produzione artistica di ogni genere.

Questo lasso di tempo venne caratterizzato dal singolare tentativo di conciliare le più sapienti opere filosofiche antiche (tra le quali spiccano i testi di Platone ed il Corpus Ermeticum) con il pensiero cristiano.

I due termini, assai appropriati, che solitamente lo indicano sono “Rinascimento” ed “Umanesimo”.  

La paternità della definizione “Rinascimento” può essere attribuita allo storico francese Jules Michelet anche se fu certamente il critico d'arte svizzero Jakob Burckardt a consacrarlo nel suo lavoro "La civiltà del Rinascimento in Italia" nel 1860.

Ovviamente l’espressione deriva da “rinascita” con il significato di “nascere o essere generato nuovamente” cosa che rimanda ad un tema caro agli alchimisti, ossia quello della palingenesi in vitam.

Ed è a questa rigenerazione, a questa ricreazione ermetica, nel quale l’uomo vecchio, dopo la sua distruzione operata dal fuoco, cede il posto ad un uomo nuovo, cui fa riferimento un passo dell’Asclepio:

“L’uomo, allontanate dall’anima le tenebre dell’errore e percepita la luce della verità, unisce tutto il suo intelletto all’intelletto di Dio, grazie al cui amore è stato liberato dalla sua natura mortale, potendo così concepire la speranza dell’immortalità futura.” (Paragrafo 29)

Al medesimo ideale soteriologico pare riferirsi il Cristo nel seguente passo del Vangelo di Matteo:

“E Gesù disse loro: «In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione (in greco: “paliggenesiai” da cui l'italiano “palingenesi” - ndr), quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele…»”(Matteo 19,28-29)

Il termine "Umanesimo" invece ebbe probabilmente origine nel tardo Quattrocento derivato dal concetto degli "studia humanitatis" ossia le così dette "arti liberali" che furono le discipline intellettuali e pratiche allo stesso tempo più rappresentative del sapere umano, quest'ultimo sempre finalizzato alla comprensione delle cose divine e alla liberazione (per l’appunto) del corpo e dello spirito dalla caducità dell’esistenza.

In particolare la Filosofia Naturale fu considerata “madre” di tutte le scienze la quale dirige le Arti Liberali verso la ricerca di Dio.

I concetti sinora espressi testimoniano la riscoperta da parte dell'uomo del proprio ruolo nell'economia dell'universo collocato a mezza via tra il cielo e la terra.

“Perciò, o Asclepio, l’uomo è un grande miracolo, un essere vivente che deve essere riverito ed onorato. […]

E’ dunque posto in questa situazione più fortunata di intermediario, sicché ama gli esseri che sono sotto di lui ed è amato da quelli che si trovano sopra di lui [...]

Ma tra tutti gli esseri dotati di anima, solo gli uomini l’intelletto adorna, eleva ed innalza, affinché possano comprendere la dottrina di Dio” (Asclepio, Caput 6) 

Questa particolare posizione, che vede l’uomo alla stessa stregua di una divinità mortale, lo porta in un certo senso a collaborare con il volere del Creatore estendendone, attraverso l’azione consapevole, la provvidenza che consiste nella cura esercitata da Dio nei confronti di tutto ciò che esiste.

“(Dio) Grande e buono com’è, volle che esistesse un altro essere, che potesse contemplare ciò che aveva generato, e immediatamente creò l’uomo, affinché imitasse la sua saggezza e la cura (diligentiae) che egli ha per le sue creature.” (Asclepio, Caput 8) 

Dunque l’uomo, "simia Dei", è chiamato a prendersi cura diligentemente di tutte le cose facenti parte della Natura, compreso il regno minerale e metallico.

Questo affetto scrupoloso, questa attenzione parsimoniosa sottintende impegno, assiduità, buona volontà ed abilità, tutte cose che implicano una certa compartecipazione definita dagli antichi “sympatheia” (sym-pateo, provo le stesse passioni).

Tutto ciò raggiunge la sua analogia più prossima nell’arte della coltivazione dei campi e della pastorizia.

Nelle sacre scritture lo stesso Gesù si definisce il “buon pastore” (cfr - Giovanni 10,11) e Filone d’Alessandria interpreta il passo considerando Dio come pastore dell’universo e delle “greggi celesti”, cioè dei sette pianeti.

L’uomo, in quanto imitatore e studioso delle cose divine, non può che considerarsi egli stesso un custode del gregge al pascolo, intendendo questa volta il “gregge terrestre” (contrapposto al “celeste”) costituito dai sette metalli.

E qui ci sembra affatto pertinente e curioso il parallelo che si può tracciare con il lavoro proprio degli alchimisti perpetrato nei loro laboratori.

In effetti i Filosofi ermetici definirono la loro arte “astronomia inferiore” e Pietro Bono da Ferrara nel suo “Preziosa Margarita Novella” (pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1546 da Janus Lacinius) dichiara che “tutti gli antichi filosofi posero il numero de metalli secondo il numero delle stelle erranti, con ciò sia cosa che i metalli abbiano anche il moto dell’erranti stelle. Ed essendo esse stelle sette di numero, così ritrovaron solamente sette sorti di metalli, i quali metalli tribuirono ad esse stelle come loro cause efficienti e convenienti a quelli, perciò che convengono come cause superiori con i suoi effetti inferiori ”.

E poi: “una Pietra sola (o Re - ndr) è maggiore nell’arte, che è fatta bianca e rossa secondo che essi la vogliano preparare, che indurisse i metalli molli, com’è Saturno e Giove, convertendoli in oro et argento, e mollifica i metalli duri, com’è il rame et il ferro, convertendolo in oro et argento”

"Il figlio e i servitori (ossia i sei metalli imperfetti - ndr) pregano il Re affinché conceda loro il potere del suo regno” (Janus Lacinus)

Tornando ai nostri pastori possiamo dire ch’essi furono i primi cui venne annunziata la nascita del Redentore (cfr – Luca 2,8-14). L’episodio è stato curiosamente rappresentato in un coperchio di un sarcofago proveniente dalla necropoli vaticana (custodito nel Museo Pio Cristiano a Roma) risalente alla seconda metà del IV secolo chiamato “Il Presepe”.

Nella scena della natività, oltre ai classici animali (il Bue e l’Asinello) ed i tre Re Magi si nota, nelle vicinanze del canestro di vimini intrecciati su cui è adagiato Gesù Bambino, la figura di un pastore che nel braccio sinistro reca il tipico pastorale simbolo del fuoco filosofico o “strumento di Saggezza” e con il braccio destro indica il cielo, luogo di provenienza dell’infante regale.

Quest’ultimo poi è avvolto in fasce in maniera tale da rassomigliare ad una mummia tratta da una piramide egizia. Parrebbe che il nostro pastore sia testimone del mistero di una morte che è anche una novella nascita cosa che ricorda un frammento di Plutarco:

“E giunta alla morte, l’anima prova un’emozione come quella degli iniziati ai grandi misteri. Perciò riguardo al morire (teleutàn) e all’essere iniziato (teleisthai), la parola assomiglia alla parola, e la cosa alla cosa. […]

… ecco viene incontro una luce mirabile, ad accogliere sono lì i luoghi puri e le praterie, con le voci e le danze e la solennità di suoni sacri e di sante apparizioni.” (fr 178 Sandbach)

Museo Pio Cristiano, Frammento del coperchio di un sarcofago dalla necropoli vaticana

Ed è su questa bella immagine Natalizia, nella quale l’iniziato ai Misteri dell’alchimia assiste al sorgere della Stella terrestre, che rimandiamo al lavoro del nostro Sante Anfiboli.

In questo breve scritto abbiamo voluto offrire un piccolo assaggio di alcuni dei tanti temi che sul suo libro sono stati trattati, applicati alle arti pittoriche e resi “in chiaro”.

Il lettore troverà tutte queste cose anche se in verità nel “lavoro c'è molto di più, c'è una CHIAVE che apre molte porte”.

Oggi più che mai siamo convinti che c’è un atto d’Amore autentico alla base, all’origine, di ogni cosa. Quest’Amore puro viene elargito dal Padre comune a tutti gli esseri.

Egli dà tutto se stesso con estrema Bontà e Generosità senza ricevere niente in cambio. L’Uomo buono per naturale inclinazione non potrà che essere conforme al suo Creatore.

   (Autore:  Michele Trapani: email: trapani19_6@hotmail.com)

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                                                                                                  gennaio 2009