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Teorie e testimonianze sui continenti scomparsi

(Leonella Cardarelli)

 

Testimonianze su Atlantide

La prima testimonianza storica su Atlantide è quella che ne dà Platone nel Crizia e nel Timeo, tramandata da suo zio Solone.

Innanzi a quella foce stretta che si chiama colonne d'Ercole, c'era un isola. E quest'isola era più grande della Libia e dell’Asia insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole e da queste alla terraferma di fronte. [...] In tempi posteriori [...], essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte [...] tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l'isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve. […] Essendoci dunque stati molti e terribili cataclismi in questi novemila anni.[1] Avvennero terribili terremoti e diluvi, trascorsi un solo giorno e una sola notte tremendi […] l’isola di Atlantide scomparve sprofondando nel mare.[2]

Alcuni studiosi si sono chiesti quanto sia attendibile questa testimonianza: è possibile che Platone abbia inventato tutto o abbia modificato alcuni particolari? Vediamo cosa ne pensano gli studiosi.

P. James e N. Thorpe, autori di Terre perdute (1999), sostengono che nell’Atlantico non ci siano prove archeologiche di questo continente. Lo stesso Aristotele, che ha gettato le basi del pensiero razionale, non ha mai creduto a questa leggenda.

A sua volta T. Maniscalco, autore de I superstiti di Atlantide [3](2008), parte dalle testimonianze di Platone senza escludere che nel Crizia e nel Timeo vi possano essere degli errori geografici, per giungere alla tesi che Atlantide si trovasse in Algeria, sotto le sabbie del deserto.

Platone scrive che gli atlantidei erano più “evoluti” di noi e già nelle antiche tradizioni elleniche troviamo testimonianze che narrano di antiche civiltà, con conoscenze avanzate, successivamente scomparse. Al di là della scienza ufficiale sono state fatte molte scoperte e non si sa dove collocarle.

Gli aztechi sostenevano di venire da un luogo chiamato Aztlan (cioè Atlantide). Il prefisso atl in lingua messicana significa acqua e lo ritroviamo in molti nomi: Quetzalcoatl, Chichèn Iztlan (che in lingua maya significa salvati dalle acque); i toltechi del Messico sostengono a loro volta di venire da Aztlan.

Sono molti gli intellettuali che hanno accettato l’idea di un continente perduto, ad esempio Plutarco, che lo chiamava Saturnia; Diodoro Siculo affermava che i fenici scoprirono una grande isola nell’Oceano Atlantico al di là delle colonne d’Ercole alla quale arrivarono dopo qualche giorno partendo dalle coste africane; a Proco fu narrata l’esistenza di un continente chiamato proprio Atlantide e anche lo storico romano Timogeno asserisce che i Galli avevano una tradizione su tale continente.

Elliot Scott, rifacendosi al testo Ancien America di Baldwin,  ci dice che alcuni documenti ritrovati nell’America centrale (Messico e Guatemala, ove erano stanziate popolazioni quali maya ed aztechi) testimoniano che il continente americano si estendeva molto più a largo dell’Oceano Atlantico e che quest’area fu poi distrutta da varie catastrofi[4]; la più importante è ricordata come diluvio universale e risalirebbe a 12.000 anni fa. Possiamo confrontare questa teoria con una leggenda diffusa tra i Celti i quali sostenevano che una parte della Gran Bretagna si estendeva a sua volta oltre l’Oceano Atlantico. Essi infatti 

dichiaravano di venire da una terra sommersa nell’Oceano Atlantico, la mitica Avalon[5], su cui sono stati scritti tantissimi libri.

Per quanto riguarda la geologia, R. Pinotti in Atlantide (2001) prende in considerazione una serie di elementi geologici interessanti[6], scrivendo:

Secondo le indicazioni di Platone l’Atlantide era un paese montagnoso. Di conseguenza nell’Oceano Atlantico dovrebbe esservi una vasta regione montagnosa immersa nell’acqua. Ed effettivamente le spedizioni oceanologiche del XIX e XX secolo hanno stabilito con certezza l’esistenza di un gigantesco sistema montagnoso che si estende da un circolo polare all’altro passando quasi al centro dell’Atlantico.[7]

Elliot Scott scrive che, tramite un’indagine, fu scoperto che  nel mezzo dell’Oceano Atlantico esiste una vera e propria catena montuosa[8]- le cui cime formano le Azzorre, San Paolo, Ascensione, la stessa Islanda, Sant’Elena, e Tristan d’Acunha- coperta di detriti vulcanici e questi detriti arriverebbero fino alle coste americane.

La catena in questione sarebbe la dorsale medio atlantica, formata prevalentemente da rocce basaltiche. Secondo i geologi questa catena sottomarina risalirebbe a decine di milioni di anni fa, il professore  di geologia Martinis la fa risalire addirittura a 135 milioni di anni fa, egli però, nonostante la sua passione per il continente perduto, dichiara che nell’oceano Atlantico non c’è nessuna Atlantide e anche James e Thorpe dichiarano che non esistono affatto resti archeologici di essa. Su una linea opposta si pongono invece studiosi come Jirov e Heezen, che nonostante l’assenza di resti archeologici, non escludono l’esistenza del continente. Heezen affermò che:

vi sono molti elementi che dimostrano come in determinati momenti della loro esistenza queste catene uscirono alla superficie degli oceani formando vaste zone di terraferma, valutabili, per la loro vastità, alla stregua di veri e propri continenti. Evidentemente una parte di tali catene è esistita in superficie persino nel periodo post glaciale. Al di là di ogni tradizione, dunque, l’esistenza di queste catene e altopiani montani inabissati induce in effetti a pensare alla precedente esistenza di continenti perduti: Atlantide nell’Atlantico, Mu nell’Oceano Pacifico e Lemuria nel Pacifico.[9]

Colin Wilson, Charles Hapgood, Graham Hancock sono solo alcuni nomi di studiosi che si sono dedicati all’argomento. Il problema dei resti sommersi difficili da trovare e da datare, nonché dell’eccessivo lasso di tempo trascorso hanno portato la maggior parte degli studiosi a rinunciare allo studio di continenti scomparsi.

Vediamo ora  altre testimonianze: in Tibet esiste un libro antichissimo appartenente alla casta sacerdotale e ritrovato solo ai primi del ‘900: Le stanze di Dzyan. Questo libro, di autore ignoto, descrive le ere dell’uomo in diverse umanità e tra le varie fasi menziona anche la civiltà atlantidea. Esso è uno dei testi fondamentali della Società teosofica e vi derivò l’opera La dottrina segreta di H.P. Blavatsky. Fu la stessa Blavatsky a far conoscere al mondo il testo trovato in Tibet.

Il Popol Vuh, libro sacro del popolo maya quichè riporta, oltre alla storia del diluvio,  la storia della creazione di manichini di legno, creati come esperimenti umani. Questi manichini sarebbero strati creati prima con l’argilla e poi, visto che con l’argilla si rovinavano, con il legno. Essi però erano “cattivi” e iniziarono a cibarsi di animali e non onoravano mai gli dei, finché gli animali stessi li divorarono per vendicarsi[10] e fu mandato un diluvio per punirli. 

In Archeologia misterica di L. Bürgin troviamo la testimonianza di molti ritrovamenti che non vengono divulgati dall’archeologia ufficiale. L’autore, oltre a menzionare le scoperte nei pressi di Okinawa, ci parla anche del segreto di Rock Lake, un lago che si trova ad est di Madison (nel Wisconsin) e che sembra avere sul fondale delle costruzioni piramidali e dei manufatti in pietra.[11]

Da queste teorie e testimonianze, sembrerebbe Atlantide più un insieme di terre che una singola isola ipoteticamente inabissatasi nel mare; si evince altresì che la sua localizzazione ha sempre rappresentato un problema  poiché, in caso fosse esistita, può aver subìto diverse catastrofi e aver occupato territori più o meno ampi. Platone scriveva che Atlantide affondò in un solo giorno e in una sola notte ma l’isola può anche essere ciò che restava di un continente più vasto, precedentemente distrutto.

Il mito di Mu e i resti di Yonaguni

Il mito di Mu nasce a fine ‘800 con il colonnello Churchward (1852-1936), di origine britannica. Il colonnello, lasciata la sua carriera lavorativa, si recò in India nel 1870 e strinse amicizia con un sacerdote indiano. Entrambi erano appassionati di archeologia, così il sacerdote mostrò a Churchward delle tavolette antiche che parlavano dell’origine dell’umanità. Secondo il sacerdote queste tavolette erano state scritte dai Naacal, ovvero dai “Sacri fratelli” che venivano da un  continente dell’Asia sudorientale.

Il sacerdote e l’ex colonnello tradussero tutte le tavolette e scoprirono che esse narravano della creazione del mondo e dell’origine dell’uomo, il quale sarebbe comparso per la prima volta sul continente Mu. Dopo alcuni anni il professore e ricercatore W. Niven scoprì in Messico, durante gli scavi, 2.600 tavolette che facevano riferimento a tale continente.

Così Churchward, dopo aver tradotto le tavolette e aver viaggiato per trovare altri elementi validi ad avallare la sua ipotesi dell’esistenza di questo continente, ipotizzò la storia di un continente, Mu, che si trovava nell’Oceano Pacifico ed era abitata da diverse tribù governate da un re detto Ra-Mu. Secondo la sua traduzione e ricostruzione, Mu avrebbe subito una prima catastrofe causata da vulcani e maremoti per poi inabissarsi 13.000 anni fa.
Nel 1997 nei pressi dell’isola di Yonaguni (area di Okinawa) nel mar della Cina, tra Formosa e il Giappone, sono stati scoperti resti archeologici molto importanti tra cui monumenti a terrazze, appartenente ad una civiltà sprofondata nel Pacifico di cui non si ha traccia nei libri di storia ufficiali. 
Il resoconto dettagliato di questa scoperta si trova in Civiltà sommerse (2002) di G. Hancock, il quale ha corredato la ricerca con fotografie di questi resti. I geologi che si sono immersi a Yonaguni sono tre: Masaaki Kimura, Robert Schoch e Wolf Wichmann e per quanto ne sa l’autore si tratta degli unici geologi che sono scesi a quelle profondità. Essi non hanno però un’opinione condivisa: Kimura ha effettuato centinaia di immersioni e sostiene che si tratta senza dubbio di opere di origine umana e sostiene altresì che in alcuni punti ci siano fori prodotti da strumenti simili a punteruoli. La descrizione di ciò che ha visto Kimura (una specie di sentiero pavimentato con pietre che collega le principali zone della struttura; tracce di scavi che fanno pensare a riparazioni, ecc. [12]) lasciano intendere palesemente che si tratta dei resti di una civiltà; Schoch (che si è immerso insieme allo stesso autore) invece non ha preso una posizione chiara in merito alla natura di questo monumento sommerso, ha sostenuto sia che possa trattarsi di un monumento naturale sia che possa essere di origine umana con fini astronomici in quanto si trova sul tropico del Cancro;
Il geologo Wichmann ha effettuato tre spedizioni e sostiene che si tratti di un’opera naturale.
L’unico archeologo che si è immerso a Yonaguni è Sundaresh che considera il monumento di origine umana è [13]. 
I resti trovati sott’acqua appartengono ad un periodo che oscilla tra 4000 a 8000 anni fa ma alcuni studiosi ritengono che risalgano addirittura a 15.000 anni fa.
L’esistenza di una civiltà evoluta, se realmente esistita, spiegherebbe anche perché la Cina, fin dai tempi antichissimi, era così abile dal punto di vista tecnologico: i primi cinesi possedevano addirittura un sismografo, costruito con un vaso e un sistema di leve; inventarono la carta, la bussola e avevano grandi conoscenze mediche. Non a caso anche in Cina esistono molte piramidi a terrazze [14].

Bibliografia:

Bürgin, L. (1998) Geheimakte Archäologie, Bettendorf, F.A. herbig Verlagsbuchhandlung GmbH, München; trad. it. (2001) Archeologia misterica, Piemme, Casale Monferrato (AL).
Consiglio dei Maya- Quiché, Popol Vuh (2006) Massari editore, Bolsena (VT).
Hancock, G. (2002) Underworld, Penguin books Ltd, UK; trad. it. (2002) Civiltà sommerse, Corbaccio, Milano.
James, P.; Thorpe, N. (1999), Ancient mysteries, The Ballatine publishing group, Random house; trad. it. (2002), Terre perdute, Armenia, Milano.
Maniscalco, T. I superstiti di Atlantide pubblicato su Archeomisteri n. 35 settembre-ottobre 200.
Pinotti, R. (2001) Atlantide, Mondadori, Milano.
Platone, Tutte le opere (1977) Newton, Roma.
Scott Elliot, W. (1996), Storia dell’Atlantide, Bis, Torino.
Scott Elliot, W. (1997), Storia della Lemuria sommersa, Bis, Torino.
Zecchini, V. (2006) Atlantide e il mistero dei continenti scomparsi, Giunti, Firenze.

                                                                                                                                                                               (L. Cardarelli, 2007)



[1] Cit.. Platone, Tutte le opere (Crizia), pag. 669

[2] Cit. Platone, Tutte le opere (Timeo) pag. 551

[3]Cfr. Maniscalco, T. I superstiti di Atlantide, Archeomisteri n. 35 settembre-ottobre 2007

[4] Cfr. Scott, E. (1996)  pag. 22-24  

[5] Cfr. Zecchini, V. (2006) pag. 59

[6] Cfr. Pinotti, R. (2001) pag. 92-131

[7] Cit. Pinotti, R. (2001) pag. 102

[8] Cfr. Scott, E. (1996) pag. 12-13

[9] Cfr. Zecchini, V. (2006) pag. 89

[10] Cfr. Popol Vuh, pag. 45-52

[11] Cfr. Bürgin, L. (2001) pag.  123-134

[12] Cfr. Hancock, G. (2002) pag.792
[13] Sul resoconto di Sundaresh cfr. Hancock, G. (2002), pag. 798-802
[14] Sulle piramidi cinesi cfr. Bürgin, L. (1998) pag. 164-167

 

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