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BAROCCO ANDINO CONTEMPORANEO

Sincretismo nell’arte sacra della Scuola di Cuzco

 (di Riccardo Scotti)

 Introduzione

Sono strani e affascinanti, avvolti in ricchissimi abiti vaporosi, con le ali variopinte e antiche armi da fuoco tra le mani, assumono pose da militari, ma conquistano con gli sguardi tranquilli e le espressioni serene. Gli “Arcangeli archibugieri”, di certo, sono tra le figure più emblematiche del “Barocco Andino”, il movimento artistico sorto dall’incontro tra le culture dell’Europa e dell’America.

La conquista violenta e brutale del Nuovo Mondo, cominciata nel XV secolo, ebbe delle gravi ripercussioni su tutte le etnie locali, che ancora oggi risentono del terribile trauma. Uno degli strumenti adottati per resistere alla cultura e alla religione dei conquistatori fu proprio l’arte. Nel Vicereame del Perú, l’istinto di sopravvivenza obbligò gli indios ad accettare le imposizioni, ma con l’apprendimento delle tecniche importate, gli artisti andini trovarono il modo di trasferire nei nuovi stili gli ideali dell’antica cultura e i miti originali.

Le immagini cristiane furono adattate e rielaborate, come in ogni altra parte del Mondo, ma qui l’influenza del Manierismo e del Barocco, introdotti dai primi artisti italiani, ha segnato profondamente l’estetica e la società. Nelle scuole d’arte fondate dai maestri europei, e specialmente in quella peruviana di Cuzco, si sviluppò un modo di esprimersi che non ha pari, e che racchiude in sé un profondo sincretismo culturale e religioso.

La Madonna , fin dai primi tempi della Colonia fu identificata con la dea Pacha Mama (Madre Terra), e frequentemente raffigurata indossando lunghi abiti sontuosi che le conferiscono la caratteristica forma triangolare, inequivocabile citazione della montagna intesa come luogo sacro. I preziosi vestiti che variano nei dipinti riproducono quelli veri, donati dai devoti alle diverse statue della Madonna, e a volte comprendono dei piumaggi multicolori, come negli abiti delle principesse incaiche.

 Madonna del Latte - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 30 x 39,5. Collezione privata. Il dipinto è una libera interpretazione della Virgen de la Leche , realizzata dal boliviano Melchor Pérez de Holguin (1660-1732) nel XVIII secolo e conservata nel “Museo Nacional de Arte” di La Paz. Nell ’opera originale, una delle ultime dipinte da Peréz de Holguin, sono evidenti gli influssi della Scuola di Siviglia, fortemente influenzata dalle tenere Madonne di Murillo, oltre a quelli della Scuola di Cuzco, che propendeva per le elaborate decorazioni dorate. Nella versione qui presentata è stata mantenuta la struttura del disegno originale, con il gesto materno di Maria che dal suo seno offre il latte a Gesù. Il Bimbo, che s’appoggia teneramente alla mano della Madre, volge lo sguardo sereno allo spettatore. Il paesaggio dello sfondo di questa riproduzione, che si differenzia dall’originale dove sono presenti due putti e una ghirlanda di fiori con uccellini, mette un risalto la delicata armonia degli accostamenti cromatici. Questa immagine, per riprodurre il gesto naturale di nutrire il proprio figlio, così come ancora oggi le madri andine fanno anche pubblicamente, è una delle più amate e venerate.

Il terribile Illapa, il dio del tuono incaico, trovò la sua identificazione cristiana in Santiago (san Giacomo), nei panni di un guerriero spagnolo che cavalca un bianco destriero e brandisce la spada con cui vince gli infedeli. Allo stesso modo, le schiere di angeli e di santi furono “sovrapposte” a quelle degli spiriti della Natura e dei protettori della vita.

  San Giacomo Sterminatore di Mori - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 40,3 x 60. Collezione privata. L’opera si rifà ad un’iconografia consolidata, dove san Giacomo è rappresentato nei panni di un cavaliere intento a sterminare i mori, così come apparve in sogno al re Ramiro, assicurandogli la vittoria sugli invasori mussulmani. Nel dipinto il santo guerriero è rappresentato cavalcando un destriero bianco e nel gesto vigoroso di abbattere la spada fiammeggiante sui mori infedeli, nell’iconografia più amata dagli spagnoli, che lo hanno scelto come patrono della propria nazione. La spada fiammeggiante, allo stesso tempo, evoca il fulmine del dio Illapa, che le popolazioni andine hanno identificato con Santiago.

Tutto ciò permane ancora ai nostri giorni, e in Cuzco vari laboratori artistici producono dipinti in questo stile, interpretando ogni volta in maniera diversa le iconografie consolidatesi nel passato.

Con l’intento di promuovere il Barocco Andino in Italia, nel 2005 s’è costituita l’Associazione “Studio d’Arte sul Barocco Andino” (SABA), che con le proprie attività intende diffondere e fomentare il lavoro degli artisti peruviani. Tra le attività avviate da SABA, c’è l’allestimento del sito web dedicato all’argomento (www.baroccoandino.com), dove sono raccolte le riproduzioni di vari dipinti dei laboratori contemporanei, assieme alle informazioni pertinenti. Nel sito, inoltre, si possono consultare i vari articoli pubblicati sul tema, oltre alle schede di presentazione del volume (ottobre 2009, Scotti Riccardo, BAROCCO ANDINO: Arcangeli guerrieri, madonne e dee, santi meticci, Casa Editrice Ananke, Torino) e degli eventi organizzati.

Tra gli eventi espositivi rilevanti, vale la pena ricordare la mostra intitolata LAS AMÉRICAS LATINAS: Las fatigas del querer (21 maggio - 4 ottobre 2009, “Spazio Oberdan”, Milano), curata dal critico d’arte professor Philippe Daverio, che s'è messo in contatto con SABA ed ha chiesto in prestito nove opere, due delle quali sono state pubblicate sul catalogo (maggio 2009, AA. VV., Edizioni Gabriele Mazzotta, Milano).

La prima importante esposizione sul territorio nazionale, Barocco Andino Contemporaneo: dipinti della Scuola di Cuzco (3 - 25 luglio 2010), fu allestita da SABA presso la sede dell’ex-Ateneo di Bergamo Alta, in collaborazione con il Circolo Culturale “G. Greppi” e con il patrocinio della Provincia e del Comune di Bergamo. Nella mostra furono presentate circa 80 opere pittoriche dei diversi laboratori artistici ancora attivi in Cuzco.

Presso la Sala Polivalente dell’abbazia “Santa Maria di Farfa”, a Fara in Sabina (Rieti), in collaborazione con la "Fondazione “Cremonesi” e con il patrocinio della Comunità Benedettina locale, SABA ha presentato l’esposizione Barocco Andino Contemporaneo: angeli, madonne e santi della Scuola di Cuzco (8 - 22 agosto 2010).

Presso il “Museo Popoli e Culture” di Milano, in collaborazione con il “Pontificio Istituto Missioni Estere” (PIME) e con il patrocinio della Regione Lombardia e di Rai Educational, SABA presenta l’esposizione Barocco Andino Contemporaneo: iconografia sacra nei dipinti della Scuola di Cuzco (15 aprile al 17 luglio 2011).

Diverse esposizioni sono già state realizzate presso spazi espositivi pubblici e privati in varie località d’Italia, ed altre sono programmate sul territorio nazionale.

Per l’impegno nello studio e la diffusione del Barocco Andino contemporaneo, la Escuela Superior Autónoma de Bellas Artes “Diego Quispe Tito” di Cuzco, ha concesso il suo patrocinio in tutti gli eventi che SABA sta organizzando in Italia e in Perú.

 

Il Barocco Andino e la Scuola di Cuzco

Con la “conquista” dell’America, al seguito dei missionari europei, giunsero nel Nuovo Continente alcuni artisti, incaricati di decorare le chiese che si stavano costruendo ovunque e produrre immagini che potessero essere d’aiuto nel processo di evangelizzazione avviato. Presto, la grande richiesta di opere d’arte impose la necessità di formare degli artisti locali, e così, nei territori della colonia, nacquero scuole d’arte un po’ dovunque e, ben presto, quella di Cuzco divenne la più importante in America. Per ovvi motivi di distanza, lo stile europeo raggiunse il Nuovo Mondo con circa 50 anni di ritardo e, perciò, fino alla metà del sec. XVII, il modello da seguire fu il tardo Rinascimento, e poi giunse il Barocco, entrambi sorti in Italia e diffusi in tutta Europa. Le prime opere importanti prodotte in territorio americano, quindi, furono i dipinti di un manierista italiano, il fratello gesuita Bernardo Bitti (nato a Camerino e giunto nel Vicereame del Perú nel 1575). In seguito, un altro italiano, Matteo Perez de Alesio (nato nel Regno di Napoli, allora possedimento spagnolo), fondò a Lima un “Centro Sperimentale” per ottenere i pigmenti equivalenti a quelli europei e inventare opere pittoriche alternative alle tele. Il terzo artista italiano che operò nel Vicereame fu Angelino Medoro, nato a Roma verso il 1567 e giunto in Perú verso il 1600. Tra i suoi allievi ci fu anche Luis de Riaño (1596-1667?), un importante esponente dell'arte coloniale peruviana che, assieme al pittore indigeno Diego Quispe Tito, introdusse nella pittura cuschegna il Manierismo, gettando le basi per lo sviluppo della famosa Scuola di pittura locale.

I modelli da imitare erano i quadri dei pittori spagnoli Zurbarán (1598-1664) e Murillo (1618-1682), e poi dell’olandese Rembrandt (1606-1669). Diego Quispe Tito (1611-1681), l’artista più famoso di Cuzco, s’ispirò ai maestri fiamminghi, introducendo il paesaggio nella pittura peruviana e inserendo le sue figure in vegetazioni tropicali irreali, con prospettive distorte e l’aggiunta di uccelli tropicali, tutti elementi iconografici che poi divennero caratteristici di quella Scuola. Poco alla volta, gli artisti di Cuzco si staccarono dai modelli europei e abbandonarono il mondo reale, per inoltrarsi nella fiaba. Così cominciarono a dipingere arcangeli avvolti in abiti regali e che impugnavano armi da fuoco, decorazioni preziose su tutti gli abiti, aureole e raggiere dorate, collane e gioielli sulle madonne e le sante. I missionari, intanto, si dedicarono al compito di confrontare e contrapporle le divinità locali alla Trinità, a Maria e ai santi, per trovare una reciproca identificazione, determinando il consolidarsi di una simbologia ambivalente nelle opere d’arte del mondo andino. In questo modo, allo stesso tempo, si permise il mantenimento e la trasmissione dei miti religiosi originali, determinando la creazione di una precisa iconografia locale. La civiltà indigena, attraverso le opere d’arte prodotte dalla Scuola di Cuzco, col Manierismo e col Barocco riuscì ad inserirsi nello schema occidentale, e attraverso queste espressioni formali sopravvisse nei secoli, trascinando con sé gli ideali di una cultura sommersa, che s’è mantenuta viva fino ai nostri giorni.

  Arcangelo Archibugiere Asiele - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 30 x 40. Collezione privata. L’opera è un’interpretazione del dipinto intitolato Asiel Timor Dei, realizzato nel XVII secolo dal Maestro di Calamarca e conservato in una collezione privata di La Paz. Nel dipinto, il “Messaggero Celeste” Asiele, punta l’archibugio verso l’alto, quasi a sfidare lo stesso Padre Eterno. Lo strano accostamento tra gli arcangeli e le armi da fuoco, così distante dall’immaginario classico europeo, proprio in Asiele trova uno degli esempi più interessanti e, per certi versi, sorprendenti. Il pensiero che sta alla base di questa invenzione iconografica, presumibilmente, trae spunto dal fatto che gli angeli difensori del Bene erano armati come i militari romani del tempo di Cristo. Trasferendo i personaggi nell’epoca storica in cui avvenne la conquista, pertanto, gli angeli assunsero sembianze ed armi europee. La forma triangolare della giacca converge nella testa, ornata da un cappello a larghe falde e vistosi pennacchi. La struttura triangolare è interrotta da due ellissi poste su un’asse obliqua, formata dalle ampie maniche della giacca che indossa l’arcangelo, che culminano nella diagonale data dallo stesso archibugio.

 

Arcangelo San Michele - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 30 x 40. Collezione privata. Il dipinto riproduce san Michele, il più importante tra gli arcangeli e capo supremo delle milizie celestiali. Egli fu, dopo la ribellione, colui che cacciò dal Paradiso gli angeli cattivi, assieme al loro capo Lucifero, e li sprofondò nell’Inferno. San Michele è un arcangelo giustiziere e protettore, che tiene lontano il male, oltre ad essere il patrono dei commercianti, dei militari, dei maestri d’arme e dei fabbricanti di bilance, ed essere invocato per guarire dalle malattie. La posizione della figura, con il corpo leggermente incurvato su un lato, le gambe divaricate, il braccio destro alzato nel gesto d’impugnare la spada e le ali spalancate, evoca lontanamente la famosa opera di Guido Reni (1575-1642), intitolata San Michele e l’Arcangelo, che nel Settecento fu considerato emblema del “bello ideale”. Molto d’effetto sono i colori vivaci e la luce intensa che avvolge la figura e che si espande tra le nubi dello sfondo. I tratti dolci e sereni dell’arcangelo, rappresentato con i capelli ondulati e biondi, s’ispirano ai canoni di bellezza europei. La spada fiammeggiante, sollevata nell’atto di colpire, evoca la battaglia celeste contro il demonio, mentre la bilancia che pesa il bene e il male delle anime vuole ricordare il Giudizio finale che, secondo la Fede cristiana, ogni essere umano dovrà affrontare alla conclusione della propria vita.

 

 Il sincretismo religioso

Durante le fasi iniziali della conquista d’America, gli europei attuarono una persecuzione sistematica nei confronti delle religioni che incontravano, distruggendone le immagini sacre poiché considerate “rappresentazioni demoniache”. Contestualmente, però, si assistette alla loro sostituzione con altre immagini, di matrice cristiana, che prontamente si convertivano nelle divinità da poco distrutte. Il tentativo di far comprendere la differenza tra “rappresentazione del sacro” e “soggetto del culto”, ovviamente, non ottenne risultati, così come frequentemente accadeva pure in Europa. In questo modo, la liturgia e le immagini cristiane si sovrapposero e si mischiarono ai precedenti riti e idoli, divenendo gli elementi ideologici su cui si sarebbero fondati i movimenti messianici andini. Il desiderio di ribellarsi alla religione imposta dagli spagnoli, di fatto, risvegliò e ravvivò antichi rituali che erano stati soppressi per la persecuzione dei sacerdoti incaici e sostituiti dal loro culto ufficiale. Per legittimare il proprio ruolo di guide dinnanzi alle popolazioni locali, i profeti assumevano i nomi degli Incas, invocandoli come antenati o dichiarandosi reincarnazioni degli stessi, ma non disdegnavano di aggiungervi elementi cristiani, per avere maggiore credibilità come predicatori della nuova fede.

Il primo tra i movimenti messianici andini, di cui si ha notizia, fu quello chiamato Taki Onqoy, che dall’idioma degli Incas, il quechua, si traduce “Male del Ballo” o “Malattia del Canto”. Questo movimento sorse verso il 1560 in Huamanga (Ayacucho), e in poco tempo si propagò in Lima, Cuzco, Chuquisaca, La Paz e tutta la “Audiencia de Charcas” (oggi Bolivia). Ciò che predicavano i suoi profeti erranti, sostanzialmente, era il ritorno al culto delle Huacas, termine con cui s’identificavano gli déi preispanici e preincaici, che in Natura risiedevano in qualsiasi oggetto o luogo sacro. Tale predicazione, però, dovette tenere conto del fatto che il Mondo era ormai cambiato e che il male portato dai conquistatori non era più rimediabile. Era necessario, pertanto, che avvenisse una grande distruzione dell’Universo conosciuto (Pachakuti), e sulle macerie della civiltà indigena e di quella europea sarebbe sorta una nuova società. Il Taki Onqoy si costituì attorno ad un indio di nome Juan Choqne che affermava di essere il profeta e portatore di un dio che solo lui poteva vedere e udire, il quale tra i suoi poteri aveva quello di spostarsi nell’aria dentro una “canasta”. Assieme a lui, il Taki Onqoy era diretto da due indias che avevano assunto i nomi di “Santa María” e “María Magdalena”, ma anche diverse altre donne si facevano chiamare con i nomi di varie sante, mettendo in chiara evidenza l’importanza e il prestigio che per loro questi personaggi cristiani godevano. Il movimento fu represso duramente dal sacerdote visitatore Cristóbal de Albornoz, e i capi spirituali furono trasferiti in Cuzco ed obbligati a sconfessare pubblicamente le loro convinzioni religiose. I capi tribù che avevano appoggiato il movimento furono multati, Santa María e María Magdalena furono confinate in un convento di suore, mentre s’ignora il destino di Choqne, di cui si persero le tracce. Nella sua relazione sulla visita, lo stesso Albornoz affermò che nel movimento erano stati coinvolti migliaia di indios, e che solamente lui ne aveva “castigato” ottomila.

Non tutti gli europei, però, avevano assunto un atteggiamento così ostile e violento. In quei frangenti, infatti, molte personalità tra i conquistatori e gli indios, condividevano le opinioni espresse dal gesuita José de Acosta, secondo cui la rivelazione di Dio era stata fatta a tutti gli uomini, identificando Viracocha (la divinità suprema degli Incas) con il Dio del Cristianesimo, e Inti (il Sole) come la sua creazione. Nel 1625, proprio in contrapposizione alle indicazioni dei Domenicani che predicavano l’abolizione dei culti antichi e la distruzione delle effigi pagane, gli Agostiniani posero il Sole e la Luna sulla porta principale della chiesa del proprio convento in Potosí (Bolivia), ostentando un chiaro dissenso. I loro teorici, per di più, affermarono fortemente che secondo loro Dio Padre s’identificava con il Sole, ancor più: “Dio fecondatore di Maria, come il Sole fecondatore della Terra”. In questo modo, il Dio Padre-Sole, entrò nelle chiese cristiane, raggiungendo a volte rappresentazioni estreme ed espressamente sincretiche, assieme alla Luna e alle Stelle.

 

Le serie angeliche

Nell’accezione comune, il termine “Angelo” indica impropriamente anche altri Spiriti celestiali annoverati nella Bibbia e dotati di nomi diversi. Tra i temi più espressivi della pittura delle Scuole andine, ci sono le straordinarie serie di angeli, disseminate in vari luoghi sul territorio compreso tra le città di Cuzco e Potosí. Queste serie sono di tre tipi: le Gerarchie, gli Arcangeli Archibugieri e gli Arcangeli Musici.

Nella prima serie gli esseri celesti indossano gonnellini femminili, che combinano con stivaletti e, a volte, corazze, elmi, spade e scudi delle legioni romane, elementi che contrastano paradossalmente tra loro, ma convenienti a degli esseri asessuati quali sono. Secondo Dionigi, ciascuna delle tre Gerarchie angeliche è divisa in tre Cori: la prima comprende i Serafini (che sono i più vicini al trono di Dio, sono spiriti abbracciati nel fuoco del Divino Amore e sono dotati di sei ali), i Cherubini (così chiamati per la grandezza e la pienezza della loro sapienza, hanno quattro ali) e dei Troni (che ricevono i segreti del Signore per mezzo dei Cherubini e questi dai Serafini, in loro riposa ed è seduto il Signore Supremo, ed hanno due ali). La seconda Gerarchia comprende i Domini, le Virtù e le Potestà. La terza Gerarchia è formata dai Principati, dagli Arcangeli (di cui i tre più importanti sono Michele, Gabriele e Raffaele) e dagli Angeli, questi ultimi divisi in buoni e cattivi, detti demoni o diavoli. L’angelo custode, protettore di ciascun mortale, fa parte di questo Coro, l’ultimo nella scala gerarchica, ma il più vicino agli uomini.

Nella seconda serie, gli arcangeli vestono secondo l’usanza militare degli spagnoli al tempo della conquista ed impugnano archibugi, lance, alabarde e bandiere. Gli arcangeli archibugieri rappresentano i falconi, che nella cultura incaica sono la personificazione dei defunti che dopo la morte assumono quelle sembianze vegliando sui propri familiari e, per questa ragione, sono considerati i protettori della casa. Le compagnie di arcangeli archibugieri, completamente sconosciuti all’iconografia europea, sono certamente le immagini più interessanti e fortunate delle serie angeliche andine. Un’audacia sorprendente e lontana dalle convenzioni del genere, fece armare gli angeli con archibugi, e allo stesso tempo li vestì con merletti, rendendoli dei connubi tra i seri soldati e le ragazze civettuole. In questo modo, gli angeli andini sono la somma del lusso aristocratico, dell’arroganza guerriera, dell’aspetto effeminato, dell’eleganza raffinata, della propaganda religiosa cristiana e delle credenze spirituali incaiche. Questa scintillante ostentazione di contrasti, proclama con nuova energia l’essenza medesima dell’angelismo, nella quale coincidono gli opposti estremi, che ignorando le differenze di sesso non hanno nulla a che vedere con la suddivisione dei ruoli tra l’uomo e la donna.

Arcangelo Archibugiere Adriele - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 78,5 x 118,3. Collezione privata. L’opera s’ispira al dipinto intitolato Hadriella Lasio Dei, realizzato nel XVII secolo dal Maestro di Calamarca e conservato in una collezione privata di La Paz. Gli arcangeli archibugieri, furono un’invenzione tra le più rilevanti del Barocco andino, tanto che sono divenuti i personaggi emblematici di quel movimento artistico. La diversità delle posizioni connesse all’utilizzo dell’arma, dedotte da un manuale di archibugieria diffuso nella colonia, determinò il consolidarsi di una varietà di arcangeli archibugieri, ciascuno individuabile con il proprio nome. L’opera rappresenta uno degli arcangeli archibugieri più interessanti delle Schiere angeliche andine. La figura, nel suo insieme, è ritratta nella postura caratteristica di Adriele, con l’archibugio a spalla e le gambe divaricate, ma in questo caso il dipinto è arricchito dalla profusione di oro, che riveste completamente lo sfondo. La forma triangolare della giacca che indossa è amplificata dalle gambe divaricate, vistosamente calzate di verde, e conduce l’attenzione verso il suo sguardo tranquillo, che si trova sul vertice.

Gli arcangeli musici, infine, sono rappresentati suonando gli strumenti musicali della tradizione europea o andina, e portano gli abiti romani o i vestiti dei militari spagnoli, e portano allegria nelle abitazioni che li ospitano.

                                                                               

  Arcangelo Suonatore di Arpa - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 41,3 x 60,7. Collezione privata. L’arcangelo sta suonando un’arpa dotata di cassa di risonanza, caratteristica delle zone andine, che è munita di due gambe per permettere d’appoggiarla al suolo. L’atteggiamento dell’arcangelo, che sta facendo un passo verso la sinistra dell’osservatore, suggerisce il fatto che questo strumento è normalmente utilizzato nelle strade, durante le feste popolari o le processioni sacre. Una caratteristica di questo laboratorio consiste nella realizzazione di abbondanti decorazioni dorate, con un rilievo particolarmente accentuato. È interessante notare come tutto l’insieme del dipinto contribuisce a mettere in risalto il luminoso volto dell’arcangelo arpista.

 

Le serie angeliche, che a volte comprendono un’iconografia molto rara, per la quale bisogna riferirsi alle fonti apocrife ed ai rami marginali del Cristianesimo, come la Chiesa Copta che rende culto ad Uriele, hanno sempre avuto un ampio successo e una larga diffusione. La fonte da cui furono dedotti i nomi, conosciuti nelle loro versioni corrotte e a volte assai diversi dagli originali, sarebbe il così detto Libro degli Angeli, nell’apocrifo Libro di Enoc, dove accanto a ciascuno Spirito celestiale è indicata anche la rispettiva funzione, generalmente associata a dei fenomeni naturali (grandine, fulmine, vento, pioggia, neve, luce diurna, ecc.), stelle o pianeti. I religiosi missionari che operavano in America, quindi, nei secoli XVI e XVII crearono le serie angeliche per sostituire cristianamente l’idolatria della Natura e degli astri.

 

 La Madonna come Madre Terra

La figura della Madonna, tra le popolazioni andine, fu identificata con la Pacha Mama (Madre Terra), una divinità molto venerata nell’ambito della religione locale, che mantenne la sua importanza anche dopo la conversione al Cristianesimo. Solamente nell’ambito del Vicereame del Perú che fu istituito nei territori andini, di fatto, la Vergine Maria fu rappresentata in forma esplicita come la Madre Terra. L’esempio più importante è il quadro dipinto da un autore anonimo nel 1520 e conservato nel “Museo de la Moneda ” nella città di Potosí (Bolivia), dove Maria e il Cerro Rico sono un tutt’uno. Nella tela si nota la montagna con un viso femminile e due mani con le palme aperte. È l’immagine di Maria inserita nel monte e incoronata dalla Trinità, mentre ai suoi piedi sono inginocchiati il papa Paolo III, il re Carlo V di Spagna, dei dignitari e un capo tribù indigeno, probabilmente il committente dell’opera. Ai lati del monte sono dipinti il Sole e la Luna , e tra i personaggi inginocchiati ai suoi piedi la Terra , elementi molto frequenti nelle rappresentazioni di quel periodo, che fanno riferimento alla religione incaica (f. di copertina).

 Madonna Montagna - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 50 x 70. Collezione privata S. M. L. L.. L’opera è una libera interpretazione della celebre Virgen Cerro (Madonna Montagna), realizzata nel 1520 da un autore anonimo, e conservata nel “Museo de la Moneda ” di Potosí, in Bolivia. Il tema della Madonna-montagna fu riprodotto in alcuni dipinti che, pur mantenendo l’impostazione formale, differiscono nei dettagli. Le opere come questa, dove la Madonna è identificata palesemente con la Pachamama (Madre Terra), sono piuttosto rare. La composizione rappresenta il “Cerro Rico” (Monte Ricco) di Potosí, in cui sono stati inseriti il volto e le mani spalancate della Vergine Maria. Ai lati del monte si trovano il Sole e la Luna , e ai suoi piedi una rappresentazione schematica della Terra, tutti elementi importanti della cosmogonia andina. Tra le nubi, nel cielo sopra la montagna, si trovano Gesù Cristo e Dio Padre che stanno incoronando la Madonna-Montagna , oltre allo Spirito Santo che irradia luce sulla scena, e due angeli, probabilmente san Michele e san Gabriele. Tra le persone inginocchiate ai suoi piedi si notano il papa Paolo III e il re di Spagna, Carlos V. Dietro il papa c’è un cardinale, mentre dietro il re c’è un capo indigeno, probabilmente il committente dell’opera. Sulla montagna, in lontananza, c’è l’Inca che s’intrattiene con della gente, tra cui uno spagnolo, e lungo il fitto reticolo di sentieri che la percorrono vi sono varie scene che descrivono la leggendaria scoperta delle miniere d’argento nel Cerro Rico. Particolarmente interessante sono i dettagli delle stole di Dio Padre e del papa Paolo III, che riproducono dei tipici tessuti andini e sono uguali tra loro, come ad indicare la preponderanza del loro ruolo spirituale.

La caratteristica iconografica fondamentale di tale sincretismo è la forma triangolare data alla Madonna, che in questo modo ricorda l’aspetto di una montagna, la rappresentazione più evidente della Madre Terra, ed è adottata nelle numerose versioni dipinte e scolpite. Particolarmente significativa, nelle diverse rappresentazioni della Madonna così come in quelle degli angeli e dei santi, è la presenza di vistosi piumaggi colorati che decorano i copricapo e le vesti dei personaggi, i quali sono un evidente richiamo all’abitudine tipica delle popolazioni locali, che amano adornarsi con piume e penne degli uccelli tropicali. Le diverse immagini dell’iconografia mariana, soprattutto quando è accompagnata da Gesù Bambino, perciò, s’associano all’idea del nutrimento e della protezione che l’uomo andino riceve dalla Madre Terra, la quale, oltre ai suoi prodotti per alimentarsi, gli offre la propria ospitalità per rifugiarsi.

 

Il culto meticcio dei santi

Assieme all’identificazione della Madonna con la Madre Terra , e degli angeli con gli spiriti che controllano gli elementi naturali e proteggono le attività umane, anche i santi cristiani sono stati interessati da questo sincretismo. Già dal 1551, durante il primo Concilio di vescovi tenutosi a Lima, furono stabilite le regole basilari da adottare per l’evangelizzazione degli indigeni. Dagli Atti del terzo Concilio, tenutosi trenta anni più tardi, però, emerge l’opinione che l’idolatria era egualmente diffusa come all’inizio dell’evangelizzazione, promuovendo una campagna per opporvisi anche in modo drastico. Le opinioni erano discordi, poiché da un lato i Domenicani e i Francescani richiedevano l’abolizione dei culti ancestrali, mentre dall’altro i Gesuiti e gli Agostiniani cercavano di trovare dei punti di conciliazione tra le due religioni.

  San Giacomo fu il leggendario evangelizzatore della Spagna che, dopo la morte di Gesù, raggiunse provenendo dalla Palestina. Le immagini del santo che più furono amate dagli spagnoli, lo ritraggono nelle vesti di un guerriero che brandisce la spada e cavalca un destriero bianco, facendo strage dei mori invasori della Spagna, così come apparve in sogno a Ramiro I, re delle Asturie. Il giorno seguente al sogno, il re guidò le proprie truppe alla vittoria sui mussulmani nella battaglia di Clavijo (23 maggio 844), e san Giacomo fu denominato Santiago Matamoros (“Uccisore dei mussulmani”) e proclamato patrono di Spagna. Con l’arrivo in America degli spagnoli, l’identificazione di san Giacomo Maggiore con il dio del fulmine Illapa, da parte delle popolazioni andine, fu un’operazione fin troppo ovvia, avvalorata esplicitamente dai testi evangelici predicati dai missionari, i quali riferivano di Gesù che definì i due fratelli Giacomo “maggiore” e Giovanni come “figli del tuono”. Gli stessi spagnoli, per antica consuetudine, quando durante un temporale s’udiva tuonare, commentavano che “correva il cavallo di san Giacomo”, e dopo aver sparato con gli archibugi lanciavano il grido di guerra “Santiago”.

L’enorme popolarità che tuttora riscuote tra la popolazione andina, è dovuta all’identificazione tra il santo cristiano e la divinità incaica, e cominciò nel 1536, quando le truppe dell'Inca Manco II stavano assediando la città di Cuzco, che era sotto il dominio spagnolo. Durante il combattimento, mentre la città era sottoposta ad una pioggia di frecce incendiarie e gli spagnoli riuniti nel Sunturhuasi (“Casa Rotonda”, oggi la Cattedrale ) invocavano la protezione del loro patrono, scoppiò un'improvvisa tormenta, che spense tutti gli incendi. Riferiscono i cronisti del tempo che i presenti videro Santiago scendere dal cielo, preceduto da un tuono tremendo e seguito da un fulmine che cadde direttamente su Sacsahuaman, dove era in atto l'assedio della città. Gli indigeni si spaventarono e riconobbero nella tempesta il loro dio Illapa, che li aveva puniti per non averlo venerato opportunamente, mentre gli spagnoli affrontarono le truppe nemiche sotto la tormenta, attribuendo la loro vittoria a Santiago e alla Madonna. Da quel momento, di fatto, iniziò il rapido processo di sovrapposizione tra le due figure, e l'antica immagine di Illapa come serpente di fuoco fu sostituita da quella di Santiago nei panni di un cavaliere con il suo destriero bianco, a volte come vincitore sugli indios, spesso come sterminatore di mori o, più raramente, come trionfatore sui bianchi.

 Arcangelo Suonatore di Trombetta - Primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 50 x 70. Collezione privata. Il dipinto rappresenta l’arcangelo che sorregge due trombette, una più grande e l’altra piccola. Egli veste gli abiti degli antichi romani, cui sono aggiunti i caratteristici calzoni dei contadini andini, che contrastano con i bordi di pizzi elaborati. Un dettaglio assai interessante, già incontrato in alcuni dipinti precedenti, è il berretto sospeso in aria sopra la testa dell’arcangelo, che funge da aureola. Il ruolo riconosciuto agli arcangeli musici è quello di portare allegria nella casa che li ospita e, per questo motivo, nelle abitazioni andine trovano posto nei salotti, dove si ricevono gli amici e si svolgono le feste.

I laboratori contemporanei in Cuzco 

Nella città di Cuzco, ancora oggi, alcune botteghe d’arte continuano a produrre opere pittoriche di bella fattura, riproducendo e interpretando l’iconografia classica del passato. I maestri che conducono i diversi laboratori, guidano gruppi di artisti specializzati in una parte del lavoro, che alla fine porta alla produzione di opere collettive e, per questo, raramente firmate. Così, un incaricato prepara le tele su cui si dovrà dipinge, un altro traccia il disegno, poi c’è chi prepara i colori del fondo, chi stende le ombreggiature, chi dipinge gli incarnati e le ricche decorazioni dorate, e infine l’opera sarà sottoposta al controllo finale, prima di essere considerata terminata.

A volte i laboratori sono affollati da artigiani ed artisti indaffarati, che collaborano fino a completare l’opera. Altre volte nel piccolo laboratorio lavora un solo artista, che dipinge le parti che gli competono, per poi consegnare l’opera ad altre botteghe, dove poco alla volta si completa. In questo modo, succede che le parti più caratterizzanti e difficili da eseguire, che normalmente sono dipinte dall’artista più esperto, s’accompagnano a tessuti, decorazioni dorate e paesaggi che variano nello stile, e che si ritrovano sulle opere dei diversi laboratori. La conoscenza delle tecniche pittoriche è trasmessa dal maestro agli allievi, attraverso un procedimento di insegnamento-apprendimento graduale e costante, che generalmente dura alcuni anni. Per questa ragione, spesso gli apprendisti fanno parte dello stesso nucleo famigliare o, in caso contrario, vivono in ambienti annessi al medesimo laboratorio, a stretto contatto con il maestro, un po' come nelle botteghe medievali europee. Una volta terminato l'apprendistato, l'artista lascia il laboratorio del maestro, per allestirne uno proprio, ed entrare in “competizione” con gli altri.

 

La peculiarità di questi dipinti ad olio è che non si tratta di semplici riproduzioni delle opere antiche, ma di variazioni sull’iconografia classica, ogni volta interpretata in modo diverso. Questo processo è paragonabile a quello che avviene nella realizzazione delle icone bizantine, dove solo pochi maestri ispirati possono inventare nuove immagini, ma tutti i pittori, inevitabilmente, pongono qualcosa di proprio, realizzando delle immagini che facilitano l'incontro con il sacro.

Tra i pittori che praticano quest'arte meticcia, vi sono personalità che emergono per il loro carattere forte, che “osano” aggiungere qualcosa di nuovo, e sorprendono per la profonda consapevolezza di quello che stanno facendo. Sono artisti senza tempo, forse, ma ben addentrati in quello spazio incontenibile che è il Barocco Andino contemporaneo.

Il Barocco Andino, mirabile espressione dell’arte coloniale sudamericana, s’è mantenuto vivo e vivace fino ai nostri giorni. Evolvendosi tra alti e bassi, nei numerosi laboratori sparsi un po’ dovunque, ha trasportato i suoi ideali culturali lungo i secoli, offrendoci un potente messaggio che nasce dal più profondo della civiltà indigena. Tutta l’arte contemporanea latinoamericana, infatti, e quella peruviana in particolare, ancora oggi è pervasa dalla forte influenza che questa caratteristica forma espressiva ha avuto e continua ad avere.

 

Conclusioni

 

Tutti gli studiosi che si sono occupati di questa straordinaria produzione artistica, hanno riconosciuto l’influenza del Manierismo italiano e del Barocco spagnolo e fiammingo, a loro volta pervasi dalle tendenze provenienti dall’Italia. È certamente innegabile, quindi, il “debito” artistico che l’arte meticcia ha nei confronti di quella italiana, che ha lasciato una traccia indelebile e ancora visibile nelle opere contemporanee. Va riconosciuto, però, che i significati sottesi dalla caratteristica iconografia che quest’arte ha creato, risentono anche dei contenuti predicati dagli estasiati profeti del Taki Onqoy, il movimento religioso di resistenza sorto spontaneamente come fiera opposizione ai tentativi di estirpare l’antica fede.

Solo negli ultimi anni del secolo scorso, di fatto, la strana iconografia delle così dette “Serie Angeliche”, e quindi di tutta la singolare produzione pittorica delle Scuole Andine, ha attirato l’attenzione degli studiosi e del pubblico europeo. Una serie di studi intorno al tema, con la pubblicazione di libri e la realizzazione di alcune esposizioni con le opere originali, dapprima in Bolivia e Perú, e poi a Barcellona, Madrid, New York, Monaco e Parigi, poco alla volta, hanno reso popolari questi dipinti, che oggi sono ricercati per essere il diletto di esposizioni, musei, collezioni private e pubblicazioni.

Da qualche tempo, anche vari collezionisti e appassionati italiani mostrano un crescente interesse nei confronti delle opere pittoriche delle Scuole Andine, con particolare riferimento alla produzione contemporanea. Grazie alle esposizioni organizzate da SABA in varie località italiane, s’è diffusa la conoscenza del ruolo determinante che i maestri italiani ebbero nella formazione del Barocco Andino, fomentando ed appoggiando, allo stesso tempo, il lavoro artistico dei laboratori cuschegni.

 

(Autore: Riccardo Scotti, Studio d’Arte sul Barocco Andino (SABA) -Giugno 2011)  

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                                                                                          Luglio-Agosto 2011