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                                                                       L’Antica Astronomia della Malesia

di Adriano Gaspani
I.N.A.F - Istituto Nazionale di Astrofisica
Osservatorio Astronomico di Brera (MI)

adriano.gaspani@brera.inaf.it

 

Le popolazioni stanziate nell’arcipelago Malese e in Polinesia ebbero fin dalla remota antichità tradizioni culturali molto ricche nelle quali l’astronomia ha occupato un posto rilevante. Il territorio dell’Oceania formato da migliaia di isole è posto ad una latitudine geografica compresa tra l’equatore e una decina di gradi al di sotto di esso. L’orografia delle isole che compongono l’arcipelago malese è molto varia comprendendo alte montagne che superano anche i 3000 metri come i monti Leuser (3381 m s.l.m), Kerintji (3798 m s.l.m), Dempo (3159 m s.l.m) a Sumatra, il monte Semeru (3669 m s.l.m) a Giava, i monti Raja (2278 m s.l.m) e Kinabalu (4102 m s.l.m) nel Borneo, estese valli fluviali e grandi pianure poste in riva al mare. Dal punto di vista climatico, le popolazioni malesi ebbero sempre a che fare con gli improvvisi cambiamenti climatici tipici di un clima umido di tipo monsonico, di conseguenza la loro sopravvivenza fu possibile e strettamente condizionata dalla coltivazione del riso e dalla possibilità o meno di ottenere buoni raccolti.

Questo fu possibile nel momento in cui i malesi furono in grado di determinare efficacemente il momento più adatto alla piantagione del riso nei vivai e al trasferimento delle piantine nei campi per i successivi sviluppo e maturazione la quale deve avvenire durante il breve periodo secco, lungo per lo più 1 mese, durante l’anno. I metodi che servirono a determinare le date giuste lungo l’anno furono per secoli, ed ancora ai nostri tempi, basati sull’osservazione del Sole e delle stelle e le popolazioni malesi riuscirono a sviluppare svariate metodologie originali di osservazione e ad applicarle in maniera efficace tanto da raggiungere una notevole conoscenza del cielo e dei suoi fenomeni ed una notevole abilità nella pianificazione agricola.

 Ovviamente questo avvenne in relazione al livello tecnologico medio delle popolazioni rurali, tendenzialmente povere, ma dotate di un consistente bagaglio di tradizioni, molte delle quali in diretto rapporto con l’astronomia. I Malesi praticano da secoli due tipi di coltivazione del riso, dette rispettivamente “swidden” (secco) e “padi” (umido). La metodologia “padi” è di tipo stanziale e prevede la coltivazione del cereale nelle risaie allagate sfruttando le frequenti piogge di tipo monsonico ed eventualmente mediante opere di irrigazione. Questo tipo di coltivazione è praticato dalle popolazioni dell’isola di Java, dal Sesak che vivono sull’isola di Lombok e dai Malesi di Kedah e Perak. La coltivazione “swidden” richiede invece meno acqua, ma depauperando molto il terreno richiede che ogni 2 anni sia necessario abbandonare il fondo per trasferire la coltivazione in una nuova area, generalmente ottenuta disboscando la foresta tropicale ed incendiandola per concimarla, con la possibilità di riutilizzare i vecchi terreni solo dopo 10 o 20 anni. In questo tipo di coltivazione l’indispensabile approvvigionamento idrico è assicurato dalle piogge, ma esiste la difficoltà di determinare quando disboscare la foresta, quando incendiare il terreno ottenuto, cosa che deve avvenire durante l’unico mese secco dell’anno e la piantagione del riso deve essere effettuata poco prima dell’arrivo delle prime piogge.

Il metodo “swidden” è praticato soprattutto dalla tribu Iban dell’isola di Java, dai Kenyah, i Kayan e i Maloh che vivono nel nord-est del Borneo. Sia i coltivatori di riso “swidden” che “padi” utilizzarono per secoli l’osservazione del cielo ai fini della determinazione delle date giuste per le varie operazioni richieste dalla coltivazione, anche se differenti tribù malesi svilupparono metodi molto differenziati per risolvere il fondamentale problema della pianificazione dell’attività agricola. Le varie metodologie adottate si basarono essenzialmente sull’uso di metodi solari utilizzando la lunghezza dell’ombra proiettata da gnomoni verticali, sull’uso delle levate, dei tramonti e delle culminazioni eliache delle stelle e delle costellazioni, e di calendari empirici costruiti sulla base di osservazioni luni-solari oppure lunari-stellari. Per quanto riguarda i metodi di tipo gnomonico, va subito messo in evidenza che nessuna popolazione malese utilizzò mai la posizione dell’ombra proiettata dallo gnomone verticale per determinare le ore del giorno, ma veniva utilizzata la lunghezza dell’ombra proiettata al mezzogiorno vero e locale per determinare le date durante l’anno.

Dobbiamo ricordare che le regioni della Malesia sono geograficamente poste poco sotto l’equatore, quindi il Sole, in prossimità degli equinozi, al mezzogiorno vero e locale transita allo zenith e durante l’anno si sposta dallo zenit di circa 23 gradi e mezzo alternativamente verso sud e verso nord, quindi gli gnomoni verticali, contrariamente a quanto avviene alle nostre latitudini, proiettano la loro ombra sia a sud del piede dello gnomone che a nord di esso. Le ricerche condotte dagli antropologi, soprattutto durante il secolo scorso e quello precedente, hanno permesso di mettere in evidenza l’esistenza di due tipi di gnomoni verticali utilizzati in ambito malese. In entrambi i casi l’elemento indicatore della data lungo l’anno era la lunghezza della minima ombra proiettata, all’istante del mezzogiorno vero e locale e la sua direzione, nord oppure sud.

Uno dei due metodi era applicato dalle varie tribù di etnia Kenyah del Borneo, i quali usavano uno gnomone verticale fisso rappresentato da un palo di legno scolpito e dipinto e posto al centro del villaggio, una specie di totem denominato “tukar do” nella lingua locale, saldamente infisso nel terreno e ben allineato lungo la verticale astronomica locale. Alla base del palo veniva posta un’asta orizzontale di legno lunga quanto un braccio di un uomo e detta “aso do” sulla quale venivano incise due serie di tacche.

 La prima serie era consistente con le particolarità anatomiche del braccio dell’uomo utilizzato come riferimento, che poi era colui che presiedeva ufficialmente alle osservazioni della posizione dell’ombra dello gnomone e alle decisioni che venivano prese di conseguenza. Ad esempio erano marcate l’estremo delle dita della mano tesa, la posizione del centro del palmo della mano, la posizione del polso, quella del centro dell’avambraccio, quella del gomito, quella dell’ascella etc., realizzando in genere 8 tacche poste a distanza ineguale l’una dall’altra. Queste tacche erano fisse per un dato “aso do” e rappresentavano il sistema di riferimento per stabilire le date in funzione della lunghezza dell’ombra meridiana.

La seconda serie di tacche veniva eseguita successivamente durante l’uso dell’”aso do” e l’osservazione della variazione delle lunghezza dell’ombra. L’asta “aso do” non era fissa ma veniva appoggiata orizzontalmente sul terreno alla base dello gnomone verso il mezzogiorno lungo il lato nord o quello sud del meridiano a seconda della direzione dell’ombra in relazione alla stagione in corso. In particolare nel giorno del solstizio d’inverno, il Sole raggiungendo una declinazione pari a +e (obliquità dell’eclittica) proiettava la sua ombra in direzione sud rispetto al piede dello gnomone e quindi il “aso do” doveva essere posto sul lato meridionale. Al solstizio d’estate, la declinazione del Sole è -ε, allora la direzione dell’ombra dello gnomone era rivolta verso nord e il “aso do” era posto lungo il lato settentrionale del meridiano.

Al solstizio di Giugno, che per le popolazioni dell’emisfero sud corrisponde al solstizio d’inverno, l’ombra dello gnomone era la più lunga e questa posizione era segnata sul “aso do”. Allo stesso modo al solstizio d’estate, a fine Dicembre, si provvedeva a marcare il “aso do” con la posizione estrema raggiunta dall’ombra dello gnomone, ma poiché l’asta era posizionata sul terreno dalla parte opposta e siccome la latitudine geografica era prossima a zero, le due tacche sul “aso do” risultavano vicine tra loro. Le altre tacche che servivano per la valutazione delle date importanti ai fini della coltivazione del riso venivano incise in funzione della lunghezza dell’ombra dello gnomone e della corrispondente posizione dei particolari anatomici del braccio utilizzato per dimensionare il “aso do” e in più, sull’asta, veniva praticata una tacca ogni 3 giorni corrispondente alla lunghezza dell’ombra dello gnomone.

Un rapido calcolo astronomico ci mostra che la lunghezza dello gnomone, il “tukar do” doveva essere pari a 2.3 volte la lunghezza del braccio umano, quindi doveva essere alto quanto un uomo in piedi. Sempre nell’isola del Borneo esiste un’altra popolazione, i Kayan, i quali utilizzavano un metodo gnomonico simile a quello dei Kenyah, ma con la differenza che invece dello gnomone verticale posto all’aria aperta, veniva usato il raggio di sole che entrava attraverso un foro praticato nel soffitto della stanza che il personaggio incaricato del computo del tempo occupava entro le grandi capanne dove si svolgeva la vita comunitaria della tribù.

 Per il resto il metodo di dimensionamento del “aso do” era simile a quello dei Kenyah, che vivevano geograficamente vicini ai Kayan. Spostiamoci ora nell’isola di Java dove un dispositivo gnomonico molto accurato, denominato “bencet” fu usato dalle tribù locali documentatamente dal 1600 al 1855. La data nel XVII secolo è quella più remota di cui esistono espliciti documenti scritti, ma l’abitudine di usare il “bencet” è sicuramente molto più remota. Il principio di funzionamento era lo stesso di quello delle tribù del Borneo, ma il “bencet” era più piccolo rispetto al “tukar do” dei Kenyah e sul corripondente “aso do” erano riportate 12 tacche equispaziate che permettevano di dividere l’anno in 12 periodi di lunghezza disuguale, detti “mangsa”, due dei quali iniziavano con il passaggio de Sole allo zenith locale, quando la lunghezza dell’ombra a mezzogiorno era nulla e altri due quando le ombre proiettate erano massime nelle direzioni nord e sud, cioè ai solstizi.

Alla latitudine di Java, 7 gradi sotto l’equatore, il sistema di computo realizzato dal “bencet” era univoco e permise la realizzazione di un efficiente calendario solare denominato appunto “mangsa” formato da 12 mesi i quali avevano le seguenti caratteristiche. Il primo mese dell’anno “mangsa” era “Kasa”, lungo 41 giorni e corrispondente all’intervallo di tempo che intercorre tra il 21 o 22 Giugno (solstizio d’inverno, per l’emisfero sud) fino al 31 Luglio (gregoriano). Il secondo mese era “Karo” o anche “Kali” che durava 23 giorni, dal 1 o 2 Agosto fino al 23 o 24 Agosto; seguiva “Katelu” o anche “Katiga” che durava 24 giorni ed iniziava il 24 o 25 Agosto e durava fino al 16 o 17 Settembre. Il quarto mese era “Kapat” o “Kasakawan” lungo 25 giorni il quale iniziava il 17 o il 18 Settembre e terminava il 11 o 12 Ottobre; seguiva poi “Kalima” o “Gangsal” che era lungo 27 giorni ed iniziava il 12 o 13 Ottobre terminando il 7 o 8 Novembre; era poi la volta di “Kanem” che si stendeva per 43 giorni iniziando il 8 o 9 novembre e terminando il 20 o 21 Dicembre.

Poi avveniva il solstizio d’estate ed iniziava il mese di “Kapitu” lungo 43 giorni che iniziava il 21 o 22 Dicembre e si stendeva fino al 1 o 2 Febbraio successivo; poi era la volta di “Kawolu” che contava 26 o 27 giorni e partiva dal 2 o 3 Febbraio terminando l’ultimo giorno di Febbraio o il 1 Marzo, a cui seguiva “Kasanga” lungo 25 giorni che iniziava il 1 Marzo e arrivava al 25 o 26 Marzo. Successivamente era la volta di “Kasepuluh” oppure “Kasadasa” di 24 giorni che iniziava il 25 o 26 Marzo e arrivava fino al 17 o 18 Aprile, dopo cui era la volta di “Desta” lungo 23 giorni che si stendeva dal 18 o 19 Aprile fino al 10 o 11 Maggio a cui seguiva “Sada”, l’ultimo mese dell’anno “mangsa”, che iniziava il 11 o 12 Maggio stendendosi per 41 giorni fino al 20 o 21 Giugno, data del solstizio d’inverno per l’emisfero meridionale.

Dobbiamo ora fare qualche considerazione, in primo luogo i due mesi solstiziali sono “Kasa” e “Kapitu” in cui si verificano le lunghezze estreme delle ombre proiettate dallo gnomone “bencet”, mentre i mesi “Kapat” (“Kasakawan”) e “Kasepuluh” (“Kasadasa”) sono i mesi in cui il Sole transita allo zenith locale. Poichè la latitudine dell’isola di Java è 7 gradi al di sotto dell’equatore, i due passaggi del Sole allo zenith non potranno essere esattamente concomitanti con gli equinozi, ma dovranno ritardare di 4 giorni rispetto alla data di equinozio di Marzo (autunno, nell’emisfero sud) e anticipare di altrettanto nel caso dell’equinozio di Settembre (primavera), come in effetti avviene per l’inizio dei rispettivi mesi nel calendario “mangsa”. Un altro metodo utilizzato in Malesia per stabilire le date lungo l’anno era quello delle levate e dei tramonti eliaci. La maggioranza delle stelle e degli altri corpi celesti diventano invisibili all’osservazione ad occhio nudo nel periodo della loro congiunzione eliaca, cioè quando il Sole è situato prospetticamente vicino a loro.

Il periodo di invisibilità di un astro, sia esso una stella oppure un pianeta, è l’intervallo di tempo che intercorre tra il tramonto eliaco dell’astro alla sua successiva levata eliaca. Nel periodo della levata eliaca, l’astro è visibile al mattino, poco prima del sorgere del Sole, mentre alla data del tramonto eliaco l’astro è visibile alla sera appena dopo il tramonto del Sole, quindi il periodo dell’anno in cui la stella o il pianeta è visibile è quello che va dalla data di levata eliaca a quella di tramonto eliaco. I cosiddetti fenomeni eliaci sono sostanzialmente quattro e cioè le levate e i tramonti eliaci, le levate e i tramonti acronici. La levata eliaca di una stella si riferisce al primo giorno di visibilità, ad occhio nudo, dell’astro, ad est, prima del sorgere del Sole. In questo caso la stella, appena sorta, si trova all’alba pochi gradi sopra l’orizzonte locale, mentre il Sole è ancora alcuni gradi sotto di esso. Il cielo è in questo caso già relativamente rischiarato dalla luce del Sole che sta per sorgere. Il tramonto eliaco di una stella si riferisce invece all’ultimo giorno di visibilità visuale dell’oggetto, appena dopo il tramonto del Sole. In questo caso la stella si appresta a tramontare in corrispondenza dell’orizzonte occidentale subito dopo il Sole e rimane visibile per pochissimo tempo.

La levata acronica di una stella si riferisce al primo sorgere dell’oggetto, all’orizzonte orientale appena dopo il tramonto del Sole ad occidente. In questo caso la stella diviene visibile a causa della diminuzione della luminosità del cielo all’imbrunire, man mano che il Sole scende sotto l’orizzonte locale. Il tramonto acronico di una stella si riferisce all’ultimo giorno di visibilità, ad occhio nudo, dell’oggetto poco prima del suo tramonto all’orizzonte Ovest appena prima del sorgere del Sole all’alba al segmento opposto dell’orizzonte. Le popolazioni della Malesia trascurarono completamente l’osservazione dei fenomeni acronici, mentre utilizzarono la cosidetta “culminazione eliaca” delle stelle. La culminazione superiore di un astro è il suo passaggio al meridiano del luogo, in direzione sud, e corrisponde alla massima altezza raggiunta giornalmente dall’astro rispetto alla linea dell’orizzonte astronomico locale; il transito al meridiano avviene quando il tempo siderale locale è uguale all’ascensione retta dell’astro.

L’abitudine di usare la “culminazione eliaca delle stelle” sembra essere esclusiva delle popolazioni malesi non trovando per ora altri esempi presso altre popolazioni anticamente distribuite sul pianeta. I Malesi determinarono alcune date importanti per l’agricoltura o per la ritualità religiosa sulla base della culminazione superiore di una costellazione o di una stella nel momento in cui all’orizzonte orientale avveniva il sorgere del Sole, oppure avveniva il suo tramonto all’orizzonte occidentale. Il metodo non era molto accurato, ma raggiungeva lo scopo che i contadini malesi si erano prefissi e cioè di determinare con sufficiente approssimazione alcune date importanti durante l’anno.

Le stelle che venivano utilizzate variavano a seconda delle tribù, ma esisteva una certa uniformità nel senso che le più osservate erano le Pleiadi, la Cintura di Orione, Sirio e, meno frequentemente, Antares, l’intera costellazione dello Scorpione e la Croce del Sud. Vedremo più oltre quali erano le tecniche di osservazione maggiormente utilizzate dalle varie popolazioni malesi. L’osservazione delle levate o dei tramonti eliaci avveniva al livello dell’orizzonte astronomico locale nel caso i fenomeni fossero stati osservati da una postazione osservativa ubicata in riva al mare o nelle vicinanze, oppure all’orizzonte naturale locale che era costituito dal profilo delle montagne visibili sullo sfondo oppure dal profilo delle cime degli alberi che costituivano al foresta pluviale tropicale in cui i villaggi erano posti.

Sempre sull’isola del Borneo vivevano le tribù dei Dyak (i Dayaki tanto celebrati nella letteratura di Emilio Salgari) le quali vivevano più o meno in aree vicine a quelle occupate dai Keniah e dai Kayan ed anche loro vivevano coltivando il riso, secondo la metodologia “swidden”. Al contrario di questi ultimi i Dyak trascurarono completamente l’osservazione del Sole e stabilirono i loro caratteristici sistemi di misura del tempo utilizzando esclusivamente le stelle. La data di piantagione del riso era determinata sulla base dell’altezza raggiunta da una stella o più stelle prima dell’alba o dopo il tramonto del Sole. I Dyak avevano inventato un metodo molto ingegnoso per eseguire questa misura, il quale consisteva nel prendere una grossa canna di bambù, cava all’interno, su cui era segnata una tacca ad una certa distanza dall’orlo superiore, riempirla d’acqua fino all’orlo e orientarla verso la direzione di vista della stella. L’inclinazione della canna di bambù era quindi teoricamente pari all’altezza della stella rispetto all’orizzonte astronomico locale e faceva tracimare all’esterno parte dell’acqua ivi contenuta.

È intuitivo che più la stella era bassa sull’orizzonte e più acqua usciva dalla canna a causa della sua maggiore inclinazione. Una volta raddrizzata la canna, il livello dell’acqua residua al suo interno stabiliva, rispetto alla tacca di riferimento, se l’altezza della stella era quella giusta per procedere alla piantagione del riso, oppure no. In particolare se il livello dell’acqua residua era inferiore alla tacca di riferimento voleva dire che era uscita troppa acqua, quindi l’altezza raggiunta dalla stella rispetto all’orizzonte astronomico locale era troppo bassa e quindi si era in anticipo rispetto alla data ottimale di piantagione del riso, se l’esperimento era eseguito prima dell’alba. Se l’esperimento era stato eseguito dopo il tramonto allora la data corrente era in ritardo rispetto alla data ottimale ed erano guai se non si fosse riusciti a piantare il riso in tempo.

Se il livello dell’acqua residua era superiore a quello identificato dalla tacca allora la data corrente era in ritardo rispetto a quella ottimale, se le osservazioni erano state eseguite prima dell’alba, oppure in anticipo se l’esperimento era stato eseguito dopo il tramonto. Quando il livello dell’acqua coincideva con quello della tacca sulla canna di bambù allora l’altezza della stella era quella giusta e si poteva procedere alla piantagione del riso. Questo metodo richiedeva quindi l’esecuzione di regolari osservazioni astronomiche Le stelle osservate erano quelle della Cintura di Orione, ma i documenti che risalgono alla fine del ‘800, non ci dicono quale delle tre stelle fosse quella utilizzata per eseguire le misure.

Il Borneo è attraversato dall’equatore per cui la costellazione di Orione è attraversata dall’equatore celeste, quindi le stelle della Cintura erano viste sorgere salendo in cielo verticalmente ad est e discendere, dopo la culminazione superiore, verticalmente verso ovest, praticamente senza variazione apprezzabile di azimut. La tribù dei Maloh, anch’essa stanziata nel Borneo, aveva l’abitudine di piantare il riso nel periodo che intercorreva tra la culminazione superiore delle Pleiadi all’alba e quella di Orione. La culminazione delle Pleiadi poco prima del sorgere del Sole avveniva intorno al 3 Settembre, mentre la culminazione di Orione avveniva intorno al 30 settembre; in questo lasso di tempo avveniva la piantagione del riso.

Presso la stessa tribù era in uso anche la singolare regola empirica che stabiliva che se un uomo in piedi guardava le Pleiadi e, a causa dell’inclinazione della testa gli cadeva il cappello, allora era giunto il momento giusto per piantare il riso. Spostiamoci ora a nell’Isola di Java, nei pressi di Jogyakarta nella parte centrale dell’isola; presso le tribù stanziate in quel luogo era in uso un altro singolare metodo per stabilire quando il riso doveva essere piantato. Un uomo designato dalla tribù e denominato “Wali puhun” si poneva, al tramonto, in un luogo da cui poteva essere agevolmente osservato il cielo, dirigeva il proprio sguardo ad oriente e sollevava la mano destra nella quale stringeva un pugno di riso verso la direzione in cui era visibile la costellazione di Orione, poi apriva il palmo della mano tenendolo verso l’alto, se il riso cadeva voleva dire che la costellazione di Orione aveva raggiunto l’altezza giusta e la data era propizia per piantare il riso, se invece il riso non scivolava dalla mano, allora la costellazione non aveva ancora raggiunto l’altezza ottimale.

Il calcolo astronomico mostra che l’evento poteva ragionevolmente verificarsi nei primi giorni di Gennaio, quando al tramonto del Sole, la costellazione di Orione raggiungeva i 30 gradi di altezza rispetto all’orizzonte astronomico locale. Dobbiamo ora occuparci di una singolare tribù javanese, gli Iban, i quali basarono tutta la loro mitologia e la pratica dell’agricoltura esclusivamente sulle stelle e sulla loro osservazione.

Le antiche leggende Iban narrano che la loro conoscenza delle stelle derivava direttamente dagli dei e secondo le affermazioni di un capo-villaggio intervistato negli anni ‘70 dall’antropologo D. Freeman: “Se non ci fossero le stelle gli Iban sarebbero scomparsi, non sapendo quando piantare il riso; noi viviamo per mezzo delle stelle”. Gli Iban usano correntemente un calendario lunare basato sui mesi sinodici il quale viene annualmente aggiustato sulla base delle date di levata eliaca delle Pleiadi e delle stelle della cintura di Orione. Quando le Pleiadi sorgono poco prima del Sole, nei primi giorni di Giugno, il mese lunare contato dal novilunio a quello successivo è chiamato “Bulan lima” che significa “il quinto mese”, allora due uomini di ciascuna grande capanna dove vivono più famiglie (longhouse) si recano nella foresta a cercare un’area da disboscare e quindi da coltivare al fine di ottenere un buon raccolto. L’area adatta, sono gli dei ad indicarla e quindi è necessario cercare fino a che si possono riconoscere i segni di buon auspicio inviati da loro. Questo viaggio può durare da 2 giorni a 1 mese e quando gli uomini ritornano al villaggio inizia l’opera di disboscamento dell’area individuata e la successiva piantagione del riso.

Nel caso che i due uomini ritardino il loro ritorno oltre la levata eliaca delle stelle della cintura di Orione (intorno al 25 Giugno), allora la comunità deve fare molti sforzi a disboscare le aree in modo da riguadagnare il tempo perduto, altrimenti il raccolto sarà scarso. È evidente che il ritardo dei due uomini è la conseguenza della difficoltà a riconoscere i presagi favorevoli e questo avviene per esplicita volontà degli dei, i quali sono in qualche modo adirati con la tribù. Il ritardo nel riconoscimento dei presagi implica una maggior fatica da parte dei membri della tribù che devono disboscare l’area molto più in fretta, prima che inizi a piovere altrimenti non sarà più possibile incendiare l’area disboscata, a scopo fertilizzante. La maggior fatica fisica riveste il ruolo di una sorta di “espiazione” che se affrontata con impegno permetterà alla tribù di riconciliarsi con gli dei e quindi ottenere un buon raccolto.

La levata eliaca delle stelle della cintura di Orione avviene all’inizio del sesto mese del calendario lunare Iban, tempo adatto per iniziare a disboscare la foresta, attività che in ogni caso deve terminare entro la data di culminazione delle Pleiadi al sorgere del Sole, cioè intorno al 25 Giugno, in quanto al novilunio più prossimo a quel giorno inizia l’ottavo mese del calendario Iban, durante il quale l’area disboscata deve essere incendiata per renderla fertile ed essa deve essere pronta per la culminazione di Orione all’alba (26- 30 Settembre), dopo la quale inizierà a piovere. Nel caso il riso sia seminato nei vivai dopo che Sirio ha raggiunto la culminazione superiore nel momento in cui sorge il Sole, cioè intorno al 15 Ottobre, allora il riso non sarà in grado di maturare completamente. Il trasferimento delle piantine nella risaia deve avvenire durante il decimo mese del calendario Iban (Ottobre-Novembre), ma l’attività deve essere completata prima del plenilunio, altrimenti il raccolto sarà scarso.

A questo punto il calendario lunare Iban termina e riprende l’anno seguente con la levata eliaca delle Pleiadi eseguendo un nuovo ciclo, quindi esso comprende solo i mesi lunari che vanno dal quinto al decimo, mentre gli altri sono computati secondo l’andamento della maturazione del raccolto; i mesi tra Novembre e Aprile sono ritenuti semplicemente “non importanti” perchè non rivestono un’importanza fondamentale ai fini della coltivazione del riso e quindi non conteggiati. La popolazione della Malesia essendo composta da una grande quantità di tribù mostra una grande diversità di tradizioni e di usanze molte delle quali risalgono a tempi antichissimi.

La cosa interessante è che molte delle tribù sopravvivono attualmente e conservano la quasi totalità delle loro usanze anche se lo stile di vita tipico dei tempi moderni ne ha inquinato molte. Queste tribù sono depositarie di documenti etnografici ed etnoastronomici di incalcolabile valore, che in altre parti del mondo sono scomparse da secoli inghiottite dalla “civilta” e dal “progresso”, a cui è ancora possibile accedere, probabilmente per un tempo limitato e che quindi sono da raccogliere e documentare prima che si estinguano completamente.

Va infine ricordato che i metodi di misura del tempo e di individuazione delle date durante l’anno sono quelle ancora in uso presso le comunità rurali. 11 Lo stato della Malaysia è attualmente a maggioranza islamica quindi il calendario ufficiale dello stato è quello lunare musulmano diffuso in tutti i paesi islamici.

(Autore: Adriano Gaspani)

 

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